MOGGIOLI, Umberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MOGGIOLI, Umberto

Francesca Lombardi

MOGGIOLI, Umberto. – Nacque a Trento il 25 giugno 1886, secondogenito di Costante, fornaio, ed Elena Marchi. Ancora adolescente, in parallelo agli studi presso le scuole professionali della città natale, il M. si avvicinò alla pittura, dedicandosi con l’amico B. Disertori a dipingere en plein air paesaggi di Trento e delle circostanti zone collinari (Trento alle giare, 1902, collezione privata; Paesaggio trentino, 1903, collezione privata: entrambi riprodotti in U. M., 2008, p. 119, cui si farà riferimento per le riproduzioni nel corso della voce, se non altrimenti specificato). Con queste prime prove, già esemplificative di quella curiosità nei confronti della natura che caratterizzerà l’intera sua produzione, il M. si guadagnò l’attenzione dei pittori E. Prati e B. Bezzi – conosciuti intorno al 1903 in casa della baronessa G. Turco Lazzari, luogo di ritrovo di una folta cerchia d’artisti e intellettuali – che lo raccomandarono al notabile trentino A. Tambosi. Grazie alla borsa di studio offertagli da quest’ultimo, nell’autunno del 1904 il giovane M. potè trasferirsi a Venezia, dove s’inscrisse all’Accademia di belle arti, frequentando i corsi di E. Tito, A. Sezanne e G. Ciardi.

Il soggiorno a Venezia, dove inizialmente visse condividendo l’abitazione con B. Disertori, fu determinante nel percorso del M., fornendogli stimoli e suggestioni fondamentali per la sua maturazione artistica; l’atmosfera e il paesaggio della città lagunare, difatti, suscitarono in lui una profonda impressione, come testimoniato anche dalle lettere inviate alla famiglia in quegli anni, confermandolo nella sua vocazione di paesaggista.

La frequentazione dell’Accademia, inoltre, gli offrì importanti riconoscimenti, fra cui il I premio nel corso di paesaggio assegnatogli nel 1905 dal suo maestro Ciardi. Un fertile rapporto, destinato a durare anni, il M. instaurò anche con Sezanne che, nel 1906, lo chiamò a collaborare con altri alla decorazione della Cassa di Risparmio di Rovereto, in cui il M. si allineò all’eclettismo del maestro, intrecciando elementi decorativi neorinascimentali e florealismo Jugendstil. Dopo il ciclo roveretano, il M. realizzò affreschi per la parrocchiale di Trambileno, commissionatigli dal curato del paese, suo lontano parente. Tornato a Venezia, nel 1907 si diplomò all’Accademia e, appena ventenne, fu ammesso alla VII Biennale di Venezia con Giardino di sera (1907; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), opera che già denuncia un primo affrancamento dal naturalismo descrittivo, di derivazione ciardiana, che ne aveva caratterizzato la produzione precedente.

Le diverse vedute e impressioni realizzate nei primi anni veneziani, ispirate perlopiù all’atmosfera e ai colori dell’ambiente del Lido, appaiono, difatti, nella composizione e nella gamma cromatica, ancora influenzati da un’impostazione accademica e da una sensibilità ottocentesca (Barche, 1905; collezione privata, ripr. p. 121). L’emergere di una diversa maturità espressiva e il superamento della lezione di Ciardi appaiono tuttavia già evidenti in dipinti immediatamente successivi, quali Giardino al tramonto (1906; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) o Campiello al sole (1907 circa; collezione privata, ripr. p. 122), caratterizzati da una maggiore originalità compositiva, da una inedita ricerca luministica e da un uso del colore di ascendenza postimpressionista.

Nel febbraio del 1908 il M. si recò a Roma, ove si iscrisse alla Scuola serale francese di nudo e si dedicò alla visita dei musei e delle gallerie della capitale. Fra gli incontri di questo primo soggiorno determinante fu quello con A. Noci, che aggiornò il M. sulle ricerche dei protagonisti del divisionismo romano (G. Balla, E. Lionne, C. Innocenti) e lo guidò alla scoperta della città e dei luoghi più congeniali al suo talento di paesaggista, quali villa Borghese e la campagna romana.

Sull’onda di queste suggestioni il M. aggiornò la sua pittura, realizzando dipinti quali Erma a villa Borghese (1908; Trento, Istituto atesino di sviluppo), caratterizzato da un linguaggio sensibile a influenze divisioniste, da una gamma di colori più chiari e caldi e da un evidente interesse al motivo simbolico, fattori che avranno maggiori sviluppi nelle prove degli anni seguenti.

Pressato da difficoltà economiche, nel giugno 1908 il M. abbandonò Roma per tornare in Trentino dove si dedicò a realizzare alcuni ritratti, genere che, seppur sporadicamente, coltivò durante tutto l'arco della propria carriera. Alla fine dell’anno, dopo aver lavorato nel corso dell’estate come decoratore a Passo di San Pellegrino in Val di Fassa, il M. tornò a Venezia dove conobbe N. Barbantini, dal 1907 responsabile della Fondazione Bevilacqua La Masa, che iniziò a guardare con particolare attenzione e interesse al suo lavoro, tanto che, nel 1922, firmerà la prima monografia sulla pittura del Moggioli.

All’inizio del 1909 il M. si trasferì a Burano, dove collaborò con Pieretto Bianco alla creazione di quattordici pannelli decorativi per il padiglione centrale della Biennale veneziana del 1912. Sempre nel 1909, dopo aver partecipato nuovamente alla Biennale con Sole d’inverno (1908; collezione privata, ripr. p. 124), il M. allestì una vasta personale a Ca’ Pesaro, che sancì il suo ingresso ufficiale tra i secessionisti capesarini, esponendovi ventotto impressioni libere e ariose, di piccolo formato, che riassumevano il lavoro en plein air realizzato a Venezia e durante il soggiorno romano. Nello stesso anno il M. tornò a collaborare con Sezanne, con il quale progettò la decorazione del padiglione italiano per l’Esposizione di Bruxelles e restaurò il palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme a Cavalese. Nella località montana il M. conobbe Anna Fontanari, di alcuni anni più grande di lui, che divenne la fedele compagna di tutta la vita. Dopo un soggiorno di alcuni mesi a Trento, nel 1910 il M. tornò a lavorare nuovamente con Bianco a Burano: affascinato, come sempre, dall’atmosfera dell’isola, il M. vi dipinse diverse opere, fra cui Merlettaie (1910; Venezia, Fondazione Andriana Marcello) che, nella tecnica pittorica completamente rinnovata, segna il momento di massimo avvicinamento a U. Boccioni, conosciuto probabilmente proprio nel 1910, in occasione della partecipazione del maestro alle mostre capesarine.

Nella primavera dello stesso anno il M. si recò nuovamente a Roma, per rimanervi solo qualche mese: risale a questo secondo soggiorno Mattino a villa Glori (1910; collezione privata, ripr. p. 29), poi presentato alla IX Biennale di Venezia (1910), opera che segna, ormai superata la poetica crepuscolare di ascendenza ciardiana, un ulteriore avvicinamento al divisionismo, in particolare di matrice segantiniana. Lasciata Roma, in autunno il M. si recò con B. Disertori in Umbria, fermandosi dapprima a Perugia, dove conobbe A. Rizzi, allora titolare del corso di pittura dell’Accademia di belle arti, e poi ad Assisi. Qui, affascinato dal paesaggio e dalla spiritualità del luogo, il M. lavorò intensamente, realizzando dipinti in cui il dato cromatico crea suggestioni liriche di altissimo livello (Assisi, 1910-11 circa; collezione privata, ripr. p. 31).

Dopo il soggiorno umbro, spinto dal desiderio di una totale immersione nella natura, nella primavera del 1911 il M. tornò a Venezia per poi trasferirsi a Burano, dove si stabilì, insieme con la compagna Anna, in una piccola casa affacciata sulla laguna, di fronte all’isola di Mazzorbo: questo soggiorno, destinato a protrarsi, salvo brevi intervalli, sino al 1915, ebbe un ruolo determinante nel suo percorso artistico, coincidendo con una delle stagioni di maggiore felicità creativa. In questi anni il M. strinse legami con molti degli artisti e intellettuali che, affascinati anch’essi dalla particolare atmosfera e dalla verginità dei luoghi, si ritrovavano spesso sull’isola: fra questi, oltre a Barbantini, G. Damerini, critico e poi direttore del Gazzettino di Venezia, O. Soppelsa, mecenate e direttore dell’Istituto di arti grafiche veneziane, e vari membri della Fraglia veneziana, quali G. Fusinato e A. Musatti. Fondamentale fu poi l’incontro con Gino Rossi, anche lui stabilitosi a Burano, la cui pittura eserciterà, negli anni a seguire, una profonda influenza sul Moggioli.

Durante il soggiorno buranello la ricerca del M. pervenne ad una piena maturazione, come testimoniano un’importante serie di opere, tutte ispirate alle irresistibili suggestioni atmosferiche del luogo e alla vita dei suoi abitanti, che evidenziano un’alternanza continua fra naturalismo e un ricco e colto simbolismo. Una manifesta significazione simbolica, seppur coniugata con un naturalismo descrittivo di stampo ancora ottocentesco, è già evidente ne Il ponte verde (1911; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), esposto nel 1912 alla X Biennale veneziana, che prelude ai primi dipinti pienamente simbolisti realizzati nel 1912 – quali L’isola del silenzio (1912; Trento, Istituto atesino di sviluppo), una delle prime visioni dell’isola di San Francesco del Deserto o Cipresso gemello (1912; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) – caratterizzati dall’assenza di elementi narrativi, da spazi solenni e dilatati, da una materia cromatica densa e da un colore intellettuale, con accensioni cromatiche di vangoghiana memoria. «Un atteggiamento di patetico naturalismo simbolico» (Belli, 1986, p. 13) pervade anche le opere immediatamente successive, in cui sono ravvisabili motivi iconografici e stilistici desunti dalla pittura di G. Segantini e da quella simbolista di area nordeuropea (influenza a cui forse non fu estranea la conoscenza dell’opera di T. Wolf Ferrari); in particolare, una consonanza con gli stilemi del florealismo europeo fine secolo appare evidente nella resa del tema dell’albero, elemento ricorrente nel ciclo delle opere simboliste buranelle (Sera a Mazzorbo e Campagna a Treporti, entrambi 1913; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto; Primavera a Mazzorbo, 1913; Trento, Banca Sella Nord Est Bovio Calderari s.p.a.). Negli stessi anni, tuttavia, a queste opere di forte connotazione simbolica il M. ne alternò altre di maggior naturalismo, affrontando i temi a lui cari del paesaggio o del lavoro dei campi in raffigurazioni di sereno realismo, caratterizzate da una maggiore narratività e da gamme cromatiche meno astratte (Sera a Mazzorbo, 1913; Vicenza, collezione privata, ripr. p. 131; Primavera a Treporti, 1914; Venezia, Ca’ Pesaro - Galleria internazionale d’arte moderna).

Nonostante il suo ritiro a Burano, in quegli anni il M. tenne un’intensa attività espositiva, che gli guadagnò nuovi consensi: nel 1912, invitato dall’amico Barbantini, tenne una personale a Ca’ Pesaro, presentandovi quattordici opere rappresentative del lavoro compiuto a stretto contatto con l’ambiente lagunare fra il 1911 e il ‘12, fra cui diversi dipinti dedicati all’isola di San Francesco. Nel 1913 espose nuovamente a Ca’ Pesaro, presentando quattro opere in una collettiva (La madre, Primavera, Pomeriggio d’autunno, Laguna); nello stesso anno partecipò anche all’Esposizione giovanile di Napoli e alla I Mostra della Secessione romana, esponendo nella sala del gruppo veneto. Nel 1914 Sera di primavera (1914; Venezia, Magistrato delle acque), un paesaggio notturno carico di malinconico lirismo, venne accettato alla XI Biennale di Venezia, mentre Mattino d’inverno e Primavera, altri due dipinti esemplificativi della poetica buranella, vennero esposti nella sala internazionale della II Secessione a Roma accanto a opere di Rossi e A. Martini. L’anno successivo, infine, il M. prese parte all’Esposizione di bozzetti di artisti veneziani all’Hotel Victoria di Venezia con Primavera e Asolo, uno dei dipinti dedicati al paesaggio delle colline asolane realizzati fra il 1914 e il ’15 che evidenziavano, nella rinnovata sensibilità compositiva, nella progressiva riduzione dei volumi e nella sintesi cromatica, la crescente sintonia con la ricerca dell’amico Rossi, che troverà la sua piena espressione negli anni immediatamente successivi (Paesaggio asolano, 1914-15; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto; Paesaggio asolano, 1914 circa; collezione privata, ripr. p. 134).

L’esplosione del primo conflitto mondiale spezzò l’incantesimo del soggiorno buranello: all’inizio del 1915 il M. venne impiegato a Verona come cartografo dell’esercito italiano e nel maggio si iscrisse volontario nella legione trentina di Verona, mentre la compagna Anna si arruolò come infermiera volontaria. Dopo alcuni mesi trascorsi a Cavaion Veronese, il M. venne inviato al fronte sui monti Lessini e sul Baldo con il compito di eseguire rilievi topografici della zona. Infine, ammalatosi gravemente, a dicembre venne trasferito nel convalescenziario Vittorio Emanuele III di Torino. Riformato dall’esercito a causa della debilitazione fisica, all’inizio del nuovo anno il M. lasciò Torino per continuare la sua convalescenza a Cavaion Veronese, dove sposò la sua compagna.

Nei mesi successivi al suo trasferimento nel piccolo centro vicino al lago di Garda il M. riprese a dipingere alacremente, realizzando opere in cui è ravvisabile il progressivo superamento della poetica del naturalismo simbolico di Burano e l’affiorare di nuove cifre espressive, come testimoniano dipinti quali Paesaggio di Cavaion del Garda (1916 circa; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) che, nella smaterializzazione e nell’iterazione del segno, evidenziano un più deciso approfondimento degli stimoli derivategli dalle coeve ricerche di Rossi e della sua riflessione sulla lezione del primitivismo nabis. Un rinnovato interesse per la costruzione plastica della forma umana, probabilmente dettato anche dall’influsso di un altro capesarino, T. Garbari, appare evidente, invece, in opere quali Siesta (1916; Trento, collezione privata, ripr. p. 43) e in alcuni dipinti facenti parte del ciclo delle quattro stagioni, eseguiti sul finire del soggiorno a Cavaion Veronese, improntati ad un recupero del tema allegorico, legato al ciclo naturale della vita, come Autunno nel veronese (1916; Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), esposto nel 1916 nell’ultima mostra della Secessione romana, o Primavera nel veronese (Maternità) (1916 circa; Roma, Galleria nazionale d’arte moderna).

Nell’estate del 1916 il M. si recò a Milano, ove realizzò diversi ritratti per alcune facoltose famiglie locali. Tuttavia, sfavorevolmente impressionato dalla città e dal suo ambiente, dopo un breve ritorno a Cavion Veronese, in ottobre il M. partì per Roma accompagnato dall’amico Disertori, accogliendo l’invito di Rizzi che lo chiamava a collaborare alla decorazione di alcune lunette per il monumento a Vittorio Emanuele II. Dopo un brevissimo soggiorno all’albergo S. Chiara, il M. si stabilì insieme con la moglie in uno studio a villa Strohl-Fern, al tempo uno dei centri culturalmente più vivaci della città, abitato o frequentato da alcuni dei maggiori protagonisti della scena artistica romana: qui, nell’atmosfera unica e suggestiva della villa, il M. visse i suoi ultimi anni, caratterizzati da una particolare serenità e da un profondo rinnovamento artistico, come testimoniano anche le lettere inviate in questo periodo al fratello primogenito Francesco: «Il mio temperamento si va delineando sempre più nettamente. Le malinconie se ne sono andate assieme alle meditazioni. Ne è saltata fuori un’arte gaia, serena, da ottimista» (1918; Trento, Archivio Francesca Moggioli).

Parallelamente alla decorazione delle lunette del Vittoriano, che lo impegnarono sino all’autunno del 1917, già nei primi mesi di residenza a villa Strohl-Fern il M. lavorò intensamente, realizzando opere che evidenziano una tensione verso una maggiore libertà espressiva, la propensione per una tavolozza più accesa e luminosa e una maggiore plasticità nella forma. Accanto a paesaggi ed alcuni ritratti, l’emergere di un nuovo orientamento stilistico, di certo maturato anche grazie ai contatti con l’ambiente artistico romano, specie secessionista, appare particolarmente evidente nei diversi quadri con figure in interni o esterni, in cui ricorrono raffigurazioni della moglie e soggetti di vita quotidiana. Particolarmente esemplificative di questo nuovo indirizzo appaiono opere quali La moglie al sole (1917; Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), La casa dell’artista (1918; Venezia, Ca' Pesaro - Galleria internazionale d’arte moderna), L’eremita ortolano (1918; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) e I coniugi d’Atri (1918; collezione privata, ripr. p. 141) che – nella predilezione per una materia densa e luminosa, per la raffigurazione di figure corposamente plastiche, riprese in inquadrature ravvicinate e inserite in paesaggi senza affondi panoramici o in spazi intimi e domestici – sembrano denunciare, oltre che influenze della pittura di A. Spadini, di F. Ferrazzi e di altri pittori attivi a Roma, un’anticipazione di quella ricerca di «valori plastici» che sarà caratteristica dell’arte italiana nel decennio successivo.

Gli ultimi anni della vita del M. furono contrassegnati da pochi eventi di rilievo. Nel 1916 partecipò con tre opere (Studio, Autunno, Primavera nella campagna lagunare) all’ultima edizione della Secessione. Nell’agosto del 1918 si recò per un breve soggiorno a Carpegna, ospite dell’amico musicista R. Zandonai, dove realizzò una serie di paesaggi (Taglio del bosco in Carpegna, 1918 circa; ripr. p. 141). Il rinnovato interesse del M. per la rappresentazione del paesaggio puro, del resto, si tradusse, in questi ultimi anni d’attività, in un’importante serie di dipinti – fra cui Il Tevere all’Acquacetosa (1917; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto); I pini di sera a villa Strohl-Fern (1917; collezione privata, ripr. p. 138); Giardino (1918 circa; Trento, collezione Itas, ripr. p. 140) – che sembrano preannunciare una ulteriore evoluzione della sua pittura, come ben evidenzia l’ultima opera del M., Viale a villa Strohl-Fern (1918-19; Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), caratterizzata da una composizione vorticosa e da una gamma cromatica ai limiti dell’antinaturalismo.

La tela, tuttavia, rimase incompiuta, poiché il M., colpito dalla febbre spagnola morì, dopo pochi giorni di malattia, il 26 genn. 1919 nel suo studio di villa Strohl-Fern. Negli anni immediatamente successivi alla morte prematura diverse antologiche e mostre commemorative ne celebrarono l’attività, fra cui la personale allestita nel 1920 nell’ambito della XII Biennale veneziana.

Fonti e Bibl: Trento, Archivio Francesca Moggioli; N. Barbantini, U. M., Roma 1922; G. Perocco, U. M.: 1886-1919, Bergamo 1963; U. M. pittore, a cura di R. Maroni, Trento 1963; U. M.: 1886-1919 (catal.), a cura di G. Perocco, Trento 1969; U. M. pittore (I e II parte), Trento 1977; U. M., in Gli artisti di Villa Strohl-Fern (catal., galleria Arco Farnese), a cura di L. Stefanelli Torossi, Roma 1983, pp. 26-28; M.: 1886-1919 (catal.,Trento), a cura di G. Belli, Milano 1986; F. Bonfiglio, U. M., in Secessione romana 1913-1916 (catal.), a cura di R. Bossaglia - M. Quesada - P. Spadini, Roma 1987, p. 301; U. M.: disegni (catal., galleria Raffaelli), a cura di R. Barilli - G.Belli, Trento 1988; M.: disegni (catal.), a cura di D. Eccher, Trento 1990; G. Uzzani, in La pittura in Italia. Il Novecento/1, II, Milano 1992, pp. 960 s.; U. M.: 1886-1919. Un trentino a Ca' Pesaro (catal., Folgarida), Trento 2006; U. M.: magia del silenzio (catal., Bassano del Grappa), Dolo 2008.

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