URBANISTICA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

URBANISTICA (XXXIV, p. 768)

Luigi Piccinato

L'intensificazione, il rafforzamento ed il continuo allargarsi dei rapporti di interdipendenza tra tutte le sfere dell'attività conseguenti alla prima rivoluzione industriale, stanno ponendosi come necessaria base di fondo al fare urbanistico in questa metà del secolo, che vede aprire le porte alla seconda rivoluzione industriale. Si sta così rafforzando in tutta la società la coscienza di quella più vasta pianificazione, che pure era già viva in molti paesi all'inizio del secolo. L'istanza di una più completa integrazione dei rapporti di interdipendenza tra tutti i settori dell'attività umana è oggi ovunque sentita e pone senz'altro, con il problema della programmazione degli interventi, quello di una pianificazione tecnica, e con questa, quello di una pianificazione urbanistica. Si potrebbe perciò dire che l'esperienza di questo secondo quarto di secolo sta portando ad una svolta del pensiero urbanistico.

Se la sfera dell'u. si è vieppiù allargata passando dai termini della pianificazione urbana a quelli della pianificazione rurale ed infine a quelli dei piani regionali (v. piano regolatore, XXVII, p. 120; App. II, 11, p. 539), si può affermare che oggi essa si è dilatata fino a quella più generale della organizzazione di tutto il suolo, ai fini di offrire spazi adeguati a una vita più sana, più economica, più bella. Di qui la coscienza, sempre più viva, della necessità di porre alla base della pianificazione urbanistica una programmazione economica che, alla fine, investa la struttura stessa della società. L'u. dunque nelle sue varie manifestazioni: città, porti, edilizia, agricoltura, reti stradali, istituzioni, ecc., tende storicamente ad essere considerata una "espressione" - poeticamente più o meno raggiunta - della cultura di una società, né più né meno di altre manifestazioni, e a rappresentare, attraverso piani e programmi, il grado di capacità di previsione nel creare un futuro (K. Mannheim).

Il riconoscere la necessità di una premessa economica programmata alla pianificazione urbanistica ha fatto sì che generalmente si tenda a identificare quest'ultima con la pianificazione economica - e quindi sociale e politica. E in realtà, per quanto ciò possa apparire inesatto, sta di fatto che l'urbanista - in quanto uomo politico - non può non collaborare con il sociologo e con l'economista, apportando un suo contributo continuamente vivo all'azione del pianificare economico, mentre a sua volta quest'ultima azione contribuisce a porre le basi necessarie affinché l'u. aderisca alle strutture della società interpretandola continuamente. In realtà, dunque, i due fatti si integrano e si completano: né è pensabile una pianificazione economica che non si risolva in una pianificazione urbanistica.

La complessità e la vastità delle forze che agiscono pongono il problema di una sempre più vasta e profonda pianificazione economica o, addirittura, sociale: ciò comporta un riesame dei limiti della sfera dell'iniziativa dei singoli nel quadro dell'interesse collettivo generale, ossia della sfera della libertà (K. Mannheim, B. Wootton). Gli è perciò che talvolta il concetto di pianificazione, qualunque essa sia, è stato o viene erroneamente associato a quello di un atto contrario alla libertà; quasi sinonimo di dittatura. In realtà il concetto di pianificazione non pone affatto necessariamente quello di dittatura. All'opposto: può essere frutto di una politica indifferentemente dittatoriale o democratica, a seconda del tipo di società nella quale essa si svolge.

Nei suoi termini concreti, quali sono stati svolti ed accettati nell'ultimo trentennio di esperienza, l'u., onde rispondere ai bisogni della pianificazione economica, ha per fine strumentale quello di fissare un programma dell'uso del suolo, precisandone le destinazioni. Praticamente oggi l'u. opera mediante piani e programmi in varia scala - regionale, territoriale, comunale, di dettaglio, ecc. - inquadrando sempre i varî interventi proposti in una visione unitaria e organica, disponendo anzi questi ultimi secondo una successione temporale, dettata tenendo conto della correlazione tra causa ed effetto. Il corpo sul quale si esercita la pianificazione urbanistica non è infatti inerte; ad ogni intervento corrisponde consequenzialmente una certa reazione che è d'uopo prevedere e della quale anzi occorre avvalersi. Il "programma dei tempi di esecuzione" è perciò altrettanto importante quanto il programma delle opere. Giacché accade, di solito, che le reazioni conseguenti ad un'opera, pur prevista nel piano, ma che sia invece realizzata fuori del programma dei tempi, sono tali da rovesciare gli effetti previsti dal piano. Così, ad esempio, la non esecuzione immediata di una arteria stradale destinata ad indirizzare gli impulsi edilizî in zone libere - onde permettere poi in un secondo momento un intervento di risanamento conservativo in un nucleo monumentale - porta come conseguenza una pressione della speculazione edilizia proprio sul nucleo che si vorrebbe conservare, sì che quest'ultimo ne viene sconvolto e lo scopo del piano frustrato.

Sotto questo aspetto l'u. oggi si propone di configurare la vita di un complesso - regione, territorio, città, ecc. - in un organismo vivo, proporzionato secondo una dimensione adatta: ossia di comporre un organismo adatto ad una nuova dimensione. Questo della dimensione è uno dei punti fermi acquisiti oggi dall'u. attraverso una più moderna storicizzazione. Sino al primo quarto del secolo infatti la città veniva assunta storicamente come una "forma" ed il piano quale "disegno" della città, quasi indipendentemente dal loro contenuto e dalla loro dimensione. Il medesimo schema geometrico delle antiche città - radiocentrico, stellare, a scacchiera, esagonale, ecc. - era obbligato a servire, così, di base per composizioni urbane infinitamente più vaste di quelle che gli antichi organismi - perfettamente funzionali nelle loro dimensioni - potevano comportare. Le vecchie città sono state, in tal maniera, ingrandite a dismisura mantenendo intatto l'organismo di un tempo, allargando le antiche strade divenute insufficienti, aggiungendo espansioni periferiche anulari, trasformando del tutto l'antica edilizia: operazioni tutte senza fine, che hanno portato alla crisi urbana attuale, con la conseguente distruzione di importanti valori storici ed economici.

A questa visione inorganica, formalistica e chiusa della città, tipica del recente passato, l'u. attuale contrappone decisamente una concezione che si propone di strutturare città, territorio economico e regione in organismi proporzionati nelle proprie dimensioni: a determinate dimensioni debbono corrispondere adatti organismi. Ne consegue che il metodo, tipico dell'u. dell'inizio del secolo, di procedere all'ingrandimento delle vecchie città per successive addizioni periferiche mantenendo fermo l'antico organismo, appare oggi assurdo e pericoloso. Esso ha portato - e tuttora purtroppo porta - a una involuzione della città, con conseguente successiva distruzione e rinnovamento dell'antica edilizia, moltiplicando nel vecchio corpo le sezioni stradali, senza con questo risolvere il problema di fondo: la città insomma rinnova, in tal caso, l'edilizia, ma il suo organismo rimane quello vecchio, completamente inadatto alle nuove dimensioni.

Accanto a quella dei concetti di "dimensione" e "organismo" l'altra recente acquisizione del pensiero urbanistico è il concetto di "piano aperto" in contrapposto a quello di "piano chiuso". Eredità della concezione barocca (L. Mumford) è infatti il disegno di città conchiuso in una forma preordinata, contrapposta alla non città, ossia alla campagna: connessa a questa concezione formale è la vieta formula del "limite del piano regolatore" che ha informato di sé l'u. dello scorso secolo. L'organismo urbano che ne scaturiva era, per così dire, cristallizzato in una forma conchiusa, pur potendosi talvolta considerare organica nelle sue primitive dimensioni. L'u. moderna riconosce invece nella città e in tutto il territorio economico la perenne presenza di forze in continua azione ed in continuo movimento vitale, che è impossibile, anzi dannoso, imprigionare in una forma chiusa. Queste forze devono essere sorrette, guidate e dirette da una costante e continua azione del pianificatore, azione che, lungi dall'esaurirsi in un unico intervento - il piano - deve piuttosto disporsi in una costante molteplicità di interventi pianificati, tali da costituire una pianificazione continua. L'organismo deve quindi fin dall'inizio essere concepito attraverso un piano "aperto" alla possibilità di una sua trasformazione, tale dunque da poter far fronte alle successive emergenze. Piano aperto non significa affatto rinunzia al piano: ma, all'opposto, significa organismo capace di evoluzione nelle sue dimensioni pur restando sempre un piano, ossia un programma.

La soluzione di tale problema trova i suoi fondamenti tecnico-metodologici anzitutto nell'operare nel quadro più vasto del comprensorio economico nel quale si pronunciano le possibili determinanti dell'organismo: le industrie, le grandi comunicazioni stradali, ferroviarie, automobilistiche, aeree, marittime; la produzione agricola; il paesaggio; il turismo; le foreste; lo sport; i centri direzionali, commerciali, amministrativi; le istituzioni per l'educazione; le zone di residenza e quelle di lavoro debitamente connesse tra loro, ecc. In secondo luogo nel disporre di tali determinanti in modo da comporre un sistema che consenta successivi sviluppi senza che ogni settore sia, nel prosieguo delle fasi evolutive, inutilmente sovraccaricato da funzioni che non gli competono o dalla pressione degli imprevisti ingrandimenti; mentre si affidano invece a determinate infrastrutture - grandi arterie di comunicazione, mezzi di trasporto collettivo, centri direzionali, ecc. - i compiti del disimpegno, quasi sistemi arteriosi dell'organismo. La "megalopoli" ottocentesca, monocentrica e chiusa, tende così ad essere risolta in un organismo aperto e pluricentrico, più agile e più economico, in continuo divenire.

Quali esempî tipici di piano chiuso si possono citare Parigi e Milano. Quest'ultima città è passata nel corso di un secolo da trecentomila a quasi due milioni di abitanti senza mutare di una linea il primitivo organismo radiocentrico chiuso, che poteva rispondere solo all'antica dimensione di 80-100 mila abitanti. Il recente piano dell'ultimo dopoguerra si propone di limitare i futuri sviluppi urbani, proiettandoli invece nella regione economica - piano della regione lombarda - e di risolvere la dinamica della attuale massa urbana, radiocentrica e monocentrica, mediante un sistema di strade veloci cittadine o assi attrezzati, disposti in modo, per lo meno, da duplicare il centro direzionale oggi ancora polarizzato nel cuore storico dell'antica città: operazione ormai resa difficile dal ritardo con il quale è stata concepita e messa in atto, ritardo che ha inesorabilmente portato alla distruzione dell'antico centro storico monumentale. A Parigi, che è arrivata a circa 8 milioni di abitanti con l'identico organismo chiuso di un secolo fa, si propone ora la duplicazione del centro direzionale verso ovest e la creazione in tale quadrante di un nuovo sistema cittadino. Anche il problema di Roma è stato visto recentemente attraverso un nuovo organismo aperto nel quadro della regione economica, sorretto da un sistema di assi attrezzati, destinati ad impedire la concentrazione monocentrica e l'espansione "a macchia d'olio" per risolvere invece la città in un sistema quasi lineare, pluricentrico a decentramento, allontanando dall'antico nucleo storico monumentale la pressione edilizia (proposta del CET). Esempî di organismi aperti e articolati sono i piani di Stoccolma, di Helsinki e di Londra.

È chiaro che una così completa strumentazione di programma urbanistico, proiettata nello spazio e nel tempo, impone la necessità di provvedere alla destinazione dell'uso del suolo, disposta a seconda dell'utile collettivo, fissando per il suolo non solo l'utilizzazione - rurale, industriale, edilizia, residenziale, ecc. - ma anche i tempi di questa. L'u. procede quindi attraverso scelte; senza di queste non è possibile alcun piano e da esse comincia l'opera ed in esse si conclude ogni intervento. Tali scelte, è evidente, limitano la sfera dell'iniziativa dei singoli e dei gruppi: di qui la necessità delle speciali legislazioni urbanistiche tendenti a regolare i rapporti tra la proprietà privata e l'interesse collettivo rappresentato dal piano, rapporti tanto più difficili quanto più l'economia del paese è strutturata nei termini del liberismo. Mentre infatti nei paesi ad economia socialista il problema, almeno in linea di principio, non ha ragione di porsi, nei paesi ad economia liberistica esso viene oggi prospettato come il tema di fondo, senza la soluzione del quale non è possibile operare le scelte di cui sopra, che sono la base di ogni pianificazione.

Legislazioni urbanistiche. - Le legislazioni urbanistiche di tutti i paesi del mondo si sono, in generale, profondamente rinnovate negli ultimi quindici anni sotto tre aspetti importanti: a) nel senso di disciplinare la pianificazione urbanistica (piani regionali e territoriali, piani comunali, piani di dettaglio) rapportandone il controllo a speciali organi tecnico-amministrativi statali onde assicurare l'unità indispensabile nei programmi (Ministero dell'urbanistica o Ministero della pianificazione, Ministero dello sviluppo economico, ecc.), lasciando invece alle amministrazioni o agli Enti locali l'iniziativa della pianificazione locale; b) nel senso di limitare al massimo possibile la speculazione sulle aree rendendo, in qualche modo, indifferente il proprietario alla destinazione d'uso del terreno e trasformando lo speculatore sulle aree in operatore edilizio, attribuendo insomma alla proprietà una funzione sociale subordinata all'interesse collettivo; c) nel senso di attribuire all'amministrazione civica importanti proprietà fondiarie (demanî comunali) sufficienti ad attuarvi tutti i termini pratici della pianificazione (industrie, quartieri, attrezzature collettive, ecc.).

Belgio. - La legislazione vigente (2 dicembre 1946 e successive disposizioni) prevede piani di ordinamento territoriali e regionali (di compilazione ministeriale con la collaborazione dei rappresentanti dei comuni) e piani di ordinamento comunale. I piani diventano operanti, non dopo l'approvazione, ma dal giorno stesso della loro pubblicazione. La materia urbanistica è amministrata da un Consiglio superiore dell'urbanistica (31 maggio 1948 e 31 maggio 1952). La legge urbanistica tende a mettere in grado gli organismi amministrativi pubblici, sia nelle città sia nei paesi, di impedire la completa libertà di azione dei proprietarî, per es., per realizzare abitazioni malsane o demolire un gruppo di alberi che fa parte di un paesaggio. L'iniziativa del piano spetta ai comuni; all'amministrazione centrale spetta l'approvazione dei piani, la compilazione dei piani regionali, l'aiuto finanziario ai comuni. Con la nuova legge l'autorità pubblica può prendere possesso della proprietà privata in circa 3 mesi dall'inizio dei procedimenti. Hanno diritto di procedere all'espropriazione le autorità locali e gli enti quasi-pubblici che si occupano per es. della costruzione di case. Il compenso deve indennizzare i danni diretti e quelli indiretti. Ma la cifra non viene fissata prima dell'esproprio, ma dopo. In un primo momento viene versata solo una cifra provvisoria: la cifra definitiva viene decisa da tribunali regolari, indipendenti dall'amministrazione. Tra le limitazioni d'uso che non danno diritto ad alcun indennizzo, la legge belga prevede anche la più grave: quella che impedisce del tutto di costruire onde mantenere al terreno, in base ai piani regolatori, il solo uso agricolo, bloccando così lo stato esistente del terreno.

Danimarca. - Il notevolissimo livello di coscienza urbanistica generale del paese ha permesso di alleggerire e semplificare la legislazione. L'azione centrale sorregge grandemente la pianificazione pur mantenendo strutture per una pianificazione nazionale. La legge urbanistica 30 aprile 1949 contempla piani regionali, piani di sviluppo urbano e rurale, regolamenti edilizî. I piani di sviluppo sono demandati a comitati locali e a comitati parlamentari e, attraverso l'ufficio per la pianificazione, vengono presentati e approvati dal parlamento. La legge sulla pianificazione urbanistica conferisce la facoltà dell'esproprio per pubblica utilità "per realizzare provvedimenti di piano", ma ciò non significa affatto che si possano espropriare aree per edilizia. Non vi è una legge speciale per l'espropriazione e per la determinazione dell'indennità. L'alto grado di cultura urbanistica rende rapido il provvedimento di espropriazione. Esiste una tassa sul plusvalore.

Francia. - Con il nuovo "Codice dell'urbanistica e dell'abitazione" del 1954 la Francia ha decisamente affrontato la raccolta e la riunione in un unico corpus unitario, di esemplare stesura, di tutte le precedenti norme legislative. In esso tutta la materia è concepita e disposta con una chiara visione dal generale al particolare.

All'apposito Ministero spetta l'intera amministrazione: a) di tutte le questioni urbanistiche e b) di tutto quanto concerne l'edilizia (abitazione, lotta contro i tugurî, ecc.). Al Ministero spettano i progetti, i programmi, le norme generali, l'approvazione e il controllo attraverso un comitato consultivo (comitato nazionale di u.) chiamato a dare pareri su questioni di urbanistica di interesse nazionale, regionale e comunale.

Oltre che attraverso i piani regionali (ordinamenti intercomunali), e i piani comunali (tutti a spese dello stato) l'azione urbanistica si svolge, attraverso importanti istituti giuridici, nel regolare le lottizzazioni, le rilottizzazioni, le rifusioni particellari (remembrements) e nel facilitare il finanziamento dei piani, tra l'altro, con l'acquisizione di ampî terreni necessarî all'attività edilizia ed industriale.

La nuova legge fondiaria (loi foncière) autorizza l'esproprio anche per scopi edilizî (cause de construction) da parte di enti pubblici e quasi-pubblici. Il finanziamento degli esproprî per formare tali demanî, è assicurato dal Fond national d'aménagement (8 agosto 1950). Caratteristica della legge è che l'indennizzo per l'esproprio viene dato come giusto compenso, ma senza tener conto di una forma paragonabile. Altra forma di limitazione d'uso importante in Francia è il remembrement (sul tipo della lex Adickes) che diventa obbligatorio per tutti i proprietarî con una semplice maggioranza e che dà diritto anche, alla cooperativa che ne risulta, di espropriare terreni per raggiungere lo scopo prefisso.

Gran Bretagna. - La Gran Bretagna ha affrontato fin dalla fine della guerra il problema di creare un corpo di leggi urbanistiche tali, non tanto da servire alla normativa del fatto tecnico vero e proprio, quanto da interpretare l'azione urbanistica come mezzo per pianificare la terra, assicurarne il migliore uso, renderla disponibile al prezzo più economico e con la maggiore facilità possibile. L'evoluzione del concetto di u. verso la modernissima forma di tecnica della creazione degli spazî per la vita sociale in concomitanza con l'aspetto economico, appare evidentissima: si può dire che la parola città scompare quasi del tutto negli ultimi dispositivi.

L'ultimo ordinamento è stato preceduto da importanti studî e proposte, dal 1937 al 1946, di apposite commissioni le quali hanno concluso i loro studî in varî rapporti che sono di fondamentale importanza: rapporto Barlow (distribuzione della popolazione industriale); rapporto Scott (utilizzazione della terra); rapporto Uthwatt (indennità di esproprio e contributi di miglioria); rapporto Lord Reith (creazione di nuove città); rapporti Dower e Hobhouse (studio e definizione dei parchi nazionali).

Attraverso le varie leggi, e segnatamente attraverso quella del I947, l'amministrazione centrale dell'u. è costituita dal Ministero della pianificazione urbana e territoriale e da un ufficio o consiglio centrale fondiario (Central land board) il quale ultimo ha il compito fondamentale di assecondare e sorreggere le direttive di carattere generale del Ministero. La pianificazione locale è devoluta ai consigli di contea o di borgo di contea: vera pianificazione territoriale che trascende l'ambito delle autorità municipali che vengono soltanto consultate. Attraverso tale organizzazione le funzioni nazionali della pianificazione vengono accentuate. La legge non definisce i varî tipi di piani, i quali, devoluti all'autorità locale, possono quindi assumere varî aspetti (regionale, territoriale, urbano, ecc.). Lo sviluppo (realizzazione del piano: strade, esproprî, miniere, ecc.) ossia l'uso del terreno, è controllato dal Ministero.

L'espropriazione della terra (legge del 1946) può avvenire sia a) per le aree necessarie allo sviluppo del piano; sia b) per garantire il suo uso nella maniera proposta dal piano. Il maggior valore acquistato dall'area per effetto del piano viene incamerato dall'ufficio centrale fondiario e il suo ammontare è determinato come differenza tra il valore che il terreno assumerebbe ad opera eseguita o ad uso istituito, conformemente al permesso di pianificazione, ed il valore del fondo - nell'ipotesi che tale permesso fosse negato.

Una apposita legge (New towns act, 1946) "provvede alla creazione di nuove città per mezzo di enti di sviluppo e alle questioni relative" nel quadro della pianificazione nazionale. Attraverso i suoi dispositivi è in atto, tra l'altro, la creazione dell'importante gruppo di new towns autosufficienti, impostate nell'intento di risolvere il problema urbanistico di Londra nel più vasto quadro della regione economica, evitando così il fenomeno della imponente concentrazione che oggi affligge Parigi e tante altre metropoli (Milano, Torino, New York, Los Angeles, ecc.).

La responsabilità dello studio e della costruzione delle nuove città (su terreni a ciò destinati dallo stato a tali fini) incombe alle Development Corporations, che sono degli Enti specialmente designati dal Ministero dell'abitazione per ogni nuova città in base alla legge del 1946 sulle nuove città. Le Development Corporations, in base alla legge del 1946, sono degli organismi corporativi composti di un direttore generale, di un direttore amministrativo e di 7 membri. L'ubicazione delle nuove città è decisa dal ministro (in base ad uno schema nazionale). Sono compiti della Development Corporation assicurare il tracciamento e la costruzione della nuova città in accordo con le proposte approvate in base alle norme della legge: a questo fine ogni Ente ha il potere di acquistare, tenere e amministrare terreni e ogni altra proprietà, e di disporne come riterrà più opportuno, di realizzare costruzioni e altre opere, di provvedere acqua, gas, elettricità fognature, e altri servizî, ecc.

Il ministro può annullare gli effetti di un piano regolatore già esistente sull'area, o parte di esso, designata per una nuova città, limitatamente a quell'area. Con il consenso del ministro, l'Ente di sviluppo può acquistare, con accordi o per mezzo di ordini di espropriazione, sia i terreni che si trovano entro l'area designata per accogliere una nuova città, sia terreni adiacenti a tale area, che l'Ente stima necessarî per lo sviluppo della nuova città, sia infine ogni terreno, adiacente o no, che l'Ente richieda per l'approvvigionamento dei servizî necessarî. L'Ente di sviluppo può disporre con vendita, permuta o affitto della terra acquistata, cedendola a persone, nei modi e con i patti e condizioni che lo stesso Ente stima più opportuni per assicurare lo sviluppo della nuova città. Solo con il consenso del ministro, ed in casi eccezionali, l'Ente può trasferire il libero allodio su una terra, o può concedere l'affitto per un periodo maggiore di 99 anni.

L'Ente di sviluppo è da considerarsi, a tutti gli effetti, una associazione edilizia, nel significato della legge del 1936 sulle abitazioni, e di conseguenza ha diritto a tutte le facilitazioni che una autorità locale è in grado di assicurarsi in base a quella legge. Sono in particolare validi a vantaggio degli Enti di sviluppo i contributi che la legge del 1936 e quella del 1946 prevedono per ogni alloggio, fornito da una pubblica autorità o no. Per rendere l'Ente di sviluppo capace di coprire le spese, il ministro può fare delle cessioni con somme provvedute dal Parlamento. Per ottenere gli anticipi l'Ente deve dimostrare che le proposte di trasformazione sono capaci di assicurare un profitto ragionevole, comparativamente al costo delle opere.

Quando gli scopi, per i quali un Ente di sviluppo è stato stabilito, sono stati raggiunti ed il ministro è convinto che non è più opportuno sul piano finanziario differire la liquidazione dell'impresa, il ministro provvede per la liquidazione e lo scioglimento dell'Ente. Dato l'ordine, il ministro può, con il consenso del Tesoro, provvedere al trasferimento dell'impresa o di una parte di essa ad un'autorità locale, e per quella parte che è propria ad un'impresa di pubblica utilità, ad un tale Ente. Per il trasferimento può essere richiesto il pagamento di somme da parte di coloro ai quali è stata trasferita l'impresa. Ogni attivo derivante dalla dissoluzione di un Ente di sviluppo sarà versato nel Tesoro: ogni deficit sarà pagato con i fondi forniti dal Parlamento.

In Inghilterra dunque è lo stato che si assume il finanziamento della creazione delle nuove città, in un quadro di pianificazione economica e urbanistica. Quando la città è costruita ed in grado di funzionare essa passa sotto i poteri dell'autorità locale della contea (municipio, comune) che, eletta democraticamente, provvederà ad amministrarla. Il suolo urbano, ivi compreso quello che sopporta le abitazioni, resta di proprietà comune: le case, almeno fino ad oggi, sono solamente date in affitto ed è da presumere che resteranno in tale regime. Anche le zone industriali vengono date in affitto.

Si deve concludere che l'Inghilterra è l'unico paese che ha saputo affrontare fin dalla radice i problemi della pianificazione, accentuando al massimo la funzione esclusivamente sociale della proprietà privata, la cui iniziativa può essere risolta solo nell'ambito dell'interesse collettivo.

Olanda. - L'u., specie negli ultimi decennî, ha rappresentato in Olanda una base essenziale per gli sviluppi economici del paese. Il notevole aumento della popolazione, specialmente dopo la seconda guerra mondiale, contribuendo a limitare lo spazio fisico (351 ab/km2), ha portato a una più profonda e vasta pianificazione. La quale si svolge addirittura su scala nazionale attraverso la pianificazione comunale. Anche le province e i comuni hanno proprî servizî di pianificazione. Vi è quindi una grande autonomia negli organi: il piano comunale viene approvato solo dalla Giunta provinciale e giunge alla Corona solo in caso di appello. Le leggi più importanti sono quelle del 1945 (Ricostruzione del territorio del regno in Europa) e quella del 1950 (Piano nazionale e piani regionali). Lo Stato ha un servizio nazionale di pianificazione dipendente dal Ministero della ricostruzione e dell'edilizia. I terreni edilizî compongono grandi demanî ottenuti per acquisto. Il terreno viene esclusivamente concesso in affitto. L'espropriazione per la creazione di grandi quartieri, quindi, si può dire, non esiste appunto per la presenza dei comprensorî demaniali. Nessun indennizzo è concesso per limitazione d'uso: esiste invece il pieno compenso per esproprio. Le vendite e le locazioni sono sottoposte a rigido controllo dei prezzi.

Repubblica Federale di Germania. - La struttura amministrativa che ha sempre conservato una notevole autonomia agli stati che compongono la federazione non ha permesso di giungere ad un'unica legge urbanistica su piano nazionale. Al contrario: essa ha portato a singole particolari leggi nei varî stati. Importanti fra queste quelle della Prussia, della Sassonia e la legge Adickes che, emanata a suo tempo per la sola città di Francoforte sul Meno (1902), ha avuto molteplici applicazioni nei suoi principî. Il recente riconoscimento delle regioni e dei territorî ha portato ad una rivalorizzazione delle norme regionali precedenti e alla emissione di una nuova serie di disposizioni regionali. Otto dei territorî (Länder) della Federazione hanno rinnovato nel dopoguerra le loro legislazioni in materia urbanistica. Una recente legge nazionale sull'espropriazione dei terreni fabbricativi porta una decisa parola nell'affrontare il tema dell'acquisizione dei terreni necessarî agli sviluppi edilizî e alle abitazioni in particolare. La legge, tra l'altro, ammette anche l'espropriazione quando l'uso del suolo non è conforme all'uso indicato dal piano o anche quando, per speculazione, il proprietario non dà corso a tale uso.

Svezia. - La legge urbanistica 1° gennaio 1948 e la successiva legge 1949 sulla espropriazione, unitamente all'altissimo livello della coscienza urbanistica, pongono questo paese in grado di affrontare il problema della pianificazione. L'autorità locale è stata posta in condizione di disporre di demanî di terreni tanto vasti da poter far fronte agli sviluppi edilizî e alle destinazioni di uso. Nei rapporti tra la proprietà e l'uso del suolo si sono seguiti attentamente i criterî e le conclusioni esposte nel rapporto inglese Uthwatt (v. sopra): e si è recentemente proposta una legge per l'acquisto, da parte dell'Amministrazione pubblica, dei diritti dell'uso del suolo. Comunque, anche in Svezia come già in Inghilterra, Danimarca, Norvegia, Finlandia ed altri paesi, il suolo demaniale soggetto all'urbanizzazione non viene mai venduto ma ceduto in affitto (enfiteusi con termini mai inferiori a 50 anni e non superiori a 75).

Stati Uniti d'America. - È strano che una nazione di così recente formazione e che avrebbe dovuto far tesoro delle più vecchie esperienze europee, giunga invece ultima; e solo oggi, dopo e attraverso le sue recenti e gravi crisi economiche, stia ponendosi il problema vero: quello della pianificazione. La ragione di ciò è da ricercarsi principalmente nella vastità immensa del territorio e nella ricchezza delle sue risorse che consentivano una libera iniziativa su scala vastissima (Ch. M. Haar e Lloyd Rodwin). In questa vastissima attività di liberismo economico gli S. U. A., che nel 1790 non possedevano alcuna città di 50.000 ab., sono giunti ad avere oggi una popolazione complessiva di 150.000.000 di abitanti e la loro economia eminentemente agricola è stata trasformata in un sistema industriale e commerciale capace di rifornire il mondo intero. Oggi il sistema di distribuzione del suolo costituisce la base su cui sono state create 232 città con popolazione superiore ai 500.000 ab. e 5 città di oltre un milione di ab. Si può dire che più della metà della popolazione complessiva degli S. U. A. vive oggi in 168 zone metropolitane.

Sennonché, questo sistema liberistico di distribuzione, di possesso e di commercio del suolo ha mostrato sempre le sue imperfezioni: e le varie politiche frammentarie di controllo, che via via sono emerse, rappresentano appunto il riconoscimento dell'inadeguatezza del sistema stesso nell'intento di correggerne i difetti. I quali, dal punto di vista della pianificazione, possono essere riassunti nella notevole difficoltà del mutare la destinazione del suolo. I sistemi di distribuzione materiale delle terre, una volta stabiliti, sono relativamente poco elastici. "La società è caratterizzata da una notevole mobilità della popolazione, da cambiamenti di natura tecnologica e da un rapido sviluppo, ma i sistemi di distribuzione materiale delle terre, una volta stabiliti, sono relativamente poco elastici. Le modifiche intese a rimuovere i fabbisogni di carattere sociale e materiale sono difficili, costose e talvolta impossibili" (Ch. M. Haar e L. Rodwin).

Il potere di emanare norme relative all'uso del terreno di proprietà privata è riservato ai singoli stati della federazione, i quali hanno delegato, per la maggior parte, questo potere ai loro comuni. Il governo nazionale non si è interessato del regolamento dell'uso del suolo urbano fino all'avvento del New Deal, cioè dopo che le varie crisi economiche ebbero dimostrato la necessità di interventi di pianificazione su più vasta scala, regionale e nazionale. Solo oggi è stato creato il Comitato statale di pianificazione (State planning and conservation board) con l'incarico di dividere lo stato stesso in varî distretti per la pianificazione nazionale. Ogni commissione distrettuale è, a sua volta, incaricata di preparare e sottoporre all'approvazione delle commissioni provinciali e cittadine di pianificazione delle rispettive regioni i piani relativi al benessere regionale e statale, che saranno poi incorporati nei singoli piani regolatori locali. Questo ritardo nell'organizzazione della pianificazione spiega come, fino ad oggi, le moltissime iniziative di creazione di nuove città appartengano piuttosto alla sfera della pianificazione locale attraverso speciali e specifici comitati, verso i quali rispondono i varî urbanisti e architetti. In conclusione, si può dire che le nuove creazioni urbane negli S. U. A. non rispondono ad una vera e propria vasta pianificazione regionale: sono dovute ad iniziative d'interessi locali e sono caratterizzate da una grande mobilità d'intenti e d'impulsi successivi, che sfuggono alle previsioni iniziali.

Israele. - Il fatto che il Fondo Nazionale Ebraico (FNE) possedesse la maggior parte del territorio agricolo permise, con la creazione dello stato, la creazione di un vasto piano nazionale (Dipartimento della pianificazione) il quale dispone l'impiego delle aree in accordo con le caratteristiche geografico-economiche del paese. Il piano è basato fra l'altro sulla capacità di assorbimento dell'agricoltura la quale, a completamento dello schema nazionale d'irrigazione, comprendeva 85.000 unità coloniche irrigate e 50.000 unità coloniche non irrigate e montane. Secondo questo progetto la popolazione rurale ammonterà a circa 800.000 persone, 600.000 delle quali direttamente impegnate nell'agricoltura e 200.000 residenti nei centri rurali ed impegnate nei servizî agricoli. Lo sviluppo industriale del paese deriverà dalle industrie fondamentali da sviluppare nelle vicinanze delle risorse minerarie, che si trovano principalmente nel Negev, dalle industrie pesanti riunite nelle città portuali e nella regione costiera e infine dalle varie industrie leggere efficacemente sistemate nelle città regionali di media grandezza, dove il fattore del trasporto è relativamente poco importante. Queste industrie, insieme con l'agricoltura, costituiranno la base dell'economia dello stato, quando il paese raggiungerà una popolazione complessiva di 2.800.000 ab. Di questi circa il 28% risiederà nelle zone rurali, il 36% nelle grandi città e circa il 36% nelle nuove città di media grandezza con una popolazione variante fra i 30.000 ed i 60.000 ab. Fu più facile operare per il FNE nelle campagne per lo sviluppo dell'agricoltura e per creare nuove città, che nelle città esistenti, dove non aveva terreni. Il terreno viene oggi affittato per 49 anni con facoltà di rinnovo per altri 49. Presso le città esistenti il FNE forma un demanio con l'acquisto dei terreni edilizî, con la collaborazione della Compagnia per l'alloggio dei lavoratori (Shilkum). Per determinare la politica terriera venne creata, con una legge approvata al Knesset nel luglio 1950, un'autorità per la pianificazione territoriale. A disposizione di essa venne messa la terra appartenente al governo, al Custode della proprietà abbandonata ed al Custode della proprietà germanica, ed essa venne autorizzata a trasferire, affittare, vendere o comunque sviluppare le zone assegnatele. Le vendite sono permesse solo nei confronti di istituti statali o del Fondo nazionale ebraico: negli altri casi la terra viene ceduta solamente in uso temporaneo per 45 anni, termine che al massimo può essere raddoppiato. Una recente legge (1961) ha provveduto a riunire sotto un'unica amministrazione dei suoli statali tutti i terreni provenienti da varî enti: Fondo ebraico, Fondo germanico, ecc., garantendo così la necessaria unità all'azione urbanistica.

Italia. - Solo nel 1942 l'Italia ha avuto una legge urbanistica: fino allora la materia era disciplinata molto embrionalmente dalla legge sull'espropriazione per pubblica utilità (1865), la quale permetteva solo d'inquadrare il problema dei piani parziali di dettaglio (piani particolareggiati) da redigersi da parte dei comuni, legati ad un piano finanziario necessariamente molto ridotto nel tempo (10 anni) e nello spazio (solo l'abitato propriamente detto). Non poteva quindi essere enunciato alcun programma di sviluppo a più lunga scadenza proiettato nel territorio comunale e, tanto meno, alcun programma regionale. Per risolvere il problema di alcune città, i piani di queste (Roma, Napoli, Torino, ecc.) venivano appoggiati a leggi speciali. Dalla limitatezza di queste legislazioni assolutamente inefficienti è derivata la confusione edilizia caotica degli sviluppi urbani non guidati, che ha caratterizzato il primo secolo dell'unità politica italiana e che tuttora rende difficile il problema degli organici sviluppi delle città e quello della conservazione delle bellezze panoramiche e dei centri storici.

La legge urbanistica del 17 agosto 1942 (n. 1150) rappresenta un tardivo ma importante passo, giacché essa sancisce alcuni principî fondamentali: a) Il piano regolatore generale deve essere esteso all'intero territorio comunale; b) il piano generale non ha alcun limite di durata di validità nel tempo; c) il piano generale viene realizzato attraverso piani particolareggiati di esecuzione; d) il piano è basato sulla zonizzazione che esprime un programma di uso del suolo; e) avverso il piano generale sono ammesse osservazioni fondate solo sull'interesse generale collettivo; f) non è ammessa alcuna indennità per le limitazioni imposte dai vincoli di zona; g) la valutazione del compenso per l'esproprio va rapportata al valore che il terreno possedeva prima dell'adozione del piano; h) sono previsti consorzî obbligatorî per comparti edificatorî, rilottizzazioni ed espropriazioni per la creazione di quartieri; i) sono previsti piani territoriali a cura del ministero dei Lavori pubblici, e piani intercomunali a cura dei comuni, quali somma di piani generali comunali. L'amministrazione dell'urbanistica è devoluta al ministero dei LL. PP. - con decreto di approvazione del Capo dello stato. I piani generali sono di spettanza dell'autorità locale (comuni); quelli territoriali di spettanza ministeriale.

La legge del 1942 non è stata seguita dal regolamento: nata troppo tardi, in piena guerra, priva di dispositivi per il finanziamento dei piani, essa non è stata in grado di disciplinare i nuovi impetuosi problemi scaturiti nel dopoguerra, affrontati invece negli altri paesi con più moderni criterî giuridici. All'opposto, anzi, l'istituzione nel dopoguerra dei Piani di ricostruzione (d. l. 1945), ridotti nello spazio ai soli settori urbani disastrati e nel tempo alla validità di due anni e concepiti quali piani particolareggiati, ha impedito di affrontare il problema urbanistico con la necessaria vastità e unità. Il d. l. sui piani di ricostruzione (ministro M. Ruini) ha rappresentato un grave passo indietro rispetto alla legge del 1942, la quale invece avrebbe dovuto trovare immediata applicazione. La legge attualmente appare come uno strumento valido sì in alcuni principî, ma del tutto inadeguato nella struttura: nessuna connessione tra pianificazione economica e pianificazione urbanistica; ristretta l'autorità urbanistica al solo campo del dicastero dei LL. PP., chiamato invece a dare normative nella sfera di altri ministeri; del tutto inefficienti le norme riguardanti i consorzî, le ricomposizioni particellari e quelle che dovrebbere permettere la formazione dei demanî; la protezione del paesaggio affidata al ministero della Pubblica Istruzione attraverso altri tipi di piani (i piani paesistici - legge del 1939 - che possono operare soltanto negativamente attraverso vincoli); incerto il significato dei piani intercomunali e quello dei piani territoriali, nessuno dei quali, del resto, è mai stato approvato.

Questa inefficienza legislativa, unita alla presenza d'infinite altre leggi (per l'edilizia popolare, per la bonifica, per la tassazione sulle aree edificabili, per il Mezzogiorno d'Italia, ecc.), ha portato ad una infinità di piani settoriali (strade, bonifiche, industrie, case popolari, ferrovie, ecc.) tutti distaccati l'uno dall'altro e spessissimo in reciproco contrasto: particolarmente evidente il contrasto tra la pianificazione urbanistica dei piani regolatori e quella settoriale delle strade e autostrade (ANAS) che pure entrambi dipendono dallo stesso ministero dei LL. PP.

L'Istituto nazionale di urbanistica (INU), dopo aver richiamato l'attenzione sulla necessità di adeguare la legislazione a quella di altri paesi attraverso studî e convegni, ha recentemente presentato (congresso del 1960) una proposta per una nuova legge generale urbanistica intesa a riassumere e codificare unitariamente la vasta materia, rapportando necessariamente i dispositivi alla Costituzione della Repubblica che attribuisce alle Regioni la materia urbanistica. Mantenendo fermi i principî fondamentali, in tale proposta di legge tra l'altro: a) si rapporta la pianificazione urbanistica alla pianificazione economica, espressa questa in un programma nazionale degli interventi statali; b) s'istituiscono i piani regionali rapportandoli alle amministrazioni regionali; c) s'istituiscono i piani comprensoriali con un proprio contenuto (in sostituzione di quelli intercomunali); d) con i piani generali comunali, di competenza degli enti locali, si configurano anche i piani particolareggiati di risanamento conservativo, necessarî a salvare e a restaurare gli ambienti di valore storico e monumentale; e) si assorbe nei piani territoriali e generali la materia dei piani paesistici; f) si adeguano alle necessità pratiche tutte le norme particolari per i demanî, per i consorzî, per le ricomposizioni particellari, ecc.; g) si sgravano dalle imposte gli edifici e i terreni vincolati a conservazione; h) si configurano istituti per il finanziamento dell'esecuzione dei piani generali, per l'avocazione al comune del plusvalore e per la cessione al comune, da parte dei privati, della parte delle aree (fino al 35%) necessaria ai servizî (strade, giardini, scuole, edifici pubblici, ecc.). Quest'azione dell'INU ha portato alla creazione di una commissione di studio presso il ministero dei LL. PP. per una nuova legge urbanistica, attualmente in fase di preparazione.

Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. - Nei paesi ad economia socialista la terra, in generale, appartiene allo stato: può cioè considerarsi nazionalizzata. "Non può essere quindi oggetto di esproprio, solo di ritiro di uso o di trasferimento". L'art. 5 della Costituzione sovietica dice: "La proprietà socialista nell'URSS assume la forma di proprietà dello stato oppure la forma di proprietà cooperativa e collettiva rurale". Da queste norme costituzionali conseguono le basi per un'intensa e integrale pianificazione economica e quindi urbanistica, organizzata dall'alto ed estesa fino all'attività urbanistica delle autorità locali.

Nell'URSS i piani regolatori delle più grandi città sono elaborati da uffici di studio direttamente dipendenti dai Soviet delle città: i piani regionali e quelli delle nuove città sono invece elaborati da istituti specializzati in urbanistica (Giprogor e Giprograd) o da loro filiali. I progetti delle piccole città e villaggi sono studiati dagli uffici di studio di ogni regione o distretto. L'elaborazione dei piani regionali e dei piani generali delle città viene effettuata seguendo i piani di lavoro e di realizzazione stabiliti annualmente dal Gosplan (organo di pianificazione economica) delle repubbliche federate ed è finanziata da ogni repubblica. I piani delle grandi città e quelli regionali sono approvati dal Consiglio dei ministri delle repubbliche federate, quelli delle città piccole e medie sono approvati, invece, dai comitati esecutivi dei Soviet locali.

Polonia. - La pianificazione economica è devoluta alle amministrazioni centrali e regionali e, soprattutto, a quelle che dirigono i piani di economia nazionale. Un piano urbanistico economico (che fu approvato nel 1946) per l'intero paese ha servito a preparare i principî di una pianificazione su tre gradi: nazionale, regionale e locale. La responsabilità dei piani, sia delle nuove città che di quelle esistenti, incombe ad un comitato urbanistico e d'architettura, insieme agli organismi locali dei consigli del popolo, ossia alle sezioni di architettura regionali e urbane. Gli uffici sono diretti dagli architetti posti a capo della regione (voivodstwo) o della città.

Bulgaria. - Ha un'organizzazione urbanistica più accentrata: il Consiglio dei ministri decide sull'opportunità della pianificazione e possiede un ufficio centrale di studio che ha il compito dei progetti dei piani, sia per la città che per la regioni (IGSER). La realizzazione e la sorveglianza dell'esecuzione spetta all'architetto-capo della regione o della città.

Cecoslovacchia. - I progetti dei piani, nella nuova legislazione, spettano al governo per i piani regionali e per le città indicate da apposito elenco: per le altre città l'approvazione dei piani spetta ai comitati nazionali dipartimentali.

Ungheria. - Il Consiglio dei ministri decide sulle proposte dell'Ufficio nazionale di pianificazione per la costruzione di nuove città. La stessa gerarchia vale per tutti i piani regolatori e di sistemazione delle città esistenti: le proposte delle autorità locali (consigli comunali, di distretto e di dipartimento) sono sottomesse ai ministeri competenti, i quali le passano all'Ufficio di pianificazione. Il Consiglio dei ministri decide in ultima istanza. I progetti d'urbanistica per la capitale sono elaborati da un ufficio di urbanistica di Budapest, subordinato al municipio. Gli altri piani sono invece elaborati dall'Ufficio studî di urbanistica, presso il ministero dell'Edilizia.

Romania. - Lo stato, attraverso il Consiglio dei ministri, decide della costruzione delle nuove città e in generale sui piani regolatori. Le autorità che stabiliscono l'opportunità, gli elementi della pianificazione e le tappe del lavoro, conformemente alle decisioni del Consiglio dei ministri, sono: il Comitato di stato per la pianificazione, il Dipartimento dell'architettura e dell'urbanistica e i consigli popolari delle regioni e delle città. L'elaborazione dei piani spetta all'Ufficio studî dello stato, ossia: all'istituto centrale (IGSOR) che si occupa dell'elaborazione dei progetti delle nuove città, della pianificazione delle città e delle regioni di tutto il paese, ad esclusione della capitale; all'Istituto progetti per Bucarest che si occupa solo della capitale. Spetta agli architetti-capi delle città o delle regioni il compito della sorveglianza e della realizzazione dei piani. L'approvazione dei progetti spetta al Consiglio dei ministri dopo l'approvazione dei consigli popolari.

Repubblica democratica tedesca. - Il Consiglio dei ministri decide sulla costruzione delle nuove città e sulla pianificazione di quelle esistenti (decreto 6 settembre 1956) secondo programmi di pianificazione economica. La progettazione spetta invece ai dipartimenti regionali dell'edilizia per quanto concerne i piani regionali, ai dipartimenti dei distretti e delle città per quanto concerne i piani regolatori locali.

La creazione delle nuove città e tutta l'attività urbanistica ed edilizia in generale sono, nei paesi a economia socialista, strettamente legate e connesse con la pianificazione economica. I piani regolatori regionali e quelli delle nuove e vecchie città vogliono rappresentare l'aspetto tecnico urbanistico di un programma nazionale. Anche quando la progettazione è decentrata (Polonia) essa dipende strettamente da una pianificazione che ha sede al centro e discende dall'alto in basso.

Nei paesi ad economia poggiata su antiche basi liberistiche, l'attività di pianificazione urbanistica ha avuto per base l'autorità locale (comuni, contee, città) ed è lentamente risalita ad una autorità pianificatrice più alta, quale quella regionale o statale. La creazione di nuove città, anche quando ha ricavato il suo impulso creativo dai poteri dello stato, è sfociata in un'amministrazione locale comunale, che si è assunta il compito di continuare la vita della nuova città e di amministrarla.

La pianificazione è dunque risalita dal basso all'alto, per poi ridiscendere dall'alto al basso. Ed il grande problema, nel quale sono impegnati tutti i paesi, è proprio quello della limitazione d'uso del terreno privato. Le conclusioni di questo lungo cammino sono ancora lontane, ma il punto positivo al quale oggi si è giunti (Inghilterra, Svezia, Olanda, Norvegia, ecc.) può definirsi quello che afferma che il suolo edilizio delle nuove città non deve essere venduto (ossia trasformato in proprietà privata) ma deve essere solo affittato (ceduto in uso), onde sia conservato integro il patrimonio collettivo, allo scopo di garantire la realizzazione della concezione unitaria del piano, permettere i futuri sviluppi e cambiamenti d'uso in un quadro di pianificazione economica.

Dobbiamo fare qui ancora un'osservazione circa l'aderenza del piano, ossia circa la sua capacità di esprimere la cultura e la società. In tutti gli ordinamenti - sia in quelli del mondo liberistico sia in quelli strettamente socialisti - appare chiara la grande responsabilità dell'architetto urbanista quale interprete generale della società in cui opera. Nel suo progetto egli deve tener conto in sommo grado di tutti i dati obiettivi: ma deve anche interpretarli e infine, ciò che più conta, risolverli in una sintesi che è espressione nel senso crociano della parola. La probabilità di successo del piano è strettamente legata a questi tre fattori fondamentali. In sede finale il progetto realizzato può considerarsi come un'opera d'arte, ossia come un'intuizione che scaturisce dal mondo nel quale l'urbanista opera o del quale egli è figlio. L'aderenza del piano dipende dalla sua capacità d'interpretare questo mondo e dalla sua capacità di tradurlo. Nelle grandi tappe della cultura democratica delle città-stato (Grecia, in parte Roma, ed infine negli stati cittadini comunali medievali) questo mondo della cultura era grandemente omogeneo. Il progetto era capito, vissuto e sostenuto da tutto il popolo e da questo realizzato, i termini del progresso essendo subito tradotti in cultura. Si può ben dire che la città era un'opera d'arte collettiva. Non è stato così nei grandi imperi autocratici e non è così oggi nel nostro mondo, nel quale gli elementi del progresso tecnico - in gran parte fortemente divisi nel campo delle singole specializzazioni - non sono ancora diventati patrimonio universale di cultura, per cui è ben difficile oggi parlare della città quale opera d'arte collettiva. Di qui uno stato di crisi del "pianificare" che trova i suoi termini nella dicotomia progresso-cultura e la sua soluzione nel grado di coscienza urbanistica delle società. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Pianificazione e urbanistica: L. Mumford, Technics and civilization, New York 1934; A. Olivetti, L'ordine politico delle comunità, Ivrea 1945; K. Mannheim, Libertad y planificación social, trad. sp., Città di Messico 1946; B. Wootton, Libertad con planificación, trad. sp., ivi 1946; A. Hillmann, Organizzazione e pianificazione delle comunità, trad. it., Milano 1953; L. Mumford, La cultura delle città, trad. it., ivi 1953; Deutsche Akademie für Städtebau und Landesplanung, Demokratische Stadt- und Landesplanung, Tubinga 1956; J. Galbraight, Economia e benessere, trad. it., Milano 1959.

Problemi tecnici dell'urbanistica: H. Bernoulli, La città e il suolo urbano, trad. it., Milano 1951; Ministero dei Lavori Pubblici, I piani regionali, Roma 1952; Istituto Naz. di Urbanistica, Esperienze urbanistiche in Italia, ivi 1952; id., La pianificazione regionale, ivi 1953; id., La pianificazione intercomunale, ivi 1957; id., Difesa e valorizzazione del paesaggio urbano rurale, ivi 1958; Construction et reconstruction des villes 1945-47, Atti del V Congresso dell'Union Internationale des Architects, 3 voll., Mosca 1958; L. Piccinato, Seminaire international à Rio de Janeiro, sur la création des nouvelles villes, Rapport Unesco, Parigi 1959; id., Metodologia urbanistica, in Seminario di urbanistica e tecnica della pianificazione, Napoli 1960; Economia e urbanistica, ciclo di conferenze a cura del Centro studî di pianificazione urbana e rurale, ivi 1960.

Legislazione urbanistica: V. Testa, Manuale di legislazione urbanistica, Milano 1951; E. Edallo, P.R. Tecnica e jure dei piani regolatori in Italia e all'estero, ivi 1951; E. Sisi, Le legislazioni urbanistiche di alcune nazioni europee, Firenze 1955 (con bibliografia); Proposta di legge generale urbanistica, in Atti dell'VIII congresso dell'Istituto Naz. di Urbanistica, Roma 1960; L. Piccinato, Relazione introduttiva alla proposta di legge generale urbanistica dell'INU, in Sele Arte, n. 49, Firenze 1961.

Vedi inoltre, sia per i singoli specifici problemi urbanistici (Roma, Siena, Milano, Amsterdam, Stoccolma, Helsinki, ecc.) sia per la pianificazione urbanistica, in generale, la Rivista Urbanistica, nonché: Casabella; Costruzioni; Architecture d'aujourd'hui; Urbanisme; The Architectural Review; Town Planning Review; Byggmästeren, ecc.

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