Un pianeta in trasformazione

Frontiere della Vita (1999)

Un pianeta in trasformazione

Elgene O. Box
(Department of Geography, University of Georgia, Athens, Georgia, USA)

I cambiamenti in corso sul nostro pianeta e quelli che si verificheranno nel prossimo futuro sembrano essere caratterizzati in primo luogo da una drastica sostituzione dei valori basati sul senso della comunità e del bene comune con quelli basati sulla competizione; in secondo luogo dall'accelerazione delle modificazioni dovute a feedback che si verificano nel sistema Terra e all'interno delle comunità umane quando in un determinato ambiente le risorse diminuiscono rapidamente. Un altro elemento caratteristico è l'impercettibilità di alcuni cambiamenti, ovvero il ritardo temporale con cui si rendono evidenti gli effetti ecologici dovuti a determinate cause. Infine c'è da considerare l'assoluta imprevedibilità di molti cambiamenti. In tal modo può avvenire una distruzione massiccia e improvvisa del patrimonio naturale e della diversità. L'eventualità del cedimento improvviso avrebbe almeno il vantaggio che talune attività ecologicamente aggressive sarebbero subito bloccate, mentre una più lenta degradazione consente di fare maggiormente incetta di risorse e di operare una devastazione continua della Terra fino alla completa degradazione della vita.

Introduzione

Ia
Ib

La Terra subisce da sempre cambiamenti continui e per quanto ne sappiamo ha più di quattro miliardi di anni. Nel corso degli ultimi 200 milioni di anni ha subito un processo di deriva delle terre emerse: da un supercontinente chiamato Pangea si sono inizialmente separate due masse continentali, la Laurasia e la Gondwana, divise dal mare di Teti, per arrivare alle attuali sei masse di terra principali e ai quattro oceani. Alcuni dei più importanti eventi geologici avvenuti nel corso di questo periodo di tempo (tab. Ia e Ib) e la successione in cui essi si sono verificati hanno prodotto conseguenze di notevole portata per lo sviluppo geografico della Terra. Per esempio, se ci si trova sulle montagne della Svezia settentrionale, può essere sconcertante rendersi conto che esse fanno parte in realtà della stessa catena di montagne costituita dai Monti Appalachi nella parte orientale dell'America Settentrionale, e che queste montagne sono più antiche dell'Oceano Atlantico che attualmente le separa. Queste profonde trasformazioni degli elementi fondamentali della geografia della Terra sono state accompagnate da modificazioni del clima, e lo sviluppo biologico della Terra è stato condizionato da queste trasformazioni di tipo sia geologico che climatico. Per esempio, l'Australia è stata geograficamente isolata rispetto agli altri continenti a partire da circa 80 milioni di anni fa e tutte le nicchie bio climatiche ed ecologiche che da allora vi si sono sviluppate si sono riempite per radiazione adattativa del suo biota originario, che ha generato le attuali varietà di marsupiali, alcune particolarità zoologiche come l'omitorinco, e alberi di eucalipto, attualmente di grande valore economico, unici dal punto di vista ecologico.

l fattori di cambiamento provocati dalle radicali trasformazioni in atto nelle tecnologie elaborate dall'uomo e dai modi di sfruttamento della terra sono potenzialmente in grado di causare cambiamenti climatici globali, una considerevole distruzione della biodiversità e degli ecosistemi naturali, e una completa trasformazione del terreno e della vegetazione del pianeta (nonché delle sue risorse energetiche e del suo equilibrio idrologico). Il feedback di questi sistemi è potenzialmente in grado di accelerare i cambiamenti in corso, che peraltro avvengono già più velocemente che in qualsiasi precedente periodo della storia dell'umanità. La presenza di feedback positivi interni al sistema comporta il rischio di saturare il sistema stesso, soprattutto quando gli intervalli di tempo caratteristici di riassestamento del sistema tendono a divenire più lunghi, come nei sistemi molto complessi. Ciò che risulta particolarmente allarmante e straordinario è proprio l'estensione dei fenomeni e il ritmo frenetico delle trasformazioni.

L'effetto esponenziale di questo intenso ritmo di trasformazione è ben reso dal noto apologo (Brown, 1978) delle ninfee che ricoprono progressivamente la superficie di un lago. Se le ninfee sono in grado ogni giorno di raddoppiare la superficie coperta e di ricoprire l'intero lago in 30 giorni, il 29° giorno il lago risulta coperto 'solo' a metà.

Cambiamenti climatici

fig. 1

Nel prendere in considerazione i cambiamenti climatici è necessario operare una distinzione iniziale tra i fattori che producono cambiamenti drastici di breve durata, che possono essere considerati normali fluttuazioni del clima, e invece fattori che provocano cambiamenti relativamente permanenti nella natura del clima della Terra. Sono causa di fluttuazioni drastiche ma a breve termine fenomeni come quelli correlati alla corrente detta El Nino, le eruzioni vulcaniche che lanciano ceneri nella stratosfera (oltre il livello dei normali agenti atmosferici), e cicli che sembrano essere collegati ai cicli delle macchie solari (National Research Council, 1982). Tra i fattori che producono invece cambiamenti climatici che durano diversi millenni, e anche oltre, vanno annoverati fenomeni quali la tettonica a placche (con conseguente deriva dei continenti) e i cambiamenti nelle caratteristiche orbitali della Terra. Quest'ultimo fenomeno, esposto da Milutin Milankovic, comprende cambiamenti ciclici dell'eccentricità orbitale (periodo di circa 100.000 anni), l'inclinazione dell'asse di rotazione relativo al piano orbitale (41.000 anni), l'oscillazione dell'asse di rotazione (26.000 anni). In figura (Frakes, 1979; Lamb, 1977) sono mostrate alcune variazioni della temperatura globale media e delle precipitazioni, ricostruite attraverso deduzioni basate su reperti fossili (fig. 1). Il passaggio a un periodo nel quale si alternavano fasi glaciali e interglaciali nel Pleistocene è stato messo in relazione con i cicli di Milankovic (Hays et al., 1976; 1mbrie e 1mbrie, 1980; National Research Council, 1982).

Nel corso delle glaciazioni del Pleistocene (1,8÷0,01 milioni di anni fa) il clima e il livello del mare cambiavano rapidamente, e anche la dotazione di acqua dolce della Terra veniva alternativamente immobilizzata in calotte di ghiaccio e poi liberata di nuovo negli oceani. Sebbene i tropici e le aree subtropicali non venissero raffreddati quanto le latitudini più elevate, nei periodi di glaciazione essi divennero più aridi in quanto vi era una minore quantità d'acqua nell'atmosfera globale. L'ultimo periodo di glaciazione è stato circa 18.000 anni fa (v. tabella la e Ib). L'attuale paesaggio, specialmente della parte nordorientale dell'America Settentrionale e della parte nordoccidentale dell'Eurasia (compreso il tipo di vegetazione e di terreno), si è sviluppato nel corso degli ultimi 14.000 anni circa, dopo che i ghiacci si sono ritirati e il clima si è nuovamente riscaldato. Recentemente sono comparsi diversi nuovi fattori antropogenici potenzialmente portatori di cambiamenti climatici: il deposito nell'atmosfera di particelle inquinanti (che riducono l'irradiamento solare in prossimità della superficie), l'impoverimento della fascia di ozono (che consente un maggiore afflusso sulla superficie terrestre delle dannose radiazioni ultraviolette e forse anche importanti cambiamenti nelle caratteristiche chimiche dell'atmosfera), e un aumento del naturale effetto serra della Terra per via dell'immissione di un quantitativo innaturale di diossido di carbonio (CO2) e di altri gas nell'atmosfera. L'aumento di concentrazione dei cosiddetti gas a effetto serra (o gas serra) assorbe una maggiore quantità di radiazione proveniente dalla terra, imprigionando così un quantitativo maggiore di energia all'interno del sistema Terra-atmosfera e provocando, di conseguenza, un riscaldamento dell'atmosfera e della superficie terrestre.

Circa i due terzi dell'attuale quantitativo di CO2 immesso nell'atmosfera provengono dalla combustione di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturali), mentre il restante terzo è causato dalla deforestazione nelle aree tropicali e subtropicali (Houghton et al., 1996). Il livello di CO2 nell'atmosfera è già aumentato dal livello preindustriale di circa 280 ppm al valore di circa 360 ppm all'inizio degli anni Novanta e si prevede che possa raddoppiare, fino ad arrivare a circa 750 ppm (mantenendo l'attuale ritmo nella combustione) entro la metà del 21⁰ secolo. In considerazione dell'entità di questo cambiamento e della lunga permanenza di CO2 nell'atmosfera, il surriscaldamento globale che ne consegue deve essere considerato un cambiamento relativamente permanente - almeno nell'ambito dell'arco di tempo consentito all'esperienza e alla capacità di progettazione dell 'uomo - nella natura del sistema climatico della Terra. In seguito al surriscaldamento si potrebbero sciogliere notevoli quantità di ghiaccio polare e si potrebbe innalzare il livello dei mari; tuttavia, quest'ultimo fenomeno potrebbe accadere con un ritardo temporale tale da permettere un maggior livello di saturazione. Le modalità dei mutamenti climatici dovuti all'aggravamento dell'effetto serra sono studiate utilizzando anche Modelli climatici globali (GCMs, Global Climate Models) che tentano di simulare le dinamiche e le proprietà chimiche dell'atmosfera della Terra nel corso di diversi secoli.

Dal punto di vista geografico tra i probabili sviluppi dei mutamenti climatici dovuti all'effetto serra vanno annoverati i seguenti fenomeni: il surriscaldamento globale, specialmente in inverno e alle latitudini più elevate, anche nelle grandi masse delle terre della zona subpolare dell'emisfero settentrionale; lo slittamento delle fasce di alta pressione più lontano dall'equatore (con uno 'spostamento', per esempio, del Deserto del Sahara in Italia); probabili cambiamenti drastici, più localizzati, nell'andamento delle precipitazioni, su cui non è attualmente possibile fare previsioni con precisione.

L'aumento di temperatura nelle regioni polari potrebbe raggiungere anche i 16÷18 °C nell'emisfero settentrionale (Schlesinger e Mitchell, 1985), i 3÷6 °C nelle latitudini medie e i 2÷5 °C complessivamente (Houghton et al., 1996). Il riscaldamento ai tropici dovrebbe essere lieve, ma potrebbe verificarsi un aumento dell'aridità del clima. La differenza tra il livello preindustriale di CO2 nell'atmosfera e quello riscontrato negli anni Novanta rappresenta circa 160 gt (lgt = 10⁹ t) di carbonio. Se i livelli di CO2 dovessero realmente raddoppiare, questo significherebbe che verrebbe immesso nell'atmosfera un ulteriore quantitativo di 800 gt di carbonio. È stato spesso ipotizzato che gran parte di questo quantitativo in eccesso potrebbe venire sequestrato dalla biosfera terrestre, sotto forma di accumulo di biomassa nelle foreste (Henderson e Dixon, 1993). La differenza tra l'attuale quantitativo di carbonio immagazzinato dalla vegetazione (circa 650 gt; Houghton et al., 1996) e il limite più elevato suggerito da un modello di limitazione climatica dell'accumulazione della biomassa terrestre (circa 1600 gt; Box, dati non pubblicati) è anch'esso di circa 800 gt. Quindi gli ulteriori 800 gt potrebbero essere teoricamente immagazzinati nella biosfera terrestre, ma solo se noi oggi stesso abbandonassimo il pianeta e lasciassimo sviluppare al massimo delle potenzialità le foreste e gli altri tipi di vegetazione. Dato l'attuale tasso di incremento della popolazione, tutto ciò - come anche la reale realizzazione del modello di sequestro del carbonio previsto - sembra improbabile.

Mutamenti biotici

L'evoluzione di forme riconoscibili di vita sulle terre emerse è iniziata forse mezzo miliardo di anni fa, durante l'era paleozoica. Nella tabella la e Ib sono elencati anche alcuni dei principali sviluppi biologici verificatisi nel corso della storia della Terra, e tra questi sono compresi la dominanza delle felci nel tardo Paleozoico (dalla cui degradazione deriva ciò che attualmente utilizziamo come combustibile fossile), delle conifere nel primo Mesozoico, delle angiosperme (spermatofite latifoglie) alla fine dell'era mesozoica, e lo sviluppo delle famiglie e delle specie di piante attuali nel corso del periodo terziario. Si ritiene che le angiosperme si siano sviluppate nell'Asia sudorientale (Axelrod, 1952) nel Mesozoico, tuttavia questo è anche il periodo nel quale la grande massa continentale Pangea si stava fratturando. Alcuni taxa si diffusero nella maggior parte del mondo, mentre altri restarono circoscritti a determinate aree in seguito alla separazione dei moderni continenti. Alcune famiglie di piante prevalgono o si trovano esclusivamente nell'emisfero settentrionale (per esempio le betulacee, come la betulla e l'ontano), mentre altre popolano l'emisfero meridionale (per esempio le proteacee, presenti soprattutto nell'Africa meridionale e in Australia). Nell'America Settentrionale potrebbe essere esistita una madro-tertiary geoflora a latitudini medie ed elevate, e una flora di tipo più tropicale nella parte sudorientale. Con il raffreddamento e l'inaridimento della parte interna dei continenti verso la metà del Terziario, la porzione orientale e quella occidentale di questa geoflora si separarono e commClarono a evolversi separatamente, ed è per questo che nella parte orientale e in quella occidentale degli USA è presente una grande quantità di specie simili, vicarianti ma non identiche, specialmente per quanto riguarda la flora delle foreste (per esempio i generi Quercus, Fraxinus, Acer, Pinus). Separazioni analoghe a questa con sviluppi paralleli si sono verificate in passato anche in altri continenti, specialmente in Eurasia.

Modificazioni della biodiversità

tab. 2

La biodiversità comprende moltissime entità biologiche a vari livelli oltre a quello di specie (Heywood et al., 1995). In gran parte del mondo le stime sono ancora piuttosto incomplete; in tabella (tab. 2) sono riassunte alcune stime attuali delle quantità relative a specie animali e vegetali superiori. l dati sono basati sul Rapporto sulla biodiversità globale elaborato dal World conservation monitoring center, centro mondiale di monitoraggio per la conservazione (Groombridge, 1992). Per quanto concerne le piante, la biodiversità è spesso correlata positivamente con la presenza di ambienti più caldi e umidi (Currie e Paquin, 1987) e raggiunge i livelli più elevati nelle zone tropicali umide. Tra le ragioni di questo fenomeno potrebbero esserci la più lunga e ininterrotta storia biologica delle zone tropicali, i più elevati ritmi di attività (produttività), e la relativa stabilità degli habitat nel corso di lunghi periodi, durante i quali le numerose, impercettibili, interrelazioni biotiche che si sono stabilite hanno dato origine all'evoluzione di nuove specie (Palmer, 1994).

Per quanto riguarda gli animali la diversità varia a seconda del gruppo filo genetico. Per esempio la diversità tra i rettili è elevatissima in molti ambienti che sono meno ospitali per altri taxa. Gran parte della biodiversità presente sulla Terra, ahneno a livello di genere e specie, si riscontra nelle zone tropicali umide, ma è in via di rapida diminuizione a mano a mano che i territori nei quali si trovano le foreste tropicali vengono sfruttati direttamente dall'uomo. Un aspetto importante della biodiversità è l'endemismo, spesso più elevato nelle regioni relativamente isolate. Nel Rapporto globale sulla biodiversità vengono forniti anche dati e mappe che mostrano i livelli di endemismo nelle diverse aree. Un'area molto interessante a endemismo elevato è la zona dell'Africa meridionale a clima mediterraneo, che diverse classificazioni precedenti consideravano, nonostante la ridotta estensione dell'area, uno dei maggiori regni tloristici di tutto il mondo (Schmithuesen, 1968). La distruzione di habitat in aree a elevato endemismo è particolarmente dannosa in quanto si traduce nella perdita di moltissime specie che non si trovano in nessun'altro luogo.

Variazioni di ecosistemi e di paesaggi

tab. 3

Quanti tipi di ecosistemi e di paesaggi vi sono sulla Terra? La maggior parte delle classificazioni globali comprende circa l5÷20 biomi terrestri principali, ovvero ampie unità tloristicofaunistiche con una vegetazione naturale potenziale relativamente uniforme (Schmithuesen, 1968; Walter e Box, 1976; Walter, 1985; Archibold, 1995). In un recente tentativo di rappresentare i principali tipi di vegetazione terrestre naturale potenziale, da utilizzare nei modelli climatici su scala globale e nei modelli basati su satellite, sono stati identificati 50 tipi prima di arrivare alla conclusione che non era necessario includerne altri (Box, 1995b). Questi tipi sono elencati in tabella (tab. 3) - alcune varianti sono state raggruppate - e corrispondono largamente alle classificazioni globali delle ecoregioni (Bailey, 1989; 1996) e delle provincie biogeografiche (Udvardy, 1975). Ci sono prove che dimostrano che alcuni di questi tipi non esistevano ancora all'epoca dell 'ultimo periodo di glaciazione.

l tipi principali di vegetazione terrestre, come peraltro i taxa che li costituiscono (specialmente nelle varietà di piante grandi e dominanti), sono in generale condizionati dai fattori climatici. Basandosi sui dati climatici (Holdridge, 1947; Box, 1981; 1995a; Woodward, 1987) la loro potenziale distribuzione è quindi prevedibile nell'ambito di ampie aree. Il surriscaldamento globale cambierà la potenziale estensione di alcuni taxa e biomi, modificandone la distribuzione. Le modificazioni e la distruzione di alcune specie, comunque, avverranno molto più velocemente rispetto al passato geologico (Peters e Lovejoy, 1992; Gates, 1993). In una certa misura è possibile delineare modelli dell'andamento dei mutamenti climatici e prevederne gli effetti sui tipi di vegetazione naturale, sulle specie e sulle associazioni. Le proiezioni relative all'aumento della temperatura previsto in seguito a un eventuale raddoppiamento della concentrazione di CO2 atmosferico (senza che si verifichi un drastico inaridimento) lasciano supporre che vi saranno notevoli dislocazioni di importanti alberi ad alto fusto nella parte orientale degli USA (Davis e Zabinski, 1992) e di piante legnose in generale in Florida (Box et al., 1999). È possibile anche valutare la vulnerabilità (ovvero il potenziale di estinzione) di alcune importanti comunità attuali, in quanto le specie principali che le costituiscono reagiscono diversamente ai mutamenti delle condizioni climatiche. (Lassiter et al., in corso di stampa).

Quando si utilizzano dati rilevati da satellite anziché previsioni di ordine climatico, è possibile anche valutare le reali occorrenze delle diverse tipologie di territorio, che comprendono sia la vegetazione naturale sia i paesaggi modificati dalla mano dell'uomo, come per esempio i terreni coltivati. La risoluzione ecologica (nonché l'accuratezza della ricognizione) tendono in genere ad aumentare quando si opera su scala spaziale più dettagliata, dove anche le limitazioni climatiche diventano meno importanti nel determinare le caratteristiche geografiche.

Si potrebbe tentare di immaginare la reazione del paesaggio di una regione al surriscaldamento globale valutando gli effetti dell'aumento di temperatura su importanti processi ecologici (specialmente sul metabolismo) in prossimità dei limiti settentrionali e meridionali dell'area. Per esempio, in gran parte dell'Asia orientale e della parte orientale dell'America Settentrionale, come anche nell'Europa centrale e occidentale, la vegetazione e il tipo di paesaggio naturali sono rappresentati da foreste decidue, verdi solo da maggio o giugno (summergreen deciduous forests). Vi sono poi al limite settentrionale zone di transizione di foreste miste, oltre le quali si passa alle foreste boreali di conifere. Verso sud, ai limiti delle foreste decidue, vi sono zone di transizione di diverso tipo, oltre le quali si passa a paesaggi caratterizzati dalla presenza di foreste di latifoglie sempreverdi (Asia orientale e parte orientale dell'America Settentrionale) o almeno da alcuni elementi sempreverdi (Europa mediterranea). Con l'aumento della temperatura aumenteranno le esigenze di respirazione, che potrebbero non essere compensate da un aumento della foto sintesi, anche se non si verifica complessivamente un inaridimento. l grandi alberi del manto forestale potrebbero morire e consentire che il paesaggio venga invaso da specie secondarie mobili. Tra queste potrebbero esservi sia piante infestanti sia specie colonizzatrici comunque aggressive che vivono più a lungo, come per esempio Prunus serotina e Robinia pseudoacacia in Europa (entrambe originarie dell'America Settentrionale e già specie nocive). L'aumento della temperatura potrebbe essere maggiore verso nord, e almeno alcune delle specie invasive potrebbero essere altri alberi dello stesso tipo, come per esempio varietà delle stesse specie maggiormente adattate alle condizioni caratteristiche del sud. Verso sud le specie invasive dovrebbero essere costituite principalmente da piante infestanti di diverso tipo che crescono velocemente, tra le quali piante infestanti sempreverdi e specie subtropicali. Il paesaggio diverrebbe caratterizzato da vegetazione secondaria instabile, con ampie zone di tensione lungo i limiti meridionali delle regioni a vegetazione naturale (Soule, 1990).

L'altro fattore di cambiamento: la conversione del territorio

Da almeno 5000 anni l'uomo trasforma il paesaggio naturale per i suoi scopi (Thomas, 1956). Sebbene il surriscaldamento globale sia anch'esso causato dalle attività dell'uomo, nel secolo 21⁰ la conversione del territorio potrebbe risultare un fattore di cambiamento non meno importante. La conversione del territorio comprende sia l'espansione in territori marginali attualmente allo stato seminaturale, sia l'intensificazione dello sfruttamento di paesaggi già modificati. La conversione di paesaggi caratterizzati da foreste in aree agricole, industriali, e in aree di insediamento umano riduce il rivestimento di vegetazione, destabilizzando gli equilibri energetici e idrologici e causando aumento del surriscaldamento locale, inaridimento, scorrimento delle acque, e alluvioni. In molti casi, come nelle zone tropicali umide, la conversione da territorio coperto di foreste a territorio aperto è relativamente permanente per via delle modificazioni che subisce il terreno. Anche quando non si verifica, la frammentazione del manto forestale innesca una serie di reazioni che producono cambiamenti nel clima a livello locale e, a medio raggio, un rapida distruzione degli habitat e delle popolazioni selvatiche, favorendo uno sfruttamento ancora più intensivo da parte dell'uomo delle residue aree forestali.

A determinare questa fondamentale trasformazione della superficie della Terra sono i seguenti fattori: l) il rapido e continuo aumento della popolazione umana; 2) gli impredicibili sviluppi delle innovazioni tecnologiche, che forniscono strumenti sempre più efficaci per trasformare il territorio; 3) i mutamenti, spesso effimeri, delle condizioni economiche, che modificano le tendenze a usare la Terra e le sue risorse in modo sostenibile; 4) la globalizzazione delle trasformazioni, che comporta una immediata diffusione dei cambiamenti in tutto il mondo, soprattutto di quelli relativi alle condizioni economiche.

Il termine popullution coniato negli anni Sessanta, con un gioco di parole intraducibile (la parola è composta da population, popolazione e pollution, inquinamento) con il quale si voleva esprimere la combinazione dell'impatto causato dall'aumento della popolazione e di quello provocato dallo sviluppo dei mezzi tecnologici, suggerisce ancora adeguatamente (Ehrlich e Ehrlich, 1990) il tipo di pressione cui viene sottoposta la Terra, ovvero è un buon indice della 'capacità di devastazione' (Adler-Karlsson, 1974). La globalizzazione delle comunicazioni, dei trasporti e dei sistemi economici fornisce ora un potente meccanismo in grado di innescare reazioni che favoriscono l'accelerazione dei cambiamenti.

Il fattore demografico quale componente del processo di trasformazione del paesaggio è stato individuato ormai da diversi decenni (Davis, 1967; Ehrlich, 1968; Borgstrom, 1969), tuttavia non è emersa alcuna soluzione, né sembrano esservene in prospettiva. D.L. Meadows e collaboratori, nel libro The limits to growth (1972), che costituisce una pietra miliare sull'argomento, hanno sottolineato l'urgenza del problema, dimostrando che erano in grado di formalizzare un modello di simulazione globale delle risorse e delle attività umane, che non prevedeva una drastica distruzione delle capacità produttive della Terra, soltanto se si riusciva a ottenere immediatamente (cioè nel 1975, senza aspettare fino al 2000) una stabilizzazione del numero della popolazione umana. Venticinque anni dopo è già troppo tardi per raggiungere uno sviluppo sostenibile nella maggior parte del globo (Meadows, 1995).

È quasi impossibile immaginare i futuri cambiamenti nell'utilizzazione del territorio come peraltro anticipare gli effetti delle nuove tecnologie. Sono però abbastanza evidenti alcune delle forze economiche che dettano le modificazioni del territorio. Le residue aree non sviluppate, a mano a mano che si riducono di dimensioni aumentano anche di valore, sia per chi si propone di svilupparle sia per il contadino povero che vive a livello di sussistenza e deve sfamare la propria famiglia. Ci si può dunque aspettare che scompariranno piccole aree residue di paesaggio naturale non protetto, e che le aree che godono di un qualsiasi status di protezione verranno sottoposte a una forte pressione sia da parte dei più indigenti sia da parte dei più avidi. Non c'è alcun bisogno di servirsi di termini e spiegazioni più attuali, più di moda o più corretti dal punto di vista scientifico per quanto riguarda questi fenomeni: essi erano già ben noti negli anni Sessanta ma non è stato fatto nulla in proposito, per fattori politici ed economici. Il più potente di questi fattori è dovuto forse alla concorrenza economica. Come nel caso della corsa agli armamenti, anche nelle questioni commerciali e di altro genere la concorrenza implica lo spreco di una enorme quantità di risorse. Inoltre, elemento questo di importanza ancora maggiore, in un regime di concorrenza non si è liberi di non competere, dal momento che le possibilità legate ai mercati e alle risorse sono limitate (Hardin, 1968) o legate a 'trappole sociali' (Cross e Guyer, 1980). Il sistema competitivo del mercato della domanda e dell'offerta inoltre non regolamenta nemmeno il comportamento secondo modalità costruttive (se non nella fascia media dello spettro). La scarsa disponibilità di qualche bene favorisce infatti l'insorgenza di fenomeni quali la spinta all'accumulazione e all'acquisto irrazionale (Ophuls, 1977), e induce a sfruttare velocemente inaspettate possibilità di realizzare enormi profitti consumando del tutto - e deliberatamente - risorse già in via di esaurimento per reinvestire poi il profitto ottenuto (Fife, 1971; Hardin e Baden 1977). Sia i singoli individui sia le organizzazioni non sono dunque liberi di pensare o agire olisticamente per il bene della Terra e della società umana in generale per via dell'attuale regime di concorrenza.

La modificazione dei valori umani

Nonostante l'evidente consumo delle risorse economiche, la distruzione dei paesaggi in aree estese in netto anche se meno visibile peggioramento degli standard di vita, sia la gente comune sia le istituzioni che si occupano di tali questioni tendono sempre più frequentemente a negare la situazione. Tra i motivi che spingono a questo atteggiamento vanno annoverati: gli interessi costituiti dal big business e dalle grandi organizzazioni economiche; i programmi di alcuni gruppi ideologizzati; il fatto che il successo professionale dipende proprio da questi cambiamenti.

La richiesta di attenzione agli aspetti legati all'ecologia rappresenta una minaccia nei confronti di alcuni modelli di comportamento ormai stabilizzati (Shepard e McKinley, 1969). In particolare, il potere commerciale e giuridico degli interessi costituiti è in grado di sollevare ostacoli che impediscono di fatto la possibilità di una soluzione olistica dei problemi.

tab. 4

Può rivestire un'importanza fondamentale, per quanto sia un fattore spesso trascurato, anche lo slittamento dei valori soglia nelle percezioni dell'uomo. Che cosa accadrebbe, per esempio, se una nuova generazione decidesse che la battaglia per la conservazione di ciò che resta della natura e della sostenibilità del globo è già perduta? l valori della società basati sul bene comune, sulla distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, potrebbero venire rapidamente sostituiti da valori basati sul successo nella competizione per accaparrarsi ciò che è rimasto. Questa trasformazione e l'accelerazione della polarizzazione sociale potrebbero in realtà essere già in corso negli Stati Uniti sotto forma di quella rivoluzione conservatrice che è cominciata negli anni Ottanta e che si diffonde grazie alla vittoria del capitalismo aggressivo e alle forze che tendono alla globalizzazione economica. In questo modo ciò che è 'negativo' diventa 'positivo' in quanto risulta più efficace nella competizione per ottenere ciò che si vuole. Possiamo evincere ciò che comporta l'affermazione di questi 'valori affaristici' da un confronto con i valori ai quali essi intendono sostituirsi (tab. 4).

Questo nuovo sistema di valori favorisce la politica l correctness e altre forme di 'correttezza', in quanto le varie forme di 'correttezza' facilitano il controllo.

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