BIOMASSE, valorizzazione biochimica delle

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

BIOMASSE, valorizzazione biochimica delle

Paola Branduardi
Danilo Porro

Biomasse e bioraffinerie. Principi della valorizzazione delle biomasse attraverso bioprocessi. Processi di produzione in essere e futuri. Bibliografia

fig. 1

In questo contesto si definisce biomassa qualsiasi sostanza di origine organica che possa rigenerarsi in tempi compatibili con il suo consumo, destinata alla produzione di bio energia, biocarburanti e biomateriali. Ciò in contrapposizione con le b. fossili, le cui tempistiche di rigenerazione eccedono di numerosi ordini di grandezza quelle di consumo (fig. 1). Questa accezione si correla con il potenziale energetico contenuto nella b. di neosintesi e ha promosso un movimento scientifico e tecnologico focalizzato sulle molteplici possibilità di sfruttamento di tale risorsa. In termini più generali e dal punto di vista semantico, il termine biomassa si riferisce a qualsiasi sostanza organica, di neosintesi o fossile, prodotta sulla Terra grazie a un ciclo vitale. La maggior parte di questa sostanza organica deriva direttamente o indirettamente dalle attività metaboliche degli organismi fotosintetici, anche se esistono altri processi metabolici che portano alla fissazione di carbonio inorganico (per es. quelli che sfruttano l’energia liberata da legami chimici rendendo possibile la vita finanche nell’ambiente estremo dei fondali oceanici attorno ai camini vulcanici, hot vent).

fig. 2

Per comprendere il motivo per cui le b. hanno suscitato un notevole interesse da parte della ricerca innovativa e dell’industria, basti pensare che i produttori primari (autotrofi) sono in grado complessivamente di fissare circa (1,5-2)×1011 tonnellate di carbonio all’anno (Catalysis forthe conversion of biomass and its derivates, 2013), con un contenuto energetico equivalente a 70 Gtep, circa 10 volte l’attuale fabbisogno energetico mondiale. Rispetto al petrolio inoltre, le b. costituiscono una fonte maggiormente distribuita a livello globale (fig. 2) e il loro impiego ha un impatto minore sulle emissioni di anidride carbonica (CO2) in quanto questa molecola viene poi nuovamente sequestrata nella formazione di nuova biomassa. Dalla possibilità che le b. possano sostituire il petrolio si originano l’impegno e gli investimenti mirati profusi nell’ambito sia della ricerca scientifica sia della tecnologia industriale.

La petrolchimica associata alla raffinazione del greggio ha cambiato profondamente la società umana: la stragrande maggioranza dei carburanti utilizzati dai motori a combustione deriva dal greggio, e lo stesso si può dire per un gran numero di materiali che accompagnano la nostra vita quotidiana (per es., plastiche, fibre petrolchimiche, solventi, fertilizzanti, prodotti della chimica fine, inclusi gli ingredienti per la formulazione di farmaci). Mentre in tempi più remoti le risorse fossili sono state utilizzate in misura ridotta, dando vita a uno sfruttamento sostenibile, la Rivoluzione industriale ha rappresentato una linea di demarcazione, che ha portato la società umana a un continuo incremento nei bisogni e nei consumi. Anche in virtù dei nuovi prodotti e servizi si è innescata una crescita a livello mondiale, accompagnata da un aumento nell’aspettativa di vita, con la tendenza a rinforzare circolarmente la domanda degli stessi prodotti propulsivi. Malgrado un crescente livello di interesse e di impegno sociale verso temi quali la salvaguardia dell’ambiente, il futuro delle risorse del pianeta, la possibilità di ridurre i bisogni, le dinamiche del mercato e della domanda non mostrano sostanziali segnali d’inversione di rotta. Recenti scoperte di fonti energetiche (v. idrocarburi non convenzionali) e nuove metodiche esplorative ed estrattive non cambiano l’impatto delle risorse fossili, nella prospettiva che esse siano consumate a una velocità sempre maggiore e significativamente superiore a quella necessaria alla loro rigenerazione (che si misura nei tempi dei processi geologici).

La valorizzazione della b. può avvenire attraverso processi chimico-fisici e/o biochimici. I primi fanno riferimento essenzialmente alla valorizzazione mediante approcci quali la pirolisi e la gassificazione. Purtroppo, durante questi processi si rompono numerosi legami chimici importanti per le successive valorizzazioni o si aggiungono atomi di ossigeno spesso indesiderati. Per ottenere i prodotti voluti molti legami chimici devono quindi essere ripristinati e l’ossigeno deve essere rimosso. Questo richiede molta energia e rende spesso tali processi economicamente poco favorevoli.

L’approccio biochimico è invece associato a una trasformazione essenzialmente enzimatica della b. originale in prodotti con un loro valore aggiunto. In base a queste premesse è importante meglio definire: a) quali siano le b. cui si pensa come fonte alternativa al petrolio; b) come sia possibile trasformarle; c) in che cosa possono già essere, e in futuro saranno, trasformate.

È altresì importante sottolineare che lo sfruttamento e la valorizzazione delle b. attraverso processi sostenibili e di ridotto impatto ambientale sono alla base di quella che viene definita la bioeconomia.

fig. 3

Biomasse e bioraffinerie. – La trasformazione della b. si dipone in termini industriali l’obiettivo di sostituire la raffineria petrolchimica, caratterizzata da un ottimizzato e oculato utilizzo di una fonte primaria complessa per la produzione di carburanti, materiali e ingredienti di varia natura, con la bioraffineria. Per bioraffineria si intende la possibilità, a partire da un substrato che sia rinnovabile in tempi compatibili con il suo utilizzo, di produrre bioenergia, biocarburanti e biomateriali come ora è possibile fare a partire dal petrolio. Al cuore della bioraffineria vi sono i bioprocessi, ovvero trasformazioni compiute da organismi viventi o attività enzimatiche da essi derivate, affiancati da processi chimici sostenibili, ovvero dalla chimica verde (fig. 3).

fig. 4

È necessario a questo punto identificare quali siano le b. che possano permettere di realizzare questa sfida tecnologica. Una prima possibilità, che ha permesso di sviluppare i primi processi in essere, ha visto l’utilizzo di substrati molto omogenei e facilmente trasformabili, in particolare zuccheri in forma semplice o amido. Tali bioraffinerie, definite di prima generazione, hanno avuto l’indiscusso merito di aver permesso di realizzare il processo produttivo, evidenziandone problematiche, potenzialità inespresse, possibili sviluppi. La prova più tangibile di questo sviluppo è rappresentata dalla produzione di bioetanolo, che nel 2013 ha raggiunto i 100 milioni di tonnellate (Renewable fuels association), la maggior parte prodotte proprio da bioraffinerie di prima generazione. Tuttavia, la natura del substrato utilizzato crea problematiche pratiche ed etiche, poiché in sovrapposizione e quindi in competizione con la filiera alimentare. Per questo motivo si sono sviluppate le bioraffinerie di seconda generazione (fig. 4), ove la materia prima utilizzata è costituita da sottoprodotti derivanti da diverse lavorazioni industriali

o da attività umane. Tale materiale, se non ulteriormente valorizzato, oltre a costituire una perdita in materia ed energia, comporta anche costi di smaltimento.

Infatti, le materie organiche presenti se immesse nel-l’ambiente possono sbilanciare profondamente la natura del substrato, influenzando di conseguenza la dinamica di sviluppo delle forme viventi ivi presenti. Questa condizione è meglio illustrata da qualche esempio di attività umane che generano prodotti di interesse come b. per le bioraffinerie di seconda generazione.

L’agricoltura e la silvicoltura sono i settori dove è possibile ricavare sia sottoprodotti sia prodotti, per es. residui delle coltivazioni erbacee e arboree. Considerando il settore della zootecnia, possono essere considerati i reflui zootecnici. Per passare a lavorazioni più fini, sono di interesse i reflui dell’industria casearia, costituiti principalmente da siero di latte; il glicerolo, sottoprodotto della produzione di biodiesel a partire da oli vegetali; e ancora, tutti i prodotti organici derivanti dall’attività biologica degli animali e quelli contenuti nei rifiuti urbani.

fig. 5

Tra le b. citate, un posto di assoluta rilevanza è ricoperto dai residui lignocellulosici, la fonte più abbondante di b. sul pianeta (tanto da condizionare la composizione media totale, fig. 5). La lignocellulosa è essenzialmente composta di tre polimeri: lignina, possibile fonte di composti aromatici, emicellulosa e cellulosa, entrambe fonte di zuccheri, che, come già visto, possono essere trasformati poi in biocarburanti, materiali e composti ad alto valore aggiunto. È importante precisare che la lignocellulosa impiegata nelle bioraffinerie di seconda generazione deve provenire o da scarti non edibili di colture agricole, o da coltivazioni dedicate, purché queste siano coltivate in terreni cosiddetti marginali, ovvero solitamente non utilizzati per le colture a uso alimentare. Altrimenti la competizione tra cibo e beni si trasferirebbe a livello delle terre utilizzate, senza cambiare nella sostanza le implicazioni etiche del caso. Una possibile soluzione alternativa è offerta dalle bioraffinerie di terza generazione, al momento ancora in fase di ricerca e sviluppo, ove la b. è costituita da microrganismi fototrofi autotrofi, che in quanto tali non necessitano di un substrato organico per crescere, ma anzi lo producono. Le b. così prodotte in questo modo possono essere poi utilizzate come già descritto nelle prime due bioraffinerie, o in alcuni casi anche come fonte proteica a uso umano e animale.

Principi della valorizzazione delle biomasse attraverso bioprocessi. – Al cuore della trasformazione della b. in una bioraffineria vi sono attività metaboliche. In particolare, queste attività sono svolte direttamente da microrganismi, definiti cell factories, o da enzimi da essi derivati. I microrganismi, dopo essere stati il motore di sviluppo della moderna biochimica (e della biochimica comparata), a cavallo del 19° e 20° sec., e dopo aver suscitato attenzioni in quanto responsabili di patologie, tornano finalmente protagonisti rilevando la loro precipua natura. In effetti, la vita su questo pianeta si è sviluppata per come la conosciamo grazie a forme microbiche, che a tutt’oggi sono responsabili del mantenimento dell’equilibrio biogeochimico degli elementi. Per citare alcune proprietà di rilievo, si ricordi che grazie alle loro attività si è generato l’ossigeno gassoso che ha permesso la formazione dell’atmosfera e dello strato di ozono, e sempre attività microbiche sono responsabili della fissazione dell’azoto atmosferico, rendendolo disponibile per la produzione di molecole fondamentali per i viventi, come proteine e acidi nucleici. Non a caso la maggior frazione della b. presente sul pianeta è proprio costituita da microrganismi, che hanno colonizzato ambienti così vari, alcuni dei quali sono sembrati per lungo tempo incompatibili con la vita. Questo perché una delle attività più efficienti ed efficaci svolte dai microrganismi è la trasformazione delle molecole, che possono essere tramutate da organiche a inorganiche e viceversa, così come da complesse a semplici. Inoltre, nella maggior parte dei casi il prodotto di un metabolismo diviene substrato per un altro, assicurando il naturale ricircolo di molecole ed elementi. Sono pochi, e solitamente generati dall’uomo, i composti che risultano recalcitranti per i microrganismi, cosa che unitamente aquanto detto in precedenza li candida ad agenti ideali per offrire soluzioni al problema di trasformare materie prime di partenza alternative al petrolio, possibilmente a partire dalla crescente produzione di b. di scarto e dalla necessità di sviluppare processi che siano di minore impatto ambientale. Grazie alle biotrasformazioni, la sfida sarà di valorizzare completamente le b., senza generare ulteriori scarti e ottenendo prodotti anche molto diversi tra loro.

fig. 6

Processi di produzione in essere e futuri. – Il PIL mondiale è stimato in circa 45.000 miliardi di euro all’anno. L’apporto della industria chimica è di circa 2220 miliardi €/anno, ovvero grosso modo il 5% del PIL mondiale. Il contributo dell’industrie chimiche e farmaceutiche è di circa 2600 miliardi €/anno. Grazie agli sviluppi scientifici e tecnici degli ultimi anni, molti, se non la maggior parte, dei prodotti di queste industrie possono ora essere ottenuti mediante nuovi processi a partire dalle b. con meno o senza produzione di rifiuti, minore rilascio di CO2, ridotto consumo di acqua e riduzione dei consumi di energia. I costi di processo possono inoltre essere fino al 40% inferiori di quelli dei processi convenzionali, consentendo un risparmio fino al 70% sul costo degli impianti produttivi. Non si devono infine dimenticare la drastica riduzione dell’uso di materiale non rinnovabile, la riduzione nel rilascio di composti organici volatili e di immissioni di prodotti secondari nelle acque. Tra le varie classi di prodotti meritano di essere ricordati i biocarburanti, le bioenergie, i prodotti della chimica di base, della chimica fine e chimica secondaria, così come i biomateriali (fig. 6). Quali esempi delle varie classi di composti prodotti, anche in Italia, devono essere citati il bioetanolo, il biogas, l’acido succinico e diverse bioplastiche (tra le altre, l’acido polilattico, PLA, e i poliidrossialcanoati, PHA).

Bibliografia: L. Landeweerd, M. Surette, C. van Driel, Petrochemistry to biotech. A European perspective on the bio-based economy, «Focus interface», 2011, 1, pp.189-95 (http://rsfs.royalsocietypublishing.org/content/royfocus/1/2/189/); OECD, Future pros pects for industrial biotechnology, Paris 2011 (http://www.keepeek.com/Digital-Asset-Management/oecd/science-andtechnology/future-prospects-for-industrial-biotechnology_ 9789264126633-en#page141); Catalysis for the conversion of biomass and its derivatives, ed. M. Behrens, A.K. Dayte, Berlin 2013 (http://www.edition-open-access.de/proceedings/2/toc.html). Si veda inoltre: RFA, Renewable Fuels Association: http://ethanolrfa.org/pages/World-Fuel-Ethanol-Production (20 febbr. 2015).

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