RATTAZZI, Urbano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)

RATTAZZI, Urbano

Raoul Antonelli

RATTAZZI, Urbano (Urbanino). – Nacque a Vercelli il 2 febbraio 1845 da Giacomo e da Marina Reggio.

Il padre era stato direttore della Cassa ecclesiastica di Alessandria e successivamente direttore dell’Ufficio fabbriche e possessi dell’amministrazione della lista civile di Casa reale.

Le scelte professionali di Rattazzi furono sostanzialmente determinate dalla protettiva presenza dello zio Urbano a cui il giovane si legò da grande affetto e consuetudine come rivelato dalle decine di lettere in cui i due discutevano degli avvenimenti familiari come di quelli politici. Dopo gli studi presso i salesiani e la facoltà di giurisprudenza all’Università di Torino, Rattazzi iniziò l’apprendistato di avvocato (1866-68) nello studio di Federico Spantigati, uno degli estensori del codice di legislazione civile del Regno d’Italia e futuro vicepresidente della Camera. In seguito, nel settembre del 1868 fu nominato avvocato della neonata Regia cointeressata dei tabacchi. Gli anni successivi lo videro cumulare gli incarichi di avvocato e rappresentante legale del Banco di Napoli (ottobre 1870) e della Banca italogermanica del deputato Giacomo Servadio presso la nuova sede di Firenze (ottobre 1871). Entrambe le banche, che avevano forti interessi nel risanamento e nella riqualificazione di grandi aree urbane delle maggiori città italiane, affidarono al giovane legale la rappresentanza dei loro affari presso le autorità centrali prima a Firenze e poi a Roma. Nel 1871, proprio in vista del trasferimento della capitale nella città eterna, Rattazzi venne proposto dal ministro della Real Casa Giovanni Visone come consulente dell’ufficio legale dell’amministrazione della lista civile pur essa tacitamente interessata ad acquisti, se non a speculazioni edilizie, nella città.

Fin dall’inizio la carriera pubblica di Rattazzi si svolse, quindi, nello stretto rapporto tra affari e politica, grazie a una grande e riconosciuta professionalità, alla rete di conoscenze familiari e a una sensibilità politica che gli derivava dalla frequentazione del vecchio zio Urbano e dei suoi amici. Proprio questa relazione finì per divenire il tratto distintivo di tutta la sua attività, tanto da fargli meritare la fama di uomo «assai dedito agli affari», come lo dipinse Telesforo Sarti (Il Parlamento italiano nel Cinquantenario dello Statuto, Roma 1898, p. 458), e, soprattutto, da farlo trovare spessissimo al centro di aspre polemiche.

Nel 1873 fu coinvolto nel fallimento della Banca italogermanica causato, secondo molti azionisti, da operazioni spericolate se non addirittura truffaldine di Servadio e dei due Rattazzi: Giacomo e Urbanino (il padre era membro del consiglio d’amministrazione). Anche più tardi, con il crollo della Banca Tiberina e successivamente con lo scandalo che colpì la Banca Romana di Bernardo Tanlongo, Rattazzi – censore e rappresentante legale della Tiberina (1877) – fu lambito da critiche malevole che lo volevano gestore, all’interno dei due istituti, del patrimonio della contessa Eugenia Litta, riconosciuta come la favorita di Umberto I, e del patrimonio privato del sovrano. Rattazzi in effetti, fu ricordato per molto tempo quasi esclusivamente per il ruolo di ‘cortigiano’ che la stampa e gli avversari politici dell’epoca disegnarono per lui. Al nipote dell’omonimo ex presidente del Consiglio si alluse come a colui che teneva le chiavi del portafogli di Umberto I per la sua attività di amministratore e quindi come a un personaggio capace di influire ‘diabolicamente’ sulle decisioni sovrane.

Grazie proprio alle capacità di riordinare il disastrato patrimonio privato di Umberto I con tagli alle spese del ministero della Real Casa, con la risoluzione positiva di cause civili legate all’eredità privata del sovrano (villa Mirafiori, a Roma) e con la compravendita di terreni e palazzi provenienti anche dal patrimonio della Banca italogermanica e della Banca Tiberina, Rattazzi divenne presto capo dell’ufficio di consulenza giuridica del Quirinale (1880).

Nel 1882 sposò Carolina dei marchesi Morano Falcone, vedova del senatore Augusto Nomis di Cossilla, con la quale l’anno seguente ebbe un figlio di nome Giacomo.

Nel 1883 fu eletto consigliere al Comune di Roma per le liste dei liberali progressisti di Agostino Depretis, sostenuto anche dal giornale l’Ezio II del deputato Francesco Coccapieller e nella tornata successiva persino dai cattolici. Il 10 giugno 1883 fu nominato segretario generale del ministero della Real Casa. Da quel momento l’ascesa politica di Rattazzi non conobbe interruzioni. All’interno dell’amministrazione regia assunse per intero le redini di tutto l’apparato ed esautorò, di fatto, l’anziano ministro Visone anche nei suoi compiti più squisitamente di rappresentanza. Giunse persino a forzare le attribuzioni, essenzialmente amministrative, della carica tanto da suscitare vere e proprie reazioni in Parlamento. Nel 1892, infatti, nel pieno della crisi del primo governo di Rudinì, Rattazzi fu accusato dalla stampa di aver partecipato, indebitamente, al Consiglio dei ministri per favorire la nomina di Giovanni Giolitti a capo del governo. «Suor Patrocinio» (Farini, 1961-1962, I, p. 21) lo definì, preoccupato, il presidente del Senato, Domenico Farini, a sottolineare il ruolo che sembrò ricoprire Rattazzi nella vicenda e, in genere, l’intreccio e lo scambio di favori che sottostavano alla sua carriera. Matteo Renato Imbriani lo reputò il vero deus ex machina dell’ascesa di Giolitti, mentre Francesco Crispi lo accusò di essere il principale artefice della caduta del gabinetto da lui presieduto nel 1891.

In effetti i due, il funzionario di corte e il politico di Dronero, negarono sempre una conoscenza precedente all’investitura a capo del governo di Giolitti. Rattazzi sostenne di averlo conosciuto solo qualche settimana prima, a un’udienza di Umberto I a S. Rossore, avendolo suggerito al sovrano come presidente del Senato. Lo statista invece non nominò mai nelle sue memorie, se non in maniera del tutto casuale, il potente funzionario di corte, negando implicitamente qualsiasi familiarità di rapporti.

Tuttavia, al di là delle affermazioni dell’uno o i silenzi dell’altro, la collaborazione fu sempre stretta e durò anche nel periodo politicamente più buio del politico di Dronero quando egli si rifugiò all’estero a seguito degli sviluppi dello scandalo della Banca Romana. Ormai divenuto per tutti ‘l’uomo di Giolitti’ presso il re o, al contrario, l’emissario del potere regio presso il governo, Rattazzi, nominato ministro della Real Casa appena un anno prima nel settembre del 1892, fu costretto alle dimissioni con la caduta del governo Giolitti. Le pressioni di Crispi, tornato al governo, costrinsero il funzionario di corte a lasciare l’incarico nel dicembre del 1893. Egli continuò a rimanere per lungo tempo ancora, tuttavia, il fidato consigliere di Umberto I e a tessere la sua trama a favore dello statista piemontese. Nominato senatore per la 4ª categoria e ministro di Stato nel 1894, Rattazzi, in odio a Crispi, collaborò con Felice Cavallotti fornendo informazioni fondamentali alla redazione di quella Lettera agli onesti di tutti i partiti pubblicata sul Secolo nel giugno del 1895, che, nelle intenzioni del deputato radicale, avrebbe dovuto causare le dimissioni del presidente del Consiglio siciliano. Le informazioni riguardavano la vicenda dell’onorificenza concessa, in cambio di denaro, al faccendiere Cornelius Hertz da Crispi e dallo stesso Umberto I. L’impressione nella pubblica opinione fu enorme: Crispi ne uscì danneggiato, ma non fino al punto da dover abbandonare il governo, mentre su Rattazzi caddero le accuse infamanti di aver rivelato informazioni riservate violando i segreti d’ufficio di Casa reale. Affidò la sua difesa a una lettera al Corriere della sera in cui sosteneva, formalmente a ragione, che le informazioni erano il frutto di dichiarazioni già rese precedentemente da Antonio Starabba di Rudinì alla commissione parlamentare di inchiesta sulle banche (la cosiddetta Commissione dei sette). Ma a nulla valse la sua smentita: Umberto stesso, che pure aveva continuato a riceverlo quotidianamente, interruppe bruscamente ogni frequentazione con il suo antico funzionario. Solo più tardi, in occasione della soluzione della crisi del governo Pelloux, alla quale contribuì in gran misura, Rattazzi tornò a rapporti più distesi con il sovrano. Gli anni successivi allo scontro con Crispi lo videro collaborare alla costruzione dell’alternativa giolittiana ai governi conservatori tessendo stretti rapporti con gli ambienti moderati e cattolici. A ripagarlo giunsero la nomina a tesoriere generale dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (1908), che sancì la definitiva riconciliazione con la corte, e contemporaneamente, l’incarico di vicepresidente di quel Senato di cui era stato membro autorevole nella commissione Finanze.

Nel 1902 era stato consigliere, vicepresidente e poi, dal 1907 al 1911, presidente del Consiglio provinciale di Alessandria che aveva rappresentato anche nel Consorzio del porto di Genova (1904-09).

Morì a Roma il 4 agosto 1911.

Scritti. Repliche ed osservazioni sulle lettere dell’avv. B. Operti sulla crisi della Banca italogermanica, Firenze 1874: si tratta della risposta alla Lettera aperta sulla crisi della Banca italogermanica, Firenze 1874, alla quale l’autore, Benedetto Operti, controreplicò con Parodia dell’opuscolo dell’avv. U. R. sulla crisi della Banca italogermanica, Roma 1874.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Carte Crispi; Ministero della Real Casa - Serie speciale; Museo centrale del Risorgimento, Carte Crispi; Carte Rattazzi; Lettera di U. R., in Corriere della sera, 26 giugno 1895; Epistolario di U. R., 1846-1861, a cura di R. Roccia, I-II, Roma 2009-2013.

T. Sarti, Il Parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto. Profili e cenni biografici di tutti i senatori e deputati viventi, Roma 1898, ad vocem; E. Giampietro, Ricordi e riforme, Casalbordino 1903, passim; N. Quilici, Banca Romana, Milano 1935, ad ind.; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961-1962, ad ind.; P. Paulucci, Alla corte di re Umberto. Diario segreto, a cura di G. Calcagno, Milano 1986, ad ind.; F.D. Marengo, Lo scandalo della decorazione Hertz, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXIV (1987), 4, pp. 489-509; R. Antonelli, U. R. e la corte sabauda nella crisi di fine secolo, in Cheiron, XVIII (2001), 35-36, pp. 1-34; S. Palermo, La Banca Tiberina. Finanza ed edilizia tra Roma, Napoli e Torino 1869-1895, Napoli 2006, ad ind.; C. Duggan, Creare la nazione. Vita di Francesco Crispi, Roma-Bari 2008, ad ind.; C.M. Fiorentino, La corte dei Savoia (1849-1900), Bologna 2008, ad ind.; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/R_ l2?OpenPage (8 giugno 2016).

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