LA MALFA, Ugo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LA MALFA, Ugo

Roberto Pertici

Nacque a Palermo, il 16 maggio 1903, da Vincenzo e da Filomena Imbornone.

Il padre era appuntato di Pubblica Sicurezza; la madre, proveniente da famiglia agiata, anche se ormai decaduta, ispirò nei figli (Ugo, Renato e Olga) una tenace esigenza di emergere dal soffocante ambiente della piccola borghesia siciliana e di emanciparsi dalle ristrettezze in mezzo alle quali trascorsero l'infanzia.

La via degli studi era essenziale in questa strategia di riscatto sociale, ma la difficile situazione economica della famiglia impedì al L. quella degli studi classici: dopo le elementari, frequentò i tre anni della scuola tecnica, per poi passare alla sezione di ragioneria e commercio dell'istituto tecnico Filippo Paratore, dove ottenne un brillantissimo diploma. Nello stesso tempo, il L. si impegnava privatamente nella preparazione dell'esame di licenza liceale, superato nel luglio 1920; anche per l'aiuto economico di una congiunta benestante, sulle prime si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Palermo, poi all'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Ca' Foscari, a Venezia.

"Sono nato in Sicilia - avrebbe scritto il 7 ott. 1978 a I. Montanelli -, cioè in una delle terre depresse del Mezzogiorno […]. E di quella depressione ho vissuto da giovane tutti i drammatici aspetti, i sacrifici, le sofferenze, gli sforzi di sopravvivenza che essa comporta" (U. La Malfa. Mostra storico documentaria, p. 72): il problema meridionale costituì, quindi, uno dei motivi originari della riflessione politica del L. e scaturiva da una sofferta esperienza personale e familiare.

Ca' Foscari assicurava una formazione economico-giuridica di ottimo livello e la conoscenza approfondita delle principali lingue moderne. Il L. vi trovò alcuni maestri: G. Luzzatto, professore di storia economica (Il maestro, in Nuova Riv. storica, XLIX [1965], p. 148); F. Carnelutti, con cui si laureò nel maggio 1926 con una tesi in diritto processuale civile: "Di alcune caratteristiche giuridiche del contratto della giurisdizione, dell'arbitrato, della conciliazione nei diritti intersindacali, interindividuali e internazionali"; e soprattutto S. Trentin, dal 1923 professore di istituzioni di diritto pubblico. La familiarità con quest'ultimo fu importante da un punto di vista politico: Trentin, che il L. incontrò nel 1923, era già all'opposizione e lo confermò nel suo precoce antifascismo (Intervista sul non-governo, a cura di A. Ronchey, Roma-Bari 1977, p. 6). Il L. si iscrisse alla sezione veneziana della Democrazia sociale di Trentin: fu il suo primo passo politico. Nel 1924, due borse di studio lo portarono a Roma, dove frequentò il corso libero di commercio italo-americano, organizzato dall'Associazione italo-americana e dall'Istituto superiore di commercio della capitale, e conseguì anche il diploma dell'Università libera della cooperazione, del lavoro e della previdenza sociale.

Entrò fin da subito in contatto con gli studenti antifascisti, partecipando alla fondazione dell'Unione goliardica per la libertà, sorta nel marzo 1924 e destinata ad avere un forte sviluppo dopo il delitto Matteotti (fu soppressa nel febbraio 1925). Il L. vi fece alcuni incontri decisivi (Giorgio Amendola, S. Fenoaltea, L. Cattani) e ne promosse la diffusione a Venezia.

Nel novembre 1924 il L., seguendo Trentin, aderì all'Unione nazionale, il nuovo partito della democrazia italiana fondato da Giovanni Amendola, e vi fece confluire l'Unione goliardica. Al primo (e unico) congresso del partito (14-16 giugno 1925), intervenne a nome dei gruppi giovanili, meritandosi un pubblico apprezzamento da parte di Giovanni Amendola: il L. fu eletto nel consiglio nazionale e dedicò al congresso un articolo, con cui iniziava la sua attività pubblicistica (poi in Scritti 1925-1953, Milano 1988, pp. 5 s.). Il 6 dic. 1925, l'Unione fu dichiarata illegale, mentre il suo leader si era rifugiato in Francia: insieme con R. Bencivenga, M. Berlinguer, G. Ferrero e M. Vinciguerra, il L. partecipò alla pentarchia che ne guidò gli ultimi passi.

L'esperienza giovanile fu decisiva per la sua formazione politica: l'idea di un partito di ceti medi, di forte ispirazione democratica, pronto al confronto con i partiti proletari, ma altro da loro, sarebbe riemersa, vent'anni dopo, nella sua concezione del Partito d'azione (PdA). Dalla visione di Amendola mutuò anche il motivo antigiolittiano (quindi un giudizio critico sulla vicenda dell'Italia prefascista) e certe suggestioni nittiane, nelle questioni internazionali come in politica economica, che sono già riscontrabili nei tre articoli scritti per Il Mondo fra il giugno e l'agosto 1926 (ibid., pp. 9-16). Infine, la parabola dell'Aventino convinse il L. della inevitabilità della scelta repubblicana per una rinascita democratica del Paese.

Dopo la laurea, si sottrasse all'invito di Carnelutti di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza di Padova e, fra la primavera e l'estate del 1926, lavorò presso la Camera di commercio di Roma. Il 19 settembre iniziava il servizio militare nella scuola allievi ufficiali d'artiglieria di Palermo, ma neanche un mese dopo veniva degradato e allontanato per essere stato trovato in possesso di materiale antifascista (alcuni numeri della rivista genovese Pietre). Fu trasferito a Cagliari (16° artiglieria, un reggimento di punizione), dove il 21 genn. 1927 ottenne il congedo per motivi di salute. Ritornò a Roma e, grazie alla segnalazione del segretario della Camera di commercio, venne assunto presso il neonato Istituto nazionale per l'esportazione, dove ritrovò come collega Cattani. Per tutto il 1927 riprese i contatti con i vecchi amici dell'Unione goliardica, con Amendola, Fenoaltea e con la rete di giovani intellettuali antifascisti che si stringeva attorno a Pietre. L'attentato del 12 apr. 1928 alla fiera campionaria di Milano scatenò le persecuzioni contro questo gruppo, accusato - senza alcun fondamento - di esservi coinvolto: il 1° maggio anche il L. veniva arrestato, tradotto a Regina Coeli e poi a S. Vittore a Milano, dove sarebbe rimasto fino al 18 maggio. Come tutti gli altri indagati, venne presto prosciolto, ma - secondo le vigenti leggi di pubblica sicurezza - gli fu comminata l'ammonizione (9 luglio 1928), tramutata subito (22 luglio) in diffida. La vicenda gli costò il posto: il 30 giugno 1928, insieme con Cattani, venne licenziato. Fu quello un momento di scelte fondamentali: nei mesi seguenti, non pochi dei suoi amici abbandonarono la prospettiva liberaldemocratica e aderirono al comunismo, passando alla clandestinità.

Lo avrebbe ricordato in un articolo del 21 giugno 1956: "A coloro che l'hanno vissuto, il periodo fra il 1929 e il 1933 apparve fra i più tristi e disperati della vita politica italiana e della lotta clandestina. […] Lo schema teorico secondo il quale la borghesia si convertiva al fascismo per tentare un'estrema difesa di classe, era ormai, da molti giovani, ardenti antifascisti, pacificamente accettato: diveniva schema di validità universale. Fu in quegli anni che […] moltissimi giovani, militanti nel campo democratico, perdettero fiducia nella libertà e nella grande tradizione risorgimentale dell'Italia contemporanea" (Scritti 1953-1958, Roma 2003, p. 598). Il L. giudicò questo décalage generazionale, che cercò allora e poi di contrastare, una fra le conseguenze più perniciose del fascismo: anche negli anni della dittatura, mantenne un sostanziale ottimismo sul futuro degli ordinamenti politici liberaldemocratici e mai vide nel fascismo la fase iniziale di un'inarrestabile inversione di tendenza. Il suo compito gli parve quello di attraversare quella fase critica della democrazia europea e di prepararsi per la ripresa.

Dopo un breve periodo di disoccupazione e una serie di lavori saltuari, nel marzo 1930, per interessamento di M. Masi, direttore dell'Istituto nazionale per l'esportazione, veniva chiamato da G. Gentile a Roma, alla redazione dell'Enciclopedia Italiana, dove avrebbe curato per quattro anni le voci della sezione "Industria" (voll. IX-XXII).

Qui ebbe contatti importanti col gruppo di giovani intellettuali (F. Chabod, W. Maturi, W. Giusti, G. Calogero), non fascisti per la maggior parte, pur se attivamente coinvolti nelle istituzioni culturali del regime. Ebbe un confronto serrato anche con U. Spirito, gentiliano e fascista eterodosso, critico aspro dell'economia liberale e teorico di un corporativismo collettivistico. Il L. dovette avvertire nel suo pensiero non poche esigenze (presenza dello Stato nell'economia, "economia programmata", superamento dell'ortodossia liberistica) che, dopo la grande crisi del 1929, emergevano anche nel più audace pensiero liberaldemocratico inglese e americano, ma negò con forza che Spirito fosse riuscito a "costruire il sistema della nuova scienza" (Scritti1925-1953, p. 50). Insomma, le esigenze di "razionalizzazione economica" dovevano esser fatte valere ancora all'interno dell'economia di mercato, cui il L. continuava a legare strettamente la scienza economica e i suoi presupposti (ibid., p. 76).

Nell'ambiente dell'Enciclopedia, il L. incontrò Orsola Corrado, siciliana, di un anno più giovane di lui, addetta allo schedario, che sposò nel luglio 1934 e da cui ebbe due figli, Luisa e Giorgio.

Ancora grazie alla mediazione di Masi, R. Mattioli gli propose di entrare alla Banca commerciale italiana (Comit) come vicecapo dell'Ufficio studi, diretto da A. Gerbi. L'11 maggio 1934 accettò l'incarico e nei mesi successivi si trasferì a Milano.

L'istituto stava faticosamente emergendo da una crisi gravissima. Una delle prime scelte strategiche di Mattioli, nuovo amministratore delegato, fu il rilancio dell'Ufficio studi, affidato dal 1932 a Gerbi e destinato a un lavoro continuo di documentazione e d'informazione in materia economico-finanziaria, a diretto supporto delle scelte più impegnative del nuovo gruppo dirigente; nel 1938, a cura dell'Ufficio studi, in collaborazione con la Banca d'Italia e sotto la supervisione di G. Mortara, uscì L'economia italiana nel sessennio 1931-1936 (Roma 1938), un'opera in tre volumi rimasta famosa, alla cui realizzazione il L. collaborò.

Quando, nel 1938, Gerbi lasciò l'Italia per la sopravvenuta legislazione razziale, il L. gli successe alla guida dell'Ufficio.

L'esperienza del decennio milanese fu per lui di straordinaria importanza: entrò con maggior decisione in contatto col pensiero economico internazionale, fece la conoscenza delle opere di J.M. Keynes, dell'esperienza del New Deal, del fabianesimo e del vario laburismo inglese e scandinavo, insomma delle molteplici ipotesi o esperienze di intervento pubblico nell'economia, di cui si discusse negli anni Trenta. Erano idee congeniali al L., già sensibile all'"intervenzionismo" nittiano, che lo inducevano a una riconsiderazione critica dei problemi dell'economia e della società italiana.

Nell'entourage di Mattioli strinse numerose amicizie: particolare importanza ebbero gli assidui contatti con F. Parri, che lavorava dal 1934 all'Ufficio studi della Edison, e con l'avvocato irpino A. Tino. Intorno a loro si formò, nei primi anni Quaranta, quel gruppo milanese che, insieme con i liberalsocialisti di G. Calogero e A. Capitini e gli eredi di Giustizia e libertà, fu uno degli incunaboli del Partito d'azione e contribuì, in modo pressoché esclusivo, alla prima organizzazione del movimento.

Il L. svolse un ruolo centrale nella stesura dei cosiddetti Sette punti (più tardi pubblicati nel primo numero del giornale clandestino Italia libera [gennaio 1943]). Approvati alla fine del maggio 1942 in un'assemblea che si era tenuta clandestinamente a Milano, prevedevano l'opzione repubblicana, il decentramento amministrativo, la nazionalizzazione dei grandi complessi finanziari, industriali e assicurativi, la libertà di iniziativa economica per le piccole imprese individuali e associative, una radicale riforma agraria, la libertà sindacale e una partecipazione operaia agli utili dell'impresa, la separazione fra Stato e Chiesa, la federazione europea.

Il 4 giugno 1942, nella casa romana dell'avvocato F. Comandini, si tenne un convegno clandestino che decise la costituzione del partito per il quale il L. propose il nome di Partito democratico, rifacendosi all'esperienza rooseveltiana, ma che poi assunse quello di Partito d'azione. Nelle stesse settimane preparava, con Tino, un documento per C. Sforza, esule negli Stati Uniti, allo scopo di informare le autorità americane dell'esistenza di un movimento antifascista democratico in Italia e predisporle in senso contrario a ogni ipotesi di collaborazione con la monarchia (Scritti1925-1953, pp. 91-94).

In tutta questa prima fase, il L. cercò sempre di avere dalla sua parte B. Croce, conosciuto nel decennio precedente, ma questo proposito naufragò di fronte ai gravi contrasti che si svilupparono fra l'ala sinistra (liberalsocialista, giellista) e l'ala destra (Cattani e liberali) del partito. Il L. cercò di svolgere un'opera di mediazione e, a questo scopo, nel marzo 1943 si incontrò a Firenze con C.L. Ragghianti e Calogero, ma le Precisazioni che ne scaturirono (pubblicate sul n. 3 di Italia libera), col netto rifiuto del "conservatorismo che si dà veste liberale" che contenevano, provocarono la rottura definitiva col filosofo (Scritti1925-1953, pp. 111 s.).

Per sfuggire agli arresti che colpirono gli ambienti antifascisti nell'aprile 1943, il L. espatriò in Svizzera, dove ebbe frequenti incontri con A. Dulles, capo dei servizi segreti americani in quel paese. Dopo la caduta di Mussolini, già il 26 luglio faceva ritorno in Italia: il 10 agosto intervenne a Roma alla riunione del gruppo dirigente del PdA, che elaborò una piattaforma nettamente contraria a ogni collaborazione con la monarchia e col governo Badoglio, e lo stesso L., con R. Bauer, la presentò e la fece sostanzialmente approvare al Comitato dei partiti antifascisti della capitale due giorni dopo. Un accordo molto preciso a questo riguardo fu stretto col Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP, poi PSI) e col Partito comunista italiano (PCI) il 30 agosto, e la pregiudiziale antimonarchica e antibadogliana fu ribadita dal congresso azionista che si tenne clandestinamente a Firenze il 5-6 settembre.

A Roma il L. se ne fece instancabile sostenitore nelle riunioni del Comitato di liberazione nazionale (CLN), alla cui costituzione, nella casa di I. Bonomi, presenziò come rappresentante del PdA (9 settembre). Nella seduta del 16 ottobre, anche di fronte alla fuga del re e di P. Badoglio a Brindisi e alla costituzione della Repubblica sociale italiana (RSI), prevalse la tesi del "congelamento" della monarchia, la cui esistenza sarebbe stata decisa alla fine della guerra da una consultazione popolare.

Nell'inverno successivo, il L., rimasto a Roma, si impegnò soprattutto nell'elaborazione programmatica del PdA: nel dicembre 1943 stampò clandestinamente l'opuscolo Per la rinascita dell'Italia e subito dopo fissò i cosiddetti "10 punti" (Scritti 1925-1953, pp. 124-135), in cui continuava a escludere una nazionalizzazione completa della vita economica e attribuiva allo Stato un ruolo di coordinamento fra il settore pubblico e quello privato.

Delineava, insomma, un partito a base prevalentemente borghese, che avrebbe dovuto svolgere un ruolo democratico avanzato, ma non socialista. Il documento del L. circolò clandestinamente e si attirò le violente critiche di E. Lussu, che lo attaccò come espressione di un "socialismo rooseveltiano", essenzialmente "borghese", presentandosi di fatto come capo dell'ala più esplicitamente classista e socialista del PdA.

Il ritorno di P. Togliatti in Italia e la disponibilità a collaborare con la monarchia e col governo Badoglio, da lui dichiarata, segnarono una crisi drammatica nei rapporti fra i partiti antifascisti: il PdA restò fuori del nuovo governo Badoglio, il primo fra i governi di unità nazionale (22 apr. 1944). Dopo la liberazione della capitale (4 giugno) e la nomina di Umberto di Savoia a luogotenente generale del Regno, l'azione del L. (con quella di P. Nenni) fu determinante nella liquidazione politica di Badoglio e nella formazione del governo Bonomi, designato dal CLN, non dal luogotenente, con cui l'Italia usciva di fatto dalla legalità statutaria e apriva la sua fase precostituente. Nell'estate seguente, al congresso delle organizzazioni azioniste del Mezzogiorno (Cosenza, 4-5 agosto), vennero definitivamente alla luce i contrasti all'interno del partito. Nel suo intervento, il L. ribadì una visione non classista della società e propose un partito democratico che si ponesse come terzo rispetto al blocco socialcomunista e a quello democristiano e liberale (ibid., pp. 181 s.).

Il L. cominciava ad avvertire la natura minoritaria del PdA e il rischio che la sua posizione risultasse sempre più marginale. In una serie di articoli del gennaio 1945, quando ormai si era formato il secondo governo Bonomi senza ministri azionisti e socialisti, il L. presentava al partito di Nenni una proposta su cui sarebbe tornato più volte nei decenni successivi: quella di un'iniziativa comune dei partiti democratici e socialisti, di una concentrazione democratica, che raccogliesse ceti operai e strati sociali intermedi e dialogasse, non in posizione subalterna ma su basi paritarie, col partito cattolico, valorizzandone le componenti riformatrici e progressive. Questa prospettiva comportava la rottura dell'unità d'azione fra socialisti e comunisti e l'approdo del PSI alla democrazia europea, in linea con la maggior parte dei partiti socialisti del continente (ibid., pp. 269-282). Allora, come molte altre volte successivamente, la risposta dei socialisti fu negativa e, quindi, al L. mancò a lungo una sponda fondamentale nel rapporto con la Democrazia cristiana (DC), verso cui sempre più cominciava a guardare.

Nel governo Parri (21 giugno - 10 dic. 1945), il L. fu ministro dei Trasporti, dando un forte impulso al ripristino della rete ferroviaria e stradale e alla ripresa del commercio interno. Nel successivo governo De Gasperi assunse il ministero della Ricostruzione e poi (22 dic. 1945 - 20 febbr. 1946) il nuovo dicastero del Commercio con l'estero: si dimise dal governo nello stesso giorno in cui lasciò il PdA.

Lo scontro decisivo fra le due anime del partito aveva avuto luogo al congresso di Roma (4-8 febbraio), dove il L. aveva svolto un ampio intervento (ibid., pp. 341-358) in cui ricostruiva le vicende del movimento fin dalle sue origini, polemizzava fieramente con Lussu (la polemica diretta con avversari interni o esterni fu sempre una delle caratteristiche più efficaci della sua oratoria politica), criticava il "finalismo" dei partiti socialisti e della maggioranza azionista, la necessità di inserire i propri progetti di riforma in un disegno di mutamento globale che finiva spesso per spostare su posizioni difensive e conservatrici le masse moderate. Il L. cominciava a contrapporre a questo "finalismo" un pragmatismo di fondo, che avrebbe costituito una delle note distintive del suo pensiero.

Il 20 febbraio Parri e il L. fondarono il Movimento della democrazia repubblicana (ibid., pp. 358-363), che tuttavia (al pari del superstite PdA) alle elezioni del 2 giugno subì una grave sconfitta, riuscendo a eleggere alla Costituente solo i due leaders. Seguì la sua rapida disgregazione: l'8 settembre, seguendo l'invito di R. Pacciardi, Parri e il L. aderirono al Partito repubblicano italiano (PRI) e furono cooptati nella direzione.

L'incontro con questa formazione politica fu tutt'altro che facile: si trattava di un partito ancora fortemente legato a tradizioni ottocentesche, poco pratico del mondo e dell'economia moderni, nel quale restavano vivi atteggiamenti nel contempo sovversivi e patriottici, liberistici e solidaristici. La lenta ascesa ai suoi vertici, culminata nell'elezione alla segreteria nel 1965, e la contemporanea trasformazione in partito moderno, espressione di una borghesia illuminata ed "europea", eppure dotato anche di una base popolare, fu probabilmente uno dei capolavori politici del La Malfa.

Alla fine del 1947, quando Pacciardi fu chiamato alla vicepresidenza del Consiglio nel quarto governo De Gasperi, il L. entrò nel triumvirato che lo sostituì alla guida del PRI; nel successivo congresso di Napoli (5-8 febbr. 1948) fu eletto nel comitato esecutivo; dopo le elezioni del successivo 18 aprile diventò presidente del gruppo parlamentare alla Camera.

Per tutto l'anno precedente aveva appoggiato la rotta d'avvicinamento del PRI alla DC di De Gasperi, a ciò spinto dall'evoluzione della situazione internazionale, dai progressi del comunismo in Europa, dal precisarsi degli schieramenti della guerra fredda.

Dopo le elezioni del 18 apr. 1948 si aprì la stagione del centrismo degasperiano, "il periodo più costruttivo della vita italiana" del dopoguerra secondo il L., che ne divenne progressivamente uno dei protagonisti, sia sul piano internazionale sia in politica economica. Dal luglio al dicembre di quell'anno, a Mosca, guidò la delegazione incaricata di definire la questione delle riparazioni dovute all'Unione Sovietica e l'11 dicembre firmò un trattato di commercio e navigazione fra i due paesi.

L'esperienza diretta della realtà sovietica gli fece sentire ancora più vivamente l'importanza della collocazione occidentale dell'Italia: nei mesi seguenti si impegnò a fondo, in Parlamento e nel paese, nella battaglia per l'adesione al Patto atlantico, sempre avvertito in piena sintonia con l'opzione europeistica, che nello stesso tempo veniva avviata.

Il 26 luglio 1949 fu eletto al Consiglio d'Europa a Strasburgo e, nominato vicegovernatore del Fondo monetario internazionale, compiva, in settembre, un primo viaggio negli Stati Uniti.

La linea di politica economica che il L. allora elaborò sviluppava le analisi e le impostazioni maturate negli uffici della Comit: la prospettiva di un intervento attivo dello Stato nell'economia era messa alla prova dei problemi della ricostruzione e della ripresa economica. Di fronte all'afflusso dei fondi del Piano Marshall e al problema della loro utilizzazione, il L. sostenne una linea produttivistica che non li concepiva semplicemente come massa di riserva valutaria, ma come base per investimenti produttivi: in tale prospettiva marcò il suo disaccordo (in sintonia con i democristiani P. Saraceno ed E. Vanoni) dalla linea seguita dal ministro del Tesoro, G. Pella.

Dopo le dimissioni del quinto governo De Gasperi (12 genn. 1950), propose una nuova politica economica, che mirasse a superare gli squilibri storici della società italiana attraverso un più ampio intervento dello Stato nel settore degli investimenti (Scritti 1925-1953, pp. 569-572). De Gasperi sostanzialmente accolse quell'invito e il 27 gennaio formò il suo sesto governo con il PRI e il Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), con un programma riformatore che comprendeva la riforma agraria e l'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Il L. vi entrò come ministro senza portafoglio con l'incarico di provvedere al coordinamento dei programmi d'azione degli enti e delle società a partecipazione statale.

Il 9 apr. 1951 presentava una relazione (ibid., pp. 644-692) in cui rifiutava una concezione dell'intervento pubblico come mera operazione di salvataggio e ne affermava la necessaria razionalità economica. Giudicava inoltre indispensabile ricondurre tutte le partecipazioni statali sotto il controllo dell'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), che doveva costituire il nucleo di un nuovo ministero cui sarebbero stati assegnati compiti di vigilanza e di coordinamento.

Il 9 apr. 1951 assunse il ministero del Commercio con l'estero, incarico confermato anche nel settimo governo De Gasperi (26 luglio 1951), composto unicamente da DC e PRI. Il successivo 1° novembre, il L. inaugurava la politica di liberalizzazione dei cambi.

Facendo leva sulla situazione ampiamente creditoria dell'Italia nei confronti degli altri paesi dell'Unione europea dei pagamenti (EPU), stabiliva la riduzione del 10% di tutti i dazi doganali e aboliva i contingentamenti sul 98% delle merci in entrata dagli altri paesi dell'EPU. Fu una decisione di portata storica: interrompendo una politica protezionistica che aveva in Italia un lungo passato, metteva finalmente alla prova della concorrenza estera il sistema industriale italiano e cercava di valorizzare l'agricoltura meridionale. La risoluzione incontrò vivacissime opposizioni da parte della Confindustria e della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e suscitò dure polemiche (ibid., pp. 695-710), ma risultò poi una delle premesse principali del successivo "miracolo italiano".

Lo sfaldamento a destra della maggioranza di governo, visibile nelle elezioni amministrative del 1951-52, il bisogno di evitare ogni ricorso ai voti dell'estrema destra (il L. aveva contrastato duramente l'"operazione Sturzo" in occasione delle amministrative romane del 1952), il pratico insuccesso di ogni appello per un'intesa fra i partiti laici indussero il PRI ad appoggiare la legge maggioritaria proposta da De Gasperi in vista delle elezioni politiche del 1953: questa scelta provocò l'abbandono del partito da parte di Parri che fondò con P. Calamandrei il gruppo di Unità popolare. Al termine di uno scontro durissimo, la legge non scattò (7 giugno 1953) e anche il PRI subì una grave sconfitta. Dopo una legislatura in cui avevano partecipato ininterrottamente al governo, i repubblicani iniziarono una fase di disimpegno che sarebbe durata fino al marzo 1962: in questi nove anni, mantennero un rapporto di "solidarietà democratica" con gli altri partiti della coalizione centrista, scegliendo volta per volta l'atteggiamento da prendere rispetto ai singoli governi.

Il L. aveva compreso, già all'indomani della sconfitta elettorale, che il centrismo era politicamente esaurito e che bisognava procedere gradualmente a un allargamento della maggioranza al PSI, creando nel contempo un polo di forze di centro-sinistra che fosse in grado di condizionare e collaborare alla pari con la DC.

A questo scopo era importante innanzitutto un rafforzamento organizzativo e politico del PRI, un "piccolo partito di massa" al centro di una costellazione di organizzazioni di vario tipo (la Unione italiana del lavoro [UIL], l'Unione goliardica italiana, il movimento cooperativo repubblicano) e una sua più capillare presenza nella società e nel mondo della cultura.

Molto intensa fu, negli anni seguenti, la collaborazione del L. con le principali riviste della cultura laica (Il Mondo, Nord e Sud) e rilevante il suo contributo ai loro temi più caratteristici (atlantismo, laicismo, europeismo, meridionalismo, libertà della cultura): egli fu l'uomo politico italiano di parte non comunista che intrattenne il rapporto più stretto con gli ambienti intellettuali.

Nessun successo ebbe invece il progetto di una "terza forza": il PLI, con la segreteria Malagodi, si spostò a destra; il Partito socialista democratico italiano (PSDI) privilegiò sempre il rapporto col PSI; l'alleanza elettorale col nuovo partito radicale, in occasione delle elezioni politiche del 1958, ebbe un risultato estremamente deludente. Insomma, il PRI affrontava la nuova stagione politica in una posizione ancora fortemente minoritaria. La necessità di distaccare il PSI dal PCI accentuò la polemica anticomunista: durante il 1956, di fronte al XX congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica (PCUS) e all'invasione dell'Ungheria, il L. condusse una discussione assai intensa sulle prospettive del comunismo mondiale e di quello italiano, raccolta poi nel volume La crisi del comunismo e la via della democrazia (Bologna 1957).

La prospettiva del centro-sinistra andava creando divisioni anche all'interno del PRI.

Facendo leva sul tradizionale antisocialismo dei repubblicani e sostenendo la vitalità della scelta centrista, Pacciardi contrastò l'apertura a sinistra: lo scontro, iniziatosi al XXV congresso (Roma, 16-19 marzo 1956), praticamente si concluse al XXVII (Bologna, 3-6 marzo 1960), che dichiarò l'esaurimento della formula centrista e confermò alla segreteria O. Reale, che in questa battaglia aveva sostenuto il L.; Pacciardi sarebbe stato espulso dal PRI nel 1964.

Dopo le convulse settimane del luglio 1960, il L. salutò con favore la crisi del governo Tambroni e assicurò l'appoggio al nuovo governo Fanfani, tutto democristiano, ma sostenuto da PRI, PSDI e PLI e favorito dall'astensione del PSI. Dopo il congresso DC di Napoli, il 2 marzo 1962, col nuovo governo Fanfani (DC, PRI, PSDI, astensione del PSI) si apriva la nuova stagione politica che, dopo quasi dieci anni, avrebbe visto il ritorno del L. al governo come ministro del Bilancio.

Il suo programma trovò un'efficace sintesi nella Nota aggiuntiva alla Relazione generale sulla situazione economica del paese che venne presentata al Parlamento il 22 maggio 1962 (poi in Verso la politica di piano, Napoli 1962).

Centrale nella sua proposta era una politica di programmazione intesa non come "un mezzo di redistribuzione temporanea dei redditi che il processo di sviluppo della nostra economia concentra nelle altre zone, ma un fattore di profonda modificazione del meccanismo esistente". Il L. volle fornirle una strumentazione politica e istituzionale con la creazione della Commissione nazionale per la programmazione economica (7 ag. 1962), di cui chiamò a far parte economisti, tecnici, ma anche i rappresentanti delle parti sociali. Solo col coinvolgimento attivo dei sindacati e degli imprenditori sarebbe stato possibile attuare la "politica dei redditi" che era al cuore del suo progetto: essa avrebbe consentito quella crescita controllata della variabile salariale, e quindi dei consumi privati, indispensabile per una politica di investimenti produttivi nelle zone depresse, che non suscitasse nel contempo tendenze inflazionistiche. Patto sociale, politica dei redditi, programmazione economica, austerità: queste le linee chiave di una politica "neocorporativa" con cui il L. credeva di poter mantenere l'espansione economico-produttiva di quegli anni e promuovere la razionalizzazione dello sviluppo. L'opposizione di buona parte del mondo industriale, ma anche della CGIL e del PCI, e i diversi intendimenti dei socialisti e della DC vanificarono la proposta del L., che fu "l'unico tentativo di introdurre in Italia una riflessione meditata e compiuta sul modo di gestire democraticamente il processo di ampliamento dell'eguaglianza sociale, almeno nei termini in cui se lo andavano ponendo le forze progressiste e propriamente "socialdemocratiche" europee" (Craveri, La Repubblica…, p. 112).

La "congiuntura" (ripresa delle lotte operaie, forti aumenti salariali, espansione della spesa pubblica, rincorsa degli stipendi, ripresa inflazionistica, esaurimento provvisorio del ciclo espansivo), l'esito non favorevole delle elezioni del 28 apr. 1963 e la fine del governo Fanfani frenarono lo slancio riformatore dell'alleanza di governo, che aveva avuto nella nazionalizzazione dell'energia elettrica, sostenuta anche dal L., un altro momento importante. Anche questa esperienza si chiudeva sostanzialmente con una sconfitta, tanto che il L. si tenne lontano da incarichi governativi per un altro decennio. Nel periodo del centro-sinistra "organico", ma anche dopo le elezioni politiche del 1968, il L., dal 1965 segretario del suo partito, si trovò stretto fra un'alleanza ormai incapace di attuare la strategia riformatrice per cui era nata e un'opposizione approdando alla quale il PRI avrebbe smarrito la sua identità.

Si trattava di una posizione complessa, per taluni tratti ambigua: la politica di collaborazione critica con la DC non aveva alternativa, ma il L. non si faceva più illusioni sulla sua incisività. Nello stesso tempo cominciò ad avvertire i limiti della cultura politica presente nel PSI, che si manifestavano anche nella sua pratica di governo.

Il L. si atteggiò quindi a coscienza critica della maggioranza: il suo frequente ricorso alle dimissioni, il rifiuto di incarichi ministeriali, i ritiri delle delegazioni repubblicane sono sintomi evidenti di questo disagio. Alla metà degli anni Sessanta, iniziò un più fitto dialogo con alcuni esponenti del PCI (Discutendo della sinistra con Ingrao, Amendola, Foa, Lombardi, a cura di A. Battaglia - D. Bogi, Roma 1999), nella speranza di farne emergere le contraddizioni e di "redimerlo" a una cultura democratica.

Anche questo sforzo disperato testimoniava il suo pessimismo crescente sulla tenuta del Paese e sulle possibilità di riformare le strutture dello Stato. Di qui la necessità di trovare referenti esterni, o nell'opposizione comunista, se questa avesse voluto abbracciare la sua impostazione pragmatico-riformatrice, o nei vincoli imposti dall'integrazione europea, che il L. difese fortemente contro il risorgere del "nazionalismo" gaullista (Contro l'Europa di de Gaulle, scritti e discorsi, a cura di A. Battaglia, Milano 1964).

Di fronte alla "contestazione" dei tardi anni Sessanta e all'"autunno caldo" del 1969, alle caratteristiche sempre più evidenti del welfare all'italiana, la sua polemica venne assumendo un tono quasi neoliberale: il vertiginoso aumento della spesa pubblica, lo stravolgimento della dinamica salariale, la diffusione di una cultura contraria all'impresa, il continuo aumento della presa dei partiti sullo Stato, il populismo dilagante costituirono i temi costanti dei suoi interventi, i più importanti dei quali- le relazioni ai congressi repubblicani del 1965, 1968, 1971 e 1975 (raccolti in L'altra Italia. Documenti di un decennio di politica italiana, prefaz. di R. Romeo, ibid. 1975) - sono documenti fondamentali della vita politica e della storia di quegli anni.

Sul piano elettorale, la sua politica ebbe un certo successo e giovò a una relativa crescita del PRI: il partito passò dall'1,4% del 1963 al 2% del 1968, al 2,9% del 1972.

L'ultima stagione politica del L. si aprì nel 1973: dopo aver appoggiato l'anno precedente il governo neocentrista Andreotti-Malagodi, ritirò la sua fiducia per dissensi con la gestione della RAI da parte del ministro delle Poste G. Gioia (28 maggio 1973) e favorì il successivo ritorno al centro-sinistra col quarto governo Rumor (7 luglio 1973), in cui assunse il ministero del Tesoro.

Il momento più importante di questa breve esperienza ministeriale fu la lotta contro il finanziere M. Sindona, vicino al vertice della DC ed espressione di gruppi finanziari legati alla finanza vaticana e anche collusi con la mafia.

Il 28 febbr. 1974, tuttavia, si dimetteva per contrasti col ministro delle Finanze, il socialista A. Giolitti. Il 23 novembre di quell'anno, tornava al governo come vicepresidente del Consiglio nel bicolore DC-PRI presieduto da A. Moro: con lui, pur nelle grandi differenze di carattere e di prospettiva, il L. intrattenne un rapporto "strategico" sia nel centro-sinistra sia nei successivi governi di "unità nazionale". Erano gli anni in cui cominciavano ad avvertirsi i primi sintomi di crisi del sistema politico e l'erosione dello schieramento di centrosinistra giungeva a un punto critico: nella sua relazione al XXXII congresso nazionale del PRI (Genova, 27 febbraio - 2 marzo 1975), il L. affermava l'"ineluttabilità del compromesso storico" proposto dal PCI e lo giudicava un progetto con un "contenuto concreto", realizzabile in un quadro di evoluzione dei rapporti internazionali.

In quel congresso si svolse un conflitto drammatico fra il L. e il collegio dei probiviri per la questione del deputato A. Gunnella, accusato di condurre una politica clientelare e di intrattenere rapporti compromettenti in Sicilia: il L. lo difese strenuamente e il 68% del congresso si schierò con lui.

A conclusione dei lavori, tuttavia, il L. preferì lasciare la segreteria a O. Biasini e diventare presidente del partito.

L'esito delle elezioni del 20 giugno 1976, la gravissima crisi finanziaria, l'assalto allo Stato da parte del terrorismo rosso e nero fecero maturare la politica di "unità nazionale", che, dopo trent'anni, segnava il ritorno del PCI nell'area di governo: il 6 agosto si formava un governo monocolore presieduto da G. Andreotti, che si giovò delle astensioni dei partiti dell'arco costituzionale. Di fronte all'emergere del terrorismo, il L. divenne uno dei leaders più impegnati nella politica di ferma difesa dello Stato. Il rapimento di A. Moro (16 marzo 1978), avvenuto a ridosso della formazione di un nuovo governo Andreotti basato sul voto favorevole di PCI, PSI, PSDI e PRI, rafforzò ulteriormente questa scelta.

Il L. fu uno dei più decisi fautori della linea della "fermezza", del rifiuto, cioè, di ogni trattativa coi brigatisti, trovando una sponda decisiva nel PCI di E. Berlinguer.

Il 21 marzo 1978, La Stampa di Torino pubblicò un suo articolo, Communism and democracy in Italy, per la rivista Foreign Affairs, in cui proclamava l'affidabilità del PCI e la sua coerenza democratica. Ma anche i comunisti, come i socialisti, furono da lui "a lungo attesi, mai veramente incontrati" (Craveri, U. L.: commem., p. 19).

Lo dimostrarono le discussioni dell'estate successiva in cui il L. escluse una "terza via", vagheggiata dal PCI, ma anche dal PSI, fra l'economia di mercato e il "socialismo reale", e affermò risolutamente che tutte le esperienze socialdemocratiche e laburiste non erano che espressioni della società occidentale.

Alla fine dell'anno, si batté strenuamente per l'adesione dell'Italia al "serpente monetario europeo", su cui svolse il suo ultimo intervento parlamentare (L'avvenire che ho voluto. Scritti e discorsi dell'ultimo anno, prefaz. di G. Spadolini, Roma 1979, pp. 103-118, 151-184): anche questa volta i comunisti non lo seguirono, ponendo fine all'esperienza dei governi di "unità nazionale". Dopo le dimissioni di Andreotti, il 22 febbr. 1979, il L. fu incaricato da S. Pertini di formare un nuovo governo: era la prima volta dal 1947 che un tale incarico era assegnato a un politico non democristiano. Dopo alcuni giorni, di fronte a difficoltà insormontabili, il L. rinunziava all'incarico, ma entrava nel nuovo governo Andreotti (21 marzo 1979) come vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio.

Colto da un improvviso malore il 24 marzo, il L. morì a Roma il 26 marzo 1979.

Le più recenti bibliografie degli scritti del L. sono quelle di: G. Tartaglia, U. L., nota bibliografica, in Annali dell'Istituto Ugo La Malfa, XIII (1998), pp. 387-402; e B. Garzarelli, Scritti di U. L. fino al 1947 e Selezione degli scritti successivi al 1947, entrambi in La via alla politica. Lelio Basso, U. L., Meuccio Ruini protagonisti della Costituente, a cura di G. Monina, Milano 1999, pp. 118-128. Esse vanno integrate con le voci redatte per l'Enciclopedia Italiana, firmate U.L.M., ovvero senza firma: Canestraio (vol. VIII); Cereali. Produzione e commercio. Cenno storico (vol. IX); Cinematografo. Industria; Commercio. Organizzazione del commercio internazionale; Commercio interno (vol. X); Cotone. Industria e commercio dei manufatti. Storia. Principali centri manifatturieri; Cottrell, Frederick Gardner (vol. XI); Distilleria; Edilizia. Industria. L'industria edilizia in Italia (vol. XIII); Lebon, Philippe (vol. XX); Lever, William Hesketh, visconte di Leverhulme; Lino. Storia dell'industria; Lumière, Louis-Jean; Macintosh, Charles (vol. XXI); Commercio. Organizzazione del commercio interno e internazionale (Appendice I). Fra gli scritti e i discorsi raccolti in volume e non ancora citati, ricordiamo: La politica economica in Italia, 1946-1962, a cura di L. Magagnato, Milano 1962; Per la società in trasformazione una sinistra nuova, Roma 1965; Ideologia e politica di una forza di sinistra, Milano 1968; G. Dorso e la classe dirigente meridionale, Roma 1968; Evoluzione e riforma della società, ibid. 1972; Crisi economica e politica dei redditi, ibid. 1972; La Caporetto economica, Milano 1974; Non è in crisi il capitalismo, prefaz. di G. Spadolini, ibid. 1979; Discorsi parlamentari, I-II, Roma 1986; U. L. in Romagna. Scritti e discorsi dal 1947 al 1979, a cura di R. Balzani - A. Varni, Imola 1990; Il Mezzogiorno nell'Occidente. Antologia degli scritti e dei discorsi, a cura di G. Ciranna, Roma-Bari 1991; Che cos'è il Partito d'azione?, a cura di G. Tartaglia, Roma 1993.

Fonti e Bibl.: Le carte del L. sono a Roma, Arch. centr. dello Stato, Archivio Ugo La Malfa, 258 buste (una buona descrizione è in L'archivio Ugo La Malfa, in La via alla politica, cit., pp. 129-131); documenti di polizia del periodo fascista, Ibid., Ministero dell'Interno, Div. Affari generali e riservati, Casellario politico centr., b. 2699, ad nomen; Pubblica Sicurezza, Div. Polizia politica, b. 4, f. La Malfa Ugo. Sue lettere, Ibid., Arch. G. Paratore, Carteggio (1 lettera, 25 marzo 1953); Arch. F. Parri, Carteggio (20 lettere più 2 allegati, 1948-64); Ibid., Fondazione Ugo Spirito, Carteggio U. Spirito (2 lettere, 1934); Ibid., Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Arch. storico, Carteggio redazionale, f. Ugo La Malfa (2 lettere: G. Gentile al L., 27 nov. 1933; il L. a U. Bosco, Milano, 12 ott. 1934). Una copia fotostatica del f. La Malfa nelle carte "Personali di lavoro" di R. Mattioli presso l'Archivio storico della Banca commerciale italiana è in Arch. centr. dello Stato, Carte La Malfa, b. 5, f. 5. Documenti della gestione La Malfa dell'Ufficio studi della Comit sono in Banca commerciale italiana, Arch. storico, Segreteria degli amministratori delegati Facconi e Mattioli (AD1), cart. 21, f. 2, Miscellanea di studi e promemoria, 1939-1943 (cfr. Banca commerciale italiana, Archivio storico, Collana inventari, s. 2, vol. II, Segreteria degli amministratori delegati Facconi e Mattioli (1926-1972), Milano 2000, pp. 72 s.). Fra i carteggi pubblicati: lettera a Giovanni Amendola (Palermo, 5 luglio 1925), in E. Amendola Kühn, Vita con G. Amendola, Firenze 1960, pp. 578 s.; Il carteggio tra La Malfa e F. Chabod, a cura di G. Torlontano, in Annali dell'Istituto Ugo La Malfa, I (1985), pp. 499-513; M. Martelli, Il carteggio La Malfa - De Gasperi, ibid., II (1986), pp. 377-394; Carteggio La Malfa - Nenni (1947-1971), Roma 1991; M. Martelli, Il carteggio U. La Malfa - V. Torraca, in Annali dell'Istituto Ugo La Malfa, XIII (1998), pp. 335-352. Fra le pubblicazioni di documenti: Appunti riservati (1950-1979), a cura e con introduzione di P. Soddu, ibid., XVII (2002), pp. 21-197.

Le due bibliografie di G. Tartaglia e di B. Garzarelli sopra citate comprendono anche un'ampia sezione riguardante gli scritti sul L.: ci limitiamo qui ai fondamentali. Disponiamo di alcune biografie complessive: S. Telmon, L., Milano 1971 (poi: L., il professore della Repubblica, ibid. 1983); E. Ceccarini, U. L., una vita politica, Napoli 1985; P.J. Cook, U. L., Bologna 1999. Molto rilevanti sono i contributi biografici di P. Soddu, Sulla formazione di U. L., in Studi storici, XXVI (1985), pp. 789-811; Id., Dall'antifascismo alla Repubblica. La formazione e la lotta al regime, in Annali dell'Istituto Ugo La Malfa, I (1985), pp. 409-498; Id., Gli anni del centrismo, ibid., XIII (1998), pp. 121-144. Ancora utile la Cronologia, a cura di M. Scioscioli, in Archivio trimestrale, V (1979), pp. 271-287. Un gran numero di necrologi e scritti sul L., usciti nell'anno successivo alla sua morte, fu riunito in Per U. L., a cura di G. Spadolini, Roma 1980. Molti dati biografici e importanti valutazioni storico-politiche si trovano in pubblicazioni del venticinquennio successivo dedicate alla sua figura: Archivio trimestrale, V (1979), pp. 153-352 (numero monografico dedicato al L.); Arch. centr. dello Stato - Istituto di studi Ugo La Malfa, U. La Malfa. Mostra storico documentaria (catal.), a cura di L. La Malfa - A.G. Ricci, Roma 1981; U. L.: un democratico per l'Europa, con prefaz. di R. Romeo, Firenze 1984; Dal corporativismo allo sviluppo. Cinquant'anni di politica ed economia in Italia: l'azione di U. L., a cura di G. Tartaglia, Roma 1984 (nel quale cfr.: E. Galli della Loggia, U. L. e la questione dei gruppi dirigenti riformatori nella vicenda politica italiana, pp. 11-24; P. Pettenati, La democrazia economica e l'intervento dello Stato nell'economia: la posizione di U. L., pp. 25-34); A dieci anni dalla scomparsa di U. L.: U. L., un futuro per l'Italia, in Almanacco repubblicano 1989, a cura di G. Picciotti, Roma 1988, pp. 41-254; U. L. dieci anni dopo, Roma 1989; G. Galasso, U. L., in Il Parlamento italiano 1861-1892, XXI, 1973-1976, Milano 1992, pp. 243-264; U. L. a venti anni dalla scomparsa, in Annali dell'Istituto Ugo La Malfa, XIII (1998), numero monografico; G. Galasso, U. L.: pensiero e azione negli anni 1943-1953, in La via alla politica, cit., pp. 87-98; Ricordo di U. L.: commemorazione nel ventesimo anniversario della morte, Roma 1999 (in partic. v. l'intervento di G. Sasso, pp. 13-33); U. L., commemorazione nel centenario della nascita, Roma 2003 (in partic. l'intervento di P. Craveri, pp. 13-28); La Sicilia di U. L.: società, cultura e politica nella Palermo degli inizi del '900, in U. L.: 1903-2003. Centenario della nascita di U. L.: apertura ufficiale delle celebrazioni, Palermo… 2003, a cura di C. Scibilia, Roma 2003, pp. 129-214; Celebrazione ufficiale, ibid., pp. 219-252; L. Mechi, L'Europa di U. L.: la via italiana alla modernizzazione (1942-1979), prefaz. di A. Varsori, Milano 2003; A. Duva et al., U. L., l'idea di un'altra Italia, Milano 2003.

Sulla prima giovinezza, cfr. la testimonianza di L. La Malfa, Gli inizi di U. L. nel ricordo della figlia, Roma 1984. Per momenti successivi della sua biografia politica: A. Manzella, Il tentativo La Malfa, Bologna 1980; G.C. Tartaglia, U. L. dall'azionismo al centrismo, in L'Italia negli anni del centrismo. Atti del Convegno…, Bari… 1988, a cura di G. Ciranna, Roma 1990, pp. 243 ss.; E. Ceccarini, U. L. e il Sessantotto, in Annali dell'Istituto Ugo La Malfa, XII (1997), pp. 235-254; U. L. alla Costituente, in La via alla politica, cit., pp. 132-136; A. Battaglia, I tre progetti di L., in Id., La sinistra dei nuovi tempi, Venezia 1997, pp. 64-95. Sul L. e Giovanni Amendola: S. Colarizi, I democratici all'opposizione. Giovanni Amendola e l'Unione nazionale (1922-1926), Bologna 1973, pp. 164 s.; sul rapporto fra il L. e Giorgio Amendola, Giorgio Amendola, Una scelta di vita, Milano 1976, passim; sulla fine di Pietre, cfr. Pietre. Antologia di una rivista (1926-1928), a cura di G. Marcenaro, Milano 1973, pp. 33-37; per il rapporto con U. Spirito, U. Spirito, Memorie di un incosciente, Milano 1977, p. 59. Sul L., Mattioli e la Comit: G. Toniolo, Cent'anni, 1894-1994. La Banca commerciale e l'economia italiana, Milano 1994, pp. 80 s.; G. Galli, Il banchiere eretico. La singolare vita di R. Mattioli, Milano 1998, ad ind.; F. Pino, Introduzione a Banca commerciale italiana, Archivio storico, Collana inventari, s. 2, vol. II, Segreteria degli amministratori delegati Facconi e Mattioli (1926-1972), Milano 2000, ad nomen; G. Montanari, L'Ufficio studi della Banca commerciale italiana e il suo ruolo nell'organizzazione della Banca (1919-1945), in Imprese e storia, dicembre 2001, n. 24, pp. 307-329; S. Gerbi, R. Mattioli e il filosofo domato, Torino 2002, ad indicem. Sul L. e il Partito d'azione: C.L. Ragghianti, Disegno della Liberazione italiana, Pisa 1954, passim; M. Vinciguerra, I partiti italiani dal 1848 al 1955, Bologna 1955, pp. 146 ss.; E. Aga Rossi, Il movimento repubblicano. Giustizia e libertà e il Partito d'azione, Bologna 1969, ad ind.; L. Valiani, Il Partito d'azione, in G. Bianchi - E. Ragionieri - L. Valiani, Azionisti, cattolici e comunisti nella Resistenza, Milano 1971, pp. 11-148; A. Alosco, Il Partito d'azione dell'Italia liberata e la "svolta di Salerno", in Storia contemporanea, X (1979), pp. 359-376; V. Clodomiro, La politica delPartito d'azione di Cosenza, ibid., XI (1980), pp. 413-466; G. De Luna, Storia del Partito d'azione. La rivoluzione democratica, 1942-1947, Milano 1982, ad ind.; Il Partito d'azione dalle origini all'inizio della Resistenza armata. Atti del Convegno, Bologna… 1984, Roma 1985 (in cui: R. Craveri, L'Ufficio studi della Banca commerciale italiana, pp. 679-682); L. Valiani, L. e Nenni fra rivoluzioni e riforme, in Nuova Antologia, ottobre-dicembre 1986, pp. 73-96. Sul L. e il CLN: I. Bonomi, Diario di un anno (2 giugno 1943 - 10 giugno 1944), Milano 1947, ad nomen. Sulla prima attività ministeriale del L.: Verbali del Consiglio dei ministri luglio 1943 - maggio 1948, ed. critica a cura di A.G. Ricci, V, Governo Parri, Roma 1995; VI, Governo De Gasperi 10 dic. 1945 - 13 luglio 1946, ibid. 1996, ad nomen. Sul L. e il PRI: Organizzazione e politica del PRI 1946-1984, a cura di A. Parisi - A. Varni, Bologna 1985 (specie A. Varni, Scelte politiche e linee organizzative dal 1946 ad oggi, pp. 11-64); A. Spinelli, I repubblicani nel secondo dopoguerra (1943-1953), prefaz. di L. Lotti, Ravenna 1998, ad indicem. Sul L. negli anni del centrismo: V. de Caprariis, L'Italia contemporanea. 1946-1953, in Id., Scritti, III, Momenti di storia italiana nel '900, a cura di T. Amato - M. Griffo, Messina 1986, pp. 99-280; P. Craveri, U. L. dal centrismo al centro-sinistra, in Id., La democrazia incompiuta. Figure del '900 italiano, Venezia 2003, pp. 211-242. All'azione politica del L. fanno riferimento, ovviamente, tutte le storie dell'Italia repubblicana uscite nell'ultimo quindicennio: frequenti e acute osservazioni sono soprattutto in P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, Torino 1995, ad indicem. Sull'atteggiamento del L. di fronte alla legge maggioritaria, G. Quagliariello, La legge elettorale del 1953, Bologna 2003, ad indicem. Sulla sua azione europeistica molte notizie in R. Giordano, La costruzione dell'Europa comunitaria. Lettere a J. Monnet, 1955-1959, a cura di F. Attal, Manduria 1997, ad indicem. Per la sua attività culturale: G. Galasso, Intellettuali e società di massa in Italia (1945-1980): l'area laica, in Id., Italia democratica. Dai giacobini al Partito d'azione, Firenze 1986, pp. 195-265; A. Cardini, Tempi di ferro. Il Mondo e l'Italia del dopoguerra, Bologna 1992, ad indicem.

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