TROFEO e FREGIO D'ARMI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

TROFEO e FREGIO D'ARMI (v. vol. VII, p. 996, s.v. Trofeo)

G. Calcani
E. Polito

Le armi e le spoglie del nemico vinto che il vincitore lasciava sul luogo della battaglia o riportava con sé in patria a testimonianza della vittoria, ricevono una traduzione artistica precoce e originale nel mondo greco che continua con poche variazioni formali, riguardanti soprattutto le diverse fogge localmente assunte dalle armi, nel mondo etrusco-italico e in quello romano.

Tradizionalmente si designa con il primo termine l'esibizione di una parte o dell'insieme delle armature tolte al nemico, sia nella forma reale sia nella traduzione artistica, allestite in forma antropomorfa o ammucchiate in cumuli; mentre con il secondo si indicano pitture e rilievi che presentano le armi allineate in sequenze continue o inserite nelle metope di fregi dorici. La distinzione sostanziale tra le due forme di rappresentazione consisterebbe nella mostra pubblica di armi nemiche nel caso del t. e in quella di armi proprie nel fregio. In realtà si tratta di tipologie artistiche legate a rappresentazioni di stampo militare, che risultano collegate sia nelle motivazioni di dedica sia negli esiti figurativi, tanto che un termine è spesso usato come sinonimo dell'altro. Tale ambiguità non investe soltanto la versione artistica del tema, ma anche la presenza di armi reali, in contesti funerari o cultuali, è talvolta equivoca nella sua funzione, poiché l'armatura conquistata in battaglia e quindi dedicata come trofeo a una divinità, poteva essere sottratta alla sua funzione votiva e ritornare oggetto d'uso militare. In assenza di iscrizioni o di altre fonti documentarie non è, dunque, immediato il riconoscimento di un'arma dedicata in forma attiva dal proprietario rispetto a un trofeo di guerra.

Grecia. - L'ideazione del trofeo è ricondotta all'uso di innalzare mucchi di pietre come segnacolo del campo di battaglia da parte dei Dori, popolazione presso la quale, come è noto, ebbe culto precoce proprio Zeus Tropàios. Sul versante mitologico non è sembrato trascurabile, in questo senso, anche il fatto che Eracle, l'eroe dorico per eccellenza, sia ricordato, unico tra dei ed eroi, per l'erezione di un trofeo (Paus., III, 10, 6; Eurip., Ion, 1143). D'importanza decisiva è stata ancora giudicata la dedica di armi nell'Antro Ideo (v.), tradizionalmente posta in relazione proprio con la conquista dorica. Non ha avuto seguito invece il tentativo di dirottare in Attica l'ideazione del trofeo (Gansiniec, 1955). Priva di fondamento è stata riconosciuta (Janssen, 1957) anche la distinzione fra il trofeo antropomorfo e quello a cumulo in funzione del tipo di battaglia celebrata, ma non sono mancate voci che continuano a riferire il primo a monomachie e il secondo a eventi bellici più complessi, sulla scorta della proposta di A. Reinach (v. vol. VII, p. 997). L'equivoco è giustificato dal fatto che generalmente si pensa al trofeo antropomorfo come a un elemento isolato, mentre sappiamo che potevano esserne eretti diversi nella stessa occasione, basti ricordare il modo con cui i Siracusani celebrarono la vittoria del 413 a.C. sugli Ateniesi e i loro alleati, e cioè rivestendo di armature nemiche tutti gli alberi «più belli e più grandi» che sorgevano lungo il fiume Axinaros, teatro dell'ultimo scontro (Plut., Nic., 27).

All'origine del trofeo antropomorfo si pone, comunque, il superamento in Grecia, almeno fin dall'età arcaica, del rituale che prevedeva l'esibizione del cadavere del nemico, o di parti di esso, costume che caratterizzerà invece, p.es., ancora i Galati nell'età ellenistica (Reinach, 1913) e che continuerà a essere praticato anche dalle legioni romane, come mostrano alcune scene della Colonna Traiana.

Ampiamente attestato, come monumento isolato, da monete e da produzioni di tipo artigianale a partire dalla media età ellenistica, il trofeo antropomorfo si può documentare per le fasi precedenti nella particolare accezione ricostruibile per il monumento eretto dai Te- bani dopo la vittoria del 379 a.C. sui Lacedemoni. Frammenti rinvenuti già all'inizio del nostro secolo nei pressi di Leuttra, in località Marmara, consistenti di elementi architettonici appartenuti a una struttura circolare di c.a 3,20 m di diametro, otto dei quali recano scudi rotondi scolpiti su una superficie di fondo di forma trapezoidale, sono stati proposti in una ricostruzione (Orlandos, 1923) che associa ai resti architettonici l'immagine di un trofeo antropomorfo testimoniata da una moneta della Lega Beota del III sec. a.C. L'iconografia che ne consegue mostra un basamento cilindrico, ornato da scudi nella parte superiore, che sostiene un trofeo allestito in forma antropomorfa, caratterizzato da una lancia disposta in posizione di offesa. L'anomalia di questa immagine, data dalla situazione della lancia che contraddice proprio il senso del trofeo che, come è noto, è proprio quello di dimostrare di aver reso inoffensive le armi nemiche, si può spiegare con il dettagliato racconto che le fonti ci tramandano della battaglia di Leuttra. In particolare sappiamo (Paus., IV, 32, 5) che i Tebani, seguendo un responso oracolare, prima di sostenere lo scontro eressero, in una posizione che lo rendeva ben visibile ai nemici, un trofeo recante uno scudo che già costituiva una memoria di vittoria sugli Spartani. Si può supporre che questo feticcio, a cui non solo era demandata la buona sorte della guerra, ma che costituisce un vero e proprio trofeo di vittoria innalzato in anticipo sugli eventi, fosse al centro delle celebrazioni e che questa immagine apotropaica, dall'atteggiamento certamente offensivo verso i Lacedemoni, coincida con il trofeo celebrato ancora sulle monete ellenistiche della Lega Beota.

La raffigurazione delle armi proprie in una forma simile a quella del trofeo antropomorfo non costituisce una scelta insolita nel mondo greco, come prova la sicura testimonianza dell'affresco della Tomba di Lyson e Kallikles a Lefkadià, in Macedonia (v. mieza e greca, arte: Pittura, p. 884, fig. 1026). La presenza delle due corazze sormontate da elmi tra le altre raffigurazioni di armi che sono state disposte, invece, nella più consueta situazione di sospensione a parete o di appoggio a terra, sottolinea la valenza funeraria del soggetto bellico nell'affresco dei due caduti nella battaglia di Cinoscefale. Già alla fine del IV sec. a.C. abbiamo la sicura testimonianza di un segnacolo funerario in marmo in forma di trofeo, costituito dalla sola corazza a corsetto rigido e ptèryges, nella necropoli del Fusco a Siracusa e la stessa tipologia si ritrova ancora nel trofeo in marmo del I sec. a.C., di provenienza funeraria, conservato a Rodi nel Palazzo del Gran Maestro.

Particolarmente suggestiva è la scelta di raffigurare sulla facciata in roccia della Tomba di Alketas a Termessos (v.) il defunto a cavallo, vestito di armi, quasi in galoppo ascensionale verso il cielo, e più in basso le sue armi «vuote» - elmo, scudo rotondo, spada e schinieri - disposte in forma di trofeo antropomorfo.

La scelta di caratterizzare la propria sepoltura con la rappresentazione di armi sconfina nel campo espressivo proprio del trofeo ancora nel tipo con la panoplia scolpita in forma di cumulo, come si vede nel rilievo del Museo Archeologico di Coo, di età ellenistica.

L'elaborazione del trofeo a cumulo è tradizionalmente posta in relazione alla statua raffigurante la personificazione dell'Etolia assisa su un mucchio di armi, consacrata a Delfi dopo la cacciata dei Galati nel 279 a.C. (Paus., X, 18, 7), la cui immagine è stata da tempo ricostruita sulla base di emissioni monetali della Lega Etolica (v. vol. I, p. 98, s.v. Aetolia). Di questa statua-trofeo è stata da tempo identificata la base raffigurante una serie di armi galate, nell'angolo SO del Tempio di Apollo. La commemorazione della vittoria da parte degli Etoli a Delfi fu, come è noto, particolarmente generosa nella consacrazione di trofei: oltre alla scultura già menzionata furono dedicati un gruppo statuario di varî strateghi Etoli raffigurati insieme a immagini di Artemide, Atena e Apollo (Nachtergael, 1977); una statua del comandante Euridamo che fu posta vicino all’omphalòs (Paus., X, 16, 4); scudi nel Tempio di Apollo e altre armi nel portico O, dove, come nel tempio, furono appese accanto alle spoglie dedicate dagli Ateniesi dopo la battaglia di Maratona (Amandry, 1978). Questa esuberanza di offerte coincide con il tentativo degli storici antichi (Pol., II, 35, 7) di promuovere l'immagine dell'Etolia, presentata addirittura come la nuova liberatrice della Grecia, paragonando, come è noto, l'attacco gallico del 279 all'invasione persiana del V sec. a.C. (Champion, 1996). Tale doveva essere l'effetto della propaganda letteraria e per immagini che ancora Attalo I di Pergamo commemora a Delfi le sue vittorie sui Galati facendo pendant, materialmente e simbolicamente, con la dedica di armi degli Etoli. A tale proposito è stato di recente riesaminato il portico O di Delfi (v.), edificio del quale è ancora discussa la datazione e, di conseguenza, l'originaria funzione, ma che conserva nel muro di fondo una serie di lettere che dovrebbero coincidere con i punti di affissione delle armi galliche.

Un nuovo frammento integra oggi anche i resti del trofeo eretto a Thermos (v.) in occasione delle stesse celebrazioni etoliche sui Galati. Anche in questo caso, come per la base della personificazione dell'Etolia, abbiamo la rappresentazione di una serie di armi scolpite a imitazione del cumulo su un blocco cilindrico di marmo.

La prevalente documentazione etolica del trofeo a cumulo non deve far dimenticare esempi paralleli, o addirittura precedenti di qualche anno, testimoniati nella pittura funeraria macedone: attorno al 300 a.C. si data, p.es., la facciata della tomba II del Tumulo Bella, a Verghina (v. AIGAI), dove tra altre figure è stata riconosciuta quella di Ares o della personificazione della guerra, Pòlemos, seduta su un mucchio di tre scudi. Il soggetto macedone, il cui schema avrà ampia fortuna - basti pensare all'analoga rappresentazione della personificazione di Roma - potrebbe, proprio per la sua natura allegorica, essere pensato a monte di utilizzazioni peculiari.

Altri fatti evidenziano l'importanza dell'ambiente macedone nell'ideazione artistica del cumulo di armi come riferimento astratto alla situazione del campo di battaglia; in particolare va ricordata l'antica usanza di questo popolo di consacrare agli dei tutto quello che restava sul suolo dopo un combattimento. In considerazione di questo rituale si può forse spiegare la grande attenzione alle armi sparse a terra nelle megalografie che celebravano le imprese di Alessandro in Asia, la cui testimonianza più diretta è offerta dal sarcofago di Sidone (v. vol. VII, p. 9 ss., fig. 8, s.v. Sarcofago) e dal mosaico del Museo Nazionale di Napoli (v. vol. VI, p. 127, s.v. Philoxenos). La stessa scelta iconografica, resa ancora più evidente dal frammentario stato di conservazione, qualifica la stele funeraria di Menas, caduto nella battaglia fra Seleuco e Lisimaco del 281 a.C., nel Museo Archeologico di Istanbul. Non sappiamo quali fossero gli esiti figurativi della pittura classica con scene di battaglia, ma gli echi nella ceramica attica mostrano scene rarefatte senza grandi caratterizzazioni ambientali, evidenziando l'originalità delle figurazioni legate alla campagna di Alessandro in Asia.

Dall'esperienza artistica di stampo macedone deriva una serie di monumenti legati alle lotte dei successori di Alessandro, come la base circolare di marmo a Delo, scolpita con elmi, spade incrociate e schinieri, relativa forse a una dedica degli Attalidi e stilisticamente molto vicina ai rilievi in calcare di analogo soggetto che decoravano la porta E di Side (v.), costruita nel periodo seleucide, e i noti rilievi architettonici da Pergamo (v. vol. VI, fig. 56).

Ma la forma più caratteristica di trofeo per i Macedoni non era costituita da armi: una leggenda nota dalle fonti e relativa a Karanos, il mitico re della fondazione dello stato macedone, ne inibiva l'erezione poiché ricordava l'abbattimento e la distruzione di un trofeo di armi a opera di un leone disceso dal monte Olimpo. Ciò contribuisce a spiegare il significato di monumenti tropaici come quello di Lampsaco (v. Lisippo), di Ecbatana, di Amfipoli (v.), e probabilmente anche quelli di Tespie (v.) e di Cheronea (v.), dove protagonista è proprio la figura di un leone.

Ma anche se è noto che le due principali forme di trofeo già ricordate, e cioè quella antropomorfa e quella a cumulo, avranno particolare fortuna nel mondo romano, non possiamo limitare a queste due categorie l'approccio con il mondo ellenico.

Sappiamo infatti che il concetto greco di tropàion era molto più esteso, poiché era usato per designare qualunque tipo di monumento celebrativo di battaglia - fosse esso un tempio, una statua o un dipinto - e la particolare funzione di t. attribuita per l'occasione a una produzione artistica di per sé estranea alla sfera militare, era percepibile spesso solo grazie all'iscrizione di dedica.

Particolarmente indicativo, in questo senso, è il tipo di commemorazione scelta per le vittorie di Maratona e di Salamina: dei monumenti lasciati sul campo di battaglia esiste infatti la possibilità, in entrambi i casi, di concretare le testimonianze letterarie con resti archeologici. Per Maratona abbiamo la documentazione di un marmo, dovuto a un intervento commemorativo di molto posteriore alla storica battaglia contro i Persiani, che presenta un'armatura appoggiata a un tronco d'albero, interpretato come il puntello di una statua allegorica che probabilmente riprendeva, in età romana, una precedente iconografia greca (Vanderpool, 1967). Del trofeo eretto a Salamina (v.) e dell'altro innalzato, nella stessa occasione, nell'isola di Psyttàleia (odierna Leipsokoutali; Wallace, 1969) sono state individuate le basi e del primo trofeo è stato ricostruito anche l'alzato sulla scorta delle descrizioni di viaggiatori inglesi dell'Ottocento e dei primi del Novecento. Si tratterebbe di una colonna di marmo bianco su base circolare che poggiava su un blocco quadrato di calcare, al di sopra della quale è stata ipotizzata la presenza di un capitello ionico - ed è particolarmente significativa, in questo caso, la convergenza iconografica con le colonne utilizzate quale monumento funerario eroico, visibili soprattutto nella pittura vascolare magnogreca di IV sec. a.C. - in alternativa a una Nike o a un modello di trireme. Anche in questo caso, tuttavia, dovrebbe trattarsi di un monumento successivo al trofeo originario voluto da Temistocle, poiché la testimonianza di Erodoto (VIII, 121) indurrebbe a identificare quest'ultimo con una delle triremi fenicie abbandonate dalla flotta nemica.

Commemorativo di una battaglia navale è il trofeo più antico di cui si abbia certezza, e cioè quello dedicato dagli Egineti nel Santuario di Aphaia verso il 520 a.C., consistente nei rostri delle navi di Samo configurati a testa di cinghiale (Herodot., III, 59). In questo caso è chiaro che quelle sole parti delle imbarcazioni consentivano un'associazione particolarmente stringente con la divinità eginetica, visto che, nonostante la successiva assimilazione ad Atena, la natura di Aphaia era più prossima, come è noto, a quella di Artemide. La forma più spettacolare di trofeo navale consiste però, ancora nell'età ellenistica, nella dedica di imbarcazioni reali o rappresentate in scultura, come è il caso dei famosi monumenti navali di Lindos (v. vol. IV, fig. 756), dell'agorà di Thasos, di quella di Cirene (í.) o della Nike di Samotracia (v. vol. V, p. 466, fig. 604, s.v. Nike). Al tempo di Demetrio Poliorcete, come testimoniano le monete del re di Macedonia, nasce il tipo di trofeo navale che mostra la personificazione di Nike sulla prua di una nave, nell'atto di suonare la tromba: questa iconografia è determinata proprio dall'uso di dedicare nei santuari insulari un'imbarcazione catturata al nemico, come nel caso della Stoà dei Tori a Delo, o della nave dedicata forse da Antigono Gonata nel Santuario dei Grandi Dei a Samotracia (v.), per esporre la quale fu costruita una grandiosa struttura identificata a N della Stoà posta sulla collina occidentale.

La ricerca della versione artistica del trofeo in Grecia rivela comunque che le raffigurazioni di armi paradossalmente occupano un settore limitato nella celebrazione di vittorie militari. Tale ruolo comprimario era riservato non solo alla versione artistica del soggetto, ma anche alle armi reali catturate al nemico; basti ricordare che dopo la battaglia di Platea la decima del bottino dedicata ad Apollo fu riconvertita in un tripode d'oro che fu posto nel Santuario di Delfi (v.), per il quale si ha oggi una ricostruzione più sicura, mentre del tutto superata è l'identificazione della sua base all'interno del santuario; con le parti riservate a Zeus e a Posidone furono ricavate statue delle due divinità erette, la prima nel Santuario di Olimpia, la seconda all'Istmo (Herodot., IX, 81). Da questa e da numerose altre testimonianze relative all'età classica emerge chiaramente che le celebrazioni belliche di maggiore prestigio non si limitavano alla consacrazione di armi - che pure, come è noto, sono cospicuamente attestate nei principali santuari ellenici - ma si qualificavano proprio attraverso l'offerta di trofei che costituivano vere e proprie opere d'arte.

Non stupisce, perciò, che i trofei celebrativi delle principali battaglie vinte dai Greci sui Persiani nel corso del V sec. a.C. coincidano inevitabilmente con le maggiori realizzazioni monumentali dello stesso periodo: basti pensare al donario fatto erigere a Delfi da Cimone a cui lavorarono Fidia (v.) e il fratello Panäinos (v. vol. V, p. 924, s.v.), o alla serie di dipinti relativi alla battaglia di Maratona conservati ad Atene nella Stoà Poikìle. Anche le statue allegoriche elaborate in seguito alla vittoria di Cimone presso la foce dell'Eurimedonte da quella particolare cerchia di artisti e di intellettuali che gravitava intorno a Cimone rivelano la pertinenza al tema tropaico. Tale è da considerare, p.es., la statua di Atena appoggiata a una palma, phòinix in greco, che alludeva alla flotta fenicia, punto di forza dell'armata persiana sul mare, sconfitta appunto da Cimone, che dovrebbe rientrare di diritto nella categoria dei trofei celebrativi di battaglie navali.

Se di fronte alla divinità la dedica del bottino o dell'equivalente del suo valore aveva lo stesso significato, diverso chiaramente era il messaggio rivolto ai contemporanei scegliendo l'una o l'altra via celebrativa. Schematizzando si può parlare di un tipo di trofeo progettato per amplificare il tema della guerra anche in tempo di pace, e di un uso «civico» del bottino, che converte il valore delle armi in imprese di grande portata storico-artistica.

L'esempio di Atene è particolarmente emblematico e troverà un corrispettivo solo in età ellenistica in città come Pergamo (v. pergamena, arte) e Rodi (v. rodia, arte), poiché non limita al palcoscenico esterno, costituito nel mondo antico dai grandi santuari panellenici, la dedica di trofei spettacolari; la vendita delle spoglie catturate al nemico, come è noto, non solo fu utilizzata nella stessa Atene per finanziare architetture emblematiche più nel loro insieme che per l'apparato decorativo, quali il tempietto dedicato sull'Acropoli ad Atena Nike negli anni della pace di Nicia (421-415 a.C.), ma addirittura per opere difensive quali il muro meridionale della stessa Acropoli, realizzato, come è noto, dopo l'invasione persiana della città (Plut., Cim., 13).

Questo gioco di ribaltamento delle sorti per cui le armi che hanno offeso la città greca vengono trasformate in opere che fortificano la città stessa o che l'abbelliscono, dichiarandone nello stesso tempo il riscatto avvenuto, continua ancora nell'età ellenistica: particolarmente emblematico è il caso del Colosso di Rodi (v.), per la cui costruzione, come si sa, non solo fu stanziata l'intera somma ricavata dalla vendita del materiale bellico nemico, ma si ebbe cura di calcolarne l'altezza in modo da ripetere quella della macchina d'assedio vanamente utilizzata da Demetrio.

Nel caso di Atene, anche quando le armi o parti della preda bellica sono direttamente consacrate alla divinità, si ha l'impressione che ciò sia avvenuto seguendo un criterio non solo di celebrazione militare, ma affine anche al concetto moderno di Wunderkammer: dopo la battaglia di Salamina fu consacrata nell'Eretteo la corazza dorata di Masistios, mentre il trono d'argento di Serse fu deposto nel Partenone secondo un criterio che certamente teneva conto del loro valore tropaico, in quanto erano elementi appartenuti a nemici di rango, ma che probabilmente privilegiava anche il tono esotico, la curiosità che gli oggetti stessi potevano suscitare.

Questo tipo di ideologia di stampo collezionistico, amatoriale, è ancora alla base della scelta di Tolemeo II Filadelfia di abbellire il suo padiglione con parti di armature d'oro e d'argento descritte, insieme ad altri oggetti preziosi, in occasione della famosa pompe che celebrava l'avvento al trono della dinastia (Ath., V, 196-197). D'altro canto il particolare valore decorativo attribuito al repertorio militare è testimoniato ancora dagli affreschi di ville romane che replicano ambienti residenziali di ascendenza macedone, quale è p.es. il caso di Oplontis (v.). Le Nikai e, soprattutto, gli scudi raffigurati sulle pareti della villa campana costituiscono un elemento particolarmente sfruttato nella comunicazione del tema tropaico.

Lo scudo di forma circolare, isolato o ripetuto in sequenze paratattiche, costituisce l'elemento più diffuso nella decorazione di mura di città, come Perge (v.) o Termessos, di teatri, come nella stessa Termessos, e, soprattutto, di tombe: dall'Illiria, all'Asia Minore, comprendendo tutte le regioni della Grecia del Nord convogliate nel Regno di Macedonia, e di recente scoperte anche a Rodi (v.). Non è un caso che per lo più si tratti di tombe a camera di tipo macedone, caratterizzate da uno o due scudi sulla facciata, posti al di sopra o a fianco della porta d'ingresso, la cui datazione è compresa tra la seconda metà del IV e il II sec. a.C.

Il fregio d'armi dipinto o scolpito replica la situazione più normale della sospensione a parete delle spoglie nemiche o delle armi proprie. Anche nei contesti funerari le armi del defunto venivano disposte, per così dire, a fregio. Nel caso della camera principale della Tomba di Filippo II a Verghina, è stato ipotizzato che le armi del re fossero sospese a parete, a eccezione della corazza che si pensa fosse invece appoggiata su un ripiano di legno, del quale sono stati trovati resti davanti all'urna di pietra. La successione che si ricava dalle foto scattate subito dopo il ritrovamento farebbe ricostruire questa sequenza, procedendo da sinistra verso destra: scudo rotondo, schinieri, diadema, elmo, schinieri, spada, corazza. Le armi del re non hanno bisogno di traduzione artistica in quanto sono esse stesse opere d'arte e possono illusionisticamente essere decorate proprio da fregi d'armi, come nel caso del gorytòs proveniente dall'anticamera della stessa Tomba di Filippo II.

Meno attestato, per ora, ma ugualmente distribuito in un ampio orizzonte geografico, è il fregio che allo scudo affianca anche altre armi; quasi sempre presente è la corazza, sia nella versione a corsetto rigido sia in quella anatomica, come si vede nel muro in blocchi di calcare che fiancheggia il decumano di Dion (v.), in Macedonia, scolpito entro il II sec. a.C., o nel rilievo del museo di Thasos, la cui tipologia si ritrova anche in monumenti numidici del II sec. a.C. Nelle forme più elaborate si presenta una campionatura più completa delle armi, come si è visto già per la tomba di Lefkadià, e come mostrano i frammenti di fregio architettonico di Petra (v.) la cui funzione non appare ancora definita, ma che denunciano una stretta adesione formale e stilistica a opere greco- macedoni della media età ellenistica, i cui esiti si ritrovano anche ad Alessandria ma che non necessariamente devono essere visti in derivazione da tale città.

Talvolta anche la figura del defunto armato accompagna la raffigurazione di armi: all'esempio già citato della Tomba di Alketas a Termessos, si può aggiungere in questo caso l'affresco di una tomba a cassone della fine del IV sec. a.C. da Tragilos (v. macedonia) e, tra altre pitture note di ambiente etrusco e italico, i resti della tomba 12 di Egnatia (v. gnathia) ristudiata di recente. L'interscambio di temi figurativi tra Macedonia, Epiro, Magna Grecia, Etruria e quindi Roma, è un fatto ormai scontato che trova conferme in molteplici soggetti dell'esistenza di una koinè figurativa di rapida diffusione e immediato assorbimento. Per quel che riguarda il tema delle armi bisognerà, tuttavia, spostare la ricerca dei modelli, perché non è tanto alla Macedonia in quanto realtà territoriale che bisognerà riferirsi, bensì all'armata macedone mobilitata da Alessandro nella conquista asiatica e ancora punto di riferimento fino agli ultimi regni ellenistici. È allo spostamento della falange che dobbiamo quello che secoli più tardi si verificherà con le legioni romane, e cioè la creazione di una Soldatenkunst che dalla fine del IV sec. a.C. diffonderà un linguaggio figurativo di stampo macedone, reso emblematico dalle gesta di Alessandro. Chi volesse trovare gli echi immediati di quest'arte di soldati dovrebbe cercare non tanto nella Grecia del Nord, quanto nelle regioni asiatiche dove centinaia di urne decorate a rilievo con armi scolpite a tutto campo sulle facce della cassetta, o allineate a fregio sul coperchio a doppio spiovente, costituiscono l'impressionante documentazione di musei locali, come quello di Burdur nel cuore dell'Anatolia. E dall'Asia Minore che si irradia questo lessico figurativo: verso NO seguendo il ritorno in patria; di militari, verso SO e a E seguendo l'avanzata di Alessandro e le vicissitudini degli eredi del re. In questa prospettiva l'Occidente (Etruschi, Italici e Roma) non può essere visto come puro bacino di recezione di schemi artistici relativi alla sfera militare, ma come entità direttamente coinvolta, se non altro, dal tentativo di conquista di Alessandro il Molosso.

Nell'età di Alessandro la raffigurazione di armi riceve una nuova forza espressiva che non consiste tanto nella ripetuta occasione di dedica del soggetto nel corso della campagna d'Asia, ma deve piuttosto la sua fortuna al significato epico che l'impresa assume per i contemporanei e per i posteri. Nella propaganda e nelle celebrazioni gli artisti di corte riprendono schemi determinati dalle guerre contro i Persiani del V sec. a.C. e prima ancora dalle mitiche imprese degli eroi di Troia. Non è un caso che alla fine del IV sec. a.C. un fregio in calcare di un piccolo edificio sepolcrale da Taranto, al Metropolitan Museum di New York, ripeta nella composizione lo schema di Oreste ed Elettra alla tomba di Agamennone, con la consueta caratterizzazione della tomba dell'eroe attraverso le armi, secondo un'iconografia già sperimentata nella prima età classica.

La possibilità di caratterizzarsi come eroi spiega la grande diffusione dei rilievi, votivi e funerari, dove il defunto, variamente atteggiato, è rappresentato su uno sfondo decorato da armi. La disposizione delle armi in un fregio continuo e l'ambientazione della scena conferiscono ancora riconoscibilità e un minimo spessore narrativo a questa produzione seriale che dilaga a partire dal II sec. a.C. La riduzione dei trofei navali a oggetti di arredamento, come nel caso degli altari di Rodi o delle mensole a forma di prora di nave da Segesta, e l'isolamento delle armi nei campi metopali sempre più ristretti dei fregi dorici di stele e di monumenti funerari rivelano, alla fine dell'età ellenistica, il passaggio della rappresentazione di temi bellici a una sfera puramente decorativa, riempitiva. L'espressione artistica che comunica l'orgoglio del possesso delle armi non va più cercata, ormai, tra le produzioni proprie del mondo greco.

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V. anche armi e armature.

(G. Calcani)

Italia, Roma e Provincie. - Per l'ambito etrusco-italico e romano si mantiene la distinzione generale proposta da Picard fra i trofei, intesi come tronchi o pali su cui è montata una panoplia, e i fregi con armi disposte paratatticamente o ammucchiate. Per i primi il termine latino è tropaeum/trophaeum, ricalcato dal greco; per i secondi manca, come in greco, un termine latino appropriato. La suddetta distinzione è però soltanto di comodo: il termine tropaeum conosce un largo uso, arrivando a comprendere per estensione ogni tipo di monumento di vittoria, oltre ad assumere altri significati metaforici. Nel caso dei trofei siamo informati sull'esistenza di monumenti con armi reali, mentre la documentazione archeologica ci restituisce soltanto riproduzioni, pur se talvolta monumentali; la nostra conoscenza di tali monumenti è ampiamente basata sulle fonti scritte.

I fregi con armi presuppongono l'uso di esporre armi reali in ambito pubblico e privato, bene attestato dalle fonti in ambiente italico e romano; all'abbondante documentazione archeologica, consistente in centinaia di raffigurazioni, fa riscontro la scarsa attenzione delle fonti letterarie. La circolazione di motivi figurativi con raffigurazioni di armi in Italia è testimoniata a partire dal IV sec. a.C. e per tutto il periodo ellenistico, con i numerosi fregi delle tombe etrusche, pestane e apule, da tempo note, ma anche con fregi da edifici templari, recentemente indagati, come il tempio sotto S. Leucio a Canosa, ancora del III sec. a.C., e quello dei Fucoli (Chianciano), del II sec. a.C., cui va aggiunto un fregio adespoto da Paestum, probabilmente dello stesso periodo. Tutti i monumenti ricordati mostrano armi in serie paratattica, dipendenti in gran parte dal repertorio ellenistico contemporaneo, con rare inserzioni di elementi locali. Per le tombe è evidente la derivazione da esempî greco-macedoni; si tratta in sostanza delle armi della gens, che ne esprimono, insieme alle altre raffigurazioni di queste tombe, i fondamenti del prestigio e del potere. Nel caso dei monumenti templari le raffigurazioni d'armi si comprendono come riproduzioni di armi dedicate, secondo il comune uso greco, italico e romano; esempî come quello di Canosa vanno probabilmente messi in relazione con l'espansione della potenza romana, di cui le armi vengono a essere il segno tangibile.

La diffusione dei trofei sembra invece meno precoce in Italia e a Roma, e resta inizialmente una semplice ripresa di un uso greco, senza corrispondenze nelle tradizioni locali. Esistevano però monumenti antichissimi in cui comparivano panoplie reali, frutto di bottino, non sappiamo in che forma: si tratta degli spolia opima, dedicati da Romolo nel Tempio di Giove Feretrio, cui facevano eco forse gli arma Quirini ricordati dalle fonti, e della pila Horatia del Foro, che ospitava le spoglie dei Curiazi. Le più tarde riproduzioni degli spolia opima mostrano sempre trofei di tipo greco, segno dell'avvenuta assimilazione delle due tradizioni. La prima apparizione di trofei a Roma è rappresentata per noi dai c.d. Vittoria- ti riproducenti un tipo di Vittoria che compone un trofeo, di forma chiaramente greca; lo stesso tipo viene riprodotto a lungo nel corso del II sec. a.C. e ripreso nella tarda repubblica.

Una conferma della diffusione dei trofei nell'orizzonte cronologico repubblicano ci è ora fornita da lastre fittili provenienti dal tablino di una casa di Fregellae, databili fra il primo e il secondo venticinquennio del II sec. a.C., raffiguranti fra l'altro Vittorie, trofei di tipo greco e prigionieri seduti ai piedi di essi. È difficile, alla luce degli scarsi dati in nostro possesso, formulare ipotesi sulla cronologia e sulla diffusione di questi motivi a Roma durante la repubblica; si potrà supporre che essi fossero già presenti prima dei nostri più antichi documenti; non è improbabile che, p.es., le fondazioni templari ex manubiis contenessero motivi di questo genere. Del resto, i trofei e le armi fanno parte integrante del rituale del trionfo, come testimoniano le descrizioni e le più tarde raffigurazioni di questa cerimonia.

Soltanto con gli ultimi decennî del II sec. a.C., però, la nostra documentazione si arricchisce di nuovi esempî, che mostrano sostanziali innovazioni: i coni relativi alle imprese di alcune delle maggiori personalità del periodo mostrano trofei, alcuni dei quali sono ormai decorati con armi alludenti a popoli del Nord. Non è un caso che le fonti segnalino in questo periodo i trofei di Q. Fabio Massimo e Cn. Domizio Enobarbo, del 121 a.C., entrambi in Gallia (Flor., é, 37, 6); il fatto che la nostra fonte li dichiari i primi trofei romani è stato spiegato con l'ipotesi che si trattasse dei primi trofei monumentali, su alta base turriforme (Picard, 1957), ma mancano prove sicure. Sta di fatto che i trofei entrano ormai come un elemento irrinunciabile nella propaganda per immagini di tutti gli imperatores della tarda repubblica: l'erezione di trofei monumentali sui campi di battaglia e a Roma è attestata per Mario, Siila, Pompeo. Essi divengono sempre più il segno tangibile del carisma dell’imperator, e si legano alle sue divinità protettrici. In particolare per Siila si ricordano i due trofei di cui era ornato il suo stesso sigillo; è stata recentemente individuata la base di uno dei due eretti dopo la battaglia di Cheronea (86 a.C.). Un noto fregio di provenienza urbana, che combina i motivi dei trofei, delle armi e delle Vittorie, disposti in serie paratattica simmetrica, è stato assegnato, secondo una fortunata ipotesi, all'età sillana, e identificato con un monumento riferito alla guerra giugurtina; pur se tale ipotesi è stata ragionevolmente messa in dubbio da numerosi studiosi, il fregio va assegnato, per motivi iconografici e stilistici, alla tarda repubblica e viene a costituire l'unico esempio monumentale conservato per questa fase. A esso, i cui precedenti si trovano in monumenti ellenistici, si può forse accostare una base frammentaria da Cizico, messa ipoteticamente in relazione con la vittoria riportata da L. Licinio Lucullo nel 72 a.C. su Mitridate: su di essa compare un motivo di armi non simmetriche, ma inquadrate da trofei. Il tema fu utilizzato anche da Pompeo, che contrappose ai due trofei sillani il motivo del triplice trofeo; Pompeo ne fece erigere uno monumentale sui Pirenei assai celebre.

Particolare risalto ha poi il tema del trofeo nella monetazione cesariana, cui dovettero fare riscontro monumenti di grandi dimensioni; ai conî, che mostrano trofei prevalentemente gallici, non fa riscontro una documentazione archeologica sicura. Trofei compaiono in numerosi conî dei cesaricidi e dei triumviri, oltre che in quelli di Sesto Pompeo. Il trofeo e le armi entrano a far parte del rituale funebre riservato a Cesare, con evidenti richiami a precedenti ellenistici, e tale associazione ricorrerà più volte durante l'impero in relazione a imperatori e condottieri. L'utilizzo di motivi d'armi in ambito funerario, tipico, come si è visto, del primo ellenismo, è del resto di nuovo attestato dalla fine del II sec. a.C. su sarcofagi di Tuscania e urnette volterrane, oltre che su stele di Italici a Delo.

Nei primi decenni del I sec. a.C., come già a Fregellae, tali motivi trovano spazio in decorazioni di case, in cui dovevano assumere il valore generico di evocazione di atmosfere belliche, di virtus, o ancora di fondamento della pace e della prosperità presenti: si tratta in particolare delle cornici dipinte dall'atrio della Villa dei Misteri a Pompei, che mostrano un repertorio d'armi ellenistico, cui seguono alcuni esempì ormai di età imperiale. Ancora in questo periodo dovettero sorgere monumenti pubblici improntati al tema delle armi. Fra questi si ricorda il fregio con armi nordiche ammucchiate che decorava un portico del foro di Cuma, dei decenni centrali del I sec. a.C., probabile eco di decorazioni analoghe nel Foro e nei complessi templari di Roma. Episodio conclusivo della concorrenza dei trofei in atto durante le guerre civili si può considerare la creazione del trofeo aziaco, individuato in alcuni rilievi, che assurge ormai a simbolo della vittoria universale del principe e della pace su di essa fondata.

Durante il periodo augusteo i motivi tropaici e d'armi non sono infrequenti in monumenti urbani e ufficiali; nel Foro di Augusto, accanto ai clipei e alle cariatidi, anche raffigurazioni d'armi dovevano completare la tematica bellica, se si dà fede alla testimonianza di Ovidio (Fast., V, 555 ss.). A questo periodo sono stati assegnati alcuni pannelli provenienti da un unico monumento urbano ignoto, decorati con armi orientali, e un ulteriore gruppo di rilievi con raffigurazioni di elementi di navi e strumenti sacrificali, probabilmente dal Portico d'Ottavia a Roma; entrambi esprimono bene le possibilità iconografiche di questi temi nell'epoca augustea. Due importanti esempî di trofei monumentali appartengono a questa fase: oltre al noto Tropaeum Alpium di La Turbie, datato al 7-6 a.C., in cui il tema del grande trofeo su base cilindrica è sottolineato dai sintetici motivi d'armi - terrestri e marini - del fregio dorico, va ricordato il triplo trofeo con figure di prigioniere - con personificazioni di provincie dal foro di Lugdunum Convenarum (odierna St. Bertrand-de-Comminges) nei Pirenei; entrambi s'inseriscono nella tradizione dei trofei eretti ai confini delle terre conquistate, come quelli repubblicani di Q. Fabio Massimo, Cn. Domizio Enobarbo e Pompeo. I trofei e i motivi d'armi fanno poi parte integrante dei programmi decorativi dei numerosi monumenti commemoranti le imprese dei condottieri della casa di Augusto - Druso, Germanico, Gaio e Lucio Cesare, Tiberio - spesso eretti sui campi di battaglia, come attestano numerose fonti. Un documento epigrafico (CIL, X, 1421) informa su un arco decretato dal senato di Pisa in onore di C. Cesare, «ornatus spoleis de- victarum aut in fidem receptarum ab eo gentium»: su questa scorta vanno compresi monumenti come gli archi della Narbonense e quelli sul Reno, noti dalle fonti.

Ancora a età augustea o giulio-claudia vanno assegnati alcuni monumenti con trofei e armi dall'Oriente (Antiochia ad Pisidiam, propileo/del Sebastèion; Laodicea ad mare, tetràpylon; Petra, fregio adespoto probabilmente da porta), spesso legati alla celebrazione e al culto del principe; qui il nuovo linguaggio proveniente da Roma s'innesta sulla ricca tradizione ellenistica. Il tema delle armi in ambito funerario conosce un'enorme diffusione nella prima età imperiale. Ai monumenti funerari si aggiungono quelli onorari locali e privati, in genere basi e archi, anch'essi assai diffusi. Non pochi esempi provengono da Roma, e dobbiamo ritenere che le tombe d'importanti personaggi ospitassero simili decorazioni; se non conosciamo le tombe del Campo Marzio, mausolei come quelli di Cecilia Metella, con trofeo, e di L. Munazio Planeo a Gaeta, con un complesso fregio dorico con armi, non lasciano dubbi in proposito.

Particolarmente significativa è poi la ripresa di questi temi in municipi e colonie dell'Italia e delle provincie, dove numerosissimi monumenti funerari recano fregi continui di armi allineate o accatastate e motivi isolati nelle metope del fregio dorico. Le attestazioni si concentrano inizialmente in ambito medioitalico e in alcune importanti colonie nelle provincie Accidentali (Narbona), con una distribuzione che ricalca quella della colonizzazione cesariana, triumvirale e augustea. Siamo di fronte a un largo fenomeno di espressione di consenso, diffuso dai veterani che vanno a costituire le nuove élites dei centri colonizzati e romanizzati. Nella tradizione delle decorazioni d'armi in case private, cui si è accennato, si segnalano i cassettoni in stucco nelle volte della Casa di Augusto sul Palatino e di quella del Criptoportico a Pompei; l'uso si mantiene occasionalmente durante l'epoca imperiale. In conclusione, con la tarda repubblica e il periodo augusteo si afferma una vera e propria grammatica della rappresentazione trionfale, in cui i trofei e le armi si combinano con gli altri temi tipici delle Vittorie, dei clipei, dei barbari prigionieri, delle personificazioni di provincie e delle cariatidi, in un repertorio che resterà vincolante per il periodo imperiale. Nell'ambito dei monumenti pubblici, i luoghi deputati ad accogliere questi motivi, sono in primo luogo le piazze forensi e santuariali, così come gli archi che ne costituivano l'accesso; più in generale gli archi onorari; in zona extraurbana sorgono monumenti isolati. Nel caso dei trofei l'iconografia alterna esempî chiaramente caratterizzati come pertinenti a popoli orientali od occidentali, ad altri in cui elementi geograficamente opposti si combinano a formare monumenti di significato universalizzante. Per i fregi prevale da un punto di vista compositivo lo schema delle armi accatastate, mentre scompare gradualmente il motivo delle armi allineate paratatticamente.

Il repertorio delle armi combina in genere allusioni a popoli orientali e occidentali, e solo raramente si riconosce la precisa volontà di indicare l'armamento di un singolo popolo. Gli elementi di navi, che compaiono spesso sia nei trofei sia nei fregi, costituiscono inoltre, talvolta, fregi autonomi. È essenziale per la comprensione di queste caratteristiche riconoscere la tendenza a celebrare il dominio universale dell'impero; da qui l'apparente genericità dei motivi e l'impossibilità di associare la maggioranza dei monumenti a eventi particolari. La nostra possibilità di comprensione è del resto limitata dalla scarsa conoscenza dell'armamento dei popoli volta a volta avversari dei Romani, in genere limitata agli oggetti metallici conservati. La rappresentazione di armi sembra poi spesso da mettere in relazione con un ideale di pacificazione nel segno della romanizzazione, piuttosto che con la semplice esaltazione di forza militare, come è stato di recente proposto per l'Arco di Orange. Soltanto nei monumenti privati alcuni fregi con armi allineate alludono chiaramente alle armi del committente, mentre in alcuni casi la presenza di armi gladiatorie fa ritenere che si voglia alludere a munera offerti dal proprietario. Durante l'età imperiale, oltre alle collocazioni tradizionali in fori, templi e archi e sui monumenti funerari, tali motivi ornano anche circhi, teatri e anfiteatri, terme, ponti e altri spazi urbani ed extraurbani. Al contrario, dopo l'ultimo esempio di un trofeo di Germanico (16 d.C.), le fonti non attestano più alcun trofeo eretto sul campo di battaglia per tutta l'antichità: si tratta di una tematica ormai viva soltanto come motivo allusivo, senza riscontri nella realtà. Con gli imperatori giulio-claudi, comunque, il tema dei trofei e delle armi è ancora ben presente; anche se non sono noti monumenti ufficiali sicuramente databili a questo periodo, la monetazione ne offre abbondanti esempi. Continua del resto, pur in minor misura rispetto al periodo precedente, la diffusione di tali temi sui monumenti privati.

A Roma la documentazione è prevalentemente legata ai piccoli monumenti funerari - are e urne - tipici del periodo. Al contrario si diradano a Roma e nell'Italia centromeridionale i grandi monumenti funerari; il fenomeno si sposta nell'Italia settentrionale e nelle provincie. Oltre a quelli della Narbonense, sono noti esempi importanti di questa fase in quasi tutte altre provincie occidentali, dalla Spagna alla Dalmazia. Particolarmente degna di nota è l'affermazione di questi motivi lungo il limes renano, che inizî a fra l'età tiberiana e quella Claudia, al seguito delle legioni, per continuare poi a lungo, creando una tradizione locale; fra i tanti esempî si segnala il monumento di L. Poblicio a Colonia. Isolatamente s'incontrano monumenti di questa fase anche in Oriente. Per il periodo flavio sono noti esempî sia numismatici che monumentali di motivi tropaici e d'armi, quali i trofei giudaici, i grandi trofei domizianei (i c.d. Trofei di Mario), il fregio con Vittorie e trofei su mucchi d'armi dalla Domus Flavia. In quest'epoca fu probabilmente creato un modello cui s'ispirano numerosi esempi di fregi con mucchi di armi d'ogni genere, fittamente decorate, fra cui si ricordano i due pilastri dall'Aventino, un fregio di Capua e un pannello di Merida. Sempre in questo periodo inizî a la tendenza a inserire nei fregi con armi anche trofei e figure umane - prigionieri, Vittorie e altri - senza alcun rispetto per le proporzioni (si tratta in realtà di una modificazione di fenomeni già presenti nel tardo ellenismo); tali motivi, vere e proprie sintesi di tutte le possibili valenze della tematica militare, conoscono notevole fortuna fino a tutto il II sec. d.C. (esempi a Berlino, forse da Cuma, a Efeso, a St. Bertrand-de- Comminges, a Merida).

In età traianea, oltre a persistenze dei motivi di tradizione flavia (lunette a Villa Albani e a Monaco), la tematica delle armi conosce una nuova formulazione nel programma decorativo del Foro, in cui non solo la base della colonna è coperta d'armi: pannelli con simili motivi decoravano forse i portici, secondo una recente ipotesi. Se da un lato il monumento s'inserisce attraverso queste scelte decorative nella tradizione delle piazze forensi più antiche, rinnovata è l'attenzione per l'armamento reale dei popoli vinti, da cui i monumenti precedenti si erano allontanati. I motivi creati per il Foro di Traiano hanno però un'eco limitata (si segnalano un monumento di Sorrento e uno di Tuscolo); la maggior parte dei monumenti privati, rari peraltro in questo periodo, riprende il repertorio precedente. Significativa è anche la creazione del motivo della Vittoria che scrive su un clipeo, inquadrata da trofei, ripetuta poi fino alla tarda antichità. Il grande Tropaeum Traiani (v.) di Adam- elisi, in cui compare anche il motivo delle armi accatastate, è l'ultima ripresa della tradizione dei grandi trofei su base cilindrica eretti al limite dei paesi conquistati.

Con Adriano e i primi Antonini s'incontrano motivi tropaici e d'armi ormai ridotti a cifre sempre ripetute, prive di autonomia, come sull'arco di Marco Aurelio di Tripoli. Altri esempì dalle provincie non fanno che confermare questa impressione: spesso si tratta di riproduzioni di monumenti locali più antichi voluti dai nuovi evergeti provinciali (Antiochia ad Pisidiam, Merida). Il fregio del podio dell'Adrianeo associa il motivo delle provincie a quello delle armi, ridotte a semplici motivi araldici. La produzione di sarcofagi utilizza solo limitatamente questi temi: i trofei occupano spesso gli angoli, mentre raramente s'incontrano pile di armi e prigionieri sulle fronti dei coperchi, con l'unica funzione di sottolineare la scena di battaglia sulla fronte principale. I monumenti severiani continuano queste tendenze. Da un lato si ripetono sugli archi di questo periodo i canonici motivi tropaici; esempî come il modesto fregio dell'Arco degli Argentari e quello monumentale da una palestra delle Terme di Caracalla non facevano che sottolineare, come nei sarcofagi coevi, la scena figurata soprastante. Lo stesso avviene in monumenti provinciali dello stesso periodo, come la Porte Noire di Besançon. La diffusione di raffigurazioni di armi nei monumenti funerari di Treviri-Neumagen di questo periodo costituisce un fenomeno locale che riproduce sostanzialmente quelli verificatisi in numerose regioni dell'impero nei secoli precedenti e ormai esauriti. Durante il III sec. scarse sono in generale le attestazioni di trofei e di motivi d'armi, se si eccettuano i conî monetali, del resto assenti in alcuni periodi; anche per le fasi successive non s'incontrano che di rado tali raffigurazioni, mentre i trofei su monete persistono fino all'età di Giustiniano.

Fra le rappresentazioni su grandi monumenti si segnalano i trofei dell'Arem Novus Diocletiani o piuttosto, secondo una recente interpretazione, di un monumento di Gallieno, quelli della base dei Decennali della Tetrarchia al Foro e dell'Arco di Costantino, mentre la tradizione dei fregi con armi sembra esaurirsi: ai pochissimi esempî di sarcofagi possiamo avvicinare i motivi d'armi nelle arti minori, volti in genere a sottolineare la scena figurata. Una ripresa dei motivi tropaici doveva comparire sulla base della Colonna di Teodosio, e armi con trofei erano presenti su quella della Colonna di Arcadio a Costantinopoli, l'ultimo grande monumento dell'antichità con questi temi. Il processo di assimilazione del trofeo alla croce cristiana, già suggerito dai primi apologeti cristiani e teorizzato compiutamente da Eusebio di Cesarea, si afferma nell'ideologia e nell'iconografia imperiali a partire dall'età costantiniana, segnando la fine progressiva della simbologia militare pagana.

(V. anche arco onorario e trionfale).

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Singoli monumenti. - Trofei di Fregellae: F. Coarelli, Due fregi da Fregellae. Un documento storico della Prima Guerra Siriaca?, in Ostraka, III, 1994, pp. 93-108. - Trofeo di Cheronea: J. Camp e altri, A Trophy from the Battle of Chaironeia of 86 B.C., in AJA, XCVI, 1992, pp. 443-455. - Trofei di Pompeo: G. Castellui, J. M. Nolla, I. Rodà, La identificación de los Trofeos de Pompeyo en el Pirineo, in JRA, VIII, 1995, pp. 7-18. - Trofeo di Azio: T. Hölscher, Actium und Salamis, injdl, XCIX, 1984, pp. 187-214. - Trofeo di St. Bertrand-de-Comminges: G.-Ch. Picard, Trophées d'Auguste à St. Bertrand- de-Comminges (Mémoires de la société Archéologique du Midi de la France, XXI), Tolosa 1947. - Tropaeum Alpium: J. Formigé, Le trophée des Alpes (La Turbie), Parigi 1949; N. Lamboglia, Le trophée d'Auguste à La Turbie, Bordighera 1955 (19643). - Trofei su archi della Narbonense: R. Amy e altri, L'arc d'Orange (Gallia, Suppl. 15), 2 voll., Parigi 1962; P. Gros, Une hypothèse sur l'arc d'Orange, in Gallia, XLIV, 1986, pp. 191-201; A. Böhm, Die Bogenmonumente der Gallia Narbonensis in ihrem Urbanen Kontext (diss., Colonia 1992), in corso di stampa. - Trofeo di Domiziano: G. Tedeschi Grisanti, I «trofei di Mario». Il Ninfeo dell'Acqua Giulia sull'Esquilino, Roma-Città di Castello 1977. - Trofei traianei: F. B. Florescu, Monumentul de la Adamclisi. Tropaeum Traiani («Il monumento di Adamklissi. Tropaeum Traiani»), Bucarest 1959; M. Sàmpetru, Tropaeum Traiani, II. Monumentele romane («Tropaeum Traiani, II. I monumenti romani»), Bucarest 1984; L. Bianchi, Adam- elisi: il programma storico e iconografico del trofeo di Traiano, in SciAnt, II, 1988, pp. 427-473; F. S. Kleiner, The Trophy on the Bridge and the Roman Triumph over Nature, in AntCl, LX, 1991, pp. 182-192. - Trofei tardoantichi e cristiani: R. H. Storch, The Trophy and the Cross. Pagan and Christian Symbolism in the Fourth and Fifth Centuries, in Byzantion, XL, 1979, pp. 105-117; R. Brillant, I piedistalli del Giardino di Boboli: spolia in se, spolia in re, in Prospettiva, XXXI, 1982, pp. 2-17.

Sui fregi d'armi è in preparazione un contributo di E. Polito. Mancano tuttora monografie esaustive. - Tombe etrusche e italiche: M. Cristofani, Il fregio d'armi della Tomba Giglioli di Tarquinia, in DArch, I, 1967, pp. 288-303; F.-H. Massa Pairault, La Tombe Giglioli ou l'éspoir deçu de Vel Pinie. Un tournant dans la société étrusque, in Studia tarquiniensia, Roma 1988, pp. 69-97; A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte di Paestum, Modena 1992. - Monumenti ellenistici: M. Cipriani, in F. Zevi (ed.), Paestum, Napoli 1990, p. 123 fig. p. 299; P. Pensabene, Il tempio ellenistico di S. Leucio a Canosa, in M. Tagliente (ed.), Italici in Magna Grecia. Lingua, insediamenti e strutture, Venosa 1990, pp. 269-337; id., Il tempio italico sotto S. Leucio a Canosa, in R. Cassano (ed.), Principi, imperatori, vescovi. Duemila anni di studi a Canosa (cat.), Bari 1992, pp. 630-654; M. Torelli, Paestum romana, in Poseidonia-Paestum. Atti del XXVII Congresso di studi sulla Magna Grecia, Taranto-Paestum 1987, Taranto 1992, p. 106, tavv. XV-XVI; A. Rastrelli, Scavi e scoperte nel territorio di Chianciano Terme: l'edificio sacro dei Fucoli, in La civiltà di Chiusi e il suo territorio. Atti del XVII Convegno di studi Etruschi e Italici, Chianciano Terme 1989, Firenze 1993, pp. 463-476. - Monumento da S. Omobono: T. Hölscher, Römische Siegesdenkmäler der späten Republik, in H. A. Cain (ed.), Tainia. Festschrift R. Hampe, Magonza 1980, pp. 351- 371; G. Hafner, Zu den vermeintlich sullanischen Waffenreliefs von S. Omobono, in RdA, XIII, 1989, pp. 46-54; H. Meyer, Rom, Pergamon und Antiochos III. Zu den Siegesreliefs von Sant'Omobono, in BullCom, XCIV, 1, 1991-92, pp. 17-32; C. Reusser, Der Fidestempel auf dem Kapital und seine Ausstattung, Roma 1993, pp. 121-137; 221-226; G. Calcani, La città trofeo, in La ciudad en el mundo romano. Actas XIV Congreso Internacionel de Arqueología Clasica, Tarragona 1993 Tarragona 1994, pp. 82-83. - Altri monumenti urbani: Α. M. Pais, Il «podium» del Tempio del Divo Adriano a Piazza di Pietra in Roma, Roma 1979; L. Ungaro, L. Messa, Pannelli con rilievi d'armi dal Foro di Traiano, in ArchCl, XLI, 1989, pp. 215-235; A. Tempesta, I rilievi con armi di Cesi: ipotesi di ricostruzione e interpretazione, in BullCom, XCIV, 2, 1991-92, pp. 309-340. - Fregi navali: T. Hölscher, Actium und Salamis..., cit., pp. 205-210; L. Leoncini, Frammenti con trofei navali e strumenti sacrificali dei Musei Capitolini. Nuova ipotesi ricostruttiva, in Xenia, 13, 1987, pp. 13-24. - Monumenti funerari e onorari privati (urbani e italici): R. Fellmann, Das Mausoleum des L. Munatius Plancus bei Gaeta, Basilea 1957: M. Wegner, Kapitelle und Friese vom Bogen der Sergier zu Pola, in BJb, CLXI, 1961, pp. 263-276; F. Coarelli, Su un monumento funerario nell'abbazia di S. Guglielmo al Goleto, in DArch, I, 1967, pp. 46-71; M. Torelli, Monumenti funerari romani con fregio dorico, ibid., II, 1968, pp. 32-54; G. Traversari, L'arco dei Sergi, Padova 1971 (ree. F. Coarelli, in DArch, VI, 1972, pp. 426-435); S. Russo, Fregi d'armi in monumenti funerari dell'Abruzzo, in RdA, V, 1981, pp. 30-43; C. Lugnani, Fregi d'armi di Trieste e Pola, in AttiMemSocIstriana, XXXV, 1987, pp. 13-46; E. Polito, Due rilievi d'armi ritrovati, in Jahrbuch der Berliner Museen, XXXIII, 1991, pp. 37-46; F. van Wonterghem, Un fregio d'armi «ellenistico» ad Alba Fucens, in AncSoc, XXII, 1991, pp. 283-296. - Monumenti provinciali: M. P. Leon Alonso, Los relieves romanos del templo de Marte en Mérida, in Habis, I, 1970, pp. 181-197; P. Acuña Fernández, Los relieves romanos de Clunia decorados con motivos militares, Santiago de Compostela 1974; G. Precht, Das Grabmal des L. Poblicius, Colonia 1974; Κ. Tuchelt, Bouleuterion und Ara Augusti, in IstMitt, XXV, 1975, pp. 91-140; F. Salcedo Garcés, Los relieves de armas del Teatro Romano de Mérida, in Lucentum, II, 1983, pp. 243-283; H. Walter, La Porte Noire de Besançon, Parigi 1985; J. N. Andrikopoulou-Strack, Grabbauten des I. Jhs. ç. Chr. im Rheingebiet, Colonia 1986; M. Janon, Note préalable à l'étude des collections lapidaires de Narbonne, in DialHistAnc, XI, 1987, pp. 771-783; F. Widemann, J. Leblanc, Dialogue avec M. Janon, ibid., pp. 784-787; M. Lyttelton, T. Blagg, Sculpture in Nabataean Petra and the Question of Roman Influence, in M. Henig (ed.), Architecture and Architectural Sculpture in the Roman Empire, Oxford 1990, pp. 97-98. figg. 6, 7-8; I. Kader, Das Tetrapylon von Latakia in Nordsyrien, in Mitteilungen des deutschen Archäologen-Verbandes, XXIII, 1992, 2, pp. 49-55; W. Trillmich, in W. Trillimeli e altri, Hispania antiqua. Denkmäler der Römerzeit, Magonza 1993, pp. 294-295, figg. 105, 130-131, tavv. 64-65.

(E. Polito)

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