TROVATORI PROVENZALI

Federiciana (2005)

Trovatori provenzali

Walter Meliga

La poesia dei trovatori provenzali ‒ attestata a partire dall'inizio del sec. XII ‒ ha iniziato a diffondersi piuttosto presto fuori dei confini dell'Occitania, raggiungendo anche l'Italia settentrionale. Nelle corti feudali di questa regione si hanno notizie di trovatori provenienti d'Oltralpe sin dagli ultimi decenni del secolo: fra i primi, Raimbaut de Vaqueiras (attivo 1180-1205), nativo della Provenza, è in rapporto con il marchese Bonifacio I di Monferrato a partire dal penultimo decennio del secolo e più o meno negli stessi anni anche Gaucelm Faidit (attivo 1172-1203), del Limosino, e Peire Vidal (attivo 1183-1204), di Tolosa, sono presenti nella stessa corte. Dall'inizio del Duecento, vari altri trovatori passano in Italia e intrattengono relazioni, oltre che con il Monferrato, con importanti corti quali quelle dei Savoia, dei Malaspina e degli Este, e con altre di minore peso politico ma ugualmente attive nella promozione della poesia, come quelle di Saluzzo, dei Carretto, dei da Romano. I trovatori che giungevano in Italia trovavano un terreno molto favorevole per la prosecuzione della loro attività artistica, che risulta infatti quantitativamente ragguardevole per la parte prodotta al di qua delle Alpi; il successo italiano della lirica trobadorica lascerà poi vistose tracce nella sua tradizione manoscritta, per più della metà rappresentata da collezioni antologiche (canzonieri) prodotte in Italia. Tale successo provocò il fiorire di numerosi trovatori di nascita italiana ma poetanti in lingua d'oc (ventisette secondo Bertoni, 1915), attivi anch'essi dall'ultimo decennio del sec. XII (se non addirittura prima del terzultimo, se si tiene conto di un anonimo "veilletz lombartz" ['lombardo anzianotto'] che compare in una celebre rassegna poetica del trovatore Peire d'Alvergne composta prima del 1173 [cf. Peire d'Alvernhe, Poesie, a cura di A. Fratta, Manziana 1996, nr. 8, v. 73]). Le caratteristiche originarie del fenomeno letterario trobadorico ‒ poesia di origine e di diffusione aristocratica, prodotto dell'ambiente della corte, eminentemente sociale e 'pubblica' nelle sue manifestazioni ‒ si adattano molto bene alle condizioni socio-culturali del Norditalia, dove troviamo corti sostanzialmente assimilabili a quelle dell'Occitania. Ecco che, da quando nel quadro italiano cominciò a farsi sentire l'azione di Federico II, molti trovatori iniziarono a rivolgere i loro componimenti al giovane re e imperatore, anche se spesso come portavoce dei signori che li ospitavano e li proteggevano.

I componimenti trobadorici che contengono citazioni di Federico II o appelli e invii a lui indirizzati sono ‒ allo stato delle conclusioni critiche più recenti ‒ quarantaquattro e costituiscono un corpus interessante, specie per i riferimenti storici in essi contenuti.

La lista seguente (compilata dai dati offerti da Torraca, 1902; Schultz-Gora, 1902, pp. 33-38; Wittenberg, 1908, pp. 52-87; De Bartholomaeis, 1911-1912; Anglade, 1915, pp. 213-215, 242-243; Bertoni, 1915, pp. 25-26; De Bartholomaeis, 1931; Chambers, 1971, p. 133) presenta i componimenti nell'ordine di BdT (da cui si ricavano sempre numero del trovatore e dei componimenti, forma dei nomi e degli incipit e genere poetico, con alcune precisazioni), seguiti dall'indicazione, in corsivo fra parentesi quadre, del numero d'ordine progressivo di composizione (riportato più avanti nell'elenco analitico dei componimenti):

10. Aimeric de Peguillan: 11 = [1]; 15 = [20]; 26 = [7]; 52 = [19];

13. Albert → 436. Simon Doria;

40. Austorc d'Aorlhac: 1 = [43];

132. Elias de Barjols: 4 = [27];

133. Elias Cairel: 4 = [11]; 11 = [16]; 13 = [14];

156. Falquet de Romans: 2 = [17]; 3 = [18]; 4 = [26]; 6 = [10]; 11 = [25]; 14 = [6];

173. Gausbert de Poicibot: 11 = [12];

177. Gormonda: 1 = [29];

205. Guillem Augier Novella: 4a = [21]; 7 = [15];

217. Guillem Figueira: 1 = [42]; 1b = [8]; 2 = [28]; 4 = [32]; 4a = [35]; 7 = [5]; 8 = [36];

225. Guillem de Montaignagol: 9 = [38]; 11 = [39];

265. Joan d'Albuzo: 2 + 310. Nicolet de Turin: 1 = [31];

282. Lanfranc Cigala: 6 = [41]; 23 = [40];

310. Nicolet de Turin → 265. Joan d'Albuzo;

[323. Peire d'Alvergne (attribuz. erronea: cf. Peire d'Alvernhe, Poesie, p. XXXIV)]: 22 = [4];

330. Peire Bremon Ricas Novas: 14 = [34];

335. Peire Cardenal: 12 = [24]; 31 = [30];

344. Peire Guillem de Luzerna: 3 = [22];

366. Peirol: 28 = [13];

375. Pons de Capdoill: 8 = [2]; 22 = [3];

390. Raimbaut de Beljoc: 1 = [9];

436. Simon Doria: 2 + 13. Albert: 1 = [44];

437. Sordel: 24 = [33];

442. Tomier e Palazi: 1 = [23];

457. Uc de Saint Circ: 42 = [37].

Questi componimenti possono essere ordinati cronologicamente in un periodo piuttosto lungo, che va dal 1213 (poco dopo la prima incoronazione reale di Federico, nel 1212 a Magonza) a circa il 1250. Come ha già osservato De Bartholomaeis (1911-1912, p. 98), nessuna poesia è riferibile a Federico II durante il periodo della sua prima giovinezza in Sicilia e solo due (BdT 156.6 e 205.7) sembrano accennare al suo passaggio in Italia settentrionale durante la risalita in Germania del 1212. Lo stesso De Bartholomaeis (1911-1912) aveva già provveduto a unire i componimenti, a seconda dei riferimenti storici in essi contenuti, in gruppi, tuttora validi (con qualche aggiustamento nel numero e nella datazione dei pezzi), che riguardano nell'ordine: [I] il periodo della permanenza di Federico II in Germania e della lotta contro Ottone IV, dal 1212 al 1220 (sei comp.); [II] l'incoronazione imperiale del 1220, dall'ingresso in Italia il 3 settembre al rientro nei confini del Regno di Sicilia il 12 dicembre (quattro comp.); [III] il successivo periodo di permanenza nel Regno di Sicilia, fino al marzo del 1226 (dieci comp.); [IV] la prima fase della lotta con i comuni lombardi e la Chiesa, fino al ritorno di Federico dalla crociata, dal marzo 1226 al giugno 1229 (sette comp.); [V] la seconda fase della lotta con i comuni, dal 1229 al 1241 (dieci comp.); [VI] il nuovo confronto con la Chiesa e il papa Innocenzo IV, dal 1241 alla morte dell'imperatore (sette comp.). Anche se non tutti i componimenti sono collocabili con sicurezza nei periodi sopra citati (hanno una datazione incerta, per l'indeterminatezza dei riferimenti, una dozzina di pezzi, ma fra di essi quelli storicamente importanti sono solo la metà), la successione di quelli databili consente di tracciare con soddisfacente precisione il percorso delle vicende politiche che ebbero Federico II come protagonista e le loro ripercussioni negli ambienti signorili dell'Italia settentrionale e in qualche caso anche del Sud della Francia.

Conformemente agli argomenti e alle situazioni sui quali intervengono i trovatori, i generi metrici interessati sono ‒ oltre a nove canzoni (di cui però almeno tre dispiegano temi estranei all'amore) ‒ diciotto sirventesi (componimenti formalmente identici alla canzone, ma distinti per il contenuto, che riguarda la polemica politica, l'esortazione morale e l'attacco personale), otto 'canzoni di crociata' (sirventesi indirizzati alla promozione della crociata, spesso con inviti espliciti alla partenza rivolti a determinati signori), tre sirventesi-canzone (genere poetico ibrido che unisce argomenti propri della canzone e del sirventese), oltre a due tenzoni, due planhs (compianto per un signore defunto) e due coblas (strofa isolata).

I componimenti hanno un ordine cronologico determinato dai riferimenti storici e, per quanto possibile, all'interno dei periodi storici sopra elencati; il rimando bibliografico principale è sempre De Bartholomaeis, 1931, con aggiunte e correzioni, specialmente alla datazione, quando le conclusioni della restante bibliografia risultino preferibili. Non tutti i pezzi hanno un uguale interesse per quanto riguarda la figura e le azioni di Federico II: a componimenti che dedicano strofe intere all'imperatore o nei quali il poeta si rivolge direttamente a lui o gli invia la poesia, ve ne sono altri nei quali il rapporto è più debole o soltanto convenzionale (nell'elenco i primi sono contraddistinti da un asterisco).

I. Periodo della permanenza di Federico II in Germania e della lotta contro Ottone IV (1212-1220):

[1] 1213, primavera: [BdT 10.11] Aimeric de Peguillan, Ara parra qual seran envejos (De Bartholomaeis, 1931, nr. XLVI).

Canzone di crociata, composta in Italia settentrionale (probabilmente presso uno dei due signori nominati da Aimeric: v. sotto) nel periodo di contrasti fra i potentati cristiani della primavera del 1213 e durante la diffusione, nel corso dello stesso anno, dei proclami per la quinta crociata e il concilio laterano del 1215 (vv. 9-10). Il componimento invita i cristiani a prendere la croce e a partire per il S. Sepolcro; alcuni signori si sono crociati o stanno per farlo (Guglielmo Malaspina, Guglielmo IV di Monferrato), mentre "i re [fra i quali sarà da contare anche Federico II] hanno colpa verso l'imperatore [Ottone IV]" (trad. De Bartholomaeis) perché non fanno pace fra loro per liberare i luoghi santi (vv. 45-48); meno probabile la traduzione ("the kings and the emperors are much at fault") e l'interpretazione degli editori di Aimeric (cf. W.P. Shepard-F.M. Chambers, The Poems of Aimeric de Peguilhan, Evanston, Ill. 1950, pp. 10-11, 87-88), che mostrano di ritenere che a Federico potesse essere dato il titolo di imperatore prima del 1220.

[2] 1213, primavera: [BdT 375.8] Pons de Capdoill, En honor del pair' en cui es (De Bartholomaeis, 1931, nr. XLVII).

Canzone di crociata, composta nella Francia del Sud probabilmente nello stesso periodo della precedente. Il componimento chiama i "signori" a prendere la croce, critica l'avidità dei potenti e auspica la pace fra i re d'Inghilterra e di Francia e fra il "re di Puglia [Federico II, re di Sicilia dal 1198]" e l'imperatore (Ottone IV), che dovrebbero essere amici fino a quando la tomba di Cristo sia liberata (vv. 55-57).

[3] 1213, estate: [BdT 375.22] Pons de Capdoill, So qu'om plus vol e plus es voluntos (De Bartholomaeis, 1931, nr. XLVIII).

Canzone di crociata, diretta a Pietro II d'Aragona e composta nella Francia del Sud nei mesi immediatamente precedenti la battaglia di Muret (12 settembre 1213, dove Pietro trovò la morte). Il componimento invita a partire per servire Dio e salvarsi nel Giudizio finale, mentre quelli che restano non sono né saggi né prodi, e anche il "re [Federico II]" e l'"imperatore [Ottone IV]" sono in errore se restano a farsi guerra per il denaro e la terra (vv. 22-24); anche il clero è falso e avido e non intende partire.

[4] *1213, primavera-1214, luglio: [BdT 323.22] Anonimo [già attrib. a Peire d'Alvergne], Lo seigner que formet lo tro (De Bartholomaeis, 1931, nr. XLIX).

Canzone di crociata, composta fra la primavera del 1213 e la battaglia di Bouvines del 27 luglio 1214 da un autore sconosciuto (secondo Frank, 1955, p. 62, un italiano); secondo C. Pulsoni, 'Lo senher que formet lo tro' (BdT 323,22 ed alcune considerazioni sul corpus poetico di Pons de Capduelh, in Studi provenzali e galeghi 89/94, L'Aquila 1994, pp. 81-116), la canzone è invece del periodo 1209-inizio 1212 e anche il riferimento a Federico II è da rifiutare. Il componimento invita a seguire il Signore, salvandosi dai peccati, e raccomanda a Filippo Augusto, Giovanni Senzaterra e Ottone IV di trovare un accordo fra loro per servire la Madonna e Gesù Cristo; la canzone è mandata in Terrasanta nella prima tornada, mentre nella seconda è inviata attraverso un giullare in Germania, "dove il pregio non si perde, al signore [Federico II?] che lo conserva e lo mantiene" (vv. 61-64).

[5] *1215, dopo il 25 luglio: [BdT 217.7] Guillem Figueira, Totz hom qui be comens' e be fenis (De Bartholomaeis, 1931, nr. LII).

Canzone di crociata, composta probabilmente in Italia (dove Guillem si era trasferito sin dal 1215: cf. E. Levy, Guilhem Figueira, ein provenzalischer Troubadour, Berlin 1880, p. 1), poco dopo l'incoronazione di Federico II ad Aquisgrana il 25 luglio 1215, quando il re fece pubblicamente la promessa di partire per la crociata (secondo De Bartholomaeis, 1931, I, p. 209, la canzone è invece stata composta a Tolosa, dove Guillem, tolosano di nascita, avrebbe risieduto fino al 1229). Il componimento esalta il "buon frutto" che nasce dalla fede e dalle buone opere; a questo "frutto che non perisce" Dio ha esortato "il valoroso re Federico" (vv. 33-34) e tutti gli altri che andranno contro i pagani; Federico, "frutto di giovinezza, [...] di pregio e [...] di conoscenza" deve ora mangiare il "frutto di penitenza [la crociata]" per terminare bene ciò che ha ben cominciato (vv. 49-52).

[6] ante 1220 (?): [BdT 156.14] Falquet de Romans, Una chanso sirventes (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXVI).

Sirventese-canzone, composto forse prima del 1220 alla corte dei Malaspina (v. 46), dopo il viaggio del marchese Guglielmo IV di Monferrato in Germania presso Federico II e il rientro di questi in Italia, dove risiedeva Falquet. Nelle due strofe dedicate al marchese, cugino di Federico II, è riportata un'affermazione scherzosa del "re Federico" sull'avarizia del cugino (vv. 34-36), probabilmente oggetto di pettegolezzo nei circoli aristocratici dell'Italia settentrionale.

II. L'incoronazione imperiale del 1220:

[7] *1220, primavera o 3 settembre-31 ottobre: [BdT 10.26] Aimeric de Peguillan, En aquel temps quėl reis mori n'Anfos (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXIX).

Sirventese composto in Italia probabilmente nel corso della discesa di Federico II dalla Germania per l'incoronazione imperiale, fra l'arrivo del corteo imperiale a Bolzano il 3 settembre 1220 e la festa di Ognissanti dello stesso anno ‒ data alla quale fa riferimento il componimento BdT 217.1b che lo cita (cf. anche V. De Bartholomaeis, La 'Metgia' di Aimeric de Peguilhan, "Memorie della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali", ser. I, 6, 1911-1912, pp. 69-80) ‒ o, secondo Shepard-Chambers (The Poems, p. 19), al più presto nella primavera del 1220, prima della morte del marchese Guglielmo Malaspina (fine aprile 1220), protettore di Aimeric, che non viene citato fra i grandi signori defunti nominati nella prima strofa (v. sotto); a una data tra il 1214 e l'incoronazione del 1215 aveva invece pensato Torraca (1902, pp. 259-261), sottolineando come Aimeric faccia più volte riferimento alla giovane età di Federico. Il componimento è la celebre Metgia ('medicina': v. 44) che, dopo la morte di alcuni grandi re e signori (Alfonso VIII di Castiglia, suo figlio Ferdinando, Pietro III d'Aragona, Diego López de Haro, Azzo VI d'Este e un misterioso Salados [forse il conte Bonifacio di Sambonifacio: cf. G. Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense, Pisa 1981, pp. 28-29]) e la conseguente scomparsa del pregio e della liberalità, viene somministrata da un "buon medico" che Dio ha mandato "da Salerno" (vv. 11-12), sapiente, generoso e virtuoso, capace di "guadagnare [...] Dio e il mondo", benché sia ancora un "giovane" (prov. enfan [infans, puer Apuliae è spesso chiamato Federico nelle cronache]) (vv. 27-28), e di venire "qui [in Italia] a conquistare l'impero germanico" (vv. 29-30); questo "medico sapiente", figlio dell'imperatore Enrico, si chiama Federico e, grazie alle sue qualità, curerà e proteggerà "i suoi amici [i signori ghibellini dell'Italia settentrionale]" (vv. 33-40); il nome che porta è adatto poiché "i discorsi sono buoni e le opere importanti e nobili [prov. ric]" (vv. 41-42).

[8] 1220, settembre-ottobre: [BdT 217.1b] Guillem Figueira, Bertram d'Aurel, si moria (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXX).

Cobla composta in Italia poco prima della festa di Ognissanti (v. 2) del 1220, nella quale un Figueira (quasi certamente Guillem Figueira, anche se, secondo De Bartholomaeis, 1911-1912, p. 101 e 1931, I, p. 250, si tratterebbe di un altro trovatore, di nome Augier Figueira [ma cf. Levy, Guilhem Figueira, pp. 9-12]) si fa burla delle aspettative di successo presso il "re" che Aimeric de Peguillan (v. il componimento precedente) nutre a proposito della sua presunta Metgia (vv. 8-10).

[9] *1220 (?): [BdT 390.1] Raimbaut de Beljoc, A penre m'er lo conort del salvatge (De Bartholomaeis, 1931, nr. XC).

Sirventese composto fuori d'Italia (dove l'autore intende recarsi presso Federico II: vv. 30-32), secondo Schultz-Gora (1902, p. 37) nel 1220 (evidentemente nel breve periodo fra la discesa in Italia di Federico e la sua incoronazione, come crede anche Wittenberg, 1908, p. 58), secondo De Bartholomaeis (1931, II, p. 49) nel periodo di relativa pace anteriore al 1226 (ma Raimbaut dà ancora a Federico il titolo di re [v. sotto]). Il componimento lamenta la decadenza del mondo: il poeta canta anche se ha dolore e andrà errabondo alla ricerca del "pregio"; fra poco se ne andrà "fra i Lombardi [...] dal re dei Tedeschi, ricco d'onore e di pregio, prode e valoroso", dove crede che ci sia "pregio", anche se prima di credere agli elogi che ne fa la gente vuole vedere il "suo comportamento" (vv. 30-36).

[10] *1220, dopo il 22 novembre: [BdT 156.6] Falquet de Romans, Far voill un nou sirventes (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXXI).

Sirventese composto in Italia settentrionale non molto dopo l'incoronazione imperiale di Federico II e mentre Falquet si trova presso un signore di quei luoghi (cf. V. De Bartholomaeis, Il 'conselh' di Falquet de Romans a Federico II imperatore, "Memorie della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali", ser. I, 6, 1911-1912, pp. 81-88; R. Arvellier-G. Gouiran, L'oeuvre poétique de Falquet de Romans troubadour, Aix-en-Provence 1987, pp. 71-72). Il componimento, detto conselh ('consiglio' [v. 46]: avvertimento o ammaestramento dato dal trovatore a un potente), tratta di un "argomento importante": dove sta il "pregio" e le qualità che vi sono connesse; Federico, "che regna sopra tutti, era generoso prima di diventare potente, mentre ora [dopo essere divenuto imperatore] preferisce tenersi la terra e la ricchezze", come dicono quelli che vengono da lui (vv. 19-27); sia invece generoso, perché la fortuna può cambiare (vv. 28-36), ami Dio che gli ha dato la corona e suo cugino (il marchese di Monferrato), perché potrà averne vantaggi, giacché Falquet ha visto (forse al tempo del ritorno in Germania nel 1212: cf. Bettini Biagini, La poesia provenzale, p. 31) il bene che gli hanno fatto il marchese d'Este (Azzo VI) e il conte di Verona Bonifacio di Sambonifacio (vv. 37-45); mantenga sempre cari e potenti i suoi amici (i signori ghibellini sopra citati e probabilmente anche Ottone del Carretto, al quale è dedicato il sirventese) e non se ne abbia a male se il trovatore gli comunica il suo pensiero (vv. 37-59).

[11] *1220, dicembre (?): [BdT 133.4] Elias Cairel, Fregz ni ven nȯm pot destreigner (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXXII).

Canzone composta poco dopo l'incoronazione imperiale di Federico II (vv. 36-37); una variante ai versi interessati potrebbe però anticipare la datazione al periodo che immediatamente la precede (cf. V. De Bartholomaeis, La canzone 'Fregz ni neus' di Elia Cairel, "Memorie della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali", ser. I, 6, 1911-1912, pp. 90-95; H. Jaeschke, Der Trobador Elias Cairel, Berlin 1921, p. 38-39). Il componimento accusa la "gente ignorante" che preferisce ciò che non ha valore e opprime "i valorosi" e anche l'amore è fonte di delusione e di sconforto; il poeta non può più seguire "il re piacente, che ora è signore dell'impero", giacché tiene "così magra" la sua persona "che la lima non può morderlo", ed è costretto ad andarsene (vv. 36-41).

III. Periodo della permanenza nel Regno di Sicilia (dicembre 1220-marzo 1226):

[12] *1220-1221 (?): [BdT 173.11] Gausbert de Poicibot, S'eu anc jorn dis clamans (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXXIII [testo limitato alle strofe I, II e VI (tornada), integrabile con W.P. Shepard, Les poésies de Jausbert de Puycibot, troubadour du XIIIe siècle, Paris 1924, nr. XI]).

Canzone composta forse in Spagna, alla corte di Giacomo I d'Aragona (nato nel 1208) ancora giovanissimo (vv. 25-28 [61-64 ediz. Shepard]), non molto dopo l'incoronazione imperiale di Federico II. Il componimento manifesta il pentimento del poeta per aver parlato contro Amore e l'intenzione di fare ammenda per ordine di "madonna Eleonora" (secondo le varianti dei manoscritti, Eleonora di Castiglia, prima moglie di Giacomo, o Eleonora d'Aragona, sorella di Giacomo e moglie di Raimondo VI di Tolosa); la canzone è inviata al "re dei Tedeschi, primo fra gli imperatori", al quale Valore concede pregio sopra tutti, di cui è "garante" il suo nome Federico (prov. Frederic), giacché tiene in mano un "freno possente" (o un "freno del potente": prov. fre de ric) per impedire azioni vili e attentati al suo pregio sovrano (vv. 13-24 [49-60 ediz. Shepard]).

[13] *1221, settembre-1222, aprile: [BdT 366.28] Peirol, Pos flum Jordan ai vist ėl monimen (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXXIV).

Sirventese composto al ritorno di Peirol dalla Terrasanta, fra la caduta di Damietta del 30 agosto 1221 (vv. 29-31) e la partenza di Giovanni di Brienne (che il trovatore raccomanda a Dio: v. 13) da Gerusalemme all'inizio di maggio del 1222. Il tema della 'canzone di ritorno', con il saluto alle città (Acri, Tiro, Tripoli) e ai protagonisti della presenza cristiana in Palestina (Ospitalieri, Templari, il re di Gerusalemme), lascia il posto al rimpianto per i signori di un tempo (i re d'Inghilterra, Francia e Spagna, il marchese di Monferrato, l'imperatore [probabilmente Federico I Barbarossa]) e all'incertezza nei confronti dei potenti del tempo presente; il poeta, che "ha visto in passato l'imperatore [Federico II] prestare molti giuramenti, dai quali ora si allontana" (vv. 26-27), si rivolge direttamente a lui: Damietta lo attende, la cittadella piange perché l'aquila imperiale è stata scacciata da un avvoltoio, egli ne ha vergogna e il soldano onore (vv. 29-33).

[14] *1222-1224: [BdT 133.13] Elias Cairel, So quėm sol dar alegransa (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXXVIII).

Canzone composta probabilmente in Italia, in uno dei due periodi nei quali Federico II si trova in Sicilia (vv. 52-53), fra giugno e ottobre del 1222 o da giugno del 1223 ad aprile del 1225. Il componimento lamenta la decadenza del mondo e dei valori cortesi; il "nobile imperatore" fa perdere la fiducia al poeta, poiché passa troppo tempo "al di là dello stretto [di Messina]"; egli non ha pari e ha giustamente conquistato la lode, nonostante i "malvagi [...] sfrenati [i saraceni di Sicilia ribelli secondo Torraca, 1902, pp. 304-305] al punto che avranno la paga che hanno meritato" (vv. 49-60).

[15] *1220-1225: [BdT 205.7] Guillem Augier Novella, Totz temps serai sirvens per deservir (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXIV).

Sirventese di difficile collocazione, composto secondo De Bartholomaeis (1931, II, p. 95) nel Viennois, tre anni dopo il rientro in patria del trovatore (vv. 9-11, 37-38) fissato intorno al 1225, ma probabilmente da collocarsi, secondo l'ipotesi più persuasiva di M. Calzolari (Il trovatore Guillem Augier Novella, Modena 1986, pp. 45-48), in Italia fra il 1220 (anno dell'incoronazione imperiale di Federico II [v. 32]) e il 1225 (anno della morte di Guglielmo IV, se si identifica con lui il "signore" del Monferrato cit. ai vv. 33-36) o, al più tardi, fra il 1225 e il 1245 (anno della morte di Raimondo Berengario IV, cit. ai vv. 41-42); a poco dopo il 1220 accennava già Torraca (1902, p. 310). Il componimento lamenta il malcostume delle corti e la viltà dei potenti che disdegnano il "pregio"; il trovatore ha visto in precedenza (forse al tempo del ritorno in Germania nel 1212 [cf. Calzolari, Il trovatore, p. 222] o della discesa in Italia nel 1220) "il potente re Ruggero Federico" giovane, valoroso e tanto amante di "pregio" che non avrebbe pensato che "l'impero potesse peggiorarlo".

[16] *1220-1225 (?): [BdT 133.11] Elias Cairel, Qui saubes dar tan bo conseill denan (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXXIX).

Canzone di crociata composta probabilmente in Italia, di difficile datazione secondo De Bartholomaeis (1931, II, pp. 28-29) per i contrastanti riferimenti storici: il soccorso da portare a Iolanda, reggente di Constantinopoli (v. 39), conduce agli anni 1217-1219; il titolo di imperatore dato a Federico (v. 41) avrebbe come terminus post quem l'incoronazione del novembre 1220; infine, l'allusione alla spoliazione di Demetrio, fratello di Gugliemo IV di Monferrato, del Regno di Salonicco (vv. 49-52) sposta il tempo a dopo il 1222; le altre proposte non sono risolutive: Torraca (1902, p. 304) colloca la canzone fra il 1220 e il gennaio 1224, data della partenza del marchese di Monferrato per l'Oriente; Jaeschke (Der Trobador, pp. 39-42) suppone una confusione fra l'imperatrice Iolanda e sua figlia, Iolanda regina di Ungheria, e propone il 1221; Lewent (1907, pp. 354-355) osserva che Federico avrebbe potuto essere gratificato del titolo imperiale anche prima dell'incoronazione, almeno dopo la morte di Ottone IV (1218), e che l'accenno a Demetrio, presente solo nella tornada, potrebbe essere stato aggiunto in un secondo tempo (ma l'ipotesi non è supportata dalla tradizione manoscritta). Il componimento invita i cristiani a servire il Signore e biasima i signori che preferiscono farsi guerra fra loro; i popoli del Vicino Oriente vivono nella paura dei cristiani ma i "potenti malvagi" sono riluttanti a partire; Federico non tardi a passare in Terrasanta, senza esitazione, come un buon vassallo non deve venir meno al suo signore nel momento del bisogno (vv. 41-48).

[17] *ante 1226: [BdT 156.2] Falquet de Romans, Auzel no trop chantan (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXXXVI).

Sirventese-canzone composto alla corte di Ottone del Carretto (elogiato nella tornada) prima del rientro di Falquet in Provenza dopo il marzo del 1226 (cf. De Bartholomaeis, 1931, II, p. 86). Dopo tre strofe dedicate all'amore per una dama, nella quarta Falquet invita "l'imperatore" a passare in Terrasanta "con un grande esercito" e a riprendere i luoghi santi (vv. 45-55), dal momento che "un uomo potente che è vile di cuore agisce bene il giorno in cui muore" (vv. 56-57).

[18] *ante 1226: [BdT 156.3] Falquet de Romans, Chantar voill amorozamen (De Bartholomaeis, 1931, nr. LXXXVII).

Canzone composta probabilmente nello stesso luogo e periodo della precedente. Il componimento celebra l'amore per una dama ed è inviato all'"imperatore", che "sa ben scegliere il meglio", ha "valore" e "senno" e mostra la sua prodezza nelle sue "azioni grandiose" (vv. 25-32); a lui Falquet raccomanda Ottone del Carretto (vv. 33-36).

[19] *1220-1230 (?): [BdT 10.52] Aimeric de Peguillan, Totz hom qu'aisso blasma que deu lauzar (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXXXIX [testo limitato alle strofe I e VII (tornada), integrabile con Shepard-Chambers, The Poems, nr. 52]).

Canzone non databile (cf. De Bartholomaeis, 1911-1912, II, p. 119), composta fra il 1220, anno dell'incoronazione imperiale di Federico II, e la morte di Aimeric, collocata ipoteticamente negli anni 1225-1230 (cf. Shepard-Chambers, The Poems, p. 23; de Riquer, 1975, p. 964, mentre De Bartholomaeis, 1931, II, p. 167 assegna come terminus ante quem il 1242 senza spiegazione). Il componimento è una difesa di amore ed è inviato all'imperatore perché esprima il suo parere, giacché "sa più degli altri e conserva senno e sapere e tutto ciò che c'è di bene" (vv. 9-12 [49-52 ediz. Shepard-Chambers]).

[20] *1220-1230 (?): [BdT 10.15] Aimeric de Peguillan, Cel que s'irais ni guerrej' ab amor (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXL [testo limitato alle strofe I e VI (tornada), integrabile con Shepard-Chambers, The Poems, nr. 15]).

Canzone non databile, composta probabilmente nello stesso periodo della precedente. Il componimento è una lode di amore ed è inviato "al buono, al bello, al valoroso, al pregiato che italiani e tedeschi servono e supplicano come giusto imperatore", ricco di ogni buona qualità (vv. 9-16 [41-48 ediz. Shepard-Chambers]).

IV. Periodo della prima lotta con i comuni lombardi e la Chiesa e della crociata in Terrasanta (marzo 1226-giugno 1229):

[21] 1226, primavera (?): [BdT 205.4a] Guillem Augier Novella, Per vos, bela douss' amia (De Bartholomaeis, 1931, nr. XCIII [testo limitato alle strofe I e VI (tornada), integrabile con Calzolari, Il trovatore, nr. V]).

Canzone di collocazione molto incerta (cf. ibid., pp. 50-51), composta secondo De Bartholomaeis (1931, II, p. 58) in Italia forse nella primavera del 1226. Il componimento canta in cinque strofe l'amore appassionato per una dama; nella tornada (vv. 10-13 [46-49 ediz. Calzolari]) il poeta lancia una critica all'"imperatore" che concede ciò che gli si chiede, "ma certo, nei fatti, non prende nulla chi non lo ricambia".

[22] *1226, marzo-dicembre: [BdT 344.3] Peire Guillem de Luzerna, En aquest gai sonet leugier (De Bartholomaeis, 1931, nr. XCI).

Sirventese composto probabilmente alla corte d'Este, dopo l'incoronazione imperiale di Federico II (vv. 28-29) e prima della morte di Giovanna d'Este (1233: cf. Schultz-Gora, 1902, p. 37), alla quale è dedicato (vv. 46-48); più precisamente, secondo De Bartholomaeis (1931, II, pp. 51-52) nel periodo fra il rinnovo della Lega lombarda del marzo 1226 (vv. 31-32) e la successiva spedizione in Lombardia di Federico II, fino al dicembre dello stesso anno (cf. anche Bertoni, 1915, p. 73). Il componimento celebra la "prodezza" e il "pregio", disponibili a tutti nei limiti delle possibilità di ciascuno; il "giusto imperatore Federico" deve governare meglio l'Impero poiché "Milano vuole sconfiggerlo con grandi azioni" e divulga le sue intenzioni; il poeta stima poco le sue qualità "se non è in grado di farla pentire in fretta" (vv. 28-36).

[23] 1226, giugno-agosto: [BdT 442.1] Tomier e Palazi, De chantar farai una esdemessa (De Bartholomaeis, 1931, nr. XCII).

Sirventese composto probabilmente nella Francia del Sud durante il regno di Luigi VIII (1223-1226: cf. Schultz-Gora, 1902, p. 38); più precisamente, secondo le affermazioni di De Bartholomaeis (1931, II, pp. 54-55) nel corso dell'assedio di Avignone (vv. 65-69), durato dal 7-10 giugno 1226 alla caduta della città, fra il 28 agosto e il 12 settembre dello stesso anno (cf. su questo punto anche I. Frank, Tomier et Palaizi, troubadours tarasconnais (1199-1226), "Romania", 78, 1957, pp. 46-85, in partic. pp. 63-65). Il componimento attacca la "falsa crociata" (v. 18) contro gli albigesi, a causa della quale si trascura la Terrasanta e Damietta, e incita gli occitani a resistere in un ritornello che viene ripetuto dopo ogni strofa; i potenti (e sono citati ad esempio Giacomo I d'Aragona ed Enrico III d'Inghilterra) non si preoccupano affatto dei disegni del re di Francia e anche "Federico, che è re di Germania, tollera che Luigi spezzi il suo impero" (vv. 33-36), mettendo Avignone (vv. 65-69), città imperiale, sotto assedio.

[24] 1226, maggio-settembre: [BdT 335.12] Peire Cardenal, Be volgra, si Deus o volgues (S. Vatteroni, Le poesie di Peire Cardenal (V), "Studi Mediolatini e Volgari", 42, 1996, pp. 216-224).

Sirventese composto prima della presa di Gerusalemme da parte di Federico II del marzo 1229 (vv. 1-2) e della caduta di Tolosa dell'aprile dello stesso anno (vv. 41-48), probabilmente fra il maggio (ingresso di Luigi VIII nel Regno di Arles) e il settembre (caduta di Avignone) del 1226 (vv. 11-12; cf. De Bartholomaeis, 1911-1912, p. 110; Vatteroni, Le poesie, p. 217). Il trovatore auspica la riconquista della Terrasanta e una giusta soluzione delle lotte politiche in Italia ‒ dove vorrebbe che "il prode imperatore avesse ridotto in suo potere la Lombardia" (vv. 3-4) ‒ e in Provenza e loda il conte Raimondo VII di Tolosa.

[25] 1226, marzo-1228, giugno: [BdT 156.11] Falquet de Romans, Quan cug chantar, en plaing e plor (De Bartholomaeis, 1931, nr. CX).

Sirventese scritto in Provenza e di là inviato a Ottone del Carretto (vv. 66-70), fra la data del rientro di Falquet nella sua terra (marzo 1226) e la partenza (giugno 1228) di Federico II per la crociata (vv. 41-43). Il componimento lamenta la decadenza del mondo e la malvagità dei chierici e dei signori; il "buon imperatore", che ha preso la croce, parta "con forza ed energia" per la Terrasanta (vv. 41-44), perché tutti devono servire il Signore e restituire alla cristianità il suo onore; nella prima tornada, Falquet si rivolge direttamente a Federico: Dio, che lo asseconda, vuole che egli recuperi "il suo patrimonio" (vv. 61-65).

[26] 1226-1228: [BdT 156.4] Falquet de Romans, En chantan voill quėm digatz (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXII).

Cobla composta in Provenza fra il 1226 (v. BdT 156.11) e la partenza di Federico II per la crociata nel giugno del 1228 (vv. 3-4). Falquet chiede al suo interlocutore Blacatz (signore di Aups [dip. Var]) che cosa si propone di fare se "l'imperatore" parte per la Terrasanta.

[27] *ante 1228: [BdT 132.4] Elias de Barjols, Ben deu hom son bo seignor (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXIII [testo limitato alle strofe I, V e VI-VII (tornadas), integrabile con S. Stronski, Le troubadour Elias de Barjols, Toulouse 1906, nr. XII).

Canzone composta secondo Schultz-Gora (1902, p. 34) fra il 1220 e il 1237 (rispettivamente date del matrimonio di Beatrice di Provenza con il conte Raimondo Berengario IV di Provenza e della morte di Blacatz, ai quali è dedicata); secondo Stronski (Le troubadour, pp. 95-96, ripreso da De Bartholomaeis, 1931, II, pp. 93-94), l'esortazione a Federico II a servire Dio contenuta nella strofa V non può che riferirsi alla crociata e colloca la canzone prima della partenza dell'imperatore nel giugno del 1228. Il componimento afferma che si deve servire un buon signore e allontanarsi da uno malvagio, come ha fatto il trovatore che ha lasciato il servizio d'amore e si è liberato dall'errore; egli vuole dire "al valente imperatore" che Dio prende in ira tutti salvo il suo servitore, per cui lo serva come deve, visto che Dio lo ha beneficiato (vv. 9-16 [33-40 ediz. Stronski]).

V. Periodo della seconda lotta con i comuni lombardi (1229-1241):

[28] 1227, dopo il 29 settembre-1229, prima dell'11 aprile: [BdT 217.2] Guillem Figueira, D'un sirventes far (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXV).

Sirventese composto probabilmente in Italia (v. BdT 217.7; ancora a Tolosa, secondo De Bartholomaeis [1931, II, p. 98] conformemente alla sua opinione che Guillem avrebbe risieduto nella sua città natale fino alla resa della città [v. sotto]), dopo la morte di Luigi VIII di Francia l'8 novembre 1226 (vv. 45-46) ‒ e forse dopo il 29 settembre 1227, se si accoglie l'interpretazione che vede nel v. 147 (v. sotto) un riferimento alla scomunica contro Federico II lanciata in quella data da Gregorio IX ‒ e durante la difesa di Tolosa contro i francesi da parte di Raimondo VII (vv. 89-90), durata fino all'11 aprile 1229 (cf. Levy, Guilhem Figueira, pp. 8-9). Il componimento è una lunga invettiva contro Roma e le sue colpe morali e politiche; essa però giungerà a mal partito se "l'accorto imperatore" rinsalderà il suo destino e farà quel che deve fare (vv. 97-99); il papa sbaglia quando "contende con l'imperatore per il diritto della corona e lo mette in difficoltà [o "lo proclama eretico" (trad. De Bartholomaeis)] e perdona i suoi nemici" (vv. 145-147: i riferimenti sono probabilmente alla situazione successiva alla scomunica di Federico II e alla partenza per la Terrasanta).

[29] 1228-1229: [BdT 177.1] Gormonda, Greu m'es a durar (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXVI).

Sirventese composto in risposta al componimento precedente, probabilmente non molto tempo dopo quest'ultimo, da un'ignota poetessa di Montpellier, forse religiosa (cf. A. Rieger, Un 'sirventes' féminin: la 'trobairitz'Gormonda de Monpeslier, in Actes du premier Congrès International de l'Association Internationale d'Études Occitanes, a cura di P.T. Ricketts, London 1987, pp. 423-455). Il componimento difende Roma dalle accuse di Guillem Figueira; l'imperatore e il conte di Tolosa, poiché si allontanano da Roma, "non valgono nulla" e cadono nelle sue mani nonostante la loro potenza (vv. 97-104); chi lotta contro Roma compie un "atto da pazzo", come l'imperatore che, se non si accorderà con essa, ne avrà disonore (vv. 145-147).

[30] 1229-1230 o 1245-1246: [BdT 335.31] Peire Cardenal, Li clerc si fan pastor (S. Vatteroni, Le poesie di Peire Cardenal (I), "Studi Mediolatini e Volgari", 36, 1990, pp. 107-126).

Sirventese composto negli anni 1229-1230 o 1245-1246 (cf. ibid., pp. 107-111), secondo l'interpretazione data alla strofa V (vv. 49-60: v. sotto). Il componimento è un violento attacco contro gli uomini di Chiesa, falsi pastori menzogneri e avidi; invece di occuparsi della crociata (vv. 49-54), "abati e priori" cercano di impadronirsi del mondo e di cacciare Federico II "dal suo rifugio" (cioè probabilmente dal Regno di Sicilia, invaso durante la spedizione in Terrasanta, e poi ripreso dall'imperatore dopo il suo ritorno il 10 giugno 1229, oppure dall'Impero, dopo che il concilio di Lione il 17 luglio 1245 l'aveva deposto), anche se "un tale [papa Gregorio IX o Giovanni di Brienne, secondo la prima datazione, oppure papa Innocenzo IV, secondo la seconda] lo sfidò" senza però potersene rallegrare (vv. 57-60).

[31] *1231, estate: [BdT 265.2] Joan d'Albuzo e [BdT 310.1] Nicolet de Turin, En Nicolet, d'un sogne qu'eu sognava (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXVII).

Tenzone scambiata in Italia settentrionale probabilmente in un periodo fra il 1231 e il 1234, quando Federico II muove dal Regno di Sicilia verso nord (vv. 5, 10), un esercito tedesco si appresta a scendere in Italia (v. 27) al comando del figlio Enrico (dunque prima del contrasto con il padre nel 1234) e Bonifacio II di Monferrato è ancora schierato con il partito guelfo (cf. Bertoni, 1915, pp. 62-62), e forse nell'estate del primo anno, quando gli eventi sopraindicati si presentano insieme (l'occasione dello spostamento dell'imperatore è la dieta di Ravenna del 1o novembre 1231: cf. De Bartholomaeis, 1931, I, pp. 114-115); altre datazioni, meno probabili, rinviano agli anni 1226-1228 (cf. C. De Lollis, Sordello di Goito, "Nuova Antologia. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti", 30, 1895, fasc. III, pp. 409-439, in partic. p. 421), 1235 (cf. Torraca, 1902, p. 282) e 1238 (la situazione evocata dal sogno sarebbe quella successiva alla battaglia di Cortenuova: cf. O. Schultz, Die Lebenverhältnisse der italienischen Trobadors, "Zeitschrift für Romanische Philologie", 7, 1883, pp. 177-235, in partic. p. 216). Il componimento, che tratta di un sogno profetico di Joan svelato da Nicolet, predice la spedizione di Federico II in Italia settentrionale (un'aquila che "da Salerno" si sposta, volando con forza, "verso Lombardia": vv. 4-16), l'imminente arrivo dell'esercito tedesco di Enrico (VII) (una nave che arriva "da Colonia [...], piena di fuoco e che naviga per terra": vv. 19-32), la ripresa del controllo sul Monferrato e sull'Italia settentrionale, il ristabilimento della pace e l'acquisto di un dominio universale (l'aquila spegne il fuoco portato dalla nave e, dopo aver messo un "lume" nel Monferrato e in altri luoghi, si posa in "alto luogo" dal quale vedere tutto il mondo: vv. 33-48); Dio conceda "forza e volontà" all'impertore, che "sa tutto quello che si conviene" (vv. 49-56).

[32] *1231 o 1236, fine-1237, agosto (?): [BdT 217.4] Guillem Figueira, Ja de far nou sirventes / no quier autre enseignador (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXVIII; G. Bertoni, Un serventese di Guilhem Figueira, "Zeitschrift für Romanische Philologie", 35, 1911, pp. 489-491).

Sirventese composto in Italia, di difficile collocazione cronologica in un lungo periodo che va dal rinnovo della Lega lombarda contro Federico II del marzo 1226 alla battaglia di Cortenuova del 27 novembre 1237 (cf. Levy, Guilhem Figueira, p. 4); secondo Schultz-Gora (1902, p. 35 n. 2) la datazione potrebbe essere precisata (sul riferimento ai vv. 27-28) al periodo fra la fine del 1236 e l'agosto del 1237, quando l'imperatore, dopo la dieta di Vienna, si accingeva a rientrare in Italia con un nuovo esercito (cf. Kantorowicz, 1976, pp. 430-431), mentre De Bartholomaeis (1931, II, p. 118) la pone con riserva nel 1231. Il componimento prende di mira il "malvagio operare" dei lombardi, che non riconoscono Federico come sovrano (vv. 7-10); questi se ne deve "vendicare" al più presto, marciando contro di loro, perché "l'impero se ne potrebbe lamentare" contro di lui ed egli potrebbe perdere parte del suo "alto pregio" (vv. 11-20); "il potente imperatore" ha tanta sapienza che, se muove "forte del suo potere", tutti si piegheranno alla sua volontà (vv. 25-30).

[33] 1236-1237: [BdT 437.24] Sordel, Plaigner voill en Blacatz en aquest leugier so (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXXX).

Planh per la morte di Blacatz (defunto prima del febbraio 1238), composto nella Francia del Sud (dove Sordello risiedette per lungo tempo, dal 1231 al 1265: cf. Sordello, Le poesie, a cura di M. Boni, Bologna 1954, pp. LII-XC), e probabilmente in Provenza fra il 1236 (anno della fine della minorità di Luigi IX di Francia, a cui si allude ironicamente ai vv. 15-16) e il 1237 (v. il componimento BdT 330.14, certamente successivo a questo): cf. Sordello, Le poesie, pp. LXIX-LXX (altre datazioni al 1234 e al 1239 [su cui cf. ibid.] sono da rifiutare). Nel componimento si immagina, per riparare alla sciagura della morte di così grande barone, di estrarne il cuore e darlo a mangiare ai signori che ne sono privi; per primo ne mangi "l'imperatore di Roma", che ne ha gran bisogno, se vuole sconfiggere i milanesi che lo "tengono in pugno" e lo costringono a vivere "privato del suo patrimonio, nonostante i suoi tedeschi" (vv. 9-12).

[34] 1237: [BdT 330.14] Peire Bremon Ricas Novas, Pos partit an lo cor en Sordels e'n Bertrans (J. Boutière, Les poésies du troubadour PeireBremon Ricas Novas, Toulouse 1930, nr. XX).

Planh per la morte di Blacatz, composto, a imitazione di quello di Sordello, nel 1237 (cf. ibid., pp. 119-122), forse prima del 23 marzo 1237, data della morte di Giovanni di Brienne, se è da identificare con lui il "re di Acri" citato (v. 39) dal trovatore (cf. De Bartholomaeis, 1931, II, p. 135). Nel componimento si immagina di dividere in quarti il corpo di Blacatz e distribuirlo in vari paesi; uno lo avranno i sudditi dell'Impero ("Lombardi e Tedeschi, Puglia, Russia [probabilmente la Prussia e le province baltiche], Frisia e Brabantini"), che verranno a Roma ad adorarlo, e il "nobile imperatore" vi faccia costruire una cappella dove si osserveranno le virtù cortesi (vv. 4-8).

[35] *1239, 1-20 marzo: [BdT 217.4a] Guillem Figueira (?), Ja de far un sirventes / no cal qu'om m'enseing (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXXXIII).

Sirventese composto a Padova nel marzo (v. 43) 1239, probabilmente prima della notizia della scomunica di Federico II, pronunciata da Gregorio IX il 20 di quel mese (cf. Schultz-Gora, 1902, pp. 7-12; De Bartholomaeis, 1931, I, p. 142); Bertoni (Un serventese, p. 491) esprime dubbi sull'attribuzione a Figueira e la stessa cosa aveva già fatto Torraca (1902, p. 299) anticipandone la data a prima della battaglia di Cortenuova. Il componimento è un duro attacco a Federico II, composto controvoglia dal trovatore (vv. 7-10) ‒ che ha "visto e appreso" (v. 5) ciò di cui parla ‒ e inviato a Manfredi II Lancia (vv. 71-73), vicario imperiale, che "conosce e sa un po' dei suoi affari", e quindi probabilmente ispirato dall'impazienza dei ghibellini italiani di fronte agli indugi della politica imperiale: l'imperatore è definito un "potente ignobile" (v. 6) che compie "azioni vergognose" (vv. 19-20) e un "signore vile, attaccabrighe, avido e avaro" (vv. 24-26); ha cercato di spossessare i "nobili signori d'Oltremare" senza riuscirci (vv. 31-40) e ora chiede aiuto da ogni parte per attaccare Milano (vv. 41-45), ma non lo farà "perché è vile, codardo e cattivo guerriero" (vv. 45-50); passa il tempo ad andare a caccia "con cani e con leopardi" e a portare in giro "un elefante" (vv. 53-56; il riferimento è alla passione venatoria dell'imperatore e al famoso serraglio che lo seguiva nei suoi spostamenti: cf. Kantorowicz, 1976, pp. 281-282) ed è ben "matto, stupido e imbecille" se pensa di condurre a fine i suoi propositi (vv. 57-60); non ci riu-scirà, anche a causa della sua volubilità (vv. 61-66).

[36] *1240, marzo-aprile: [BdT 217.8] Guillem Figueira, Un nou sirventes ai en cor que trameta (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXXXIV).

Sirventese composto nei mesi di marzo e aprile del 1240, quando Federico II si trovava in Puglia e una delegazione lombarda (vv. 27-28) si sarebbe recata presso di lui (cf. ibid., 1931, II, p. 147), certamente dopo l'occupazione imperiale della Riviera ligure di Ponente (vv. 29-30) del 1238 (cf. Levy, Guilhem Figueira, p. 5; Schultz-Gora, 1902, p. 36). Il "nuovo" (v. 1) componimento è tutto in lode dell'imperatore "dalla nobile persona" (v. 2), "buon signore" generoso (vv. 4-10) ma vendicativo nei confronti dei suoi nemici, come si può vedere da ciò che ha fatto nei confronti di Gaeta (allusione alla soppressione del governo cittadino del 1233: cf. Levy, Guilhem Figueira, pp. 96-97) e del clero (vv. 13-24); "i lombardi sono ora venuti a Barletta a rendergli tutti i diritti della corona e Genova gli cede la Riviera" (vv. 27-30): a lui conviene il potere, poiché sa che cosa si deve fare ed è tanto "esperto di arti liberali e di astronomia" da conoscere il futuro (vv. 33-36); in Terrasanta è riuscito a prendere Gerusalemme senza armi e a Cipro ha mostrato "buona fede e lealtà" perché ha il cuore pieno di cortesia e privo di villania (vv. 37-48); il poeta amerà sempre chi loda l'imperatore (vv. 53-56) e anche i due dedicatari del componimento ("madonna Dia" e "ser Torello", non identificati: vv. 11-12, 61, 63) devono amare chi porta il "nome di freno possente" (o di "freno del potente": vv. 63-64).

[37] *1240 (fine)-1241 (inizio): [BdT 457.42] Uc de Saint Circ, Un sirventes voill far en aquest so d'en Gui (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXXXV).

Sirventese composto probabilmente a Treviso (dove Uc risiedeva presso Alberico da Romano) durante l'assedio di Faenza da parte di Federico II dall'agosto 1240 al 14 aprile 1241 e inviato ai difensori della città (vv. 2-5). Il componimento vuole rincuorarli contro chi (Federico II) non ha fede in Dio e nella Chiesa, non crede nell'aldilà né nella sopravvivenza dell'anima dopo la morte e "dice che l'uomo è nulla dopo che ha smesso di respirare" (vv. 11-13), un crudele senza pietà che non teme gli errori e "disonora, abbassa e abbandona" ogni buona impresa (vv. 14-16); il conte di Tolosa (Raimondo VII) si guardi dal farsi suo alleato (vv. 17-24) e il re di Francia sappia che ha promesso agli inglesi di rendere loro i domini perduti, per cui bisogna che la Francia sostenga Milano e Alberico da Romano che gli impedirono di attaccarla (vv. 25-32); vuole abbattere la Francia e la Chiesa e dunque questi devono sostenere i guelfi italiani in modo che possano andare in Puglia a conquistarne il Regno, dal momento che "chi non crede in Dio non deve governare un paese" (vv. 34-40).

VI. Periodo del secondo confronto con la Chiesa e il papa Innocenzo IV (1241-1250):

[38] 1242-1250 (?): [BdT 225.9] Guillem de Montaignagol, No sap per que va son joi plus tarzan (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXLI [testo limitato alle strofe I e III, integrabile con P.T. Ricketts, Les poésies de Guilhem de Montanhagol, troubadour provençal du XIIIe siècle, Toronto 1964, nr. VI]).

Canzone composta nella Francia del Sud dopo il 18 marzo 1229, data dell'autoincoronazione di Federico II a re di Gerusalemme (vv. 11-13 [24-27 ediz. Ricketts]), forse dopo il 1242, secondo altri elementi della carriera di Guillem (cf. Ricketts, Les poésies, p. 77); secondo Torraca (1902, pp. 310-311) il trovatore si riferirebbe invece alle imprese del giovane Federico in Germania, con le due incoronazioni imperiali (v. sotto) del 1212 e 1215. Componimento amoroso che sollecita il consenso della dama; l'amante si è dichiarato a lei come "Federico un tempo elevò se stesso a imperatore", dal momento che non c'era nessuno all'altezza di farlo (vv. 9-13 [21-27 ediz. Ricketts]).

[39] 1242-1250: [BdT 225.11] Guillem de Montaignagol, On mais a hom de valensa (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXLII [testo limitato soltanto alle strofe I e VI (tornada), integrabile però con Ricketts, Les poésies, nr. V]).

Sirventese composto nello stesso periodo del componimento precedente (cf. anche De Bartholomaeis, 1911-1912, pp. 120). Il componimento lamenta la decadenza dei costumi cortesi ed è inviato, fra gli altri, all'imperatore, che ha "pregio valente [...], valore e senno" ed è un ornamento per il canto (vv. 10-13 [46-49 ediz. Ricketts]).

[40] 1245, prima del 17 luglio: [BdT 282.23] Lanfranc Cigala, Si mos chans fos de joi ni de solatz (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXXXVII).

Canzone di crociata composta fra l'agosto 1244, data della ripresa musulmana di Gerusalemme, e l'agosto 1248, data della partenza di Luigi IX di Francia (che dalla canzone risulta ancora in Francia: v. 34); il terminus ante quem può forse essere precisato all'agosto 1245 (morte di Raimondo Berengario IV: v. sotto) o al 17 luglio 1245 (scomunica di Federico II pronunziata da Innocenzo IV al concilio di Lione, di cui Cigala non parla; cf. Lewent, 1907, pp. 355-356; De Bartholomaeis, 1931, II, p. 160). Il componimento è un invito alla liberazione di Gerusalemme, che "la guerra dei due grandi coronati [il papa e l'imperatore]" ha privato della pace (vv. 12-20); i re di Francia e d'Inghilterra, i tedeschi e gli spagnoli vadano al soccorso (vv. 31-50), mentre il conte di Provenza (probabilmente Raimondo Berengario IV), resti qui a difendere la Chiesa da "quelli che le fanno guerra [gli eretici catari]" (vv. 51-60); il papa faccia dunque "la pace o una guerra che porta vantaggio" (vv. 61-64) e l'imperatore faccia "pace qui e là [in Terrasanta] soccorso" (vv. 65-68).

[41] 1245, luglio: [BdT 282.6] Lanfranc Cigala, Estier mon grat mi fan dir vilanatge (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXXXVIII).

Sirventese contro Bonifacio II di Monferrato, composto nel luglio del 1245, dopo che il marchese, già alleato di Federico II e poi passato al partito guelfo, aveva nuovamente stretto alleanza con l'imperatore a Torino. Il componimento dichiara il marchese nemico di tutto ciò che è pregio, nobiltà e cortesia e lo accusa di volubilità, viltà e tradimento; se il trovatore fosse suo signore (cioè se fosse l'imperatore), non accetterebbe il suo omaggio né si lascerebbe baciare in viso, giacché già prima l'aveva baciato e poi aveva fatto la stessa cosa con il papa: piuttosto, se facesse ancora un accordo con lui, sul sedere (vv. 33-40).

[42] 1244-1249 (?): [BdT 217.1] Guillem Figueira (?), Del preveire major (Levy, Guilhem Figueira, nr. 1).

Canzone di crociata di incerta datazione e attribuzione non sicura, collocata da Levy (ibid., p. 6) fra il 1244 e il 1249, periodo nel quale si sarebbero verificati fatti accennati dal trovatore: la lotta fra l'imperatore e il papa (vv. 1-3), il possesso musulmano di Gerusalemme ‒ dal 1229 al 1244 in mano cristiana per effetto della crociata di Federico II ‒ (v. 47) e l'esistenza in vita del conte di Tolosa (forse Raimondo VII, morto nel 1249), al quale il trovatore si rivolge invitandolo a partire (vv. 56-60); secondo De Bartholomaeis (1911-1912, pp. 118-119) i termini sarebbero restringibili fra il giugno 1245 e l'agosto 1248 (inizio della crociata del re di Francia Luigi IX); come però ha osservato S. Asperti (Sul canzoniere provenzale M: ordinamento interno e problemi di attribuzione, in Studi provenzali e francesi 86/87, L'Aquila 1989, pp. 137-169, in partic. pp. 145-146), la canzone, attestata unicamente dal canzoniere M e collocata in una sezione del manoscritto dalle caratteristiche particolari, potrebbe riferirsi agli anni precedenti la crociata dell'imperatore Federico II e non essere addirittura opera di Figueira (nel manoscritto questa canzone precede il sirventese BdT 156.11, del 1226-1228, lì attribuito erroneamente al trovatore tolosano). Il componimento esprime il desiderio che il "maggior sacerdote", ovvero il pontefice, e l'imperatore facciano la pace, anziché affannarsi per nulla nella loro contesa (vv. 1-10).

[43] 1250, 6 aprile-13 novembre: [BdT 40.1] Austorc d'Aorlhac, Ai! Deus, per qu'as facha tangran maleza (A. Jeanroy, Le troubadour Austorc d'Aurillac et son sirventés sur la septième Croisade, in Mélanges Chabaneau. Volume offert à Camille Chabaneau à l'occasion du 75e anniversaire de sa naissance, Erlangen 1907, pp. 81-87).

Sirventese composto fra il 6 aprile 1250, data della sconfitta di al-Manṣūra, nella quale Luigi IX cadde prigioniero dei musulmani, e il 13 dicembre dello stesso anno, giorno della morte di Federico II (cf. ibid., p. 85). Austorc lamenta il destino del re di Francia e del suo esercito ed esprime preoccupazione per la cristianità; vorrebbe che l'"imperatore" avesse preso la croce, lasciando il governo dell'Impero a suo figlio, e che il "popolo francese" fosse con lui contro i "falsi uomini di Chiesa" (vv. 25-28).

[44] ante 1250: [BdT 13.1] Albert e [BdT 436.2] Simon Doria, N'Albert, chauçeç la cal mais vos plairia (Bertoni, 1915, nr. LI).

Tenzone (partimen) scambiata probabilmente a Genova (patria di Simone Doria: cf. ibid., pp. 100-101), prima della morte di Federico II. Nel componimento si dibatte se sia meglio avere la dama amata di giorno vestita in un palazzo o di notte nuda in un letto; Simone, che sceglie la seconda situazione, afferma che in quel momento "non invidia l'imperatore Federico" (v. 40).

Una possibile allusione a Federico II e alla sua alleanza con Filippo Augusto di Francia negli anni che precedono la battaglia di Bouvines è nel sirventese [BdT 335.40] di Peire Cardenal, Per fols tenc Poilles e Lombartz (R. Lavaud, Poésies complètes du troubadour Peire Cardenal (1180-1278), Toulouse 1957, nr. XX), datato al 1212, dove Peire ritiene pazzi "pugliesi, lombardi, longobardi [italiani del Sud] e tedeschi" (cioè i sudditi del Regno di Sicilia e delle terre dell'Impero) se prendono "francesi e piccardi" (cioè i sudditi del Regno di Francia) come guida e alleati (vv. 1-4). Un'altra è nel sirventese [BdT 442.2] di Tomier e Palazi, Si cȯl flacs molins torneja (Frank, Tomier et Palaizi, nr. II), datato verso la fine del 1217, dove i trovatori lamentano che, nel quadro delle lotte della crociata contro gli albigesi, Guglielmo IV del Baus, signore di Orange, si allontani dal "governo d'oltre Colonia [l'imperatore]" (vv. 36-37). Altre due sono infine nella canzone [BdT 10.41] di Aimeric de Peguillan, Per solatz d'autrui chan soven (Shepard-Chambers, The Poems, nr. 41), anteriore al 1220 (cf. De Bartholomaeis, 1931, I, p. 231), dove l'impotenza dell'amante è paragonata a quella di un "imperatore senza impero" (vv. 21-22), con riferimento alla situazione di Federico II fra la deposizione di Ottone IV e l'incoronazione imperiale (cf. N. Zingarelli, Per un 'descort' di Amerigo di Pegugliano, in Id., Intorno a due trovatori in Italia, Firenze 1899, pp. 25-74, in partic. pp. 50-51) e forse nel sirventese [BdT 242.77] Tals gen prezic' e sermona, erroneamente attribuito a Guiraut de Borneil, dove si prende di mira "chi cerca corona d'impero e non difende la nostra fede" (vv. 33-34), con riferimento al periodo fra la promessa della crociata del 1215 e l'incoronazione del 1220 (cf. R.V. Sharman, The 'Cansos' and the 'Sirventes' of the Troubadour Guiraut de Borneil: a Critical Edition, Cambridge 1989, p. 486).

Altri componimenti trobadorici sono stati indicati fra quelli contenenti allusioni a Federico II, ma il riferimento all'imperatore è da considerare improbabile:

[BdT 31.1] Arnaut Peire d'Agange, Quan lo temps brus e la freja sazos (A. Sakari, La 'canso' d'Arnaut Peire d'Agange, in Mélanges offerts à Rita Lejeune, I, Gembloux 1969, pp. 277-290). Canzone d'amore nella quale il poeta si augura che il "grazioso imperatore" venga a conoscenza delle sofferenze che la dama infligge al suo amante; egli "sa portare a termine tante azioni onorevoli e nobili imprese" che verrebbe a pregare la dama di concedere qualcosa (vv. 73-78). Secondo Torraca (1902, p. 317) e De Bartholomaeis (1911-1912, p. 119) il riferimento è a Federico II, ma Sakari (La 'canso', p. 280) ritiene che si tratti invece di Alfonso X di Castiglia (che fra il 1257 e il 1273 aspirò alla corona imperiale).

[BdT 148.2] Falconet e [BdT 438.1] Taurel, Falconet, de Guillalmona (De Bartholomaeis, 1931, nr. LI). Tenzone scambiata in Italia settentrionale con pesanti critiche contro il marchese Guglielmo IV di Monferrato, che ha distrutto un villaggio mentre "l'imperatore prese Milano in modo migliore" (v. 48). Torraca (1902, pp. 293-300) vede in questo imperatore Federico II e data il componimento a poco dopo il 1225 (anche Schultz-Gora, 1902, p. 38 e Wittenberg, 1908, p. 82 accettano il riferimento, pur con difficoltà di datazione), ma, come dimostrato da De Bartholomaeis (1931, I, p. 208), il componimento è da collocare verso la fine del 1215 e il riferimento è a Ottone IV.

[BdT 229.3] Guillem Raimon, N'Obs de Biguli se plaing (ibid., nr. CLI). Cobla composta in Italia settentrionale, probabilmente alla corte dei da Romano, su un certo Obizzo "de Biguli" (forse della famiglia trevisana dei Bigolini), che si lamenta del "re" (v. 4). Secondo Bertoni (1915, pp. 26, 69) questi sarebbe Federico II, ma per De Bartholomaeis (1931, II, p. 193) si tratta di un 're dei giullari'.

[BdT 334.1] Peire de la Caravana, D'un sirventes faire (ibid., nr. X). Sirventese inteso ad animare i "lombardi" contro l'imperatore mentre questi "raduna molte truppe" ed è disposto a cedere "suoi possedimenti" (vv. 5-6, 11-14). Secondo Torraca (Il serventese di Pietro de la Cavarana, "Rassegna Critica di Letteratura Italiana", 4, 1899, pp. 1-12) l'imperatore sarebbe Federico II e il componimento è da riferire al 1236, ma la restante bibliografia propende per Enrico VI, verso il 1194-1195 (cf. Bertoni, 1915, pp. 43-45; De Bartholomaeis, 1931, I, pp. 34-35), quando non per Federico I Barbarossa, verso il 1157 (cf. R. Lejeune, Le troubadour lombard de la 'galerie littéraire' satirique de Peire d'Alvernhe, in Ead., Littérature et société occitane au Moyen Âge, Liège 1979, pp. 313-328).

Infine, alcune indicazioni presenti nella bibliografia (BdT) sono da rifiutare, perché troppo generiche o perché da riferire ad altri personaggi.

[BdT 156.12] Falquet de Romans, Quan lo dous temps ven e vai la freidors, canzone di crociata (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXI); contiene un accenno a vari potentati (vv. 9-11), criticati per la loro cupidigia (cf. De Bartholomaeis, 1911-1912, p. 108). [BdT 173.4] Gausbert de Poicibot, Car nȯm abelis solatz, canzone (Shepard, Les poésies, nr. III); nella tornada è lodato un Frederic, ma solo in un testimone, contro il resto della tradizione che porta Amalric (forse Amalric de Montfort, figlio di Simone: cf. ibid., pp. 10, 69). [BdT 242.32] Guiraut de Borneill, Del bels digz menutz frais, sirventese (Sharman, The 'Cansos', nr. LXVI); contiene un riferimento a un "Tedesco [...], specchio, guida e fiore degli altri imperatori" (vv. 56-58), che è Federico I per Wittenberg (1908, p. 42) e Sharman (The 'Cansos', p. 433). [BdT 461.180] Anonimo, Nuls hom non deu d'amic ni de segnor, sirventese (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLIV); componimento inviato a un marchese Federico Malaspina o Lancia (cf. ibid., II, p. 201). [BdT 461.219] Anonimo, Seigner n'enfantz, s'il vos platz, sirventese (ibid., 1931, nr. CLXXXIV); componimento su Federico d'Aragona, figlio di Pietro III (cf. ibid., II, p. 294).

Il numero consistente di componimenti rivolti o inviati a Federico II o nei quali egli è nominato si contrappone vistosamente al disinteresse che l'imperatore ha sempre dimostrato nei confronti dei trovatori e alla quasi totale assenza di notizie probabili sulla loro presenza a corte (diversamente da quanto avviene per i Minnesänger; v.). Secondo De Bartholomaeis, La canzone 'Fregz ni neus', p. 95, i componimenti BdT 10.26, 156.6 e 133.4 (a parte la tenzone scherzosa 217.1b) sono forse gli unici ispirati dalla presenza dell'imperatore; questo non significherà tuttavia che siano stati necessariamente composti alla sua corte (BdT 156.6 proviene da quella di Ottone del Carretto) o su suo invito. Degli altri, la possibilità di un contatto più ravvicinato ‒ ma comunque difficile da precisare ‒ è avanzabile soltanto per BdT 205.7, 217.8 (ma in realtà del sirventese si può solo dire che è stato scritto in Puglia, forse a Foggia, e probabilmente presso il "ser Torello" nominato al v. 12 e nelle tornadas: cf. De Bartholomaeis, 1931, II, p. 148) e 217.4a, mentre in BdT 390.1 siamo solo di fronte al proposito, di stampo giullaresco, di recarsi presso la corte di un signore. La critica ha riconosciuto da tempo (seppure talora con una certa riluttanza: secondo Torraca [1902, pp. 303, 330-333] "la poesia provenzale penetrava nella corte di Federico II da tutte le parti", anche grazie all'opera della prima moglie Costanza d'Aragona, figlia di Alfonso II, il re poeta e mecenate) il disinteresse di Federico per la poesia dei trovatori e la sostanziale indifferenza nei confronti degli appelli alla sua persona in essa contenuti e in generale della varia e ricca poesia politica in lingua d'oc composta nelle corti dell'Italia settentrionale in quegli anni. Certamente, secondo la pratica propria del sirventese, spesso i trovatori parlavano in nome dei signori che li proteggevano e questo giustifica almeno in parte il giudizio severo e lapidario di De Bartholomaeis (Il 'conselh', p. 89) che ritiene la loro poesia "espressione di piccoli interessi particolari", in grado di darci la "misura dell'ambiente".

In realtà, nei componimenti in elenco i temi e le posizioni sono vari e piuttosto articolati e inoltre si dispongono abbastanza uniformemente lungo tutto il periodo considerato, senza che sia possibile ‒ come ha ritenuto di poter fare qualche studioso ‒ tracciare delle linee evolutive in qualche modo parallele all'azione di Federico e alle aspettative che questa suscitava. Così, i componimenti in lode dell'imperatore non si collocano soltanto a ridosso dell'incoronazione imperiale e negli anni immediatamente successivi, ma (a parte il precoce omaggio di BdT 323.22) continuano fino al 1240 (si vedano i BdT 265.2, 217.4 e 8), seppure con altro stile argomentativo e diverso scopo e talora con invito all'imperatore ad agire (BdT 133.13, 217.4), presente peraltro anche in altre poesie. Analogamente, i componimenti di biasimo si distendono dal 1220 al 1240-1241, anche se in questo caso si può osservare un primo gruppo di pezzi caratterizzati da critiche 'giullaresche', dove sostanzialmente si lamenta l'avarizia del sovrano (BdT 133.4, 156.6, 205.4a e 7) nei confronti degli stessi poeti o dei signori che li proteggono (come sarà il caso del conselh 156.6), seguito da altri due di critica politica e morale, da parte amica per i ritardi nell'azione diplomatica e militare (BdT 217.4a, 344.3), e da parte avversa (BdT 177.1, 457.42). Abbastanza ravvicinati nel tempo sono, com'era naturale attendersi, solo i componimenti che incitano Federico alla crociata, dal 1221-1222 al 1228 (BdT 132.4, 133.11, 156.2 e 11, 366.28), ma con un anticipo al 1215 (BdT 217.7); a questo proposito, andrà anche ricordato con De Bartholomaeis (1911-1912, p. 110) che "nessuna poesia è contemporanea alla Crociata" (vi accennano soltanto post eventum i componimenti BdT 217.4a, 217.8 e forse 225.9).

Soltanto in anni recenti è stata formulata un'ipotesi esplicativa della lontananza e della separatezza della persona e dell'azione di Federico II rispetto alla poesia dei trovatori, soprattutto se confrontate con la sicura opera di promozione da lui svolta nei confronti della Scuola poetica siciliana. Che Federico abbia negato ai trovatori ciò che concedeva ai poeti siciliani (Frank, 1955, p. 64), che la poesia di questi ultimi ‒ molto probabilmente per direttive dello stesso sovrano ‒ presenti rispetto ai primi, pur nella comune ispirazione di fondo e nell'ampiezza delle fonti utilizzate (cf. A. Fratta, Le fonti provenzali dei poeti della Scuola Siciliana. I postillati del Torraca e altri contributi, Firenze 1996), sensibili differenze di tratti formali, di contenuti e di intenzione poetica (Meneghetti, 1992, pp. 158-175; F. Brugnolo, La scuola poetica siciliana, in Storia della letteratura italiana, a cura di E. Malato, I, Dalle origini a Dante, Roma 1995, pp. 265-337; Formisano, 1998), questi fatti devono essere collegati, secondo la persuasiva proposta di Antonelli (1979) a una precisa politica culturale che caratterizza il nuovo stato federiciano e che si colloca ormai fuori dalla dimensione cortese ‒ e dunque spettacolare e ludica, rituale e collettiva (cf. W. Meliga, Il pubblico dei testi cortesi, in Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare, III, La ricezione del testo, Roma, 2003, pp. 79-123) ‒ ancora propria invece degli ambienti aristocratici e della produzione poetica occitanica del Norditalia. Il rapporto 'organico' fra stato e cultura e il carattere istituzionale della seconda ‒ che saranno confermati da Dante nel De vulgari eloquentia e che trovano un corrispettivo nella dimensione "laica e centralizzata" della Scuola siciliana nonché nel classicismo imperiale dell'arte figurativa e dell'architettura federiciane (Antonelli, 1979, pp. 72, 76-77, 89) ‒ non potevano non allontanare l'imperatore dalla varia e autonoma attività dei trovatori, così legata a forme ormai sorpassate di adesione al potere (e di cui una piccola ma non trascurabile spia stilistica sono i giochi di parole sul nome di Federico che troviamo nei componimenti BdT 10.26, 173.11, 217.8), così lontana da quella dei poeti-funzionari siciliani. D'altra parte, il rifiuto del tema politico che si riscontra fra questi ultimi (ma non, come più volte osservato, nella contemporanea poesia in lingua latina e greca, anche se in quantità minore che sotto il pur breve regno di Enrico VI) avrà avuto anche una ragione collegabile a posizioni culturali dipendenti dalla teoria medievale degli stili (e della corrispondenza fra soggetti trattati e linguaggio poetico, per cui la lingua volgare, di minore dignità che il latino, conveniva solo a un soggetto 'comico' come l'amore), pur sempre nel segno di una "cultura classica […] piegata a fini politici" (Villa, 1997, p. 346).

Che Federico II abbia potuto, a fianco della sua pressoché certa attività poetica nell'ambito della Scuola poetica siciliana ‒ sulla base della notizia di Salimbene: "cantare sciebat et cantiones et cantilenas invenire" (cf. Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Roma-Bari 1966, p. 508) ‒, poetare anche in lingua d'oc, dovrebbe essere escluso da quanto precede. Vi si accenna soltanto perché secondo taluni (C. Chabaneau, Les biographies des troubadours en langue provençale, Toulouse 1885, pp. 142-143 e, da questi, Torraca, 1902, p. 330) alcuni versi apocrifi citati da Jehan de Nostredame e da questi attribuiti a Federico I Barbarossa (cf. Jehan de Nostredame, Les vies des plus célèbres et anciens poètes provençaux, a cura di C. Chabaneau-J. Anglade, Paris 1913, pp. 20, 301; sulla fede di Nostredame, tale notizia è ripetuta fino all'inizio dell'Ottocento: cf. E. Vincenti, Bibliografia antica dei trovatori, Milano-Napoli 1963, p. 52) potrebbero essere del nipote.

Anche i discendenti di Federico II hanno goduto, pur se non nella misura dell'imperatore, dell'attenzione dei trovatori. Gli elenchi che seguono (da Torraca, 1902, pp. 335-341; Wittenberg, 1908, pp. 87-90; Anglade, 1915, pp. 197-198, 376; De Bartholomaeis, 1931; Chambers, 1971, pp. 99-100) ne danno ragione (con gli stessi criteri del precedente) per ciascuno di essi.

Corrado IV:

40. Austorc d'Aorlhac: 1 (v. sopra);

102. Bonifaci de Castellana: 1 = [1].

[1] 1251-1252: [BdT 102.1] Bonifaci de Castellana, Ara pos iverns es el fil (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXLV). Sirventese contro i cattivi signori e "i falsi chierici rinnagati [che] vogliono togliere a Corrado la sua eredità" (vv. 29-30).

Manfredi:

248. Guiraut Riquier: 77 + 319. Paulet de Marseilla: 7a e altri = [1];

290. Luquet Gatelus: 1 = [5];

319. Paulet de Marseilla: 6 = [6]; 7a → 248. Guiraut Riquier;

336. Peire de Castelnou: 1 = [8];

371. Perseval Doria: 1 = [2];

410. Raimon de Tors: 2 = [4];

461. Anonimo: 70a = [7]; 164a = [3]; 234 = [9].

[1] 1258-1266: [BdT 248.77] Guiraut Riquier, [BdT 319.7a] Paulet de Marseilla e altri, Seign'en Jorda, sịus manda Livernos (De Bartholomaeis, 1931, nr. CXLIX). Tenzone (partimen) sulla giulleria, nel quale Guiraut chiede ai suoi colleghi di scegliere di visitare un signore fra due proposti; Paulet opta per "l'onorato eccellente re di Puglia, che abbatte il falso chiericato" e "vale senza pari" (vv. 12-14).

[2] 1258, fine-1259, inizio: [BdT 371.1] Perseval Doria, Felon cor ai et enic (De Bartholomaeis, 1931, nr. CL). Sirventese sulla bontà e l'utilità della guerra; il "nostro re Manfredi, che splende, compie azioni valorose", non si spaventa per la guerra e "ha vinto e abbattuto i suoi nemici" (vv. 47-54); a lui, saldo nel "pregio" grazie a Dio, è dedicato il componimento (vv. 68-69).

[3] 1261, dopo il 25 luglio: [BdT 461.164a] Anonimo, Ma volontatatz me mou guerr'e trebaill (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLVI). Sirventese con i falsi chierici; il "re Manfredi" sa punire i nemici, onorare gli amici e tiene sconfitti i chierici (vv. 41-45); non evita di combattere e, "se altri re ci perdono, egli ne guadagna", come sa la Toscana e presto sapranno i greci (allusione a una spedizione in Grecia, dove Manfredi vantava diritti per matrimonio), poiché sa tenere ai suoi ordini gli eserciti (vv. 46-54).

[4] 1264-1265, maggio: [BdT 410.2] Raimon de Tors, Ar es ben dretz | qe vailha mos chantars (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLVIII). Sirventese su Carlo d'Angiò e l'imminente spedizione in Italia e contro i chierici; "il re Manfredi è elevato sopra tutti e senza pari", per il quale Puglia, Sicilia, Calabria e il Principato sono prosperi (vv. 28-34); poiché il re è nobile e puro e contro di lui il "clero pieno di inganno" si accanisce, lombardi e tedeschi combatteranno con lui (vv. 37-45); il sirventese vada a dire al "re di Sicilia" di mostrare la sua potenza (vv. 51-55).

[5] 1264-1265: [BdT 290.1] Luquet Gatelus, Cora qu'eu fos marritz ni consiros (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLVII). Sirventese su Carlo d'Angiò e l'imminente spedizione in Italia; "Corrado" (Corradino) venga presto a recuperare ciò che è suo (vv. 28-36); il "re Manfredi" deve conservare ciò che ha acquistato e i suoi baroni si ricordino che cosa sono diventati (vv. 37-45).

[6] 1265, 25 aprile-1266, 26 febbraio: [BdT 319.6] Paulet de Marseilla, L'autrier m'anav' ab cor pensiu (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLIX). Pastorella (componimento in forma di dialogo, amoroso o su altri argomenti, fra un cavaliere e una pastora) contro Carlo d'Angiò, che "vuole e si propone di spossessare il re Manfredi" (vv. 33-34) e crede di farlo facilmente grazie ai chierici (vv. 45-47), ma ai francesi andrà male se il "valente e potente re Manfredi" si accorda con i suoi (vv. 49-54).

[7] 1265: [BdT 461.70a] Anonimo, Cor qu'om trobes Florentis orgoillos (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLXI). Miei-sirventes ('mezzo sirventese', per la misura più breve) su Carlo d'Angiò e la spedizione che sta apprestando da Roma contro Manfredi; questi ha dato ai fiorentini "nutrimento e fatto avere dolore e lamento" (allusione alla sconfitta di Montaperti); il "re Manfredi" è tanto potente che è pazzo chi lotta con lui, per cui "quelli del Campidoglio" non passino in Campania.

[8] 1266, dopo il 26 febbraio: [BdT 336.1] Peire de Castelnou, Oimais nom cal far plus long' atendensa (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLXIII). Sirventese sulla vittoria di Carlo d'Angio contro Manfredi (vv. 14, 33) nella battaglia di Benevento.

[9] 1266, dopo il 26 febbraio: [BdT 461.234] Anonimo, Totas onors e tug fag benestan (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLXIV). Planh (composto non prima del 1272 per Bertoni, 1915, p. 28) per la morte di Manfredi.

Corradino:

7. Aicart del Fossat: 1 = [1];

74. Bertolome Zorzi: 16 = [4];

107. Calega Panzan: 1 = [2];

290. Luquet Gatelus: 1 (v. sopra);

319. Paulet de Marseilla: 1 = [3].

[1] 1267, fine-1268, principio: [BdT 7.1] Aicart del Fossat, Entre dos reis vei mogut et empres (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLXVIII). Sirventese sulla spedizione di Corradino di Svevia e la guerra imminente; "Corrado" si è mosso dalla Germania e vuole riprendere ciò che Carlo d'Angiò ha conquistato (vv. 5-7).

[2] 1268, aprile-maggio: [BdT 107.1] Calega Panzan, Ar es sazos qu'om si deu alegrar (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLXIX). Sirventese sulla spedizione di Corradino e contro il clero; Dio protegga "l'alto re Corrado" che viene a castigare "i falsi pastori" (vv. 65-72); Dio conservi "il re Corrado [...] e i ghibellini, Verona e Pavia, e abbatta francesi e normanni e i chierici malvagi" (vv. 77-80).

[3] 1268, dopo il 22 agosto: [BdT 319.1] Paulet de Marseilla, Ab marrimen et ab mala sabensa (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLXX). Sirventese sulla cattura di Enrico di Castiglia dopo la battaglia di Tagliacozzo; Enrico difendeva "l'onorato lignaggio di Corradino" (vv. 26-27).

[4] 1268, dopo il 29 ottobre: [BdT 74.16] Bertolome Zorzi, Sịl mon fondes, a meravilla gran (De Bartholomaeis, 1931, nr. CLXXI). Planh per la morte di Corradino e Federico d'Austria; il "re" amava Dio e le virtù cortesi, era valoroso nelle armi, amico dei prodi, nobile e bello (vv. 23-33).

fonti e bibliografia

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M.L. Meneghetti, Il pubblico dei trovatori. La ricezione della poesia cortese fino al XIV secolo, Torino 1992.

d'A.S. Avalle, I manoscritti della letteratura in lingua d'oc, a cura di L. Leonardi, ivi 1993.

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