Trobar clus

Enciclopedia Dantesca (1970)

trobar clus

Gianluigi Toja

Nella sua accezione storico-letteraria è la maniera stilistica propria della poesia occitanica di comporre in forma difficile, ermetica, contrapposta al trobar leu o plan, che preferisce, almeno in teoria, la forma facile, intelligibile a tutti.

Una tendenza verso la forma chiusa è insita nella natura stessa della lirica dei trovatori, gelosi assertori della propria individualità e originalità artistica, assidui ricercatori dei mezzi tecnici ed espressivi atti a sigillare le loro particolarissime esperienze spirituali (della " fin' Amor ", del " Joi ", di " Joven ") in un clima aristocratico e isolato, quasi sempre astratto dalla realtà e precluso ai profani. Fin dal suo apparire, l'arte trobadorica ha in sé il germe del trobar clus, cioè della poesia ‛ ermetica ', ma nei più grandi poeti esso rappresenterà il grado sommo di quell'ansiosa preoccupazione della forma, che è la nota essenziale di tutto il movimento trobadorico.

Perciò delle due tesi prevalenti negli studi specialistici rivolti a ricercare le origini del trobar clus: quella che ne fa derivare i presupposti teorici e pratici da fonti latine medievali (dei grammatici e dei retori), e quella che tenta di spiegarne il sorgere e la formazione ricostruendoli nell'ambito della stessa poesia trobadorica, accertando il contributo personale dei vari poeti dei secoli XII-XIII, solo la seconda sembra oggi la più idonea a chiarirne e giustificarne il processo formativo.

Del tutto marginale rimane una terza ipotesi, sostenitrice della genesi araba del trobar clus.

Ma la possibile spiegazione autonoma dell'origine e della formazione di due stili (clus e leu) nell'ambito dello stesso processo storico della lirica trobadorica (Vossler, Mölk) solo imprudentemente potrebbe negare i legami - del resto sostenuti con validi argomenti da studiosi egregi (Del Monte, Köhler, Scheludko, Viscardi) - di queste forme stilistiche, nella teoria e nella prassi, con la tradizione grammaticale e retorica mediolatina, che poteva offrire ai trovatori, nell'insegnamento delle scholae, ampio materiale di discussione, particolarmente sui concetti dei genera dicendi, di ornatus difficilis e facilis, di translatio (verba translata), di proprietas, e sul valore e l'uso dei tropi. Anche se è da escludersi un'influenza formativa sul trobar clus (e leu), non si può non riconoscere almeno l'apporto particolare dei grammatici e delle artes medievali (specialmente della Poetria nova di Goffredo di Vinsauf) nella chiarificazione dei concetti generali e nell'uso dell'abituale terminologia tecnica, entrati poi nelle poetiche trobadoriche. Minore attendibilità hanno i tentativi di stabilire relazioni tra il trobar clus e il metodo esegetico dell'allegoresi biblica: non sono provati che in casi sporadici, nei testi trobadorici, i supposti sensi molteplici, come nell'ermeneutica biblica, né vi sembra essere diretto rapporto di dipendenza tra il trobar clus e le obscuritates della Bibbia; analogie si potrebbero reperire, anche in questo caso, soprattutto nel tecnicismo lessicale.

La ricerca poi di un'ipotizzata parentela dello stile oscuro trobadorico con la letteratura glossematica medievale darebbe garanzie di successo, solo quando fosse documentata la diretta derivazione del più raro lessico trobadorico dai glossari, largamente diffusi nelle scuole dei chiostri e delle cattedrali.

Dal bilancio delle controverse opinioni sulla natura del trobar clus sembrano acquisiti almeno due punti essenziali: il proposito dei seguaci di questa corrente stilistica di comporre per un'élite intellettuale, e la volontà di ‛ chiudere ' più significati in uno studiato intreccio di parole (" entrebescar los motz ", " entrebescamen ").

Guglielmo IX, il primo trovatore (1071-1127), e Jaufre Rudel attestano il primo intento con la consapevolezza di comporre per un pubblico d'iniziati, della loro stessa origine feudale aristocratica, e di servirsi di un linguaggio, a volte di eccezione, a essi adeguato. Rambaldo d'Aurenga, più tardi, farà una strenua difesa di questi principi, in polemica con Giraldo da Borneill (in un serventese del dicembre 1170), respingendo con intransigenza la poesia ‛ facile ' del partner, proprio perché comunal e livellatrice di ogni differenza di classe (" car adonc tut seran egual ") e sostenendo il trobar clus, destinato a un pubblico di " pochi, buoni e grandi " (" que ja lo lauzo ∙l bon e ∙l pauc e ∙l gran "), precluso agli uomini comuni, " car non conoisson (ni lor cal) / so que plus car es ni mais val ".

I termini " entrebescar ", " entrebesquill " appaiono già in Marcabruno, ma senza un preciso valore stilistico; nel suo scolaro, Bernart Marti, si determinano col significato di " legare ", " intrecciare " i versi (" C'aissi vauc entrebescant / los motz e ∙l so afinant "); similmente in Rambaldo d'Aurenga: " Cars bruns et teinz motz entrebesc / pensius pensanz ". Giraldo da Borneill, un po' più tardi, dirà che non gli è meno difficile comporre una buona ‛ leggera ' canzone che " entrebescar los motz ".

Nell'impegnata ricerca dei mezzi stilistici atti a realizzare il trobar clus assumono fondamentale importanza le cure riservate alla rima.

Anzi, si potrebbe dire che tutta la polemica sul trobar clus e leu, ric e prim (prezioso), che agita la poesia trobadorica, dopo appena un secolo di vita, s'imposta proprio sul valore dato alla rima, assunta come pietra di paragone dei pregi dello stile e dell'ispirazione.

Le rimas caras, cioè preziose e rare, nella loro ricca varietà, sono una tentazione per tutti i trovatori del periodo classico, anche per coloro che si professano seguaci del trobar leu, come Bernart de Ventadorn, o - quasi sempre - Giraldo da Borneill, una seduzione che può condurre, nei poeti meno dotati, a un vacuo formalismo, o raggiungere effetti di rara qualità artistica, come in Rambaldo d'Aurenga e in Arnaldo Daniello.

Se del trobar clus i primi trovatori, Guglielmo IX e Jaufre Rudel, hanno posto le premesse, pur senza una matura coscienza stilistica, Marcabruno ne è unanimemente riconosciuto l'iniziatore, perché il suo ermetismo nasce da un'esigenza intima e consapevole e da una poetica unitaria fra pensiero ed espressione, sorretta da una forte coscienza in lotta per la difesa della Fin' Amor (" blanca ", " veraia ", " pura ") contro le degenerazioni della " fals' Amor " - l'amore sensuale e adultero, causato dalla sfrenata lussuria delle donne (" las falsas putas ardens ") - e contro i detrattori delle virtù cavalleresche e cortesi, intese sotto aspetti religiosi e moralistici, con atteggiamento negativo, pessimistico, ironico e misoneistico. Nella poetica marcabruniana le salde convinzioni etiche si traducono in una forma afinada ed esmerada, non intenzionalmente ermetica, in un originalissimo linguaggio, denso di neologismi carichi di forza espressiva e allusiva, in una tecnica esperta nella costruzione delle strofe, dei versi e nell'uso delle rime (interne, equivoche, grammaticali, assonanti, ecc.), e in un simbolismo ardito e solenne, che iniziano il trobar clus con la suggestione di un talento e di una personalità violenta e tormentata di artista, esemplare per le generazioni seguenti.

Con Alegret e Peire d'Alvernha, negli anni 1150-1160, si rompe l'unitaria poetica marcabruniana, ma si approfondisce la determinazione di alcuni concetti del trobar clus.

L'" escur " di Marcabruno, non propriamente termine stilistico, ma etico (" escura " sembrava, infatti, la sua opera ai falsi trovatori " ab sen d'enfanssa ", incapaci d'intendere il suo insegnamento di verità, e di oscure egli tacciava le loro poesie, perché proponevano una dottrina moralmente riprovevole e superficiale), assume un preciso valore stilistico (insieme con clus) in Alegret, in contrapposizione a plan e leu, indicando la perfezione dell'opera d'arte (escur vale " perfetto ", clus ed escur " bello ", " artisticamente compiuto ").

Peire d'Alvernha, in posizione di avanguardia per il vivace impegno nel dibattito e nell'attuazione del trobar clus, ce ne dà una delle prime motivazioni programmatiche (" chantar / ab motz alqus / serratz e clus "), insieme con una decisa rivendicazione dell'originalità e novità del suo canto, un'interiorizzata concezione dell'amore cortese - non senza echi marcabruniani -: è l'ideale dell'amore per l'amore, pura solitudine e nostalgia spirituale (" Mais am un ort / serrat e fort / qu'hom ren no m'en puesca emblar "), o, altrove, la ripresa del noto tema rudeliano dell'" amor de lonh ", con una sempre vigile adeguazione della personale forma espressiva ai motivi del suo " cantar novel ". Con l'Alverniate il piccolo pubblico di eletti dei primi aristocratici trovatori si riduce al circolo chiuso dell'io del poeta.

In lui è ormai scoperta l'applicazione della tecnica dell'ornatus difficilis nei due procedimenti dell'amplificatio (metafore, apostrofi, personificazioni), dell'abbreviatio (condensazione del discorso, epifonemi) e nell'uso dei tropi (metafore, allegorie, metonimie, sineddoche, figure etimologiche, paronomasie, omeoteleuti, chiasmi, allitterazioni, ecc.).

Altre chiarificazioni concettuali e proposte di novità emergono dalla polemica fra Giraldo da Borneill e Rambaldo d'Aurenga sul trobar clus e leu.

Giraldo, in una canzone del periodo ‛ oscuro ', durato un solo anno, parla di " sens echartatz " (di significati lontani dall'uso comune), caratterizzando così un essenziale aspetto dello stile clus, in cui varrebbe non tanto il sensus litteralis della parola, quanto quello ‛ lontano ', che può giungere soltanto al " bel saber " di un pubblico eletto. Accenna ancora all'arte di ‛ intrecciare ' le parole per mezzo dei versi, delle rime, delle strofe (" jonher ", " lassar ", " frenar ") e ai " motz ples d'estranhs sens " (parole ricche di oscuri significati), espressione che appare analoga a quella dei " sens echartatz ", ma che, in realtà, sembra indicare i giuochi peregrini delle rime rare e le neoformazioni nominali allusive (tipo " crup-en-cendres ", ‛ cova-cenere ', i mariti gelosi), che concorrono a rendere ‛ oscuro come ebano ' il suo canto (" C'aissi l'escur com ebenh: / mo trobar ab saber prenh! ").

Tali esempi di trobar clus - reperibili anche in altre poesie di Giraldo - svelano l'influsso diretto di Rambaldo, partigiano intransigente di questa maniera stilistica ed espertissimo nell'uso degli strumenti adeguati: l'" entrebescar " di " motz cars, bruns e tentz " (parole rare e preziose, oscure e colorate), sottoposte a un abile lavoro di lima, rime difficili, caras e dissolutas (irrelate) - con effetti fonici e con una varietà superata poi soltanto dal Daniello -, immagini sorprendenti e allusive (" sens echartatz ") - come nella suggestiva canzone della " flors enversa " -, singolari strutture del verso, uso di parole-rima, con una tecnica formalmente perfetta, anticipatrice dell'invenzione arnaldiana della sestina.

Raimbaldo è anche l'iniziatore - in un piccolo gruppo delle sue prime poesie - di un nuovo stile, mediatore tra il trobar clus e il leu, solitamente indicato come ric (per la terminologia più documentata forse meglio sarebbe detto trobar prim), caratterizzato da una forma facile (" lieu mot ", " chanson leu ", " mot descobert "), ma da una rigorosa scelta delle rime (" rimeta prima ", " rima sotil "), da una struttura dei versi, condotti all'ultima perfezione (" afinar ", " polir ", " forbir "): una soluzione che ha incontrato anche il gusto di Giraldo, nel suo " chantaret prim e menut " e in altre liriche, e poi del più grande stilista, Arnaldo Daniello.

Arnaldo, solitamente ritenuto il massimo seguace del trobar clus, da pochi del trobar ric, in verità solo in qualche sua poesia sembra seguire la seconda maniera; nelle altre si qualifica proprio per l'ermetismo concettuale e per la tecnica preziosa delle rime. Quanto meno è in lui appariscente la terminologia della maniera oscura (non ricorrono i termini " escur ", " clus ", " cobert ", ma " plan " e " prim "), tanto più lo è la pratica attuazione. Il miglior fabbro del parlar materno (Pg XXVI 117) è un forgiatore eccezionale di vocaboli nuovi e suscitatore di nuovi significati dai vecchi, di equivoci giuochi etimologici con un linguaggio allusivo e metaforico di crudo, talora inusitato realismo.

Come un abile artigiano egli " crea parole, le taglia, le pialla, le lima, le dora " (" fauc motz e capug e doli "), per renderle " vere e certe ", cioè sincere e immediate; le innalza a sensi strani e abnormi, arditamente allusivi (in lui veramente si può parlare di sens echartatz), in una gamma di valori semantici, che vanno dal delicato e gentile, al realistico, all'osceno; dalla levità della parola, che appena sfiora il concetto, a quella grumosa e oscura, che suscita l'emozione della carne e del senso. Ma sono quasi sempre motz plans, cioè comuni nella lingua quotidiana, divenuti preziosi in virtù dell'alchimia di Arnaldo. E il singolare linguaggio si abbellisce dei colori dei tropi (analogie, metafore, sensi figurati, ecc.), com'egli stesso dichiara in un'ardita immagine: " ieu colore mon chan / d'un'aital flor don lo fruitz si'amors, / e jois / lo grans, e l'olors d'enoi gandres ".

Già l'anonimo autore della Vida tentava di spiegare con la rarità delle rime l'ermetismo del trovatore perigordino: " e deleitet se en trobar en caras rimas, per que las soas chansos non son leu ad entendre ni ad aprendre ". Ed è vero che la sua tecnica al riguardo si rivela la più scaltrita e raffinata, sia considerata in sé stessa, sia in rapporto alla cobla e alla canzone. Per ricchezza di rime Arnaldo supera i più celebri trovatori: una trentina sono le caras originali, di cui molte sdrucciole, altrettante le rare, anche se non originali; le dissolutas (irrelate) formano le speciali " coblas dissolutas " o " estrampas "; molte poi le equivoche, consonanti, derivative, ecc., tutte strumenti di una tecnica tesa a raggiungere la compiuta unità concettuale e musicale della canzone. Esse concentrano e sigillano nell'armonia dei suoni e nel denso valore semantico delle parole l'ermetismo dell'ispirazione: delle sue ardite immagini visive, spesso analogiche e realistiche, dell'ansia di amore e di joi, in sintonia o in contrasto con la vita della natura. Solo in Arnaldo - non ancora in Rambaldo - la tecnica delle caras rimas diventa perfetta, non è più vana estrosità - lo è solo nei momenti di caduta del livello poetico -, ma esigenza estetica.

L'eccezionale sapienza artistica, unita a un raro talento poetico, conduce Arnaldo alla creazione della sestina, il suo capolavoro, in cui l'apparente artificio delle sei parole-rima condensa, illumina e sigilla l'ermetismo dell'ispirazione lirica, accompagnato da una interna segreta melopea. Lo stile arnaldiano è spontaneamente ermetico, il suo trobar clus è l'adeguato mezzo espressivo della sua eccezionale qualità di artista. Negli epigoni dell'ermetismo trobadorico, quali Gavaudan, Elias Cairel, Bernart de Venzac, esso si riduce più che altro a una formale imitazione dei modelli: Marcabruno, Peire d'Alvernha, Rambaldo, Arnaldo, dai quali si ricavano espressioni e immagini, rime rare e procedimenti vari di abile tecnica. Ma dalla fine del sec. XII lo stile clus è in declino: Raimon de Miraval e Lanfranco Cigala ritornano convinti al trobar leu, mostrando che i tentativi di rianimazione degli ultimi nostalgici della poesia ermetica appartengono ormai al passato. Il trobar ric (o prim) avrà, invece, ancora i suoi seguaci, più o meno abili, fino al tramonto della lirica occitanica, rivelando, però, proprio in questo eccessivo culto della forma, la sua intima debolezza.

Il tecnicismo del trobar clus ha suggestionato anche i trovatori italiani della colonia siculo-toscana, nel rigoroso programma di adeguarsi ai modelli occitanici, ed è appariscente in taluni qualificati adepti, quali ‛ il Notaro ' Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Paganino da Serzana: si tratta quasi sempre di un empirico uso degli strumenti artigianali (rime ricche, rare, tropi), oltre il noto sfoggio degli stilemi trobadorici e delle riprese dirette dai modelli. Su tutti eccelle il Guittone della maniera difficile (" Scuro saccio che par lo / mio detto, ma' che parlo / a chi s'entend' ed ame "), smaliziato conoscitore e imitatore della tecnica ermetica occitanica, particolarmente nelle rime, rappresentate in tutto il loro vasto campionario, abile miscelatore di tropi e di equivoci giuochi verbali: esempi singolari l'alchimia della replicatio (sonetto Deporto e gioia nel meo core), un " caso limite dell'enigmistica " (Contini) e il virtuosismo dei giuochi equivoci, anche in rima interna, del sonetto Già lungiamente sono stato punto.

Ma il consapevole trobar clus di Guittone procede soprattutto dai particolari modi sintattici e dal periodare contratto e condensato, dominato dal sempre vigile intelletto, ghiacciato dalla naturale aridità d'ispirazione. Perciò l'esperimento ermetico di Guittone, arduo nella sua ansia di raggiungere la mitica perfezione dei modelli trobadorici, è capitale, ma quasi sempre empirico e ingombrante.

I minori rimatori, che percorrono la faticosa via del maestro, ritentano, in genere con debole energia, l'empiria del trobar clus: così Galletto, Bacciarone, Terramagnino - non Bonagiunta Orbicciani, più siculeggiante che guittoniano -, Meo Abbracciavacca, Fredi da Lucca, imitatore di Arnaldo, Panuccio - non Chiaro Davanzati, oscuro solo in rime di corrispondenza e, come Bonagiunta, settatore del trobar leu, anche se meno dotato di grazia -.

Vero fedele del Guittone clus è Monte Andrea, zelatore del tecnicismo formale e lessicale, della ricerca dei valori fonici ed espressivi, dei giuochi di parola, delle rime ‛ care '; mediatore, in certo modo, fra Guittone e il D. ‛ petroso '.

Sull'insegnamento dei trovatori anche D. ha modellato l'esperienza del suo trobar clus, determinabile in due momenti distinti: mediato dai Siciliani e dai guittoniani, il primo, perciò ancora specialistico e tecnicistico; poi, dopo l'esperienza stilnovistica, quello delle rime ‛ petrose ', direttamente attinto alle fonti provenzali e all'irrepetibile modello della poesia di Arnaldo Daniello.

I primi esperimenti del ‛ trovare oscuro ' dantesco sono nelle rime guittoniane della Vita Nuova, nello stilo della loda, strutturato su bisticci verbali (tipo saluto-salute), su allusioni in chiave allegorico-mistica, o su etimi personali (Beatrice-beatitudine); nelle prose-razos v'è anche un ermetismo sotto l'egida, oltre che dell'arte trobadorica, dei modelli di prosa rimata, mistici e scolastici: s. Bernardo, s. Bonaventura, s. Alberto Magno. E a una ristretta cerchia d'iniziati - anche se non esoterici - è destinato il libello, l'élite dei ‛ fedeli d'amore ', delle donne che hanno intelletto d'amore, insomma degl'intenditori dell'amore mistico, cortese-stilnovistico.

La frammentaria esperienza stilistica di D. nelle Rime ‛ estravaganti ' è costellata da sporadiche prove di trobar clus, ancora di stampo guittoniano, più volte in sonetti di corrispondenza (con sfoggio di rime caras, frante ed equivoche), esempi di tecnica ‛ aspra ', con sottolineature dello sforzo nel ritmo e nella rima (nella risposta a Cino, Rime CXIII), con ricercati sensi allusivi, in chiave tra il devinalh e il trobar clus nella tenzone con Forese (ma peggio fia la lonza del castrone, / ché 'l cuoio farà vendetta de la carne, LXXV 3-4), rilevati dall'incalzante concretezza fisica delle rime alternate (il nodo Salamone, v. 1; San Simone, v. 5, ecc.); poi, con un parlare coperto e sottile, nelle rime ‛ aspre e sottili ' delle grandi canzoni morali, all'insegna del cantor rectitudinis, Giraldo da Borneill, stimato il migliore nel primo diretto incontro con i grandi trovatori del periodo aureo: Bertran de Born, Folchetto, Sordello (questi cronologicamente sfasato), antecedente quello decisivo con Arnaldo.

L'esperimento di prima mano delle ‛ petrose ' applica il riscoperto segreto dell'ermetismo arnaldiano e delle sue novità tecniche: la forza energetica ed evocatrice della parola in rima, che concentra e suggella l'idea, riverberata, in certo modo, a ritroso in tutto il verso (il tema invernale della canzone Io son venuto, Rime C; la durezza della donna, nella sestina Al poco giorno, CI; e nella canzone Così nel mio parlar, CII); le forti trasposizioni analogiche fra il piano sentimentale e quello naturale, creatrici di un ‛ lessico della passione ', di un fisico, seppure letterario, realismo, senza mediazione tra il termine delle ‛ cose ' e l'immagine.

Il debito di D. verso la tecnica di Arnaldo è apertamente confessato: l'uso della stanza priva di diesis, cioè indistinta in fronte e sirma (VE II X 2) - la più comune nel trovatore perigordino - e della stantia sine rithimo, cioè senza corrispondenza di rime all'interno (XIII 2).

Ma la gara scoperta col modello provenzale è particolarmente evidente nella sestina e - con l'ambizione di superarlo - nella ‛ rinterzata ' o ‛ doppia ', dove nell'arcaismo di un gusto talora ancora giuttoniano si rivela un eccezionale virtuosismo tecnico.

La sestina Al poco giorno è, fra tutte le ‛ petrose ', la vera scoperta delle possibilità analogiche come mezzo espressivo del canto della dura e aspra passione: qui è raggiunta la perfetta tecnica arnaldiana nell'uso della parola-rima, nella sua forte immobilità, creata dall'alternanza fissa della retrogradatio cruciata (la concatenazione a ritroso delle parole-rima). La canzone Così nel mio parlar segna, invece, il limite delle possibilità nella poetica delle caras rimas (a dovizia rare, derivative, equivoche), in un'articolazione ritmica più duttile e mossa, che prelude alla ‛ rima aspra e sottile ' della canzone della nobiltà.

Nella sestina doppia, il frutto nuovo e arditissimo dell'acquisita tecnica arnaldiana, le rime sono tutte equivoche e giocano astrattamente nel complicato meccanismo delle rispondenze nell'interno della stanza: il novum atque intentatum si risolve quasi tutto in esercizio di acrobatico tecnicismo.

Le ‛ petrose ' segnano il più grande sforzo tecnico di D., prima della Commedia, l'esperimento riuscito del suo ‛ trovare oscuro ', nel nome e nel culto del trovatore più studiato e ammirato. L'insegnamento di Arnaldo non muore, però, con esse, ma rivive ogni volta che nel capolavoro dantesco riaffiora il tono dello stile aspro e duro, o risuona la musica dissonante delle rime aspre e chiocce: lo stile di Arnaldo è ormai diventato lo stile di Dante.

Più complessa si presenta la ricerca della presenza del trobar clus nella Commedia.

Ammettendo l'identità tra questa forma stilistica e il grande genus dicendi dei retori e degli scrittori aulici e curiali mediolatini (Schiaffini, Viscardi), qualificato da una constructio complessa del discorso, dall'uso esperto ‛ delle figure ' e dei colores retorici, oltre che da un lessico peregrino e prezioso, nel capolavoro dantesco il trobar clus potrebbe individuarsi nelle parti più probabilmente dettate in ‛ stile tragico ', cioè in quel gradus constructionis excelsus, che qualifica particolarmente la scrittura di molti passi dottrinali e oratori della terza cantica, meno frequenti nelle prime due.

Tale excelsa constructio si realizza, oltre che col vario sussidio dei mezzi retorico-stilistici dell'ornatus difficilis (colores e figure retoriche), principalmente con l'essenziale strumento di questo stile, la transumptio (o modus transumptivus), che è un parlare figurato, metaforico-analogico, attuato spesso con un fitto intreccio di tropi, e con l'abile uso dell'" entrebescamen ", procedimenti già ben noti all'ermetismo trobadorico e alle sue fonti, le Retoriche mediolatine (Rhetorica nova, Poetria nova di Goffredo di Vinsauf, Poetria di Giovanni di Garlandia, ecc.).

Nel ricco campionario di transunzioni della Commedia scegliamo alcuni archetipi, quali la simbologia dei due soli (Pg XVI 106 ss.), l'arduo esordio, tutto intessuto di rapidi trapassi concettuali e di similitudini, del discorso di s. Tommaso (Pd X 82-93), le visioni profetiche precedenti la nascita di s. Domenico (XII 58 ss.), la ‛ chiusa ' digressio sui mistici amanti, Francesco e Madonna Povertà (XI 55 ss.), l'apertura del canto XIII, fitto di richiami astronomici e mitologici, analogicamente alludenti alla sacra danza delle due ghirlande di beati, la terzina del divino plenilunio del canto XXIII (25-27), dove la sublimità della poesia cela del tutto il sottile tessuto retorico, il miro gurge (Pd XXX 61-69) e la successiva singolarissima transumptio del ‛ vedere ' nel ‛ bere ' (vv. 82-90).

Questo strumento stilistico, essenzialmente individuante - a giudizio della più alta scuola di retorica del tempo di D. - il discorso poetico, ricorre in particolare nei passi dottrinali e retorici, ingrediente essenziale delle profezie (v. If VI 64 ss., X 79 ss., XXIV 145 ss.; Pg VIII 133 ss., XX 85-93; Pd IX 46-60 e 127 ss., XVII 46 ss., ecc.), delle visioni (v. Pg XVII 19 ss., XIX 7 ss., XXVII 94 ss., XXIX 43 ss., XXX 22 ss.; Pd XXIII 79 ss., XXXIII 115 ss., ecc.), dei più ardui passi teologici (v. Pd VII 85 ss., XV 73 ss., XVII 37 ss., XXI 83 ss., XXIV 58 ss., XXVI 55 ss., XXXIII 7-11, 115-120, ecc.), dell'epos storico (Giustiniano e volo dell'aquila, Pd VI 1-9, e passim) e panegiristico (Pd XI, XII, XXI, XXII, ecc.), delle amare e potenti invettive (If XV 73 ss., XIX 79 ss., 106 ss., ecc.; Pd XXVII 40 ss., ecc.).

In una puntuale analisi dei vari passi esemplari della Commedia sarebbero anche facilmente evidenziabili le transumptiones con permutationes (metafore), quali le ben note nel planh sull'Italia (Pg VI 76 ss.): l'ostello di dolore, la nave, la fiera... fella, la sella di Cesare, gli sproni, la predella; la serie di analogie animalesche di Pg XIV 43 ss., e le innumerevoli disseminate nei canti del Paradiso (di varia ascendenza, in prevalenza calchi dalle Sacre Scritture), quali l'ombra de le sacre penne, il dente longobardo, i gigli gialli del c. VI (e cfr. il fiordaliso di Pg XX 86-90), il colle, la favella, il maladetto fiore del c. IX, l'orbita della rota, la muffa e la gromma del XII, i tre cerchi, l'arcobaleno riflesso del XXXIII, ecc. L'ermetismo dello stile dantesco è in evidenza anche nell'uso dei numerosi realia sussunti a valore simbolico, scelti dal registro dei colori, del mondo vegetale (frutto, fiore, fronda, foglia, seme, radice: a cominciare dalla selva oscura, fino alla foresta spessa e viva e alla candida rosa), degli animali, delle pietre preziose, veri ideogrammi incastonati come gemme nel fitto ordito metaforico del linguaggio ‛ tragico ' (v. Pg IX 94 ss.; Pd XI 124 ss., XII 19, XVII 121-123, XXIII 73-75, 88 e 101-102, XXX 66, 95 e 124, XXXI 1 e 7 ss., ecc.). Alcune delle stesse allegorie (la lupa, il leone, la lonza, il Veltro) si risolvono in sostanza in figure transuntive, nelle quali il traslato rientra nel senso letterale.

Il costante modus transumptivus della Commedia, " che trasferisce nel continuo del linguaggio il discontinuo dell'idea " (Forti), realizza il sublime ‛ trovare oscuro ' di D., associandosi a raffinati esperimenti di " entrabescamen ", cioè di eccezionali incatenature di parole, chiudenti il discorso quasi nella matematica perfezione del cerchio e potenziandone anche liricamente i profondi concetti dottrinali. Esemplari quelle di Pd VIII 34 ss., XIV 28-30 e 40-42, splendide abbreviationes strutturate su di un arcano ritorno di numeri, la prima; gradatio a spirale ascendente, la seconda, nel dinamico costrutto della terzina, mirabile trasfigurazione lirica del mistero di grazia e di amore, costituente l'essenza della beatifica visione. Arditissime anche le catene verbali di XXVIII 67-68 e di XXX 39-42, ‛ traduzione ' poetica del concetto degl'influssi celesti e della felicità paradisiaca definita nella sua ermetica circolarità (luce-amore-letizia).

Solo un'analisi completa, condotta sulle concordanze della Commedia, ci potrebbe dare il consuntivo dei materiali tecnici componenti l'alto stile dantesco, che in molti passi, specialmente nel Paradiso, assurge a irrepetibile forma di trobar clus, ben distante dall'uso, spesso intemperante, complicato e artificioso che ne fecero vari trovatori, impari, se non tecnicamente, quali poeti, alle eccezionali qualità dell'alta fantasia dantesca. Anche nel ‛ trovare oscuro ' di D. la tradizione è divenuta poesia.

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