TERMOIONICI, TUBI

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

TERMOIONICI, TUBI (XXXIII, p. 591)

Nello Carrara

TUBI I tubi termoionici ad alto vuoto, che più propriamente vengono oggi denominati tubi termoelettronici, consistono generalmente in un recipiente chiuso, talvolta di vetro, talvolta di metallo, entro il quale è praticato l'alto vuoto; nell'interno del recipiente, con connessioni che ne attraversano la parete, sono situati almeno due elettrodi. Uno di questi elettrodi (catodo) emette elettroni per effetto termico, mediante riscaldamento diretto oppure indiretto, elettroni che un altro (placca o anodo) raccoglie tutti o per la maggior parte. Fra i due estremi possono essere interposti altri elettrodi (griglie), ai quali è affidata la funzione di regolare il flusso di elettroni dal catodo alla placca.

Questi tubi, denominati diodî se hanno due soli elettrodi (catodo e placca), triodi se ne hanno tre (catodo, griglia e placca), poliodi se ne hanno più di tre, nella loro comune attuazione pratica, costituiscono gli organi essenziali per la generazione, l'amplificazione, la rivelazione di tensioni alternate ad alta frequenza, sempre però quando il tempo, che gli elettroni impiegano a superare lo spazio interelettrodico (tempo di transito), sia trascurabile in confronto col periodo di tali tensioni.

Quando il tempo di transito non è trascurabile in confronto col periodo, si manifesta fra la corrente di placca e la tensione applicata alla placca stessa, una differenza di fase, tanto più rilevante quanto più il tempo di transito è grande; questa differenza di fase limita la frequenza alla quale i tubi possono funzionare.

Per la generazione, l'amplificazione, la rivelazione dì tensioni alternate od oscillanti ad altissima frequenza (oltre 5 × 108 oscillazioni al secondo o hertz), il cui impiego è andato sempre più estendendosi, specialmente in apparati bellici (p. es. i radar), sono stati elaborati tubi e circuiti elettrici nuovi, la maggior parte dei quali è basata su nuovi principî.

Circuiti oscillatorî a costanti distribuite. - Per una chiara comprensione della costituzione, del funzionamento e dell'impiego dei nuovi tubi è necessario un breve cenno sui circuiti oscillatorî a costanti distribuite. I circuiti oscillatorî, che vengono usati in connessione con i tubi elettronici ordinarî, sono del tipo cosiddetto a costanti concentrate. Essi comprendono una induttanza L, una capacità C e una resistenza R, elementi che generalmente sono collegati in parallelo, secondo lo schema della fig. 1. La frequenza di risonanza f, nell'interno della quale i circuiti stessi sono destinati generalmente a funzionare, è fissata dai valori di L e di C; quarii n/ L do R è molto maggiore di

come quasi sempre accade in pratica, essa è:

L'attuazione di circuiti siffatti per frequenze sempre più alte, richiede che L e C diventino sempre più piccoli; alle altissime frequenze (dell'ordine di 109 hertz e oltre), le dimensioni dell'induttanza e della capacità risultano così piccole da essere praticamente inaccettabili. Oltre a ciò, al crescere della frequenza, si manifestano perdite sempre crescenti di energia, per il fenomeno di superficie (skin-effect) e per irraggiamento.

I circuiti a costanti distribuite hanno invece dimensioni geometriche maggiori di quelle dei circuiti a costanti concentrate e minori perdite; se ne possono distinguere tre tipi: a linee bifilari, a Lavo coassiale, a cavità.

Circuiti a linee bifilari: sono costituiti da due fili conduttori paralleli connessi fra di loro ad un estremo come in fig. 6. Ogni tratto di detti fili presenta induttanza, capacità, resistenza; è per questa ragione che il circuito viene detto a costanti distribuite. La teoria che prende le mosse dalla ben nota equazione dei telegrafisti, conduce alla seguente relazione per la frequenza di risonanza:

dove k = 0, 1, 2, ....; c è la velocità della luce nello spazio vuoto, l la lunghezza dei fili.

Le dimensioni del circuito sono accettabili fin tanto che l non diventa inferiore ad alcuni centimetri (per l = 5 cm., k = 0, c = 3 × 1010 cm/sec, è f = 1,5 × 109 hertz); rimangono tuttavia forti perdite per lo skin-effect e per irraggiamento. Alle più alte frequenze anche questo tipo di circuito deve essere abbandonato.

Circuiti a cavo coassiale: sono costituiti da un cilindro cavo conduttore, lungo l'asse del quale è disposta un'asta cilindrica pure di materiale conduttore; generalmente il cilindro è chiuso da una base metallica, che lo collega elettricamente con l'asta assiale (fig. 7). La teoria è analoga a quella del circuito a linee bifilari e conduce alla stessa espressione per la frequenza di risonanza.

Si noterà che, mentre nel caso dei circuiti a costanti concentrate vi è una sola frequenza di risonanza, nei circuiti ora accennati ve ne sono infinite, distinte dai successivi valori di k. Nel circuito a cavo coassiale le perdite per lo skin-effect sono ridotte, quelle per irraggiamento sono praticamente nulle.

Circuiti a cavità: sono costituiti da superficie metalliche chiuse, sferiche, cilindriche, toroidali, e così via. In pratica le forme più frequentemente adottate sono quella cilindrica e quella toroidale. Anche per questi circuiti si hanno infinite frequenze di risonanza, che dipendono dalla forma e dal modo di eccitazione; la teoria prende le mosse dalle equazioni di Maxwell, scritte per lo spazio delimitato dalla superficie della cavità, con la condizione, che sulla superficie stessa (che si suppone perfettamente conduttrice) debbano essere nulle le componenti tangenziali del campo elettrico. Le frequenze di risonanza, che sono una tripla infinità, sono espresse da formule assai complicate. Nel caso della cavità cilindrica, con i simboli della fig. 2, è:

dove c è la velocità della luce, l un intero qualunque, qnm la radice m della funzione di Bessel di prima specie di ordine n, o delle derivate delle medesime funzioni (calcolate per ρ = a), n ed m interi.

La frequenza, cosiddetta fondamentale, si ha per l = 0, n = 0, m = 1, ρ01 = 2,405 (prima radice della funzione di Bessel di ordine zero); corrispondentemente la lunghezza d'onda λ = c/f = 2,61 a. Nella figura 2 è rappresentato, ad un istante, l'andamento del campo elettrico (linee piene) e quello del campo magnetico (linee tratteggiate).

Nel caso della cavità toroidale, di cui in fig. 8 è rappresentata la sezione meridiana (il toroide nasce dalla rotazione di tale sezione intorno all'asse r), la frequenza, con riferimento ai simboli della figura, è:

I circuiti a cavità non presentano perdite per irradiazi0ne, e sono minime quelle dovute allo skin-effect; le dimensioni geometriche sono accettabili anche per frequenze superiori a 20 × 109 hertz.

Tubi a ghianda, tubi a faro (lighthouse). - Come abbiamo avvertito in principio, i tubi ordinarî non possono essere usati utilmente alle più alte frequenze per il fatto che il tempo di transito degli elettroni fra gli elettrodi cessa di essere trascurabile. Ovviamente il tempo di transito si riduce se si accorciano le distanze che gli elettroni debbono percorrere, cioè avvicinando gli elettrodi fra di loro e riducendo le dimensioni del tuho. Sono stati così costruiti tubi di dimensioni molto ridotte; non più grandi di una ghianda (da cui la loro denominazione), in cui la disposizione degli elettrodi è quella stessa dei tubi classici. Vi sono diodi, triodi, poliodi a ghianda (fig. 12).

Se, avvicinando gli elettrodi, il tempo di transito diminuisce, aumentano tuttavia le capacità interne fra gli elettrodi stessi. Per questo aumento delle capacità ed anche perché l'avvicinamento non può superare un certo limite, le frequenze a cui questi tubi possono funzionare non superano o superano di poco 109 hertz.

I circuiti, che di regola vengono usati, sono del tipo a linee bifilari. La fig. 3 riproduce lo schema di un autooscillatore simmetrico con due triodi, con un circuito oscillatorio sulle placche ed un altro sul catodo. La reazione necessaria fra i due circuiti è assicurata dalla capacità interna fra le placche e catodi. I tubi a ghianda non sono i più piccoli che siano stati costruiti: nel corso della seconda Guerra mondiale, sono state largamente usate, per i proiettili delle artiglierie, le cosiddette radiospolette (v. munizioni, in questa App.) costituite da un minuscolo apparato radio trasmittente e ricevente. I tubi elettronici per tale apparato sono di dimensioni ancora minori di quelle dei tubi a ghianda. La riduzione delle dimensioni non è imposta, in questo caso, dalla necessità di ottenere frequenze elevatissime, ma dalla piccolezza dello spazio disponibile per alloggiarvi l'intero apparato.

Per frequenze ancora più elevate di quelle raggiungibili con i tubi a ghianda sono stati attuati i tubi a faro (lighthouse), destinati a funzionare con i circuiti a cavo coassiale; in fig. 9 ne è riportata la sezione. I tubi a faro sono triodi con elettrodi piani, estremamente vicini (distanze dell'ordine del decimo di mm.) per ridurre quanto più possibile il tempo di transito. Gli elettrodi stessi, catodo (a riscaldamento indiretto), griglia e placca, sono fissati al centro di dischi conduttori, che sono saldati a separatori cilindrici di vetro, come è mostrato nella fig. 8.

In fig. 13 è rappresentato schematicamente un autooscillatore formato con un tubo a faro e con circuiti coassiali. Le frequenze raggiungibili con i tubi a faro arrivano 3 × 109 hertz.

Il klystron. - Il principio di funzionamento di questo tubo e di altri che descriveremo in seguito (magnetron, tubo ad onda viaggiante) è completamente diverso da quello dei tubi classici, in quanto il tempo di transito non è affatto piccolo in confronto con il periodo delle tensioni e delle correnti oscillanti, ed è proprio questo tempo di transito che viene utilizzato per la generazione delle altissime frequenze.

Per illustrare il principio di funzionamento del klystron consideriamo un tubo elettronico ad alto vuoto, nel quale un catodo C (fig. 4) emetta un fascio di elettroni, che, accelerati dal potenziale positivo Vo applicato ad una griglia G1, acquisteranno, nel percorso C G1, alta velocità uo nella direzione dell'asse del tubo. Ad una certa distanza dalla griglia G1 sia situata una coppia di griglie G2 G3, molto vicine fra di loro, sottoposte allo stesso potenziale di Gi, sì che gli elettroni si dirigeranno da G1 verso la coppia G2 G3 con velocità costante, e con tale velocità proseguiranno oltr e.

Supponiamo che alla coppia di griglie G2 G3 sia applicata una tensione alternativa di ampiezza V piccola in confronto con Vo. In conseguenza di ciò, gli elettroni che attraversano la coppia ai successivi istanti non proseguono tutti con la stessa velocità u. Si può facilmente dimostrare che, quando V Vo, è:

u = uo (1 + k sen ω t),

dove k

è una costante e ω = 2 π f è la pulsazione della tensione alternativa applicata alla coppia G1 G2. Vi sono dunque elettroni meno veloci ed elettroni più veloci: quelli che attraversano la coppia al tempo t - o, hanno velocità uo, quelli che la attraversano al tempo t = T/4

periodo) hanno velocità u1 = uo (i + k), quelli che la attraversano al tempo

T, hanno velocità u2 = uo (i k) e così via, ed è facile comprendere che, ad una certa distanza dalla coppia di griglie G1 G2, i più veloci raggiungeranno quelli meno veloci. Tale distanza ù è data da:

In conclusione, mentre il flusso elettronico che attraversa la coppia di griglie G3 G2 è di densità uniforme, la densità del flusso stesso alla distanza x, in cnnseguenza del raggruppamento degli elettroni più veloci con quelli meno veloci, varia da un massimo a un minimo con la frequenza f. Se alla distanza ù si pensa un traguardo, esso verrà attraversato da raggruppamenti di elettroni che si susseguono con la frequenza f.

Una rappresentazione assai chiara della formazione di questi raggruppamenti è data dal diagramma di Applegate (fig. 14), in cui in ordinate sono rappresentate le distanze x, che gli elettroni, emessi a successivi istanti t (riportati in ascissa), percorrono. Le linee del diagramma rappresentano le leggi del moto di elettroni emessi a intervalli di tempo eguali e, con la loro pendenza, ne esprimono la velocità. Mentre gli elettroni arrivano alla coppia G3 G2 (corrispondente all'ordinata x = 0) con eguale velocità (quindi le linee fino all'ordinata × - 0 sono parallele ed egualmente inclinate), oltrepassano la coppia stessa con velocità diversa (quindi le linee proseguono diversamente inclinate). L'ordinata comune dei punti A1, A2, ... misura la distanza alla quale si formano i raggruppamenti; le ascisse t1, t2 dei medesimi punti danno gli istanti ai quali avvengono i raggruppamenti stessi.

Si completa il tubo, rappresentato in fig. 4, inserendovi, alla distanza x dalla coppia G2 G8, una seconda coppia di griglie G4 G5 (fig. 5), molto vicine fra loro, e supponiamo che a questa seconda coppia, che chiameremo estrattore, sia applicata, oltre ad una tensione continua Vo eguale a quella di tutte le altre griglie, una tensione alternativa:

di pulsazione ω e di fase β tale da contrastare il cammino dei raggruppamenti fra G4 e G5, cosicché, quando un raggruppamento è situato fra G4 e G5, G5 sia a potenziale più basso di G4. In conseguenza, il moto degli elettroni fra G4 e G5 viene rallentato e gli elettroni stessi cedono energia al circuito esterno, connesso con G4 e G6. Può addirittura accadere che la cessione di energia sia di tale entità da bastare a mantenere il circuito esterno in oscillazione.

Il circuito esterno, collegato con la coppia G2 G3 (detta concentratore) cui fornisce l'energia necessaria per operare i raggruppamenti elettronici, e quello, collegato con l'estrattore, che assorbe energia dagli elettroni vengono attuati opportunamente, per le frequenze più elevate, con cavità risonanti di forma torica: il tubo assume allora l'aspetto rappresentato in fig. 11, ove C è il catodo, G1 la griglia acceleratrice, G2 G8 il concentratore, che fa parte integrante della cavità toroidale A; G4 G6 l'estrattore, che fa parte integrante della cavità toroidale B; D è infine un collettore degli elettroni, che emergono dall'estrattore. Le cavità e tutte le griglie sono connesse con la medesima sorgente di tensione Vo; in E si ha l'entrata dell'energia ad alta frequenza per la cavità A, in U l'uscita dell'energia raccolta dalla cavità B. Se l'energia che fluisce da U supera quella necessaria per il funzionamento del concentratore, il tubo costituisce un amplificatore di potenza; se poi si preleva una parte sufficiente dell'energia di uscita e si manda con fase opportuna in entrata, il tubo può funzionare come autooscillatore.

Una teoria approfondita del funzionamento del klystron, nell'ipotesi che all'estrattore sia applicata una tensione alternativa di pulsazione nω, con n = 1, 2, 3, .., conduce alla valutazione del rendimento, inteso come rapporto fra la potenza di corrente oscillante che affluisce all'uscita U del circuito B, e la potenza di corrente continua io Vo, applicata al tubo per ottenere il fascio elettronico. Nelle condizioni più favorevoli tale rendimento è:

dove In (n k ϕ) è la funzione di Bessel di prima specie, di ordine n, nell'argomento n k ϕ. Per n = 1, cioè quando il circuito dell'estrattore e quello del concentratore sono accordati sulla stessa frequenza, la I1 raggiunge il massimo per k ϕ = 1,84 ed allora il rendimento risulta di 58%. Per n - 2 il rendimento scende al 49%, per n = 3 al 43% Si vede dunque che il klystron si presta bene anche come moltiplicatore di frequenza.

Esso tuttavia non è adatto allo sviluppo di grandi potenze, a causa della limitata emissione catodica, ed è in questo senso di gran lunga superato dal magnetron. Grande sviluppo è stato dato al klystron in Francia per i ponti radio; riportiamo in fig. 15 la fotografia di un klystron del tipo indicato.

Nell'impiego pratico si presenta la difficoltà dell'accordo delle due cavità risonanti, per il loro altissimo coefficiente di risonanza.

Il klystron reflex. - Quando si tratti di generare piccole potenze oscillatorie e il rendimento non abbia pratica importanza, come accade nel caso degli oscillatori eterodina, si può superare la difficoltà inerente all'accordo delle due cavità risonanti facendo ripassare gli elettroni attraverso il concentratore, che compie così anche l'ufficio di estrattore di energia. Questo risultato è raggiunto dal klystron reflex, nel quale gli elettroni, che emergono dal concentratore, vengono, dopo breve percorso, respinti verso il concentratore stesso da un elettrodo sottoposto ad un potenziale negativo convenientemente elevato, elettrodo che vien detto repulsore.

Un klystron reflex è rappresentato schematicamente in fig. 10: AA è una cavità toroidale, provvista di due griglie che costituiscono insieme il concentratore e l'estrattore; R è il repulsore; C il catodo. La cavità A è deformabile per variarne la frequenza di risonanza. La teoria del klystron reflex non differisce sostanzialmente da quella del klystron a due cavità. Vi è tuttavia fra i due tipi di klystron una differenza importante; contrariamente a quanto accade nel klystron a due cavità, nel klystron reflex sono gli elettroni meno veloci che raggiungono i più veloci. Questo fatto, apparentemente paradossale, deriva da ciò, che il moto degli elettroni, inizialmente diretto dal concentratore verso il repulsore, a un certo istante si inverte e avviene perciò che gli elettroni più lenti raggiungono i più veloci, perché debbono compiere un cammino più breve.

La condizione necessaria per la generazione delle oscillazioni è che i raggruppamenti elettronici si formino e arrivino al concentratore-estrattore quando la differenza di potenziale applicata alle due griglie risulta in opposizione di fase. Sviluppando la teoria del funzionamento del klystron reflex a partire da questa condizione, si trova la seguente espressione del rendimento:

dove k = V1/Vo, V1 è l'ampiezza della tensione alternativa di pulsazione ω; Vo è la tensione continua, e 2ϕ, detto angolo di transito, è dato da ω õ (õ = tempo medio che gli elettroni impiegano per ritornare sul concentratore; esso dipende ovviamente da Vo e dal potenziale negativo del repulsore Vr). La interessante discussione di questa espressione del rendimento giustifica completamente le singolari condizioni di funzionamento che il klystron reflex presenta e che sono rappresentate schematicamente in fig. 15.

Dai grafici risulta che al crescere progressivo del modulo di Vr si presentano successivamente alcuni intervalli di funzionamento, e in ciascun intervallo, ai diversi valori di Vr, corrispondono diversi valori della frequenza generata, la quale cresce progressivamente, in ciascun intervallo.

Il klystron reflex è largamente usato in pratica, perché è di comodo e facile maneggio; esso è particolarmente adatto per generare altissime frequenze, che possono superare di molto i 20 × 10° hertz fino a lunghezze d'onda di pochi mm.

Il magnetron a cavità multiple. - Il magnetron è un tubo elettronico a due elettrodi, catodo e placca, cilindrici coassiali, con il cilindro catodico interno al cilindro anodico, nel quale il moto degli elettroni è determinato da un campo elettrico acceleratore costante fra catodo e placca, e da un campo magnetico uniforme, le cui linee di forza sono normali al moto elettronico. In opportune condizioni il magnetron può convertire potenza di corrente continua in potenza di corrente oscillante ad altissima frequenza; quando ciò accade, il moto degli elettroni risente anche dell'azione deì campi elettrici ad altissima frequenza.

Dall'epoca della scoperta di tale possibilità (Zacek, 1924), intensi studî, accelerati grandemente nel corso della guerra, hanno permesso di conseguire perfezionamenti di tale importanza che il magnetron, nella sua forma attuale, risulta adatto a erogare grandissime potenze oscillanti e le sue applicazioni diventano sempre più numerose: dai forni ai radar.

Per la loro costituzione i magnetron attuali vengono denominati magnetron a cavità multiple: in sostanza si tratta ancora di diodi con elettrodi cilindrici, catodo e placca.

Il catodo C (fig. 16) è costituito da un cilindro cavo conduttore, generalmente di nichelio, ricoperto di ossidi metallici (bario), per ottenere una forte emissione termoelettronica. Nell'interno del cilindro corre un filo conduttore percorso da corrente (scaldatore) al fine di riscaldare gli ossidi. La placca P è costituita da un cilindro cavo di rame, di grosso spessore, nel cui interno è alloggiato il catodo. Nello spessore della placca sono praticati alcuni fori F (le cavità), con asse parallelo all'asse della placca; questi fori comunicano con l'interno del cilindro anodico, mediante le fenditure f. Ognuno di questi fori, con la relativa fenditura, costituisce un circuito oscillatorio. In uno di tali circuiti è inserita una spira s di accoppiamento, collegata con un cavo coassiale, che preleva energia dal campo elettromagnetico. Lo spazio compreso fra la superficie interna del cilindro anodico e la superficie esterna del catodo, entro il quale si manifestano gli scambî di energia fra elettroni in moto e i campi elettrici, viene spesso chiamato spazio di interazione.

In generale il numero dei fori e delle fenditure, cioè il numero dei circuiti oscillatorî, è assai elevato (8 e più); ciascun circuito può essere assimilato ad una cavità risonante, in cui, in regime oscillatorio, il campo magnetico si manifesta prevalentemente nel foro, mentre il campo elettrico si forma fra le labbra della fenditura. Tutti insieme i circuiti sono accoppiati in quanto le loro linee di forza magnetiche si concatenano parzialmente.

Il modo di oscillare di una simile schiera di oscillatori accoppiati è espresso da un sistema di equazioni differenziali nella tensione o nella corrente, in eui compaiono le costanti dei circuiti e le mutue induzioni fra un circuito e i circuiti circostanti. Ad ogni soluzione del sistema, corrisponde una differenza di fase fra i circuiti oscillatorî adiacenti. Poiché i circuiti oscillatorî sono distribuiti ad anello, la differenza di fase fra il primo e l'ultimo deve essere un multiplo intero n di 2 fπ; ne segue che la differenza di fase fra due circuiti contigui deve essere:

dove con N si è indicato il loro numero. Ad ogni possibile differenza di fase corrisponde una particolare frequenza di oscillazione del sistema degli N circuiti: tali frequenze sono diverse fra di loro e sono anche diverse dalla frequenza di risonanza propria di ogni circuito.

Lo scarto fra le varie frequenze dipende dall'accoppiamento fra i circuiti: se l'accoppiamento viene gradualmente ridotto, lo scarto diminuisce e tende a zero; allora tutte le frequenze del sistema tendono verso la frequenza propria di ogni singolo circuito, disaccoppiato.

Si aggiunga che ogni circuito oscillatorio, essendo assimilabile ad una cavità risonante non ha una sola frequenza propria; ne ha invece una tripla infinità. Fra tutte queste frequen2e, ve ne sono che corrispondono a campi elettrici a radiofrequenza orientati secondo l'asse della placca; altre invece corrispondono a campi normali al medesimo asse. I diversi modi di ogcillazione possono essere raggruppati in due classi: simmetrici e antisimmetrici, secondo che le basi del cilindro di plaeca risultano in fase o in opposizione di fase. Ad ogni frequenza propria di un singolo circuito, corrisponde un gruppo o multipletto di frequenze del sistema degli N circuiti.

Generalmente, per ragioni di potenza e di rendimento, il magnetron deve operare in modo che la frequenza sia la più bassa del multipletto fondamentale, cioè del multipletto che corrisponde alla frequenza fondamentale propria di ogni singolo circuito; sono stati pertanto escogitati dispositivi (straps e simili, vedi in seguito) per eliminare le altre frequenze. Il modo di oscillare del sistema degli N oscillatori viene in tal caso detto modo π, perché corrisponde ad una differenza di fase di fra un circuito e il contiguo. L'andamento delle linee di forza elettriche per questo modo è rappresentaio in fig. 17; si nota che queste linee invadono lo spazio di interazione, così che il moto degli elettroni è determinato, oltre che dalla tensione continua fra catodo e placca e dal campo magnetico assiale, anche dal campo ad alta frequenza.

La configurazione del campo elettrico, riportata nella fig. 17, varia periodicamente. Nel modo l'aspetto del campo è quello di un sistema di onde stazionarie, la cui lunghezza d'onda eguaglia il "passo" p dei segmenti in cui la superficie interna della placca è divisa dalle fenditure; per passo si intende il doppio della estensione di un segmento e di una fenditura.

Tali onde stazionarie possono essere considerate derivanti dalla soprapposizione di due sistemi di onde progressive, rotanti in senso inverso intorno al catodo con velocità:

dove f è la frequenza.

Lo studio del moto elettronico, il quale si svolge in modo tale che gli elettroni stessi alimentano i campi ad alta frequenza, cui cedono parte della loro energia, è estremamente complesso. Qui ci limiteremo a pochi cenni. Anzitutto, in assenza del campo magnetico e del campo ad alta frequenza, il moto degli elettroni, attratti dalla placca a potenziale positivo elevato, sarebbe rettilineo, radiale dal catodo alla placca. La presenza del campo magnetico assiale, incurva le traiettorie elettroniche, che giacciono sempre in piani normali all'asse della placca. Se il campo magnetico è sufficientemente intenso, la curvatura è tale che le traiettorie si svolgono per intero nello spazio di interazione, sicché nessun elettrone può raggiungere la placca. Tali traiettorie sono approssimativamente cicloidali (si suppone che la differenza d fra il raggio del cilindro catodico e il raggio della superficie interna della placca sia piccola). Ne segue che il moto dell'elettrone si può considerare derivante dalla soprapposizione di un moto uniforme parallelo alla superficie del catodo (e normale all'asse), con velocità:

(dove E è l'intensità del campo elettrico, B la densità di flusso magnetico, Vo la tensione continua applicata alla placca), e di un moto rotatorio su una circonferenza di raggio:

(essendo e ed m, carica e massa dell'elettrone) con velocità angolare:

È in sostanza il moto di un punto della periferia di una ruota di raggio ρ, che rotola, senza strisciare, sul catodo, restando in un piano normale all'asse del catodo stesso.

Fin qui non è stata considerata l'azione sugli elettroni del campo ad alta frequenza, a cui gli elettroni potranno cedere energia soltanto se nel loro moto vengono rallentati dal campo stesso, sicché la loro energia cinetica diminuisca. Ciò avverrà quando gli elettroni passano davanti alle successive fenditure, con velocità tale da trovare sempre il campo che si apponga al loro moto. Così, se un elettrone abbandona il catodo ad un istante in cui il campo a radiofrequenza è antagonista, esso cede al campo stesso con continuità l'energia che acquista per effetto del potenziale acceleratore costante applicato alla placca. Per soddisfare a questa condizione, occorre che sia:

cioè il moto di insieme degli elettroni intorno al catodo deve avvenire con la stessa velocità della componente progressiva del campo stazionario ad alta frequenza, che ruota intorno al catodo con velocità concorde con quella degli elettroni.

Per giustificare le formule precedenti occorre anzitutto osservare che la componente rotante in senso inverso può essere trascurata perché agisce sugli elettroni molte volte in un senso e nell'altro prima che essi vengano eliminati dallo spazio di interazione, cosicché il suo effetto rimane in media nullo. Basta allora considerare la componente che ruota in senso concorde con quello degli elettroni, la quale appare costante agli elettroni stessi, perché componente ed elettroni ruotano con la medesima velocità. Consideriamo allora gli elettroni che emergono dal catodo nelle direzioni a (fig. 17), nelle quali il campo a radiofrequenza è radiale. Questo campo si aggiunge o si sottrae semplicemente al campo continuo dovuto al potenziale costante di placca; in conseguenza, per l'azione concomitante del campo magnetico assiale, la velocità trasversale v degli elettroni viene esaltata o attenuata.

Per gli elettroni che emergono in direzioni diverse, la risultante del campo ad alta frequenza e del campo continuo non è radiale: ne consegue che il moto dell'elettrone è sempre cicloidale, ma la cicloide non si avvolge più intorno al catodo, come accadeva in assenza del campo ad alta frequenza. Precisamente accade che tutti questi elettroni si portano nelle regioni dove il campo ad alta frequenza è antagonista, disertando le altre, e acquistano un movimento d'insieme verso la placca. Poiché il campo stesso è antagonista, essi arrivano alla placca con velocità minore di quella che acquisterebbero per effetto del solo campo continuo e pertanto cedono energia al primo, che li ha rallentati. Nella fig. 18 sono rappresentate alcune orbite elettroniche in un magnetron a otto cavità, si deve immaginare che la figura ruoti nel verso delle frecce con la velocità v: gli elettroni si raccolgono entro quattro bracci di una ruota che gira con tale velocità.

Per valutare, sia pure approssimativamente, lo scambio di energia sopraccennato, occorre calcolare l'energia cinetica con cui gli elettroni arrivano alla placca in assenza del campo ad alta frequenza (che è eVo), e l'energia con cui vi arrivano quando il campo stesso è presente, la quale è

(gli elettroni percorrono il vertice 2 della cicloide con velocità 2v). L'energia utile è dunque:

Se al magnetron fosse stato applicato quel campo magnetico Bc e quel potenziale continuo Vc per i quali la massima ordinata della cicloide 2 ρ eguaglia la distanza d fra catodo e placca, campo e potenziale (che son detti critici) risulterebbero legati dalla relazione:

Sostituendo questo valore di d nell'espressione del rendimento si ottiene:

Questa relazione, veramente semplice, è assai ben confermata dall'esperienza. Essa mostra che il rendimento cresce con B e può raggiungere valori molto vicini all'unità. Occorre peraltro ricordare la relazione già trovata:

la quale mostra che, se la frequenza deve rimanere invariata, Vo deve crescere proporzionalmente a B.

Le frequenze che corrispondono ai varî modi di oscillazione del multipletto fondamentale del magnetron sono molto vicine a quella del modo π. Può così facilmeníe accadere che il moto elettronico ecciti, oltre al modo π che generalmente si desidera ottenere, anche qualche altro modo. Ciò si evita esaltando, con opportimi accorgimenti, la differenza fra le frequenze del multipletto.

Col procedimento detto strapping (fig. 19), vengono fra loro riuniti, mediante conduttori, i segmenti di posto pari, e con altri conduttori i segmenti di posto dispari. Se la lunghezza delle connessioni fosse trascurabile in confronto con la lunghezza d'onda, il solo modo ,π sarebbe allora possibile, perché le connessioni stesse obbligherebbero i segmenti di posto pari ad assumere un potenziale ad alta frequenza in opposizione di fase di quello dei segmenti di posto dispari. Ma la lunghezza delle connessioni è dello stesso ordine della lunghezza d'onda e quindi restano ancora possibili gli altri modi. Tuttavia le frequenze risultano molto meglio separate.

Varî tipi di collegamenti (straps) sono stati escogitati per raggiungere la separazione delle frequenze, oltre quello di cui sopra si è fatto cenno: Con un altro procedimento le cavità vengono accordate alternativamente su due frequenze diverse, come già abbiamo detto. Tale procedimento è preferito nel caso dei magnetron per lunghezze d'onda molto corte, in quanto, per le dimensioni ridotte del sistema, gli straps avrebbero un ingombro eccessivo. Il sistema dei risonatori, che vien detto rising sun, opera la separazione delle frequenze in modo analogo a quello di un sistema di due risonatori accoppiati e leggermente disaccordati.

La frequenza delle oscillazioni generate da un magnetron a cavità multiple dipende essenzialmente dalle dimensioni geometriche del magnetron stesso; essa pertanto può variare in limiti molto stretti, e comunque non oltre l'uno per cento. Per poter conseguire maggiori variazioni. occorre modificare in qualche modo i parametri delle cavità risonanti. Variazioni di induttanza possono essere conseguite inserendo, più o meno, spine conduttrici (fig. 20 a) in ciascun risonatore, dove sono concentrate le linee di forza magnetiche. Quando le spine sono inserite, il volume delle cavità è ridotto e ne consegue un aumento della frequenza; si possono cosi raggiungere variazioni fino al 7%. Con una disposizione come quella della fig. 20 b si varia la posizione di anelli che abbracciano tutte le sezioni anodiche; quando gli anelli sono tutti inseriti, la frequenza decresce.

Particolare attenzione deve essere rivolta finalmente al catodo, che deve fornire gli elettroni per il trasferimento dell'energia dai campi continui alternativi. Nella tecnica usuale dei tubi a vuoto, i catodi dotati della maggiore emissione specifica possono fornire densità di corrente dell'ordine di 0,5 Ampère per cmq.; per contro, i magnetron destinati a funzionare a impulsi, richiedono densità di gran lunga superiori.

Proprio su questo punto, dove pare sorgere una difficoltà grave e scoraggiante, si manifesta un fatto nuovo che contribuisce decisamente al successo del magnetron. Precisamente accade che gli stessi ossidi metallici, che nei tubi ordinarî non dànno densità superiori a quelle accennate sopra (0,5 Ampère per cmq.), nei magnetron raggiungono perfino 50 Amp./cmq. Come essi possano fornire correnti così enormi non è ancora ben chiaro; è certo però che ciò è dovuto alla presenza delle oscillazioni ad alta frequenza; infatti, se si riduce il campo magnetico in modo che le oscillazioni non possano avvenire e tutta la corrente elettronica catodica venga raccolta dalla placca, questa corrente non raggiunge l'uno per cento di quella che fluisce in regime oscillatorio.

In regime oscillatorio, come abbiamo visto, una parte degli elettroni emessi dal catodo viene ributtata sul catodo stesso, bombardandolo con esaltata energia; la potenza media di questo bombardamento può superare i 75 watt/cmq. di superficie catodica, dando luogo a sviluppo di calore così grande che per i magnetron della più piccola lunghezza d'onda, può essere sufficiente da solo a mantenere il catodo a temperatura elevata. In taluni casi il soprariscaldamento del catodo del magnetron determina il limite delle sue possibilità di funzionamento.

L'attuazione dei catodi per i magnetron di lunghezza d'onda superiore a 10 cm. non presenta eccezionali difficoltà; generalmente si tratta di cilindretti di nichelio rivestiti come di consueto da sostanza attiva, derivante da carbonati di bario e di stronzio. La densità dell'emissione elettronica non supera i 10 Amp./cmq.

Gravi difficoltà si presentano invece nel caso dei magnetron per le più corte lunghezze d'onda: la riduzione di tutte le dimensioni richiede densità di emissione molto forti, oltre 30 Amp./cmq., per le quali lo strato attivo, se non si adottano opportuni accorgimenti, viene rapidamente distrutto, in seguito alla formazione di archi; spesso anche il supporto di nichelio fonde e vaporizza. Questi accorgimenti consistono nell'adozione, come supporto della sostanza attiva, di reti di nichelio fra le cui maglie la sostanza attiva viene per così dire imprigionata, o analoghe disposizioni.

Con i criterî esposti precedentemente sono stati costruiti un gran numero di tipi di magnetron, a freiluenza fissa e variabile, con campo magnetico separato o incorporato: i soli Bell Telephone Laboratories durante la guerra svilupparono quindici famiglie diverse di magnetron, che vengono generalmente ripartiti in tre gamme: la gamma L (da 25 a 50 cm.), la gamma S (da 8 a 11 cm.), la gamma X (da 3 cm.). Sono stati anche costruiti magnetron per lunghezze d'onda minori (figg. 23, 24, 25).

Magnetron a cavità unica: turbator, dunotron. - Nel corso della guerra è stato costruito un tipo di magnetron a cavità unica, detto turbator in Svizzera (Brown-Boveri) e in ltalia (Fivre). La placca è costituita da una cavità torica (fig. 21); la superficie interna della cavità, che limita lo spazio di interazione, è formata da segmenti fissati alternativamente a una base e all'altra del foro. Lo studio di un tipo analogo di tubo è stato attualmente ripreso in America, dove esso è stato denominato dunotron.

Tubo a onda viagciante. - La limitazione al funzionamento dei tubi ordinarî alle più alte frequenze, derivante dal tempo di transito, è stata superata con i nuovi tubi, magnetron e klystron, nei quali si trae profitto proprio dal tempo di transito stesso.

Alle frequenze ordinarie, il tempo di transito nei triodi può essere trascurato; ciò significa che gl; elettroni nel loro viaggio fra gli elettrodi sono comandati da campi elettrici, che si possono ritenere invariabili lungo il loro percorso. Se si riuscisse a produrre onde progressive entro un tubo, con velocità di fase inferiore alla velocità della luce (per es. v =

c), gli elettroni di un fascio, che si muovano entro il tubo con la medesima velocità, si troverebbero in condizioni analoghe; cioè, lungo tutto il loro percorso, su ciascuno di essi agirebbe un campo praticamente costante, e sarebbero possibili scambî energetici fra campo ed elettroni, similmeme a quanto accade nel magnetron, ove appunto le velocità di rotazione, attorno al catodo, del campo e degli elettroni son pressoché uguali.

Su questa base è stato attuato (Kompfner, in Inghilterra, Pierce negli Stati Uniti) un tubo amplificatore per le più alte frequenze, detto "tubo ad onda viaggiante" (travelling wave tube). Questo tubo ha acquistato subito una grande importanza per la larghissima banda nella quale può amplificare (800 MHz). Al centro della banda, l'amplificazione raggiunge i 23 decibel, ai limiti si riduce a 3. Se la frequenza centrale è 4000 MHz, la potenza di uscita può raggiungere circa 200 milliwatt.

Il tubo è rappresentato schematicamente in fig. 22. Un catodo (C a riscaldamento indiretto mediante uno scaldatore (S) fornisce elettroni, che, accelerati da un anodo (A) a potenziale positivo elevato, percorrono ad alta velocità l'asse di un'elica cilindrica (H), disposta entro il tubo a pareti di vetro, e, alla fine della loro corsa, vengono raccolti da un collettore (Co), anch'esso a potenziale positivo elevato. L'elica, formata da un filo metallico, costituisce il conduttore interno di un cavo coassiale, il cui conduttore esterno è infilato sul tubo. Alle estremità dell'elica, arrivano i terminali di due guide d'onda, una per l'ingresso (E) della potenza a radiofrequenza, l'altra per l'uscita (U) della potenza amplificata.

Lo studio del campo elettromagnetico, che si propaga nello spazio compreso fra l'elica e il cilindro esterno e nell'interno dell'elica, è molto complesso; da tale studio emerge che lungo l'asse dell'elica si propaga un campo il cui vettore elettrico ha la direzione dell'asse, cioè del moto degli elettroni, e che la velocità di fase risulta minore della velocità della luce, nel rapporto fra il passo dell'elica e la lunghezza dello sviluppo della direttrice del cilindro su cui è avvolta.

Anche la teoria del meccanismo con il quale avviene la conversione parziale dell'energia cinetica, che gli elettroni acquistano per effetto del potenziale continuo acceleratore, in energia del campo elettromagnetico non è semplice. Essa conduce a riconoscere l'esistenza di quattro diverse onde che si propagano lungo l'asse del tubo, di cui una sola praticamente interessa, perché risulta fortemente amplificata.

Conclusione. - In questi ultimi dieci anni la tecnica dei tubi termoelettronici ha grandemente progredito, specialmente nel campo delle frequenze più elevate. Questi progressi, potentemente sollecitati dall'interesse della attuazione di strumenti bellici sempre più efficienti, sono stati raggiunti in seguito all'evolversi delle conoscenze scientifiche sulla propagazione dei campi elettromagnetici in spazî limitati e sul moto degli elettroni in detti campi: l'"elettronica" si è così grandemente estesa, da formare da sola un vastissimo corpo di dottrine. Nei paragrafi che precedono ci siamo limitati ad illustrare i tipi di tubi termoelettronici più importanti. Per altri vedi bibliografia.

Bibl.: J. C. Slater, Microwave transmission, Londra 1942; J. A. Stratton, Electromagnetic theory, Londra 1941; L. de Broglie, Problèmes des propagations guidées des ondes électromagnétiques, Parigi 1941; L. Ridenour, Radar System Engineering, Londra 1947; A.E. Harrison, Klystron tubes, Londra 1947; J. B. Fisk, D. H. Hagstrum, P. L. Hartmann, The Magnetron as generator of centimeter waves, in Bell System Technical Journal, aprile 1946; J. R. Pierce, W. G. Shepherd, Reflex oscillators, ibid., luglio 1947.

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