TROVATORI e TROVERI

Enciclopedia Italiana (1937)

TROVATORI e TROVERI

Salvatore BATTAGLIA
Fernando LIUZZI

. I trovatori costituiscono un elemento della cultura letteraria romanza, della Provenza in particolar modo: espressione d'una raffinata civiltà feudale, cavalleresca, aristocratica, ma anche vitale e decisiva anticipazione della lirica moderna. Con l'affermarsi d'una mentalità più borghese e con il senso più universalistico che della poesia ebbe l'umanesimo, la figura del trovatore si confinò nell'oblio; soltanto all'alba del romanticismo fu riesumata, con intenti filologici e storici, come più esatta ricostruzione del passato medievale, e contemporaneamente con un gusto letterario e mistificatore, che nella sensibilità dell'antico trovatore trasferiva il mito romantico del poeta eternamente sognatore e perennemente travolto dall'impeto della passione.

Il termine "trovatore" (provenzale trobador, femminile trobairitz) è un derivato del verbo "trovare" (prov. trobar), d'etimo incerto o per lo meno ancora discusso; l'opinione prevalente e più verosimile riconnette la voce all'ambiente ecclesiastico e più propriamente monastico: trobar sarebbe il succedaneo del basso latino tropare, cioè tropum invenire (vale a dire, ricercare i tropi - ovverosia i versetti, le prose ritmiche o, con termine più specifico, le sequenze - che a partire dal sec. IX si componevano a integrazione dell'alleluia; si veda sequenza). E invero, se si bada all'enorme importanza che rivestono i tropi per la formazione della musica e della ritmica medievale (non solo il teatro religioso medievale trae le sue origini dall'inclusione dei tropi nel testo liturgico, ma anche la lirica vi sembra affondare le sue prime radici; si veda sacra rappresentazione), e se si pensa che il trobar consisteva appunto nell'intessere su una melodia una trama di rime, risulterà l'etimologia non soltanto possibile ma rivelatrice per la tradizione artistica romanza.

In tal modo, lo stesso termine veniva a differenziare la condizione "trovadorica" da quella "giullaresca": il trovatore era il poeta autentico, creatore di versi e di armonie, che traduceva i sensi d'una ispirazione individuale, mentre la definizione di "giullare" (termine più generico e sorto anteriormente) indicava per sé stessa un mestiere, un'esistenza precaria e girovaga, più vicina al tipo dell'istrione e del giocoliere, che non a quella del poeta: per lo più ripetitore di versi altrui e di solito incapace di sentire il tormento aristocratico della creazione stilistica. Il giullare era l'erede d'un tipo sociale che accusava la decadenza della cultura latina e medievale (il mimo; si veda giullari); il trovatore invece rappresentava il nuovo poeta, uscito da una particolare società e nutrito d'una speciale sensibilità umana e lirica. Esso sorge nella Francia meridionale, assume coscienza nella lingua occitanica, crea una singolare tradizione poetica assolutamente nuova, frutto originale della civiltà romanza. Non è senza significato che il più antico trovatore di cui ci siano rimaste delle poesie è un principe, Guglielmo IX conte di Poitiers e settimo duca d'Aquitania (1071-1127), signore d'un territorio allora più vasto e potente di quello dei re di Francia. Il contenuto della lirica trovadorica, la sua realtà sentimentale e passionale, i modi feudali, cortesi, cavallereschi che vi sono riflessi, gli stessi strumenti formali che traducono l'ispirazione, confermano i caratteri originali e aristocratici di questa poesia che tende a chiudersi in una solitudine morale, in una ideale astrattezza lirica, dove si può celebrare liberamente la pura esperienza individuale (per la storia letteraria, v. provenza: Letteratura).

Durante i secoli XII e XIII la schiera dei trovatori si moltiplica (si conoscono le poesie di almeno 300 poeti); e naturalmente, rispetto al numero, i principi che si fanno poeti sono i meno (ma alcuni importanti: Guglielmo di Poitiers; il principe di Blaia, Jaufré Rudel; il principe d'Aurenga, Guglielmo; Bertran de Born, ecc.), ma anche quelli che provengono dalle classi sociali più umili (come Marcabruno, Cercamon, Peirol, Peire Vidal, Rambaldo di Vaqueiras, ecc.), a contatto di questo tipo letterario elevano la loro condizione e si adeguano alla società in funzione della quale vivono e cantano, ne assumono le forme e gl'ideali, ne parteggiano gl'interessi, le ambizioni, le limitazioni. Nelle corti di Poitiers, Tolosa, Aix, Montpellier, Narbona, del Limosino, della Piccola Provenza, dell'Alvernia, ecc., i trovatori sono accolti come una classe privilegiata, partecipano pienamente della vita aristocratica di cui li fa degni la loro stessa eccellenza artistica. La maggior parte percorrono le varie corti, passano i Pirenei, le Alpi, il mare (in Inghilterra, nell'impero latmo d'Oriente), presenti specialmente dove avesse riscontro la realtà sociale della terra occitanica: in Catalogna, in Aragona, nella Navarra, nella Castiglia, nelle corti dell'Italia settentrionale (nel Monferrato, nella Savoia, nella Lunigiana; nella Liguria, in Toscana), alla corte di Federico II, ecc.; portano e diffondono il gusto per la lirica amorosa, di cui sono considerati maestri inimitabili, ma spesso cantano gli avvenimenti politici, le guerre, le vicende che interessano la coscienza contemporanea, con una mentalità che sembra europea, internazionale. Per più di due secoli i trovatori si fanno tramite efficacissimo della cultura e della lingua provenzale (specie a partire dalla crociata albigese), agiscono sulla fisionomia letteraria dell'Europa, e non soltanto dei paesi romanzi (i Minnesänger della Germania sono un loro riflesso), sollecitano la sensibilità lirica dei Catalani, dei Siciliani della corte sveva, determinano, anche quando la loro tradizione tramonta, l'esperienza dei Toscani, di Dante, dello stesso Petrarca: essi hanno scoperto la vita sentimentale e individuale, e se la leggenda e la fantasia romantica hanno incarnato in loro il mito dell'amante-poeta che fa omaggio di sé e di ogni suo segreto pensiero a un'ideale di bellezza femminile, è tuttavia certo ch'essi hanno tentato la più sottile e preziosa avventura dello spirito, che si ripiega su sé stesso e si esplora e si ascolta, e hanno sacrificato alla divinità della pura poesia, del bello stile, della forma perfetta.

In Italia, prima che sorgesse una tradizione letteraria e si venisse a stabilire un tipo linguistico adeguato al mondo della cultura, molti poetarono durante la prima metà del sec. XIII nella lingua e nei modi dei provenzali: dal celebre Sordello al più fine Lanfranco Cigala, con i minori Bartolomeo Zorzi, Buvalelli, ecc. I Catalani, anche per l'identità della loro lingua con quella propriamente provenzale e per le affinità e le mutue interferenze della loro politica con quella francese, si possono considerare fratelli minori dagli occitanici. Nel territorio gallego-portoghese, dove non pare dubbio che esistesse una poesia indipendente da quella trovadorica, questa ha finito con l'infiltrarsi e prevalere fino a rendere assai difficile la discriminazione degli elementi autoctoni da quelli importati. I troveri francesi (e trovaire è la forma del nominativo rispetto a trobadour che continua il caso obliquo) riecheggiano i motivi e le forme della poesia meridionale, a partire dall'ultimo ventennio del sec. XII: da Conon de Béthune, Gace Brûlé, Blondel de Nesle, lo Châtelain de Coucy, Gautier d'Épinal, fino a Thibaut de Champagne, Jean Bodel, Colin Muset, e alla scuola di Arras, quando a mano a mano l'ispirazione si fa più realistica e borghese col mutare del clima politico-sociale. In Germania il tipo del Minnesang appare intorno al 1170, sul Reno, in Alsazia con Reimar, e subito dopo nella Turingia, nella Baviera, in Austria, fino a stabilirsi alla corte imperiale con Walter von der Vogelweide.

Bibl.: Si veda sotto la voce provenza: Letteratura; e in particolar modo: A. Jeanroy, La poésie lyrique des troubadours, Parigi 1934. Inoltre: Milá y Fontanals, De los trovadores en España, Barcellona 1861 (e poi nelle Obras completas, II, 1889); R. Menéndez Pidal, Poesía juglaresca y juglares, Madrid 1926; L. Nicolau d'Olwer, Jaume I y los trovadors provensals, Barcellona 1909; Rodriguez Lapa, Das origens da poesia lirica en Portugal na idade-media, Lisbona 1929; G. Bertoni, I trovatori d'Italia, Modena 1915; V. De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all'Italia, voll. 2, Roma 1931; H. Brinkmann, Entstehungsgeschichte des Minnesangs, Halle 1926.

La musica dei trovatori e dei troveri. - Si conoscono, fino ad oggi, 264 melodie legate a componimenti di rimatori provenzali, ed oltre 2000 spettanti a versi di poeti del nord. Materiale abbastanza copioso da consentire un'idea sufficientemente esatta del repertorio melodico generale e, in qualche caso (come per i troveri Gautier de Coincy, Thibaut de Champagne, Gace Brûlé) anche del repertorio individuale riferibile a codesti artisti.

Si trovano melodie su versi di trovatori nei mss. seguenti (all'indicazione bibliografica segue la sigla in uso tra gli studiosi): Parigi, Bibl. Nat. fr. 22.543 (R), inizio del sec. XIV, 160 melodie; Milano, Ambrosiana, R 71 sup. (C), pure del sec. XIV, con 81 melodie; Parigi, Bibl. Nat. fr. 844, fine del sec. XIII, raccolta di liriche settentrionali contenente anche 48 melodie provenzali (W per la parte provenzale, M per la parte francese); id. fr. 20.050, canzoniere detto di Saint-Germain-des-Prés, riferibile per la parte musicata alla prima metà del sec. XIII, anch'esso con 24 canzoni provenzali commiste tra le francesi (rispettivamente X e U). Infine il ms. di Roma, Vat.-Chig. 26, contiene, intercalate nel Mistero provenzale di S. Agnese, 8 melodie d'origine profana adattate a versi religiosi.

Quanto a melodie di troveri sono da ricordare i seguenti mss., tutti di biblioteche parigine: Bibl. Arsénal, 5198 (K), del sec. XIII ex.; Bibl. Nat. fr. 845 (N), 847 (P), nouv. acq. 1050 (X), della medesima epoca; ed altri un poco più recenti: 12.615 (T), 1591 (R), 24.406 (V). Infine, sempre nella Bibl. Nat., il ms. 846, della fine del sec. XIII (O), si distingue dagli altri per essere il solo che rechi le melodie in notazione mensurale; e il 25.566 (W), perché ci offre la compiuta produzione del trovero Adam de la Hale, morto (in Italia) nel 1286.

Caratteri e forme della musica dei trovatori e dei troveri. - Se la poesia dei trovatori si distingue da quella dei troveri per differenze notevoli, a tacere di quella principalissima della lingua, non si può dire altrettanto della musica relativa a tali due rami della lirica di Francia. In complesso, per quanto consta fino ad oggi, codesto linguaggio musicale è uno solo: adotta forme comuni, ammette scambî di melodie dall'uno all'altro ramo, offre aspetti stilistici e tecnici consimili. È bensì essenzialmente francese: cioè accusa nella struttura della melodia, nel disegno dei ritmi, nel garbo delle inflessioni un gusto fondamentale diverso da quello che regola, in massima, le contemporanee melodie volgari italiane, spagnole, germaniche; ma non ricusa, nelle melodie del ramo trovadorico, nessuno degli aspetti che possono presentarsi nel ramo troverico, e viceversa. È quindi non solo possibile ma naturale, allo stato presente negli studî, accomunare in un unico sguardo la fiorita musicale francese del nord e del sud.

Alle radici di essa sta probabilmente il movimento di cultura che irradia da centri monastici limosini (quale il convento di Saint-Martial-de-Limoges) durante il sec. XI, e che appunto in quest'epoca penetra largamente nella società profana. Metrica latina e canto liturgico, teoria e pratica musicale, compresa la conoscenza di strumenti quali l'arpa e la viella, affiancavano l'iniziazione alle varie forme della poesia volgare. Così da un lato si spiega l'ispirazione religiosa che pervade la lirica di alcuni fra i trovatori meridionali, come Guglielmo di Poitiers, Marcabruno, Jaufré Rudel, Bernart de Ventadour, Guiraut Riquier (fra i troveri, a parte Gautier de Coincy e Thibaut de Champagne, l'accento religioso è più raro) e d'altro lato si intende anche il tono intensamente spirituale, quasi di adorazione, assunto dall'"amor cortese". Ma in particolare può ritenersi dovuto all'influsso dell'educazione artistica benedettina, il fatto che le melodie trovadoriche e troveriche, se anche per il carattere delle inflessioni ed espressioni assumono timbro mondano e talvolta popolare, si rapportano tuttavia, per certi aspetti della loro struttura, a intonazioni religiose mediolatine da cui pertanto debbono considerarsi derivate. Tali forme d'intonazione originaria - secondo la teoria recentemente esposta dal romanista F. Gennrich - sono, nella sfera religiosa, la litania, la sequenza e l'inno; nel campo profano (e popolare) il rondò.

Al tipo di litania appartengono le intonazioni della canzone di gesta, della lassa strofica, della rotruenge e della canzone a ritornello (refrain).

Nella canzone di gesta tutti i versi, o almeno lunghe serie di versi, sembra si cantassero sopra un unico modulo melodico, interrotto a quando a quando da un ritornello strumentale. I soli esempî che ne rimangono sono: un verso detto da Audigier e citato nel Jeu de Robin et de Marion, e un frammento Estoilette, je te voi appartenente a Aucassin et Nicolette: entrambi di Adam de la Hale. La lassa strofica, propria alle chanson de toile, si vale di un periodo melodico che abbraccia almeno due versi, ripetuto sui versi susseguenti della strofa e terminato da un breve ritornello estraneo alla melodia principale. Nella rotruenge il ritornello si canta sul motivo che termina la melodia della stanza. Quanto alla chanson à refrain propriamente detta (forma musicale dei secoli XIII e XIV, appartenente piuttosto alle pastourelles che non alla lirica d'amor cortese) la sua struttura è varia e spesso complessa, e la sua particolarità consiste nello sviluppo considerevole dato al ritornello.

Al tipo del rondò (la cui forma originaria è assai semplice: una frase melodica a solo, una risposta uguale del coro su parole del refrain, terzo verso a solo sullo stesso motivo e quarto verso pure a solo su motivo di chiusa; poi ripresa corale del ritornello con la cadenza finale, si rapportano: il virelai, la cui stanza è inquadrata dal ritornello in principio e alla fine, come la nostra lauda o ballata; la ballata (francese) che si differenzia dalla struttura musicale della lauda e verosimilmente della ballata nostrana in quanto il ritornello è melodicamente indipendente dall'intonazione della stanza, e il canone, forma polifonica affine, in origine, al rondel. La forma musicale del rondel, la cui melodia spesso è viva e nettamente ritmata, si presta in particolare alle canzoni a ballo.

Alla sequenza, caratterizzata dal variare della melodia di coppia in coppia di strofe, s'avvicinerebbero, secondo il Gennrich, il lai strofico o ridotto e la forma strumentale detta estampie o stampita.

Infine, all'inno - la cui melodia, senza replica di frasi, scorre da un capo all'altro della strofa - sarebbe imparentato il vers, del cui canto continuo si hanno esempî in Bernart de Ventadour, e la canso senza ritornello, quale appare in Guiraut Riquier o in Jaufré Rudel. Si rammenti peraltro che alcune di tali derivazioni sono tuttora controverse, e che le classificazioni su riferite non debbono ritenersi rigorosamente rispondenti all'uno o all'altro genere di poesia. Accade infatti che tipi poetici differenti (come una pastourelle, o un'aube) passino con disinvoltura, nei diversi mss., dalla forma musicale del rondò a quella del lai o della chanson à refrain e via dicendo.

In generale, nelle melodie trovadoriche, una frase melodica corrisponde a un verso (tranne che in caso di versi brevissimi); due frasi costituiscono un periodo. Il disegno melodico si svolge di solito in gradi congiunti; tuttavia non mancano, specie nei trovatori più tardi, esempî d'intervalli disgiunti: quinta, sesta, ottava. Quasi sempre l'intonazione delle pastourelles, delle romanze, delle canzoni a ballo, si appaga di una nota per sillaba: nelle canzoni d'amore, invece, gruppi di due o tre note rinforzano taluni accenti poetici, così come "appoggiature" o altri brevi ricami vocali dànno vaghezza alle cadenze. La sovrabbondanza di melismi che talvolta s'incontra è da attribuire non tanto al creatore della melodia quanto all'ambizione virtuosistica di menestrelli e giullari.

Dal punto di vista della tonalità, pur non sottraendosi del tutto agli antichi "toni" gregoriani, le melodie trovadoriche, al pari di quelle delle nostre laudi, accusano viva tendenza verso la struttura tonale moderna a tipo unico "maggiore" ed unico "minore".

Notazione e interpretazione ritmica. - Tranne il già citato ms. 846 che ha la notazione mensurale, gli altri documenti di melodie troveriche e trovadoriche presentano la notazione detta corale, a note quadrate con o senza coda, oppure notazione neumatica su linee: in ambedue questi casi manca l'indicazione del ritmo. Senza ripercorrere le lunghe controversie cui diedero luogo i diversi punti di vista circa l'interpretazione ritmica, accenniamo alla teoria che ha avuto negli ultimi tempi migliore fortuna: cioè a quella del Beck (1908) immediatamente accettata dall'Aubry e da altri studiosi. Tale teoria trae dalla musicografia medievale la nozione e lo schema di sei "modi ritmici", e dell'uno o dell'altro di essi, a seconda del ritmo interno che regge i singoli componimenti poetici, si vale per ricostruire la struttura metrico-ritmica dei canti. Codesti schemi o "modi" sono:

Le melodie dei trovatori e dei troveri sono state finora tradotte, nel massimo numero dei casi, in uno dei primi tre "modi", dei quali il primo e il secondo corrispondono alle nostre battute di 3/4 o 3/8, mentre il terzo si può esprimere con sufficiente approssimazione nella battuta di 6/8. Ma dal 1927 lo stesso propugnatore della teoria modale, il Beck, modificando proprie affermazioni precedenti in favore delle divisioni ternarie, ha mostrato di dare la preferenza al V modo (spondaico) e quindi alla divisione binaria. E in generale i recenti studiosi di musica medievale tendono a liberare la monodia dalle troppo rigide strettoie dei "modi ritmici", per ottenere al canto maggiore morbidezza e rispondenza migliore agli accenti del testo, spesso ribelli a siffatti schemi. Tuttavia una nuova teoria in tale senso, valevole per tutti gli aspetti della melodia extragregoriana, non è stata ancora formulata.

Bibl.: F. Wolf, Über die Lais Sequenzen und Leiche, Heidelberg 1841; E. De Coussemaker, Œuvres complętes du trouvęre Adam de la Halle (poésies et musique), Parigi 1872; A. Restori, Per la storia musicale dei trovatori provenzali, in Rivista musicale italiana, Torino 1895-96; J. Beck, Die Melodien der Troubadours, Strasburgo 1908; id., La musique des troubadours, Parigi 1910; id., Les Chansonniers des troubadours et des trouvères, I e II, Filadelfia 1927; P. Aubry, Jeanroy e Brandin, Lais et Descorts français du XIIIe siècle, Parigi 1901; id., Trouvères et troubadours, ivi 1909; F. Gennrich, Der musikalische Vortrag der altfranzösischen Chanson de geste, Halle (Saale) 1923; id., Die altfranzösische Rotrouenge, ivi 1925; id., Rondeaux, Virelais und Balladen, I, ivi 1921; II, Gottinga 1928; id., Formenlehre des mittelalterlichen Liedes, Halle 1932; Karl Nef, Gesang und Instrumentenspiel bei den Troubadours, Vienna 1930; Th. Gérold, La musique au Moyen Âge, Parigi 1932. Per la storia delle interpretazioni della notazione medievale, e relativa bibliografia, v. F. Liuzzi, La Lauda e i primordî della melodia italiana, I, cap. 5°, Roma 1935.

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