Univerbazione

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

univerbazione

Livio Gaeta

Definizione

L’univerbazione è il risultato di un processo diacronico che conduce alla «[f]usione – manifestata anche dalla grafia – di due parole originariamente autonome (palco scenico - palcoscenico, in vece - invece, ecc.)» (Serianni 1989: 750). Come si vede anche dagli esempi riportati, l’univerbazione riguarda casi molto diversi tra loro, che includono sintagmi preposizionali (come almeno o invece) e altre unità di origine sintattica (tuttavia, malaria, nontiscordardimé, ecc.). Quanto più un’unità del genere «è d’alto uso, abituale, tanto più se ne è affermata la variante grafica (e, in fondo, anche fonetica) univerbata: buonuscita è ormai scrizione più frequente di buon’uscita; la grafia separata di malessere è ormai del tutto in disuso e quella di benessere scomparsa, apposta prevale su a posta come addosso su a dosso» (Sabatini & Coletti 1997: 32).

Una parte degli ➔ avverbi e delle ➔ congiunzioni italiani risultano da univerbazioni, in quanto stadio ultimo di processi di ➔ grammaticalizzazione: tali sono purtroppo, insomma, perché, cosicché, pertanto, ormai, ecc. Si noti che nell’univerbazione diviene anche graficamente evidente l’effetto della regola di ➔ raddoppiamento sintattico: eccome, semmai, sebbene, soprattutto, sopralluogo, ecc. In generale, l’univerbazione grafica segnala spesso l’opacità dell’unità, oltre che il raggiunto stato di lessema.

Aspetti grafici

Un discorso parzialmente diverso riguarda l’univerbazione grafica di composti (➔ composizione) come capostazione o pescecane rispetto a treno merci o pesce farfalla. Infatti, i composti sono già di per sé unità di natura lessicale: l’univerbazione grafica non segnala quindi il raggiunto stato lessicale di un’unità di origine sintattica.

Piuttosto, in genere, essa segnala una maggior frequenza d’uso, oltre che a volte un maggior grado di opacità semantica, come in pescecane rispetto a pesce farfalla.

In quest’ultimo caso l’univerbazione è anche accompagnata dalla cosiddetta esternalizzazione della flessione: in pescecani il suffisso di plurale è in posizione finale rispetto a pesci farfalla, in cui la flessione è interna al composto sulla parola che funge da testa. Si noti che l’univerbazione grafica non necessariamente implica l’esternalizzazione della flessione (si pensi a composti come capimafia), ma ne è invece in genere implicata, sicché una forma come *capo stazioni rispetto a capostazioni è inaccettabile.

Fenomeni evolutivi

Si noti come ci siano casi in netta evoluzione verso l’univerbazione, anche se non ancora accettati (o addirittura sconsigliati) dalla ➔ norma linguistica, come eppoi, vabbene, ecc. Una certa variazione a questo proposito si registra anche a proposito delle ➔ preposizioni articolate, anch’esse risultato di univerbazione. La forma univerbata, se in alcuni casi è diventata canonica (della, sulla, ecc.), in altri è meno accettabile o considerata decisamente antiquata: colla, pella, ecc.

Il caso della concrezione

Connessa con l’univerbazione è la concrezione (o agglutinazione) di una parola, in genere di carattere grammaticale, con un’altra di carattere lessicale.

La concrezione di una parola originariamente autonoma è spesso parte del processo di grammaticalizzazione: ad es., il suffisso -mente, che forma numerosi avverbi come fermamente, risulta dalla grammaticalizzazione di costruzioni latine come firmā mente «con animo fermo». Mentre in italiano antico la concrezione, benché frequente, non era assoluta, in quanto risultava possibile costruire sintagmi come villana e aspramente (come del resto si fa ancora in spagnolo; Lausberg 1962: § 701), oggi il processo di concrezione (e si può aggiungere: di grammaticalizzazione) è completo, e simili usi sono diventati impossibili.

In altri casi, la concrezione riguarda forme dell’articolo, che vengono a fondersi con il nome (➔ nomi). Un tipico caso è dato da ➔ cognomi ‘parlanti’ come Bevilacqua o Battiloro, che incorporano l’articolo e il nome: l’acqua, l’oro. Altri esempi di concrezione dell’articolo sono meno trasparenti: lastrico risale al lat. mediev. astrăcum «terrazzo fatto con cocci», dal gr. óstrakon «coccio, conchiglia» con concrezione dell’articolo; lercio risale al lat. hircum «caprone» con concrezione dell’articolo; in Toscana lapino è il motociclo Piaggio del tipo Ape con concrezione dell’articolo e aggiunta del suffisso di diminutivo, ecc. Fenomeni di questo genere sono frequenti nelle forme di italiano dei semicolti o incolti: l’aradio (col suo plurale le aradio) è una tipica concrezione popolare per la radio. Altri fenomeni di concrezione riguardano preposizioni con nomi: la forma antica e popolare ninferno (cfr. Boccaccio Dec. V, 8: «fu ed è dannata alle pene del ninferno») risulta da (i)n + inferno.

Studi

Lausberg, Heinrich (1962), Romanische Sprachwissenschaft, Berlin, de Gruyter, 3 voll., vol. 3º (Formenlehre; trad. it. Linguistica romanza, Milano, Feltrinelli, 1971, 2 voll., vol. 1º, Fonetica).

Sabatini, Francesco & Coletti, Vittorio (1997), La lingua italiana. Come funziona, come si usa, come cambia, Firenze, Giunti.

Serianni, Luca (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.

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