UCRAINA

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Ucraina

Anna Bordoni
Paola Salvatori
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Geografia umana ed economica

di Anna Bordoni

Stato dell'Europa orientale. La popolazione che era di 48.457.102 ab. al censimento del 2001 è in calo a causa del saldo naturale e del saldo migratorio negativi (rispettivamente −5,6‰ e −0,4‰ nel 2006). Il 77,8% degli abitanti è costituito da ucraini e il 17,3% da russi; seguono piccole minoranze di bielorussi, moldavi, bulgari, polacchi, e altre ancora. Nel 2006 la capitale, Kyjiv (Kiev), raggiungeva i 2.655.750 ab., e solo altre tre città superavano il milione: Charkiv, Dnipropetrovśk e Odessa. All'inizio del Duemila l'economia ucraina ha conosciuto un forte sviluppo, con una progressione del PIL molto accentuata nell'anno 2003 (+9,6%) e nel 2004 (+12,1%), diminuita nel biennio successivo (+2,5% annuo) a causa dell'aumento dell'inflazione (13,5% nel 2005 contro il 5,2% nel 2003) verificatosi nonostante il blocco temporaneo dei prezzi di molti beni. Tale crescita è stata determinata soprattutto dal forte incremento delle esportazioni, che hanno reso eccedentaria la bilancia commerciale, e dalla domanda interna. In particolare, il boom economico cinese ha stimolato le esportazioni di acciaio, mentre macchine e prodotti agroalimentari sono diretti principalmente verso la Russia. Il quadro socioeconomico resta comunque incerto e pure caratterizzato da una diffusa corruzione e da un elevato tasso di disoccupazione. Alcune privatizzazioni effettuate durante il governo di L. Kučma sono state annullate perché illegali o inique, e per molte aziende sono state avviate le procedure per una nuova privatizzazione sulla base di criteri più trasparenti.

Per quanto riguarda le attività produttive, l'agricoltura mantiene un ruolo importante: oltre la metà della superficie territoriale è destinata all'arativo e l'U. continua a essere un grande produttore di cereali (frumento, orzo, mais, segale, avena, miglio), patate, barbabietole da zucchero e ortaggi. Secondo stime della Banca mondiale, nel 2004 il settore primario ha contribuito per il 13,7% alla formazione del PIL, occupando circa un quinto della forza lavoro. Nel Paese sono presenti vasti giacimenti di carbone e di minerali di ferro, oltre a riserve di gas naturale e petrolio. Poiché la produzione di carbone, tra il 1989 e il 1995, aveva registrato una contrazione del 53%, il governo ha deciso una riorganizzazione di questo settore estrattivo prevedendo anche la chiusura degli impianti meno redditizi. L'industria pesante è molto sviluppata, in particolare il comparto siderurgico (38,6 milioni di t di acciaio nel 2005, settimo produttore mondiale e terzo Paese esportatore), seguito da quello metallurgico e da quello chimico; ma a questi settori tradizionali se ne sono venuti ad affiancare altri più innovativi come l'elettronica, che ha assunto un discreto peso nel commercio estero (3,7 miliardi di dollari di utili nel 2004). In sviluppo i servizi: in particolare, nel 2004 il commercio ha registrato un incremento del 20%, mentre i trasporti sono saliti del 10%. La Russia è il principale partner sia per le importazioni (32% del totale) sia per le esportazioni (41%). Il territorio è attraversato da una fitta rete di oleodotti e di gasdotti (rispettivamente 8533 km i primi e oltre 20.000 km i secondi nel 2002), che rappresentano un forte elemento di pressione da parte del governo ucraino nei confronti della Russia, la quale si avvale proprio di questa rete per rifornire di prodotti energetici i Paesi dell'Europa occidentale.

Storia

di Paola Salvatori

Agli inizi del 2000 l'U. non era ancora riuscita a dare risposte soddisfacenti agli enormi problemi che l'indipendenza, raggiunta dopo la disgregazione dell'Unione Sovietica (1991), aveva creato, e che erano stati amplificati, rispetto agli altri Paesi dell'Est europeo, dalle dimensioni del nuovo Stato, dalla varietà dei gruppi sia etnici sia linguistici che lo componevano nonché dall'importanza dei legami storici e culturali con la Russia.

Nel Paese regnava ancora un clima di instabilità politica, causato dall'irrisolto contrasto tra il presidente L. Kučma - in carica dal 1994 e la cui amministrazione aveva assunto con il passare degli anni caratteristiche sempre più autoritarie e oligarchiche - e il Parlamento (Verchovna Rada, Consiglio supremo), i cui poteri nell'aprile 2000 furono ridotti tramite un referendum popolare promosso dal presidente. Il contrasto si inseriva in un contesto economico scarsamente dinamico e contrassegnato dall'aumento della disoccupazione, dall'aggravarsi dei fenomeni della criminalità organizzata e della corruzione, diventata un vero e proprio sistema di potere.

Nonostante fosse stato rieletto nel novembre del 1999 con una larga maggioranza (57%), Kučma conobbe un brusco calo di popolarità a partire dal novembre 2000, quando si trovò al centro di due gravissimi scandali: i sospetti di un suo diretto coinvolgimento nell'uccisione di H. Gongadze, un noto giornalista che aveva ripetutamente assunto posizioni critiche nei suoi confronti; le rivelazioni, trasmesse da un collaboratore di Kučma a uno dei leader dell'opposizione, il presidente del Parlamento O. Moroz, sullo spregiudicato uso della sua carica di capo dello Stato per influenzare, mediante intimidazioni e minacce, il risultato delle elezioni del 1999.

Nel corso del 2001, nel Paese crebbe la protesta contro il presidente, che vide anche numerose manifestazioni di piazza, e si assistette a una riorganizzazione delle forze in campo, con le dimissioni dalle proprie cariche e il passaggio all'opposizione di esponenti di spicco del governo, in particolare Y. Tymošenko e V. Juščenko, dal 1999 rispettivamente il responsabile del settore energetico e il primo ministro, che in breve divennero i principali promotori di una vasta mobilitazione popolare volta a ottenere le dimissioni di Kučma. In vista delle elezioni legislative (fissate per il marzo 2002), si formarono intorno a questi due leader nuove coalizioni politiche, entrambe composte da vari partiti di tendenza liberale e nazionalista: Juščenko diede vita a Nostra Ucraina, nella quale confluì anche la principale formazione nazionalista dell'U., il Movimento popolare ucraino (chiamato comunemente Ruch, Movimento); Tymošenko costituì invece il Forum di salvezza nazionale (poi denominato Blocco Julja Tymošenko). Oltre a queste, le maggiori forze di opposizione erano il Partito comunista, che nelle precedenti elezioni aveva ottenuto oltre un terzo dei seggi, quello socialista e quello socialdemocratico. La coalizione filopresidenziale si presentò con il nome Per una Ucraina unita, e vi aderirono, tra gli altri, il Partito delle regioni, quello agrario e quello degli industriali e degli imprenditori.

Nonostante le pressioni illecite di Kučma, forte tra l'altro di un pesante controllo dei media, le consultazioni sancirono la vittoria delle opposizioni: Nostra Ucraina ottenne il 23,6% e 112 seggi su 450, il Partito comunista il 20% e 66 seggi, il Blocco Tymošenko il 7,3% e 22 seggi, il Partito socialista il 6,9% e 23 seggi, il Partito socialdemocratico il 6,3% e 24 seggi. Per una Ucraina unita ottenne solamente l'11,7% ma, a causa del complesso sistema elettorale, ben 101 seggi; inoltre, accordi con i partiti minori e con i deputati indipendenti le permisero di costituire il gruppo parlamentare più forte (165 seggi) e quindi di dirigere il nuovo esecutivo, alla cui guida fu inizialmente riconfermato A. Kinach (primo ministro fin dal maggio 2001), sostituito in novembre da V. Janukovyč. Inoltre il cambio di schieramento di molti deputati dell'opposizione permise in dicembre al governo di contare sulla maggioranza assoluta dei seggi del Parlamento.

L'insediamento del nuovo primo ministro, espressione dei gruppi oligarchici delle province orientali, più industrializzate e filorusse (in quanto abitate in maggioranza da popolazioni di lingua russa), radicalizzò lo scontro, che andò assumendo sempre più il carattere di una contrapposizione regionale: ad appoggiare l'opposizione erano infatti soprattutto le province occidentali (abitate in maggioranza da polazioni di lingua ucraina), che puntavano a veder accrescere il ruolo strategico del Paese, in contrapposizione alla Russia e in una prospettiva filoeuropea e filoatlantica.

Nel 2003 e anche nel 2004 la situazione rimase tesa: continuò la mobilitazione delle opposizioni contro Kučma, mentre, nonostante il forte aumento del PIL, le condizioni economiche e sociali della popolazione subivano un drastico peggioramento, anche a causa dei tagli negli aiuti finanziari da parte del Fondo monetario internazionale, che riteneva disattese le sue indicazioni di riduzione del deficit interno, e degli Stati Uniti, che accusavano il governo ucraino di aver venduto tecnologia militare all'Irāq.

In vista delle elezioni presidenziali dell'ottobre-novembre 2004, il principale sfidante di Janukovyč, candidato dello schieramento favorevole a Kučma (al quale la Costituzione vietava di ripresentarsi), divenne Juščenko, candidato di Nostra Ucraina, ma sostenuto anche dal Blocco Tymošenko. Il voto, svoltosi in un clima di forte tensione e, a giudizio sia delle opposizioni sia degli osservatori internazionali, anche di scarsa legalità, sancì la vittoria al secondo turno (21 nov.) di Janukovyč, affermatosi, secondo i risultati ufficiali, con il 49,5%, contro il 46,6% di Juščenko. Questi però, denunciando i molti brogli verificatisi nell'attribuzione dei voti, mobilitò nuovamente le piazze, e le strade della capitale vennero pacificamente invase per giorni da centinaia di migliaia di manifestanti che chiedevano lo svolgimento di nuove elezioni. La 'rivoluzione arancione' (dal colore adottato dalle opposizioni come simbolo della protesta) si estese ad altre città, e indusse infine il governo, pressato anche dall'opinione pubblica occidentale, a venire a patti con Juščenko. L'8 dicembre venne così siglato un accordo che prevedeva una serie di riforme costituzionali (volte tra l'altro a ridurre i poteri presidenziali a favore del Parlamento) e nuove elezioni. Queste ultime (26 dic.) sancirono la vittoria di Juščenko, che ottenne il 51,9%, contro il 44,1% di Janukovyč. Seguì la formazione di un nuovo governo, guidato da Tymošenko (febbr. 2005). Tra le priorità del nuovo esecutivo vennero indicate la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, le riforme economiche, un avvicinamento alla UE e alla NATO, e il riesame delle privatizzazioni delle compagnie statali avvenute negli anni precedenti, per verificarne la regolarità. In realtà, nonostante le aspettative dell'elettorato, la nuova amministrazione lasciò invariati gli equilibri di potere esistenti e in breve così cominciarono a emergere al suo interno forti contrasti. Lo scontro raggiunse il proprio culmine nel settembre 2005, quando Tymošenko, entrata in conflitto con il presidente e tacciata di corruzione, fu costretta a dimettersi e passò all'opposizione; il suo posto venne assunto da J. Echanurov, esponente di Nostra Ucraina. Nei mesi seguenti la situazione politica rimase incerta, e il governo registrò una progressiva perdita dei consensi, accentuatasi agli inizi del 2006 in seguito all'accordo stipulato con Mosca sul prezzo delle forniture di gas. L'accordo, che prevedeva un aumento dei costi del combustibile (fino a quel momento venduto dalla Russia all'U. a condizioni di favore), fu duramente attaccato dalle opposizioni e bocciato dal Parlamento, che lo riteneva penalizzante per l'economia del Paese. Sempre più isolato, il governo subì in marzo una cocente sconfitta nelle elezioni legislative che videro l'affermazione del Partito delle regioni di Janukovyč (32,1% e 186 seggi) e del Blocco Tymošenko (22,3% e 129 seggi), mentre Nostra Ucraina risultò fortemente ridimensionata (13,9% e 81 seggi), così come i partiti comunista (3,7% e 21 seggi) e socialdemocratico (1% e nessun seggio); il Partito socialista rimase sostanzialmente stabile (5,7% e 33 seggi). Dopo lunghe trattative, in agosto venne varato un nuovo esecutivo 'anticrisi', guidato da Janukovyč e sostenuto da Nostra Ucraina e dai partiti socialista e comunista.

Per quanto attiene alla politica estera, dopo un iniziale avvicinamento agli Stati occidentali, seguito alla sconfitta di Kučma, si verificò un riallineamento sulle posizioni di Mosca, che rimaneva la principale e indispensabile fornitrice di energia del Paese.

bibliografia

B. Cadène, L'Ukraine en révolutions, Paris 2005; Revolution in orange: the origin of the Ucraine's democratic breakthrough, ed. A. åslund, M. McFaul, Washington (DC) 2006.

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