UVA

Enciclopedia Italiana (1937)

UVA (fr. raisin; sp. uva; ted. Traube; ingl. grape)

Giovanni DALMASSO
Giuseppe RUA
Guido RUATA

L'uva è il frutto della vite. Botanicamente si tratta d'un'infruttescenza, o grappolo composto, comprendente un numero più o meno grande di bacche, portate da un complesso di ramificazioni parzialmente erbacee e parzialmente lignificate, che costituiscono il raspo.

Ampelograficamente il grappolo può avere caratteristiche differenti: può essere semplice, alato, bi- o tripartito; compatto o spargolo; piramidale, conico, cilindrico. Anche la grandezza può variare notevolmente, da pochi centimetri fino a mezzo metro e più di lunghezza; ma generalmente questa s'aggira sui 15 a 20 centimetri. Le bacche o acini hanno pure caratteri molto variabili: possono essere sferici, subrotondi, ellittici, ovali, o di forma più singolare (appuntiti, arcuati, ecc.). Anche la grandezza di essi può oscillare da 10 mm. fino a 25 di diametro. Varia pure il colore della buccia: dal nero-violaceo o bluastro, al rosso più o meno vivo, al grigio, al giallo-dorato, al verde. Il colore può essere attenuato da uno straterello ceroso che ricopre, a guisa di polverina, la buccia e che si chiama pruina. L'acino si può distinguere in tre parti principali: una esterna, che è la buccia o fiocine (epicarpo); una mediana, che è la polpa (mesocarpo); una interna (endocarpo) che racchiude i semi o vinaccioli. Dalle differenze d'ordine fisico-chimico e meccanico che queste diverse parti, e specialmente la buccia e la polpa, presentano da vitigno a vitigno risultano i pregi specifici di questa o quell'uva per servire piuttosto per il consumo diretto come frutto (uve da tavola) o per la vinificazione (uve da vino).

Nei riguardi della composizione fisico-meccanica e chimica, è anzitutto da considerare il peso del grappolo. Esso (come la sua grandezza) varia notevolmente a seconda della varietà (qui ci limitiamo a considerare il frutto della specie Vitis vinifera L. o vite europea); delle condizioni ambientali, delle pratiche colturali, ecc. Si possono quindi avere grappoli dal peso inferiore ai 100 grammi, e anche soltanto di 50 o poco più (come in molti vitigni da vino, specialmente fini; tali quelli dei Pinots, Cabernets, Riesling), e grappoli del peso di 1 kg. e più (come quelli di molte uve da tavola, soprattutto di lusso, tipo Regina, Zibibbo, Gros Colman, ecc.). Però anche qualche uva da vino ha grappoli molto pesanti (es. quelli di Aramon, Carignan, ecc., pesano anche 600 a 900 grammi). Nella maggior parte dei casi però il peso s'aggira fra i 150 e i 300 grammi. Varia anche molto il rapporto fra raspi e acini. In generale il peso relativo dei raspi è inversamente proporzionale al peso dei grappoli. Si può dire che il peso percentuale dei raspi rispetto ai grappoli vari fra 2,5 e 8, mantenendosi per lo più fra 3 e 4. I raspi, la cui funzione è soprattutto di organi di sostegno degli acini e di trasporto delle sostanze nutritive a questi ultimi, contengono da 35 a 75% circa di acqua (a seconda che sono più o meno lignificati al momento della vendemmia). Della loro sostanza secca il componente più abbondante è la cellulosa, ma il più importante dal punto di vista dell'enotecnica è il tannino, di cui contengono da 1,3 a 3,2% di sostanza fresca, e di cui possono cedere al mosto durante la fermentazione sino a 1 grammo per ogni kg. di grappoli. I raspi contengono anche sostanze a sapore fortemente acido e astringenti (acido racemico). Gli acini, come già s'è detto, comprendono la buccia, la polpa e i vinaccioli. La polpa però, nelle uve da vino ben mature, è per la massima parte trasformata in un liquido, che è il mosto. Non è pertanto facile stabilire le percentuali rispettive di polpa solida e di mosto contenuto nell'acino. Si possono invece più facilmente fissare le percentuali di bucce e di vinaccioli. Le bucce rappresentano, come grande media, il 10% del peso dell'acino; oscillando fra il 3 e il 15 e più per cento. Si sono già viste le ragioni di questa grande variabilità, che è anzitutto in funzione del vitigno (le uve da vino hanno in generale buccia più sottile di quelle da tavola). Il componente più abbondante delle bucce è l'acqua (che per lo più raggiunge il 70-80% in peso). Nella sostanza secca si trovano cellulosa, zuccheri, acidi organici (malico, tartarico e ossalico), tannino, sostanze coloranti, azotate e minerali. Le più importanti di esse, dal punto di vista tecnico, sono le sostanze coloranti e il tannino. Le prime, contenute soprattutto nelle cellule interne della buccia, sono di composizione molto complessa. Dagli studî di R. Willstätter esse risultano comprese nel gruppo degli antociani (che sono dei glucosidi). Nelle uve colorate si trova l'enina (composto formato dalla combinazione d'una molecola di glucosio e d'una molecola d'enidina, derivato dimetilico della delfinidina). Nelle uve bianche non esistono antociani, ma quercitrina e quercetina (derivati dal flavone, cioè da un fenilbenzopirone). Molti sono i punti ancora oscuri sull'origine e il significato biologico di queste sostanze: solo si può dire sicuramente che fra esse e le sostanze tanniche (che sono pure dei glucosidi) esiste una certa relazione chimica e forse anche biologica, tanto da essere lecito domandarsi se i tannini non siano le sostanze madri della materia colorante dell'uva. Comunque, dal punto di vista tecnico, importa ricordare che la materia colorante dell'uva è poco solubile nell'acqua pura, mentre lo è assai più nell'acqua acidulata e nel mosto, e tanto maggiormente se alla temperatura di 40°-50°. È solubilissima nell'alcool (e perciò nel vino). Ecco perché volendo vinificare uve rosse in bianco importa separare le bucce prima d'ogni inizio di fermentazione, per evitare che si formi dell'alcool e che questo disciolga la materia colorante. Come s'è detto, altro componente molto importante delle bucce è il tannino, che è però assai più abbondante nelle uve colorate (si può ritenere che esso varî da gr. 1,2 a 3 per chilogrammo di acini nelle bucce delle uve colorate, e da gr. 0,2 a 1 in quelle delle uve bianche). Ma pure importantissime nelle bucce sono le sostanze odoranti: olî essenziali ed eteri, contenuti in piccolissime quantità ma capaci di conferire alle uve di certi vitigni aromi gradevolissimi (es. quello di moscato). Questi composti dalle bucce passano nel vino; sono però molto instabili, e spesso scompaiono in gran parte con l'esaurirsi della fermentazione. Da ultimo ricorderemo la sostanza cerosa o pruina, già nominata; essa rappresenta circa l'1,5% del peso della buccia, ed è costituita da una miscela di palmitina, stearina, laurina, miristina, enantina, ecc.

I vinaccioli sono gli organi della riproduzione sessuale della vite, e si trovano nel centro dell'acino in numero vario da 1 a 4 (talvolta mancano del tutto: nelle uve apirene). In 100 grammi di acini possono trovarsi da 1 a 6 grammi di vinaccioli (più frequentemente da 3 a 4). Il loro contenuto in acqua varia fra 35 e 40%; nella sostanza secca prevalgono gl'idrati di carbonio e i grassi. Molto interessanti sono questi ultimi, presenti in proporzioni variabili dall'8 al 16% (più frequentemente dal 10 al 12%); sono costituiti da stearina, palmitina, oleina, erucina, linoleina, oltre a una fitosterina. È molto importante per l'enotecnica il contenuto in tannino, variabile da 3 a 8% (più spesso fra 5 e 6%); esso può sciogliersi parzialmente nel mosto durante la fermentazione.

Polpa e mosto. - Come già s'è detto, è ben difficile poter separare questi due elementi fondamentali dell'uva. Complessivamente essi rappresentano dall'85 al 90% del peso dell'acino, mentre la resa dell'uva in liquido (mosto) può variare dal 55 all'80%. Nella polpa d'un acino si possono distinguere tre strati concentrici: uno più esterno a contatto della buccia; uno mediano che è il più abbondante; e uno centrale che racchiude i vinaccioli. Lo strato mediano è quello più ricco di zucchero, meno ricco di acidi e più povero di tannino; quello più esterno è più ricco di tannino, mediamente zuccherino e più povero di acidi; quello più interno è il più povero di zucchero e più ricco di acidi. Si sono così già indicati alcuni dei componenti essenziali della polpa. Più precisamente: quello più abbondante è l'acqua, contenuta in ragione del 65 a 85% (e più) in peso (soltanto nelle uve appassite il contenuto in acqua scende a 55, e anche meno, per cento). In quest'acqua sono disciolte o sospese le sostanze estrattive, le quali per lo più rappresentano dal 20 a 26% in peso della polpa. Si può ritenere che dal 2 al 6% di esse siano costituite da sostanze diverse, il rimanente è costituito da zuccheri. La quantità del "non zucchero" diminuisce quanto più zuccherini sono i mosti.

Zuccheri. - Lo zucchero d'uva (zucchero invertito) è costituito da una miscela di glucosio e di levulosio (C6H12O6). Nell'uva perfettamente matura essi si trovano pressapoco in proporzioni eguali, mentre nelle uve immature predomina il glucosio e in quelle stramature e appassite il levulosio. Complessivamente, i 4/5 dei mosti italiani contengono dal 16 al 22% di zucchero; una piccola percentuale di essi contiene meno del 16%, una alquanto maggiore, più del 22%, toccando, e superando facilmente, il 26%, e anche il 30-35%. Per quanto il glucosio sia destrogiro e il levulosio levogiro, lo zucchero del mosto devia sempre a sinistra la luce polarizzita, perché la deviazione levogira del levulosio è maggiore di quella destrogira del glucosio. Entrambi sono riduttori, e su questa loro proprietà si basa il più comune metodo di determinazione chimica della ricchezza zuccherina dei mosti (metodo del Fehling). Entrambi sono perfettamente fermentescibili per opera dei fermenti alcoolici (i quali però attaccano prima il glucosio che il levulosio). Di altri zuccheri nel mosto d'uva si trovano soltanto piccole quantità. Recentemente è stata riscontrata la presenza del saccarosio, mentre viene posta in dubbio quella dei pentosi e metilpentosi, che in passato erano stati segnalati.

Acidi. - Dopo gli zuccheri, i componenti più importanti dei mosti sono le sostanze acide: cioè acidi liberi e sali acidi. Gli acidi principali del mosto d'uva sono il tartarico e il malico; quest'ultimo è di solito più abbondante, benché meno caratteristico dell'uva che il precedente. L'acido malico abbonda negli acini immaturi; ma dopo l'invaiatura di essi diminuisce rapidamente, perché ossidato dall'attività respiratoria. Nei mosti molto ricchi d'acidità esso può rappresentare anche i 2/3 dell'acidità totale. L'acido tartarico (più abbondante nei mosti meridionali) va pure diminuendo con la maturazione, venendo precipitato sotto forma di tartrato acido di potassio (cremortartaro). Nei mosti si trova acido tartarico destrogiro; non è escluso però che esista anche dell'acido racemico. In piccolissime quantità esistono nei mosti anche altri acidi, quali il citrico, l'ossalico, il glicolico. Il complesso di queste sostanze acide costituisce l'acidità totale del mosto. Essa è variabilissima a seconda dei vitigni e delle località di produzione, potendo scendere a 3-4 gr. per litro e salire a 20 e più. In generale sono più acidi i mosti dell'Italia settentrionale, ma non mancano mosti acidissimi anche nell'Italia meridionale (Avellino). I limiti più frequenti di tale acidità nei mosti italiani oscillano fra 6 e 10 per mille. Alle sostanze acide si suole aggiungere anche il tannino. La polpa dell'uva ne contiene soltanto tracce, ma il mosto, venendo a contatto con le bucce e con i raspi, può arricchirsene, tanto più, quanto più lungo è il contatto durante il processo fementativo.

Il tannino d'uva è un glucoside, capace di liberare da 7 a 8% di zucchero e, per saponificazione, anche acido digallico, facile a ossidarsi all'aria; per evaporazione, le sue soluzioni acidificate dànno una sostanza rosso-bruna detta flobafene (che si riscontra nei raspi e nei vinaccioli), avente molta analogia con le sostanze umiche.

Sostanze azotate. - Sono più abbondanti nella buccia che nella polpa dell'acino, ma, con le comuni operazioni di pigiatura, possono passare dalla buccia nel mosto. Benché il loro quantitativo varii secondo la natura dei terreni, in generale nei mosti italiani è sempre piuttosto basso; in media si ritiene che essi contengano gr. 0,25 di azoto per litro, possono però contenerne anche gr. i e più. La natura dei composti azotati dei mosti è molto varia: si passa da quelli più semplici (ammoniacali) a quelli più complessi (proteici). Questi ultimi hanno molta importanza per la nutrizione dei fermenti alcoolici; però, per compiere tale ufficio debbono subire prima svariate decomposizioni per opera di enzimi contenuti nel mosto. Fra ì prodotti di tale decomposizione assumono particolare interesse gli amminoacidi, che si ritrovano poi anche nei vini.

Sostanze minerali. - Costituiscono le ceneri, che residuano dalla combustione dell'estratto secco d'un mosto. Complessivamente oscillano fra due e sei grammi per litro di mosto (come cenere grezza; pari a gr. 1,8-4,5 di cenere pura, cioè detratta la CO2). I componenti principali di esse sono: il potassio (K2O) pari al 40-60%; poi sodio, calcio, magnesio, ferro, fosforo. Quest'ultimo ha speciale importanza nei mosti e nei vini; esso si trova sotto forma sia minerale sia organica (si ritiene da taluni che quest'ultima forma sia rappresentata da lecitina, ma forse si tratta di glicerofosfati di potassio, calcio o sodio).

Fra gli altri componenti della polpa e del mosto sono da ricordare:

Sostanze pectiche. - Sono i componenti fondamentali della polpa dei frutti. Nell'uva essi sono tanto più abbondanti quanto meno essa è ricca di mosto (uve da tavola). Nella polpa dell'uva si trovano allo stato di pectina solubile, la quale sarebbe, secondo l'Ehrlich, un sale calcio-magnesiaco d'un etere metilico dell'acido pectico, costituito a sua volta da un derivato acido complesso del galattosio. A essa s'attribuisce la formula greggia C17H27O16. Se ne trovano per lo più da 1 a 3 grammi per chilo d'uva. Queste sostanze contribuiscono a dare ai vini un sapore morbido e vellutato.

Enzimi. - Il mosto d'uva contiene svariati enzimi: proteolitici, glicolitici e ossidanti. Naturalmente, in seguito al processo fermentativo esso viene ad arricchirsi anche di altri enzimi, portati nella massa dagli stessi fermenti alcoolici (sucrasi, zimasi, ecc.).

Vitamine. - Ricerche molto recenti e tuttora in corso hanno potuto accertare nell'uva la presenza delle vitamine A, B, C; mancano per ora dati sicuri sulle vitamine D e E.

La conoscenza della composizione chimica dell'uva ha importanza fondamentale per l'industria enologica, ed è indispensabile per una razionale ampeloterapia (cura d'uva).

Per quanto riguarda la vinificazione e l'utilizzazione industriale dell'uva v. vino e bibl. ivi.

V. tav. a colori.

La cura dell'uva.

L'uso dell'uva a scopo curativo: ampeloterapia, da ἂμπελος "uva" e θεραπεία "cura", risale a epoche assai remote; infatti ne parlano già, fra gli altri, Plinio, Cornelio Celso, Dioscuride, Galeno. Ai tempi nostri le cure uveali hanno cominciato a fiorire sulla metà del sec. XIX e non solamente hanno preso largo sviluppo in parecchi paesi, ma hanno dato luogo altresì a un' interessante letteratura scientifica da parte dei molti medici che se ne sono occupati. In Italia l'ampeloterapia è diffusa principalmente nella Val Venosta e soprattutto a Merano, dove da molti anni essa viene praticata con indirizzo scientifico stabilito dall'esperienza dei medici che vi si sono dedicati e specializzati.

La fama delle cure d'uva di Merano è tale che a ogni stagione, fra il settembre e l'ottobre, vi accorrono, espressamente per farle, vaste correnti di frequentatori italiani e stranieri. Delle diverse qualità d'uva, quella che viene considerata la migliore per la cura è la varietà Frankental, chiamata anche Grossvernatsch, blaue Trollinger, Uva di Merano, Schiavona, ecc. Essa ha grappolo grande, cilindro-conico, un po' spargolo, con grossi acini sferici di color rosso-violaceo che passa poi al nero bluastro pruinato, buccia piuttosto sottile, polpa un po' dura e succosa, succo a sapore dolce e semplice, non aromatico. A Merano l'uva destinata alle cure è sottoposta a una cernita accurata sotto il controllo delle autorità sanitarie. Secondo le norme prescritte dai medici specializzatisi nell'ampeloterapia - fra i quali vanno citati R. Hausmann e G. von Gara - la quantità iniziale d'uva da ingerire è di un chilogrammo, di cui 1/3, al mattino, 1/3 al pomeriggio, 1/3 alla sera; essa viene in seguito elevata sino a 2 chilogrammi giornalieri, raramente di più. Gli acini devono essere schiacciati fra lingua e palato, non coi denti, né si debbono ingerire la buccia e i semi. Dopo mangiata l'uva, si pratica la toletta della bocca con lo spazzolino e con delle soluzioni alcaline. Invece dell'uva in grappolo, se ne può usare il succo, preparato con appositi torchietti; il consumo dell'uva è però preferibile a quello del mosto, per la più completa funzione salivare determinata dalla masticazione, che favorisce la digestione.

Le indicazioni principali dell'ampeloterapia sono le seguenti: dispepsie, catarri cronici dello stomaco e dell'intestino, atonia intestinale, stitichezza, alterazioni della funzione epatica, obesità, affezioni renali e vescicali, gotta, diatesi urica, forme di deperimento conseguenti a malattie, e di denutrizione negli stati anemici della adolescenza, convalescenze.

Bibl.: B. Laquer, Über Wirkungen und Indikationen der Traubenkur, in Zeitschrift f. diät. und physik. Ther., 1899; F. Melocchi, Le cure dell'uva, Sondrio 1903; R. Massalongo, Le cure d'uva, Milano 1903; L. Devoto, Sulle cure d'uva, Stradella 1903; F. Melocchi, Le cure dell'uva secondo l'indirizzo medico moderno, Torino 1907; R. Hausmann, Die Weintraubenkur, Merano 1923; G. von Gara, Die Troube als Heilmittel, ivi 1930.

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