Ugo Foscolo, Opere: Avvertenza

I Classici Ricciardi: Introduzioni (1995)

Ugo Foscolo, Opere: Avvertenza

Franco Gavazzeni

La scelta dei testi qui raccolti è dovuta al proposito di definire l'immagine dell'opera foscoliana quale essa apparve agli occhi dei suoi contemporanei. La presenza di titoli ignoti agli stessi, e riaffiorati alla superficie postumamente, è poi dettata dalla loro obiettiva rilevanza nell'arco di un diagramma, sia pure solo antologicamente tracciato. Oltre a risparmiare al curatore di imbattersi con sospetta frequenza nei propri gusti, tale criterio consente di tentar di distinguere quanto il Foscolo storicamente rappresentò, in forma effettiva, nella cultura italiana tra la fine del Sette e l'inizio dell'Ottocento, da quanto potenzialmente avrebbe potuto rappresentare, e di fatto significò, nella coscienza di posteri, presto affascinati dall'autorevole verbo di Giuseppe Mazzini. Che tutto ciò rientri in una casistica abbastanza comune non toglie verità al fatto che tutto ciò si verificò più vistosamente per il Foscolo che per qualunque altro autore della nostra storia ottocentesca, e non poté darsi senza una sua ragione, che varrà la pena di richiamare brevemente, se non altro per renderei ancora una volta edotti della natura dell'equivoco storico, responsabile delle modalità della straordinaria fortuna del poeta.

Certo, dal sonetto per l'abolizione dell'insegnamento della lingua latina, all'Ortis e alle Grazie, attraverso i Sepolcri, per toccare le stazioni più celebri, il cammino può anche sembrare guidato dalla stella politica dei destini risorgimentali. Scopertamente e meno, si è del resto dai più sempre ritenuto che il patrocinio di quella assicurasse alla letteratura foscoliana coerenza e novità, giungendo ad avallare ambigue prefigurazioni, dal poetavate al poeta;soldato, all'aedo del riscatto nazionale, per altro verso rivelatrici della profondità dell'imbricazione nella realtà di un annoso fraintendimento, così come della sua sottile prossimità alla stessa. Al suo scolastico consolidarsi e permanere è imputabile se, dal dopoguerra in poi, l'interesse critico per il Foscolo, nonostante l'alimento dell'Edizione Nazionale, pare essersi complessivamente appannato. Contro un'immagine tanto suasivamente vicina ad altre ben più aborrite, prese infatti ad esercitarsi il giudizio, o pregiudizio, di una concezione dell'impegno dello scrittore che, formulato sull'esempio di una determinata letteratura, per successivi travasi finì per uscire dalla porta della storia, e configurarsi in etichetta applicabile un po' ad ogni caso, senza precisi riguardi cronologici. Tralasciando di addentrarci in una polemica che ci porterebbe lontano dai fini della presente nota, è ancora necessario avvertire come l'arringa antifoscoliana più cospicua dei nostri giorni, splendidamente gestita dalla prestigiosa affabulazione gaddiana, non diversamente si fondasse anch'essa sull'implicita accusa di un impegno identicamente tradito dal poeta, e riferibile non tanto alla società, quanto alle Madri, nella misura in cui l'organica esigenza di assolutezza espressiva foscoliana, scambiata per mera retorica, ripugnava a quel dolce e tormentoso stimolo di proprietà piccolo-borghese, in C. E. Gadda tanto pervicacemente involuto in un inscindibile groviglio di odio-amore, da incarnarsi nella fissazione nevrotica della mise en relief espressionistica, come nella proteica mimesi dialettale.

Né più persuasiva riesce la contrapposizione di un modello pari a quello del Manzoni, che in quadro culturale differente, e con l'ausilio di una diversa ideologia, sul versante insomma opposto a quello battuto dal Foscolo, sembra invece percorrere analogo itinerario. Perché più delle divergenze, tanto ovvie da non dover essere neanche rievocate, colpiscono i punti d'incidenza, generalmente passati inosservati, sulla scorta di inconciliabili e schematiche prospettive, di chiara marca ottocentesca. Non è infatti chi non veda come la decisione di affidare ad una singola impresa il compito di seppellire un passato letterario inattuale perché egualmente caratterizzato dalla coincidenza con la norma rispettivamente tardo-arcadica e neoclassica, tanto in Foscolo che in Manzoni si realizzi nell'elaborazione di una forma condizionata da ragioni che letterarie certo non sono. Ciò che nella precedente tradizione non è mai ravvisabile. Non penso solo al filone che fa capo a Vincenzo Monti, ma anche a quello, ben più responsabile, che prevede le presenze di Parini e Alfieri. Le Poesie (1803) e gli Inni sacri (1815) instaurano con la poesia un rapporto tanto radicalmente anticonformistico, da interrompersi nell'atto stesso di venir dichiarato, per essere quindi riallacciato in circostanze eccezionali da un'occasione particolare, che è ancora la vicenda dei Sepolcri, del Proclama di Rimini, di Marzo 1821 e del Cinque Maggio. Il presidio lombardo dell'esempio pariniano avrà avuto senz'altro il suo peso nel determinare l'accorto vaglio dell'esercizio letterario, così come nel promuovere una vigile coscienza civile degli obblighi dell'uomo di lettere, alla cui coloratura politica avrà altrettanto indiscutibilmente contribuito la lezione alfieriana; ma è sicuro che, prima del Foscolo, a nessuno era stato dato di far dipendere le sorti formali della poesia dalle esigenze del momento storico con altrettanta puntualità (è del resto noto come l'autore dell’ Ortis sia da annoverarsi tra i maggiori responsabili della «nazionalizzazione» dell'autore del Giorno). Se dunque un raffronto tra Foscolo e Manzoni è affacciabile, esso è possibile in quanto si colloca al di là delle singole espressioni, per consegnarsi alla nostra considerazione nella luce del comune impegno dei due scrittori con la realtà del proprio tempo, che non è lo stesso, al di fuori delle rispettive culture, ma dentro un ambiente, quello appunto lombardo, dotato di speciali caratteri. Quanto finalmente importa non è già il vistoso dissenso in cui si pongono, ai due estremi, le Grazie e i Promessi Sposi, ma il punto di tangenza, là dove le due traettorie prendono definitivamente a divergere, per comporsi nell' un caso nella misura aristocratica di un magistero che dalla storia aveva saputo dedurre i princìpi atti a risolvere, iuxta sua principia, le proprie antinomie, e porlesi al di sopra e come fuori di tiro in un iperuranio di virtù laiche; e per parare nell'altro nell'immagine opposta, di una verità che, uscita dalla lunga agonia degli ideali rivoluzionari, all'indomani della Restaurazione, aveva voluto vestire gli umili panni della realtà quotidiana, onde inoltrarsi in un sentiero tanto poco frequentato da obbligare il Manzoni a calare nella giustezza topografica, ambientale, psicologica, e, inizialmente e parzialmente, anche linguistica, una vicenda riaffìorata dalle falde della geologia regionale. Il contatto sembra infatti garantito dalla conclusiva definizione di un confronto globale con la storia, in entrambi i casi ispirato dal netto rifiuto della contemporaneità. Diversamente dal laico Foscolo, la sua revoca al termine ante quem del 1789, dimostrava al cattolico Manzoni intera la fallacia della fiducia razionalistica nell'irreversibilità del progresso delle istituzioni civili. Ciò che, a prescindere dalla segnalata componente ideologica, doveva soprattutto risaltare agli occhi di chi restava a condurre la propria battaglia entro i confini nazionali, tanto da ridar credito alle certezze più elementari. Ma per chi invece, come il Foscolo, ne era stato violentemente espulso in seguito a vicende che non gli concedevano scampo, estromesso dal vivo del dibattito, nel limbo operativo dell'esilio londinese, i propri conti con la storia non potevano altro tradursi che nella gelosa conservazione di quel patrimonio culturale, nel cui quadro aveva a suo tempo preso senso l'intera sua produzione, dalle Ultime lettere alla versione del Sentimental Journey.

A nessuno, ch'io sappia, è mai sfuggito come l'organicità della ricognizione critica foscoliana si affranchi dal pericolo di apparire informata a criteri estemporanei, principalmente in virtù della coerenza prospettica che caratterizza i singoli episodi. Né d'altro canto è passata inosservata la congruenza del canone dei sepolcri di Santa Croce e dell'architettura delle Grazie con la ragione storico-poetica costantemente presupposta alla vasta indagine condotta nel campo della letteratura italiana durante gli anni dell'esilio. Non deve però sorprendere che, scoppiata l'idle enquiry del romanticismo lombardo, il Foscolo reagisse come reagì, sentendosi scavalcato da uomini con i quali, in passato, aveva sovente formato fronte comune, proprio quando la sua opera andava assumendo i tratti di una strenua illustrazione di quella letteratura, che dagli stessi che un tempo gli erano stati a fianco stava per essere, almeno a parole, liquidata alla stregua di inadeguata anticaglia, incapace di dar voce ai problemi che si affacciavano con notevole ritardo sull'orizzonte della cultura italiana.

La carriera del Foscolo si chiudeva dunque con la difesa di valori, la cui progressiva conquista aveva contrassegnato le tappe della sua formazione e affermazione, dai primi passi della giovinezza veneziana, attraverso l'Ortis e le Poesie, su fino alle traduzioni omeriche e di Sterne, ai Sepolcri e alle Grazie. E neppure è senza significato che tale difesa facesse assegnamento sopra strumenti esclusivamente critici. Nei confronti della letteratura italiana l'atteggiamento del poeta, all'inizio, non può immaginarsi diverso da quello che normalmente si potrebbe supporre in un letterato italiano nei riguardi della lingua e letteratura greca e latina, e non sarà poi assimilabile all'operazione pariniana di Ripano, o all'espressionismo puristico alfieriano, proprio perché originalmente determinato da una sostanziale estraneità all'ambito linguistico nazionale. Gli esordi foscoliani non riescono infatti sostanzialmente dissimili da un esercizio di traduzione in una lingua diversa da quella parlata, sulla scorta di modelli suggeriti dalla loro contemporanea notorietà. L'impersonale accettazione degli istituti tardo-arcadici nei componimenti antecedenti la prima campagna italiana del Bonaparte, più che a comprensibile impaccio di principiante, sembra però risalire al fermo proposito di identificarsi con una civiltà ben individuabile, reso in astratto possibile da una perfetta aderenza alla realtà storica. La sua contestazione, avviata da eventi troppo noti per essere qui ricordati, postulando il ricorso a Monti e ad Alfieri, ad autorità cioè poco omogenee al contesto culturale veneto, stabilì un legame con la tradizione che, inizialmente indotto dall'imitazione delle peculiarità stilistiche dei modelli citati, doveva più tardi assumere i caratteri di una conservazione della stessa, resa sempre più marcatamente evidente dalla sua sempre più manifesta contraffazione. Tale il senso del Tieste, oltre che delle odi politiche del '97, così come dell'Ortis e delle Poesie. Il salto qualitativo è insomma favorito dal passaggio dalla provincia veneta all'ecumene nazionale, e in tanto importa una differenza, in quanto implica un'apertura di compasso ben maggiore, a fronte della primitiva. Così motivi contingenti, come l'appartenenza originale a una comunità linguistica particolare, e motivi relativi alla sempre più netta avversione alle ragioni del Direttorio prima, e di Napoleone Bonaparte poi, agirono d'accordo a far sì che la poesia foscoliana assumesse quel carattere riflesso, come di pronuncia preziosa di un intarsio di citazioni, accortamente predisposte invece al fine di dissimulare nell'omaggio alla tradizione, un contrasto politico di fondo, nella forma propria, e ormai unicamente consentita a un uomo di lettere, da non confondersi però con la memoria della poesia dei poeti (anche, se si vuole, per deformazione professionale, determinante l'istituto, caratteristicamente foscoliano, dell'autocitazione). Qualcosa di geneticamente ben differente da un'epitome di luoghi della lirica, classica e in lingua, informata a criteri estetistici, storicamente improponibili; qualcosa, ancora, per la cui attuazione il Nastro si trovava singolarmente predisposto, stante la dominante strutturale del suo apprendistato.

Del resto, proprio il divorzio dalla cultura coeva, e la precoce disillusione nei destini dell'unità nazionale, mentre da un lato promuovevano una sempre più marcata contrapposizione tra passato e presente, avviando a scoprire, e con intenti progressivi, la dimensione della storia attraverso la valorizzazione dell'autoctonia, dall'altra confinavano il Foscolo in una posizione isolata, progressivamente radicalizzata nella misura in cui il poeta si vedeva costretto a difenderla con decisione tanto maggiore, quanto più sembrava incombere il trionfante conformismo. Ma radicalizzarla e difenderla voleva appunto dire approfondirne le ragioni, determinarne la legittimità retrodatandone continuamente la dignità, onde conferirle più netta autorevolezza. Dalla mise en relief della tradizione lirica nei sonetti e nelle odi, alla versione di un poemetto eziologico, all'emblematica celebrazione dei sepolcri, al saggio di traduzione dell'archetipo d'ogni espressione poetica, alla metafisica della storia del privilegio culturale d'Italia, quale suprema certificazione del suo prestigio, il senso che se ne evince è quello di un aristocratico opporre ai malcerti valori della contemporaneità quelli indiscutibili della storia, restituiti con coerente operazione di cernita, contro le volgarizzazioni correnti, alla luce originale del primitivo significato. Ciò che in sede prosastica è per esempio dato registrare nella sostenutezza obsoleta dello stile ortisiano, così come nell'interessato purismo della versione del Sentimental Journey, e che poi si dichiara a tutte lettere nella sintomatica proiezione autobiografica della Notizia didimea, finalmente riassumente le istanze fondamentali dell'orgoglioso appartamento foscoliano, il cui riscontro pubblico era per altro già stato ampiamente assicurato dalla querelle del 1810. Il legame che intercorre tra l'apologia della virtù solitaria del Parini nell'Ortis, il ricalco dei dati biografici di Didimo sopra quelli dell'autore del Giorno nella Notizia, e il nesso critico stabilito con lo stesso nell'Essay on the Present Literature of Italy, dimostrano che il poeta si era peritato per tempo, e poi mai dimenticato, di storicizzare il proprio isolamento, per razionalizzarne non già l'estraneità, ma la sua rarità nel contesto nazionale. Prerogativa risultante nel suo insieme da una somma di episodi singolarmente connotati appunto dall'eccezionalità dell' occasione storica, più spesso oggettiva che soggettiva, anche faziosamente informante una storiografia, concepita per vette, entro la quale solo ambiva collocarsi una produzione consapevolmente avara di titoli quale quella foscoliana. La sua specificità sembra dunque risiedere nella fissazione di una cifra, il cui valore nasceva dalla necessità politica di un rispecchiamento inattuale nella tradizione, volta a volta opportunamente distanziata, e come messa tra virgolette, in virtù dell'impiego, spesso virtuosistico, di una ricca gamma di colori retorici, ai quali spettava di dar voce all'intenzionalità dell'autore. Scontata la tempestività dei suoi contenuti, al progressivo sfocamento dell'evidenza allusiva veniva accompagnandosi la scompaginazione di quei piani grazie ai quali la vox clamantis in deserto aveva quasi sempre legittimamente potuto aspirare a distinguersi da quella di un laudator temporis acti, sì da consentirne, nel tempo, la confusione, rendendone però irreperibile l'autentica risonanza poetica.

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