TUMORE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

TUMORE

Alberto Costa

(XXXIV, p. 474; App. II, II, p. 1030; III, II, p. 990; IV, III, p. 693)

All'approssimarsi della fine del 20° secolo, i t. rimangono una delle principali sfide per la mente umana e per le sue conoscenze scientifiche. Gli incredibili sviluppi dell'ingegneria genetica e della biologia molecolare sembrano portar sempre più vicino alla comprensione di questo fenomeno, come pure va ricordato che grandi progressi sono stati compiuti anche negli ultimi dieci anni nel miglioramento della qualità della vita e della sopravvivenza di quanti sono colpiti dalla malattia. Tuttavia, e a ragione, il cancro rimane ai primi posti nelle preoccupazioni dei nostri contemporanei, tanto che un recente sondaggio della Commissione Europea lo indicava addirittura al secondo posto dopo la disoccupazione.

Quanto alle dimensioni del problema nel nostro paese, va detto che nel 1993 in Italia si sono ammalate di t. maligno circa 220.000 persone: per assisterle e curarle ci sono volute un milione di giornate di degenza in reparti ospedalieri. Alcuni t. sono in diminuzione, come quello dello stomaco, altri in aumento, come il melanoma e il carcinoma della mammella.

Sia lo stato sia i privati si sono resi conto della gravità della situazione e il governo ha avviato, tramite il Consiglio nazionale delle ricerche, un piano speciale di finanziamento degli studi sul cancro, con il Progetto finalizzato denominato "Controllo della crescita neoplastica" e durato dal 1979 al 1983. Un secondo piano quinquennale, denominato "Oncologia", è stato finanziato per il periodo 1984-88. Il terzo piano di investimenti del CNR, approvato nel 1989 per il quinquennio 1990-94, ha invece per titolo "Applicazioni cliniche della ricerca oncologica" e si è proposto soprattutto di accelerare il trasferimento dei risultati della ricerca sperimentale alla pratica clinica quotidiana e quindi a un miglioramento delle potenzialità di diagnosi e di cura nella malattia tumorale. Obbiettivo del CNR è di dedicare l'intero anno 1997 a un'intensa campagna di aggiornamento di tutti i medici italiani sull'argomento t., tramite la diffusione capillare di informazioni semplici ed essenziali destinate a diventare parte del bagaglio culturale di ogni operatore sanitario.

Anche la Commissione Europea ha ritenuto di dover continuare la propria azione in questo campo, e a fine 1995 il Parlamento di Strasburgo e i capi di Stato e di governo dei 15 membri dell'Unione hanno approvato un nuovo piano quinquennale di azione contro il cancro che durerà dal gennaio 1996 al dicembre 2000, mantenendo l'obbiettivo originario di diminuire del 15% la mortalità per questa malattia. Si ricorda che il Codice europeo contro il cancro propone dieci semplici raccomandazioni, che riportiamo di seguito.

1) Non fumate. Fumatori, smettete al più presto e non fumate in presenza di altri. Se non riuscite a smettere usate sigarette con filtro e contenuto di catrame inferiore a 5 mg.

2) Non eccedete nel consumo di alcolici.

3) Evitate l'eccessiva esposizione al sole, specie se avete la pelle chiara.

4) Seguite attentamente, soprattutto negli ambienti di lavoro, le norme di sicurezza relative alla produzione e all'uso di sostanze che possono essere cancerogene.

5) Mangiate frequentemente frutta fresca, verdura e cibi integrali.

6) Non aumentate troppo di peso e limitate l'uso di grassi e di carne.

7) Rivolgetevi al medico se vi accorgete di un'insolita perdita di sangue, di un cambiamento (di forma o di colore) di un neo, della comparsa di un nodulo al seno, o in altra parte del corpo.

8) Rivolgetevi al medico se avete sintomi persistenti come tosse, raucedine, cambiamenti delle abitudini intestinali, o un'inspiegabile perdita di peso. Dopo i 40 anni è consigliabile sottoporsi annualmente a controllo medico della cavità orale e a esplorazione rettale.

9) Le donne facciano il PAP-test ogni tre anni, dopo i 25 anni di età.

10) Le donne controllino il seno regolarmente, specie dopo i 30 anni, eseguendo almeno tre mammografie tra i 40 e i 50 anni, e dopo i 50 anni si sottopongano ogni due anni a mammografia.

Dal canto suo la ricerca ha compiuto progressi soprattutto nella maggior comprensione della malattia. Una delle più importanti acquisizioni degli ultimi anni è infatti la scoperta che la cellula neoplastica è per molti versi normale, ma soffre di un ''guasto'', come lo ha definito P. Comoglio, nel meccanismo che ne regola la proliferazione. A causa di questo guasto, essa si divide quando non dovrebbe, generando altre cellule con lo stesso difetto di regolazione. La capacità di proliferare in modo incontrollato amplifica la popolazione di cellule neoplastiche che aumentano di numero nel tempo, secondo una funzione esponenziale. Inoltre, durante questa fase della storia naturale del t., le cellule possono andare incontro a ulteriori ''guasti'', con conseguenze spesso imprevedibili. Per capire il meccanismo che sta alla base della trasformazione tumorale dobbiamo quindi ricostruire la gerarchia dei guasti e possibilmente identificare quello primario.

Cancerogeni e anticancerogeni. - Un settore vasto e importante dell'oncologia è rappresentato dallo studio dei cancerogeni chimici, che si possono distinguere in due categorie: gli iniziatori del processo di cancerogenesi e gli agenti che inducono la modulazione e/o l'espansione clonale delle cellule iniziate (promotori). Come ha recentemente ben schematizzato S. Parodi, si accetta comunemente che gli iniziatori del processo di cancerogenesi siano soprattutto agenti capaci di danneggiare il DNA e d'indurvi eventi mutageni e/o alterazioni a livello cromosomico. È inoltre noto che agenti di questo tipo possono anche essere attivi a livello di noduli pre-neoplastici (com'è stato descritto per il modello di cancerogenesi del fegato di ratto) o nei papillomi (come nel modello di cancerogenesi della cute di topo) accelerando la trasformazione di queste strutture preneoplastiche in t. veri e propri.

Mentre è possibile parlare di una classe di iniziatori caratterizzati dalla loro capacità d'interagire con il DNA, più difficile è parlare di un'unica classe di promotori. Questi ultimi sono probabilmente molto più eterogenei, e forse si può parlare di promotori diversi a seconda del differente modello di cancerogenesi preso in considerazione. Inoltre, lo studio del metabolismo di una serie di cancerogeni chimici rappresentativi è importante per arricchire le nostre conoscenze sulle trasformazioni metaboliche.

Le trasformazioni metaboliche possono differire da specie a specie, da organo a organo e tra l'animale osservato in vivo e le cellule coltivate in vitro. È chiaro perciò che le estrapolazioni dalle cellule coltivate in vitro al tessuto in vivo (come le estrapolazioni dall'animale all'uomo) non possono prescindere da approfondite considerazioni sul metabolismo di un potenziale iniziatore del processo di cancerogenesi. Ciò spiega, tra l'altro, perché a volte vengono segnalate anche dalla stampa divulgativa notizie sulla cancerogenicità di certe sostanze, che vengono poi smentite a distanza di qualche anno.

In alcuni casi di esposizione industriale (lavoratori dei coloranti, dell'edilizia, ecc.), farmacologica (pazienti neoplastici), o legata allo stile di vita (fumatori di sigaretta, particolari diete) è oggi possibile mettere a punto parametri validi anche per l'organismo umano, quali la valutazione del danno cromosomico in linfociti periferici o la mutagenicità urinaria, che si possono collegare, sebbene imperfettamente, con l'entità di esposizione a un'attività in grado d'iniziare il processo di cancerogenesi. L'indagine epidemiologica di gruppi a rischio può così permettere di stabilire interessanti correlazioni quantitative. È chiaro che a generare un significativo rischio oncogeno non è l'esposizione a una singola molecola di cancerogeno, ma l'esposizione a una dose sufficiente.

Altre due considerazioni importanti in questo campo sono contenute nel Codice europeo di prevenzione dei tumori. La prima riguarda il pericolo rappresentato da un eccessivo aumento di peso: è noto infatti che la maggior parte dei cancerogeni chimici è costituita da molecole lipofile, cioè che tendono ad accumularsi nel tessuto grasso. La seconda è relativa all'importanza di una corretta funzione intestinale, al fine di evitare una prolungata permanenza di sostanze nocive nell'organismo.

Una delle aree più nuove della ricerca sul cancro negli ultimi anni è quella della chemioprevenzione, cioè dell'uso di agenti chimici ''anticancerogeni'' capaci di proteggere la cellula e i tessuti dalla trasformazione maligna. Tra queste sostanze la più studiata è la vitamina A, essenziale per la crescita e la differenziazione dei tessuti, e i suoi analoghi naturali e sintetici, detti retinoidi. Un altro grande gruppo di agenti chemiopreventivi è rappresentato dagli anti-ormoni: una sostanza in particolare, chiamata tamoxifen, è tra la più studiate degli anni Novanta in quanto si ritiene che possa contribuire considerevolmente a prevenire i t. al seno. Questa malattia, che colpisce ormai una donna su 14 in Europa, è spesso favorita nella sua crescita dalla stimolazione ormonale degli estrogeni e per questo tanta attenzione viene oggi rivolta al tamoxifen e alle sue proprietà antiestrogeniche. Tre grandi studi sono in atto nel mondo grazie a migliaia di volontarie sane che accettano di prendere quotidianamente questo farmaco, sottoponendosi a regolari controlli medici. La ricerca è guidata in Inghilterra da T. Powles, in USA dall'Istituto Nazionale del Cancro e in Italia da U. Veronesi.

Virus e tumori. - L'idea che il cancro fosse causato da virus ha continuato a farsi strada dagli inizi del Novecento con alterne fortune; e alcune tappe in questo cammino sono state contrassegnate da scoperte decisive per il progresso non solo dell'oncologia, ma anche di altre aree delle scienze biomediche, dalla virologia all'immunologia, dalla biologia molecolare alla genetica.

In realtà, tra i molteplici cancerogeni ad ampia diffusione ambientale vanno considerati anche gli agenti virali. Per alcuni di essi il nesso casuale con specifiche forme tumorali è molto stretto: l'associazione è infatti molto forte tra neoplasie degli epiteli di rivestimento (particolarmente quelli del tratto urogenitale) e virus del papilloma (HPV); tra carcinoma epatocellulare e virus dell'epatite B (HBV); tra linfomi e leucemie con peculiare quadro anatomo-clinico e retrovirus T-linfotropico tipo I (HTLV-I). Meno rilevante, sebbene ben documentato, è il ruolo di cofattore di alcuni virus erpetici quali il virus di Epstein-Barr (EBV) per il linfoma di Burkitt e, forse, i virus dell'Herpes simplex (HSV) per i t. genitali. Altri virus, quelli del gruppo polioma umano (BK, JC) e gli adenovirus, sono in grado di produrre t. in animali di laboratorio, ma al momento non abbiamo sufficienti prove che dimostrino un loro coinvolgimento nei t. umani.

Nell'induzione dei t. a opera di agenti virali sono molto importanti tre componenti: il virus con le proprie caratteristiche biologiche e patogene, la cellula ospite, l'organismo ospite. L'interazione di queste tre componenti è complessa e frequentemente influenzabile a vari livelli dall'intervento di fattori esterni. È interessante notare, per es., come la terapia dei t. con interferone abbia un successo nettamente superiore nelle neoplasie insorte su precedenti lesioni virali, a conferma degli stretti e complessi legami biologici fra situazioni fisiologiche e patologiche nell'organismo.

Oncogèni e fattori di crescita. - Che ci siano sostanze in grado d'influenzare la crescita cellulare è noto da quando i biologi cellulari −nel tentativo di coltivare cellule in vitro - hanno visto che le cellule normali si moltiplicano solo aggiungendo al mezzo di cultura del siero fetale, che evidentemente contiene fattori di crescita.

L'identificazione e la caratterizzazione dei primi fattori di crescita sono avvenute solo una trentina di anni fa nel laboratorio di V. Hamburger e R. Levi-Montalcini presso il Dipartimento di Biologia della Washington University a St. Louis, negli Stati Uniti, durante lo studio dell'influenza di espianti di un t. (il sarcoma 180) sullo sviluppo delle fibre nervose di gangli simpatici in coltura. Quando nel sistema di coltura si aggiungevano pezzetti di t. si osservava un denso alone di fibre gangliari dirette verso il t. stesso: sempre nel laboratorio della Levi-Montalcini si arrivò all'identificazione del fattore responsabile della crescita delle fibre nervose (Nerve Growth Factor, NGF), alla sua purificazione da varie sorgenti (ghiandola sottomascellare di topo, veleno di serpente) e alla scoperta successiva di un altro fattore attivo sulle cellule dell'epidermide, l'Epidermal Growth Factor (EGF). Negli anni Settanta venivano isolati altri fattori di crescita, tutti di natura proteica, come il Platelet-Derived Growth Factor (PDGF), attivo sui fibroblasti, gli Insulinelike Growth Factors (IGF1 e 2), il Fibroblast Growth Factor (FGF), il T-Cell Growth Factor (TCGF o interleuchina-2), l'Epithelial Growth Factor (EGF) e altri ancora. Per ciascun fattore di crescita dalla prima descrizione dell'effetto biologico si è passati a precisare meglio i tessuti sensibili, a studiare le modalità di azione, a isolare i recettori. Anzi, lo studio dei recettori si è molto sviluppato dopo il 1980: la prima fase dell'interazione di vari fattori di crescita proteici con le cellule bersaglio consiste proprio nel legame specifico e ad alta affinità del fattore di crescita a un recettore sulla superficie cellulare. In seguito a questo legame i recettori occupati vanno rapidamente incontro a fosforilazione, ridistribuzione sulla membrana plasmatica e internalizzazione. Seguono infiniti successivi passaggi che portano a tutte quelle modificazioni che la biologia conosceva da tempo e per le quali non aveva spiegazioni convincenti.

Immunologia e immunoterapia. - Uno degli aspetti più misteriosi della malattia tumorale è il fatto che il sistema immunitario del soggetto colpito non riesce ad avere ragione delle nuove cellule che invadono il suo organismo. Per questo l'idea di combattere il cancro mediante una stimolazione del sistema immunitario ha una lunga storia.

I primi tentativi in questo senso furono compiuti da P. Ehrlich all'inizio del Novecento; agli stessi decenni si possono far risalire le primordiali sperimentazioni nell'uomo di composti ''immunomodulanti'', con lo sviluppo negli Stati Uniti della tossina di Cooley consistente in estratti batterici. In questa prima fase il contributo italiano fu considerevole e originale, ancorché dimenticato, soprattutto grazie al lavoro di E. Centami che inoculò essudati presumibilmente contenenti Tumor-Necrosis Factor (TNF) in portatori di tumore. Il settore dell'immunologia dei t. fu poi riscoperto alla fine degli anni Cinquanta grazie all'opera di R. Prehn, che dimostrò come in realtà fosse possibile immunizzare topi inbred (geneticamente identici l'uno all'altro) nei confronti di alcuni t. indotti da cancerogeni chimici: esistono dunque antigeni t.-specifici che possono essere riconosciuti dall'ospite e rigettati. Secondo Burnet, inoltre, il sistema immunitario è costantemente impegnato nel riconoscimento e nell'eliminazione di cellule trasformate in senso neoplastico, e fu nel contesto di questo fervore di studi che si tentò il passaggio alle applicazioni cliniche e furono sperimentati nell'uomo ''vaccini'' e composti immunomodulanti, per lo più di origine batterica, con risultati purtroppo deludenti e senza pervenire a una comprensione del fallimento.

In anni recenti, l'immunologia dei t. è tornata a essere al centro di rinnovato interesse in seguito alla comprensione delle basi molecolari della risposta immunitaria e all'identificazione di un numero crescente di mediatori immunitari chiamati linfochine: esse sono glicoproteine prodotte da linfociti e/o da altre cellule del sistema immunitario, che svolgono un ruolo fisiologico nella complessa catena di eventi che è alla base della risposta immune. Le linfochine più studiate sono gli interferoni alfa e gamma e le interleuchine. Un momento di sintesi fra la ricerca virale e quella immunologica si sta realizzando con la cosiddetta terapia genica proposta negli USA da S. Rosemberg agli inizi degli anni Novanta e ora in fase di rapido sviluppo. Un esempio di questa metodologia è rappresentato dall'utilizzo di virus ''portatori'' per inserire nelle cellule tumorali le sequenze geniche in grado di far produrre alla cellula, anche maligna, quelle linfochine che ne possono limitare la crescita e l'invasività (v. terapia genica, in questa Appendice).

Infine occorre ricordare che, in ambito immunologico, uno degli aspetti più importanti della ricerca di questi anni è costituito dagli anticorpi monoclonali (v. monoclonali, anticorpi, in questa Appendice) che hanno ulteriormente contribuito ad affinare i metodi diagnostici dell'oncologia aprendo nuovi orizzonti nell'ambito della ricerca e della terapia. Gli anticorpi monoclonali sono prodotti da cellule appositamente ''create'' in laboratorio (chiamate ibridomi) e sono in grado di reagire con le cellule tumorali, incluse le cellule metastatiche, restando al tempo stesso completamente negativi con tutte le cellule normali che possono essere presenti nei reperti da esaminare. Recenti studi hanno dimostrato che con questo nuovo strumento è oggi possibile identificare focolai metastatici microscopici del tutto irraggiungibili per le metodiche diagnostiche tradizionali, oppure portare isotopi radioattivi direttamente a contatto con la cellula tumorale per distruggerla senza danneggiare i tessuti circostanti o in organi delicati e poco raggiungibili come il cervello.

Diagnostica oncologica. - Negli ultimi anni, i maggiori sviluppi nel settore diagnostico si sono avuti nella cosiddetta ultradiagnostica e nelle nuove tecnologie dell'immagine. L'ultradiagnostica è un'area della medicina oncologica che si propone di cercare nell'organismo anche i più piccoli residui di malattia tumorale, le cosiddette micrometastasi. Infatti, è noto che in molti casi il paziente non viene più curato perché ritenuto libero dalla malattia, mentre in realtà essa si annida in diverse parti del corpo in dimensioni talmente piccole da non poter essere dimostrata con mezzi diagnostici tradizionali (radiologia, medicina nucleare, ecografia).

Come già accennato, una nuova speranza si è andata concretizzando negli anni Ottanta con la scoperta degli anticorpi monoclonali: i quali, una volta inoculati nell'organismo del paziente, riconosceranno come proprio obiettivo solo l'eventuale cellula tumorale contro cui sono stati prodotti. Unendo queste proteine a sostanze radioattive, dunque, ci si propone di ottenere una concentrazione di radioattività anche microscopica in tutte le zone del corpo in cui residuano cellule di un dato t.; rilevando tale radioattività con apparecchi particolarmente sensibili si potranno riconoscere e identificare queste micro-concentrazioni di t. contro cui attivare immediatamente le cure più adeguate. Nell'ambito delle tecniche diagnostiche per immagine, invece, la risonanza magnetica nucleare (NMR, Nuclear Magnetic Resonance) rappresenta oggi uno degli strumenti più interessanti e innovativi per la maggior comprensione e conoscenza del corpo umano e delle sue alterazioni patologiche. Per lo studio dei cosiddetti ''tessuti molli'', in particolare, quali per es. il cervello e i linfonodi, la risonanza magnetica si sta mostrando superiore alla TAC nell'efficacia diagnostica e permette anche di eseguire biopsie mirate con grande precisione.

La terapia dei tumori. - L'iniziale sviluppo dei farmaci antitumorali trae origine da uno sforzo di ricerca e applicazione molto poco umanitario, e cioè quello degli aggressivi chimici bellici. Infatti era noto sin dalla fine della prima guerra mondiale che l'iprite (sostanza chimica del gruppo delle mostarde solforate), oltre ad agire da vescicante per azione diretta locale, dopo assorbimento sistemico poteva causare leucopenia (cioè calo del numero dei globuli bianchi), aplasia del midollo osseo, dissoluzione del tessuto linfatico e ulcerazioni del tratto gastrointestinale.

A queste osservazioni seguirono lo sviluppo delle mostarde azotate e la determinazione della loro spiccata azione citotossica sul tessuto linfatico. Con la dimostrazione, nei primi anni Quaranta, dell'efficacia antitumorale di queste sostanze in topi portatori di linfosarcoma e, successivamente, in pazienti umani, iniziò l'era della moderna chemioterapia dei tumori. Gli anni successivi hanno visto uno sforzo intenso rivolto verso lo sviluppo di nuovi farmaci, che ha portato alla determinazione di oltre trenta composti, attualmente di corrente impiego clinico, capaci di curare un ristretto numero di t. umani relativamente rari e d'incrementare significativamente l'efficacia curativa della chirurgia e della radioterapia per la maggior parte degli altri t., inclusi quelli di più frequente incidenza nell'uomo.

Gli effetti dei farmaci antineoplastici in un portatore di t. possono essere meglio compresi considerando la cinetica di crescita di una popolazione di cellule maligne: alla somministrazione di una dose di farmaco antitumorale corrisponde l'''uccisione'' di una frazione costante del numero di cellule presenti, in maniera indipendente dal loro numero assoluto. Purtroppo, una totale efficacia nell'''uccisione'' delle cellule tumorali non viene in molti casi raggiunta nemmeno con le dosi massime che l'ospite può tollerare a causa della tossicità del farmaco: pertanto, in tali casi, basta la sopravvivenza anche solo di poche cellule perché esse riprendano la loro crescita ripresentando una neoplasia clinicamente evidente dopo un certo tempo (circa 13 cicli di replicazione cellulare). Questa caratteristica d'''insufficienza'' della chemioterapia è purtroppo comune in molti casi anche alla chirurgia e alla radioterapia (uso di radiazioni ad alte energie per ottenere la distruzione delle cellule tumorali, specie nelle neoplasie superficiali), e per questo negli ultimi cent'anni sono stati compiuti grandi sforzi per associare i tre diversi tipi di cura al fine di ottenere un maggior controllo della malattia.

È a questa cosiddetta ''interdisciplinarità'' della moderna oncologia che dobbiamo oggi i risultati più rilevanti e incoraggianti. Alcuni esempi: la probabilità di sopravvivenza al t. renale di Wilms, che colpisce in età infantile, è aumentata considerevolmente dall'associazione di un intervento chirurgico radicale con una serie di applicazioni radioterapiche; i tumori embrionali del testicolo, un tempo quasi incurabili, sono oggi controllabili con eccellenti risultati se si uniscono un'appropriata operazione di rimozione dei linfonodi retroperitoneali con cicli di chemioterapia a base di cis-platino, un composto di grande efficacia antitumorale; infine, grandi passi avanti sono stati compiuti per la qualità di vita delle pazienti colpite da t. al seno da quando, per iniziativa dell'oncologo italiano U. Veronesi, si è cominciato a unire chirurgia e radioterapia per curare i piccoli carcinomi senza più asportare l'intera mammella: a parità di probabilità di guarigione, cioè, viene al giorno d'oggi offerto un trattamento che conserva il seno quasi intatto e che preserva le donne da una dalle mutilazioni più difficilmente accettabili.

Si può affermare, in conclusione, che la battaglia contro il cancro è certamente una delle più difficili e impegnative fra le tante ingaggiate dall'uomo contro le avversità della natura. Malattia antica ma oggi sempre più frequente, il t. colpisce non solo per la sua aggressività biologica, per la sua resistenza alle cure di ogni genere, ma soprattutto per la perdurante incomprensibilità delle sue cause e dei suoi più intimi meccanismi di crescita. La risposta a questi quesiti verrà da un laboratorio e non da un ospedale: ma non c'è dubbio che ai malati di oggi occorra dare speranze e rimedi finché possibile; se non ci si deve accanire quando la battaglia è perduta, neppure ci si deve arrendere troppo presto davanti alla complessità e alla difficoltà della malattia.

Bibl.: U. Veronesi, Un male curabile, Milano 1986; P. Comoglio, Biologia della cellula neoplastica, Torino 1992; AA.VV., Il cancro: ricerca e applicazioni cliniche, volume speciale de Le Scienze, Milano 1994; U. Veronesi e coll., Manuale di senologia, ivi 1995; E. Bonmassar, A. Costa, Casi clinici di oncologia, ivi 1995.

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