VISCONTI, Ugolino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VISCONTI, Ugolino

Alberto Cotza

VISCONTI (di Pisa), Ugolino (Nino). – Figlio di Giovanni della famiglia pisana dei Visconti Maggiori e di una figlia del conte Ugolino della Gherardesca di cui non conosciamo il nome, Nino nacque in una data imprecisata non anteriore alla metà degli anni Sessanta del XIII secolo.

Ancora minorenne è menzionato una prima volta nel 1276 nella pace di Rinonico affiancato dai tutori Gherardo Visconti, Taddeo di Monteorgiale, Giovanni Gaddubbi. Non abbiamo notizie su di lui fino alla sua comparsa sulla scena politica pisana a metà del 1286, quando divenne capitano del Popolo, negli anni della podesteria del nonno Ugolino.

Le circostanze affatto particolari successive alla sconfitta della Meloria (1284) avevano favorito l’assegnazione della podesteria a un non forestiero grazie alla sua capacità di intrattenere buoni rapporti con le più pericolose nemiche di Pisa, le guelfe Firenze e Lucca.

Dalla primavera del 1287 i due campioni del guelfismo pisano governarono la città con un inedito assetto diarchico: entrambi assunsero la carica di podestà e capitano del Popolo. Su loro iniziativa fu allestita una nuova redazione dei due principali statuti cittadini: il Breve Pisani Comunis e il Breve Pisani Populi.

Ma alta era la conflittualità tra le due parti nobiliari, tale da impedire un pacifico governo della città. Ugolino e Nino lasciarono il potere nell’autunno del 1287 nelle mani di Guidottino Bonghi da Bergamo ma dalla primavera del 1288 ripresero a governare in condominio. Siglata la pace con Genova nell’aprile, il fronte ghibellino pisano, capeggiato dall’arcivescovo Ruggieri Ubaldini, mosse contro Nino, mentre Ugolino si trovava momentaneamente fuori città. La situazione precipitò. Visconti fu costretto a fuggire il 30 giugno 1288: non tornò mai più nella sua città natale.

Si ritirò dapprima a Calci, donde tentò invano per quindici giorni di ritrovare la concordia con il Comune di Pisa. Fallite le trattative, i Comuni guelfi gli inviarono rinforzi per combattere contro la sua città; nel corso della guerra furono colpiti, in particolare, i castelli del Valdarno. Ma a loro volta i ghibellini pisani mandarono richieste d’aiuto ai loro possibili alleati: ricevettero dapprima il sostegno di Ildebrando conte di Romania, figlio di Ranieri conte d’Elci, e successivamente chiamarono alla podesteria Guido da Montefeltro (sicuramente podestà dal novembre del 1289, ma probabilmente già insediato nell’estate). Quest’ultimo recuperò alla città numerosi castelli perduti, tra cui Calci, che era diventata l’avamposto delle truppe di Nino, e l’importante rocca di Caprona, vicino all’Arno. Visconti stabilì la sua residenza a Lucca e in quello stesso 1289 accusò pubblicamente l’arcivescovo di Pisa Ruggieri Ubaldini, presso Niccolò IV, di essere il responsabile della morte per fame di Ugolino Della Gherardesca, dei suoi figli Gaddo e Uguccione e dei suoi nipoti Anselmo e Brigata nella torre dei Gualandi, ottenendo l’istruzione di un processo.

Dopo la vittoria di Campaldino (11 giugno 1289), comunque, ripresero vigore le iniziative dei guelfi contro Pisa: nel marzo del 1290 Visconti si trovava a Firenze per chiedere aiuto contro la sua città d’origine. La situazione regionale però era molto complessa: Volterra, dilaniata da dissidi interni, non era più un sicuro appoggio per la lega guelfa e fu chiesto a Nino di stabilirvi il suo quartier generale; anche la fedeltà di Prato e di Pistoia era traballante. Nel corso del 1291 Nino fu impegnato a più riprese nella difesa di alcuni castelli strategici a sud e sud-est della città: Peccioli, attaccata dai pisani, e ancora Pontedera, che su sua richiesta era stata fortificata dai fiorentini con un fosso e un cassero. Nel gennaio del 1292 Nino figura come capitano eletto della tallia toscana, carica che ricoprì per un biennio.

Dalla fine del 1292 furono avviate trattative di pace tra i guelfi e Pisa, che ebbero sanzione ufficiale nella pace di Fucecchio del 1293. I negoziati di Nino a proposito del suo ritorno in città, dei fedeli della sua parte tenuti prigionieri, dei suoi beni a Pisa e in Sardegna si protrassero almeno fino alla fine del 1293 ma, probabilmente, ancora nel 1294. Alla fine, comunque, non fu riammesso a Pisa né nel distretto: i Fragmenta historiae Pisanae dicono che Nino avrebbe anche accettato di prendere residenza a Calci, se non in città. Ma gli furono chiuse tutte le porte.

Per questo motivo, nella seconda metà del 1294 dovette maturare in lui l’intenzione di trasferirsi in Sardegna. Sono dell’inizio del 1295 le lettere di richiesta di sovvenzioni per un trasferimento nell’isola mediterranea indirizzate al Comune di Firenze, che rifiutò, e a San Gimignano e Siena. Non sappiamo se Nino in questo momento sia effettivamente partito; certamente in tale congiuntura strinse accordi con Guelfo e Lotto della Gherardesca per il recupero dei suoi beni sardi contro i pisani e contro il giudice Mariano d’Arborea, loro alleato. Entrò poi in contatto con il Comune di Genova del quale, secondo la Cronaca Roncioniana, «si fé citadino» nel novembre del 1295, per ottenere la liberazione di alcuni suoi fedeli ancora tenuti in prigione dopo la Meloria e un sostegno per la prossima spedizione sarda. Nei primi mesi del 1296 sbarcò così a Porto Torres, come testimonia la Memoria de las cosas que han aconteçido en algunas partes del reino de Çerdeña, e mosse subito con gli alleati contro il giudice Mariano, contro il quale fu impegnato a più riprese in tutta la prima metà dell’anno.

Si ammalò e stese il testamento il 26 luglio; la cronaca dello pseudo-Brunetto ci fornisce la data di morte precisa: 1° settembre. Chiese di essere seppellito presso i suoi predecessori, ma volle che il suo cuore fosse portato e custodito a Lucca.

Unica erede di Visconti fu la figlia Giovanna, nata dalla moglie Beatrice di Obizzo II d’Este forse nella prima metà degli anni Novanta (ancora nel 1307 agiva per lei il tutore assegnatole Taddeo di Monteorgiale). Il commento a Dante dell’Anonimo Fiorentino (è menzionata nell’episodio di Purgatorio, VIII) la dice di circa nove anni nel 1300.

Compare per la prima volta nel testamento del padre e subito (il 26 settembre 1296, pochi giorni dopo la morte del giudice) la difesa della sua eredità, politicamente preziosa, venne assunta da Bonifacio VIII (che stava maturando il progetto di assegnare il Regno di Sardegna e Corsica a Giacomo II d’Aragona). Il papa chiese infatti ai volterrani, ai quali Nino Visconti era stato legato, di impegnarsi per la tutela della sua eredità. Giovanna Visconti incontrò invece la forte opposizione del Comune di Pisa che nel 1299 negò che fossero estensibili a lei i benefici dei provvedimenti di amnistia concessi ai fuoriusciti nell’ottobre e così anche i suoi diritti sulla Gallura.

Probabilmente nella prima metà dell’anno 1300 si spostò a Milano, insieme alla madre che il 2 luglio di quell’anno sposò Galeazzo Visconti, e di lì qualche tempo dopo a Ferrara, alla corte di Azzo VIII d’Este. Il problema del suo matrimonio restava all’ordine del giorno e nel 1305 Guglielmo Visconti di Ricoveranza (un esule pisano al servizio di Carlo d’Angiò) ne scrisse a Giacomo II d’Aragona, oltre a redigere un inventario dei suoi beni e diritti. Fra i pretendenti, tutti già attivi politicamente in Sardegna, vanno menzionati Corradino Malaspina (le cui iniziative per le nozze mai celebrate sono testimoniate dal 1301 al 1307) e un figlio di Bernabò Doria (1307), sostenuto dai Comuni di Genova e Pisa ma contro il parere di Beatrice e della stessa Giovanna, oltre che del fronte guelfo toscano e di Giacomo II. Fu poi la volta di Tedice di Donoratico, dell’influente famiglia pisana dei Gherardesca, ma al suo progetto di sposare Giovanna si oppose un parente, Fazio di Donoratico, che spinse il Comune di Pisa – probabilmente dopo il fallimento del progettato matrimonio con Doria – a sottoporre le terre di Gallura alla sua superiore autorità. Ciò effettivamente accadde nel 1308; Taddeo di Monteorgiale, il tutore di Giovanna, si ritirò dall’isola chiedendo di diventare cittadino di Siena.

Questi sviluppi accelerarono ulteriori trattative svolte dai Comuni ostili a Pisa e dallo stesso Giacomo II: il 13 novembre 1309 Giovanna risulta sposata con il signore trevigiano Rizzardo da Camino, vicino politicamente agli Estensi (presso i quali essa ancora si trovava).

Rimasta vedova nel 1312, non si occupò più direttamente dei suoi domini sardi. Poco si sa dell’ultima parte della sua vita, se non che nel 1323 era a Firenze, e il Comune, trovandola in povertà, dispose – anche per la memoria di suo padre Nino – di concederle 1200 fiorini per quell’anno.

Stando alla testimonianza di Galvano Fiamma, premorì (ma non è noto dove) alla madre; i suoi beni, passati a Beatrice, pervennero ad Azzo Visconti, suo fratellastro. In questo caso la sua morte sarebbe da collocare prima del 1334, anno di morte della madre, ma la testimonianza del cronista milanese (desideroso di giustificare con motivazioni genealogiche i domini viscontei in Toscana e in Sardegna) rende questa versione dei fatti sospetta ed è ragionevolmente probabile che sia scomparsa attorno al febbraio del 1337, quando iniziano le rivendicazioni di Azzone Visconti sui domini di Giovanna. Il suo testamento, spesso citato nella letteratura ma non noto, dovrebbe risalire proprio a questo anno.

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