TRIPOLI

Enciclopedia Italiana (1937)

TRIPOLI (A. T., 113-114)

Emilio SCARIN
Pietro ROMANELLI
Ettore ROSSI
Guido ALMAGIA

La più importante città e il principale porto della Libia, capoluogo della colonia, e sede del governatore generale. L'attuale città è situata su una sporgenza del litorale tripolino a 13° 12′ di longitudine E. e 32° 52′ di latitudine N.

La città è composta di due parti: quella vecchia, ancora racchiusa nelle antiche mura per due lati, e quella nuova che si estende a ventaglio verso il palmeto, a S. della precedente.

La parte vecchia (el Medina), posta a SO. del porto nella parte del litorale che più si protende verso il mare, ha la forma di un pentagono irregolare il cui lato maggiore è rivolto verso il porto. È percorsa da molte strade con direzioni prevalenti NO.-SE. e NE.-SO., che s'intersecano spesso ad angolo retto. Le principali sono la Sciara Homet Garian e la Sciara Hara Chebira da NO. a SE., la Sciara Giama el Durugh, il Such el Turch, la Sciara Cuscet el Sceffar, la Sciara Hosc Angelo, ecc., da SO. a NE.

Non v'è una netta separazione nella città vecchia fra i quartieri arabi ed ebrei, né tra questi e quelli abitati dai Greci e dai Maltesi; tuttavia gli Ebrei sono localizzati verso il lato NO. e NE. della città, nei quartieri della Hara Chebira (Ghetto grande) e Hara Seghira (Ghetto piccolo), i Musulmani abitano la parte centrale e meridionale, i Greci un piccolo quartiere a N. e così pure i Maltesi, nei pressi dell'arco di Marco Aurelio.

Le sinagoghe sono tutte accentrate nella parte NO. della città, nella Hara Chebira, le moschee si trovano invece numerosissime un po' dappertutto.

Della sua romanità Tripoli conserva un solo monumento importante, l'arco, costruito nel 163 d. C. dal duumviro C. Calpurnio Celso in onore di M. Aurelio e L. Vero: è di marmo, a quattro fronti, coperto da cupola ottagonale, e ornato da statue e rilievi con le figure di Apollo e Minerva, divinità protettrici della città.

Quale coronamento lo terminasse non è chiaro: S. Aurigemma ha pensato a un corpo superiore di forma cilindrica o ottagonale. Intorno all'arco si sono rinvenuti numerosi frammenti architettonici, appartenuti ad altri edifici, e negli scavi ripresi nel 1936, elementi frontonali di un tempio dedicato, sembra, ad Apollo, a Minerva e a Caelestis. A nord-ovest della città fu scoperta nel 1912-13 una necropoli con tombe a camera, ricche di ossarî di vetro, di terracotta e di piombo, e di suppellettile varia, di età romana. Case e ville con musaici erano sulla spiaggia attigua.

La parte vecchia della città è delimitata dal giro delle mura, romano-bizantine nella loro costruzione originaria, ma completamente rifatte in età araba, soprattutto dopo la rioccupazione turca del 1551; ne sono ancora in piedi varî tratti e alcuni bastioni.

A SE. si trova il castello (es-Serai), l'edificio maggiore di Tripoli vecchia. Non si può escludere che esso poggi su un edificio romano; certo come fortezza fu primamente costruito dagli Arabi nel sec. VII; nel secolo XVI venne rifatto dagli Spagnoli e dai Cavalieri di Malta; successivamente fu sede dei principi Caramanli e dei governatori turchi.

Dopo la conquista italiana venne restaurato e abbellito dall'Architetto A. Brasini.

Altri edifici notevoli sono alcme moschee: quella detta della Cammella fondata nel secolo VII o X, ma ricostruita sul principio del sec. XVII; quella di Such el Turch, degli ultimi anni dello stesso secolo, e più particolarmente quelle dei Caramanli (1736-37) e di Gurgi (1833-34). Queste ultime moschee sono ricche di una leggiadra decorazione in mattonelle maiolicate policrome, in stucchi traforati, in legni dipinti. La stessa decorazione presentano altresì alcune case del medesimo periodo dei Caramanli.

La vita commerciale della vecchia città si svolge in determinati punti di essa, a seconda del tipo di merce. Il Such el Turch (mercato turco), una vecchia via della parte sudorientale della città, coperta da un ligneo soffitto aperto nella sola parte mediana dove corrono tralci di colossali viti, costituiva al tempo dei Turchi il centro vitale di Tripoli; ancor oggi questa via è molto animata, ricca di negozî eleganti (molti di proprietà d'Indiani) di argenterie, oreficerie, oggetti di cuoio, merci varie, ecc. In altro luogo della città, però sempre nella parte sud-orientale, vi sono mercati coperti di tappeti e di stoffe, di oggetti di ferro, ecc., gli uni nettamente distinti dagli altri.

Le transazioni commerciali all'ingrosso e al minuto dei prodotti agricoli si facevano in passato presso la Piazza del Pane, finché, con recenti sventramenti, la piazza fu ampliata prendendo il nome di Piazza Italia, e il mercato venne spostato.

Verso il mare aperto, opportuni lavori di risanamento crearono il Lungomare della Vittoria col monumento ai Caduti, mentre il completo abbattimento delle mura verso il porto permise la costruzione di una larga arteria sul mare.

Grandi lavori, eseguiti in massima parte nel 1922, fecero del porto di Tripoli uno dei migliori e capaci porti dell'Africa settentrionale mediterranea, con ampio fondale e banchina, dove possono attraccare direttamente anche grandi piroscafi. Nella parte occidentale, di fronte alla città, il vecchio porto peschereccio rimase immutato, ma venne aggiunto l'idroscalo.

A S. il molo dello sparto ha perduto tutta la sua importanza economica, mentre un nuovo grande faro e un lungo e potente molo sono stati costruiti sugli scogli di Ras el Zur.

La città nuova si stende a S. della vecchia, verso il palmeto. Il suo rapidissimo sviluppo ebbe inizio dopo l'occupazione italiana; prima non v'era che un piccolo sobborgo. Essa si stende oggi su una vasta superficie, anche dentro l'oasi stessa, comprendendo i sobborghi Belcher e Dahra. La costruzione della stazione ferroviaria lontana dal porto, a occidente della città portò come conseguenza l'apertura di una grande arteria stradale, il Corso Sicilia, sul quale si sviluppò in un primo tempo l'abitato moderno. Vennero così creati due nuovi quartieri a N. e a S. del Corso, fra il cimitero arabo e quello israelita, mentre lungo il raccordo ferroviario tra la stazione principale di Tripoli e il porto si venivano insediando tutte le principali attività industriali della città (ad es., la manifattura tabacchi). Infine sullo stesso Corso Sicilia venne stabilita la fiera campionaria permanente.

La parte centrale della città nuova, dopo aver incorporato il Belcher, si estese verso S. con cinque strade divergenti a ventaglio partenti da Piazza Italia e dal castello (Via Gen. De Bono, Corso Vittorio Emanuele III, Via Lombardia, Via Lazio e Via Piemonte) fino a raggiungere e sorpassare la linea ferroviaria che congiunge Tripoli a Tagiura. Questa parte della città subì recentemente grandi lavori di sventramento e di rinnovamento, specialmente in Piazza Italia e presso il castello. Lungo il porto venne costruito un bellissimo lungomare (Lungomare conte Volpi) su cui si affacciano tutte le più grandi costruzioni cittadine (Banca d'Italia, ecc.), mentre un po' all'interno, sul Corso Vittorio Emanuele III, venne costruita la cattedrale e più avanti il grande nuovo palazzo governatoriale.

Nella parte orientale la nuova città deve il suo sviluppo alle sedi militari situate appunto fra la parte centrale e il quartiere Dahra. Il Lungomare conte Volpi fu prolungato verso oriente col nome di Lungomare De Bono, formando la grande arteria che congiunge Tripoli alle colture del palmeto e agli uffici del governo, un po' fuori del centro cittadino, a oriente delle tombe dei Caramanli.

La città nuova è tutta abitata da Italiani, tuttavia nel Belcher e nel sobborgo a oriente del quartiere Dahra si trovano numerosi Musulmani, mentre nella Dahra vi sono anche numerosi Maltesi.

I Negri sono distribuiti un po' dappertutto, sia nella città vecchia sia nella nuova, ma specialmente nel Belcher e ad oriente del quartiere Dahra. Per duemila anni Tripoli ebbe una popolazione variante fra 5000 e 25.000 abitanti. Solo dopo l'occupazione italiana ha inizio lo sviluppo moderno della città che ora si avvia verso i 100.000 ab., di cui oltre 35.000 Arabi, Arabo-Berberi e Negri (musulmani), quasi 30.000 Italiani (cattolici), circa 18.000 Ebrei e 6000 stranieri in gran parte Maltesi e Greci (ortodossi).

Mentre l'aumento annuo degli Arabi, Berberi, Ebrei e stranieri è dovuto solo all'incremento naturale della popolazione, il numero degl'Italiani cresce con ritmo molto più rapido, per l'immigrazione. Nel 1911 v'erano a Tripoli appena 4000 Italiani, saliti nel 1922 a 9000, nel 1930 a 20.000, nel 1936 a quasi 30.000.

Anche l'incremento naturale della popolazione è abbastanza favorevole agl'Italiani: infatti anche se gli Ebrei hanno un accrescimento naturale del 28 per mille, gl'Italiani raggiungono tuttavia il 20 per mille, mentre i Musulmani non riescono ad arrivare a un 10 per mille, data la enorme percentuale di mortalità (28 per mille).

Da Tripoli si dipartono tre strade principali che conducono ai più notevoli centri della colonia: il Corso Sicilia immette nell'arteria principale verso oriente, asfaltata, che serve le oasi occidentali della Gefara e l'altipiano a occidente di Garian; la Via Lombardia, che continua fuori della città verso Castel Benito, Tarhuna, ecc., e serve la parte centrale della Gefara e la parte orientale del Gebel; il Lungomare De Bono e la Sciara Dahra grande che oltre a mettere in comunicazione la città con il palmeto prosegue nell'arteria orientale della Tripolitania, asfaltata, per Homs, Misurata, Sirte e per la Giofra, servendo con una lunga diramazione anche il Fezzan.

Per le ferrovie, comunicazioni marittime e aeree, v. tripolitania.

Intorno alla città, ma specialmente verso oriente, si stende il grande palmeto di Tripoli (detto impropriamente oasi) della superficie di oltre settemila ettari con quasi 300.000 palme, uno dei più estesi di tutta l'Africa settentrionale.

Esso si divide in quattro parti, due molto estese (Tripoli e Tagiura), due molto piccole e lontane dalla città a occidente (Gargaresc e Gurgi). Le prime due parti sono divise fra loro da un tratto in cui le palme sono molto rade e dove si trova l'esteso stagno della Mellaha. In tale località è stato costruito il nuovo aeroporto. Importantissime sono le colture nel palmeto, che conta circa 6000 poderi in cui vengono coltivate molte varietà di ortaggi, grandi quantità di foraggi (erba medica, orzo, frumento, ecc.), il tutto irrigato col caratteristico sistema indigeno.

Il palmeto viene così ad essere il naturale complemento della città ed in esso abitano 40.000 individui, con una densità di oltre 600 abitanti per kmq. Sugh el Giuma (il mercato del venerdì) è il principale centro dell'oasi ove viene tenuto il mercato principale della Tripolitania, situato nella parte centrale del palmeto. Al margine orientale si trova invece Tagiura, grosso villaggio rurale, dove termina la linea ferroviaria dell'oasi (20 km.).

Tripoli e la sua oasi hanno grande interesse turistico e sempre più ne avranno col tempo, sia per il buon attrezzamento alberghiero, sia per la lunga serie di provvedimenti che sono stati presi per attirare una corrente turistica internazionale verso questa città e verso tutta la Tripolitania (fiera campionaria; casino da giuoco; lussuosi alberghi; servizî moderni rapidi ed economici; grande lotteria automobilistica con ingenti premî; folklore, lasciato nella sua originalità ben più che in qualsiasi altra città dell'Africa settentrionale).

V. tavv. LV-LVIII.

Per l'economia e l'amministrazione, v. tripolitania.

Storia. - Tripoli è l'antica Oea (lat. Oea, neopunico Ouîat) di nome e origine fenici o punici. Una tradizione, raccolta da Silio Italico (Pun., III, 257), la diceva fondata da coloni fenici e siciliani uniti insieme: forse Fenici, venuti dalla Sicilia dopo le sconfitte ivi subite dai Greci nel sec. IV, ovvero Siciliani rimasti nell'Africa dopo lo sbandamento dell'esercito di Agatocle (E. Ciaceri, in Atti primo congresso studi coloniali, II, Firenze 1931, p. 52 segg.): certo la città sorse più tardi di Leptis e Sabratha, ed ebbe minore importanza di esse: il Periplo dello Pseudo-Scilace non la nomina. Coniò monete da sola o unita ad altri emporî della costa vicina al tempo di Augusto. Al tempo di Vespasiano fu in discordia con Leptis, e chiamò in suo aiuto contro di lei i Garamanti, che furono assaliti e vinti dal legato della legione, Valerio Festo. Quando avesse il titolo di colonia con il quale la vediamo indicata nella Tabula Peutingeriana non sappiamo. Sotto Antonino Pio, Apuleio, ammalatosi mentre era in viaggio per Alessandria, vi si fermò, ospite dei suoi amici: qui egli conobbe e sposò Emilia Pudentilla, donde il suo processo per accusa di magia. Dalla metà del sec. III fu sede episcopale. Sulla fine del sec. IV subì i danni degli Austuriani e poi, sotto i Vandali e i Bizantini, quelli dei Luata.

Tripoli fu conquistata nel 22 eg. (30 novembre 642-18 novembre 643) dagli Arabi guidati da ‛Amr ibn al-‛āṣ; i Rūm (Bizantini) che vi si trovavano, si salvarono sulle navi. Tripoli ebbe un presidio arabo e diventò un centro di cultura araba e musulmana, ma non assunse l'importanza di altre città africane, come al-Qairawān e poi al-Mahdiyyah e più tardi Tunisi. La città fu spesso contesa tra Arabi e Berberi durante le lotte politiche e religiose dei secoli VII-IX (v. tripolitania) e dipese direttamente dai governatori ed emiri dell'Ifrīqiyah (Tripolitania e Tunisia). Talvolta la sua popolazione si rivoltò contro i governanti; nel 912 massacrò il presidio di Kutāmah insediatovi dai sovrani ‛obeiditi (fatimiti). Dal 1000 al 1146 Tripoli ebbe una propria dinastia berbera detta dei Banū Khazrūn (dei Berberi Zenātah), e godé, pare, di una relativa quiete, benché l'interno del paese fosse agitato dall'invasione degli Arabi nomadi Banū Hilāl e Banū Sulaim (verso il 1050); in questo periodo Tripoli e il territorio dipendente abbandonarono le credenze sciite degli ‛Obeiditi e ritornarono all'ortodossia sunnita, rito mālikita, restando pochi Berberi attaccati alle credenze ibāḍite. Dopo un breve dominio normanno (1146-1158) fu governata dalla famiglia locale dei Banū Maṭrūh e poi dai governatori della dinastia maghrebina degli Almoḥadi e dei loro luogotenenti Ḥafṣidi di Tunisi. Grazie al movimento di pellegrini dal Marocco al Ḥigiāz e al frequente passaggio di dotti provenienti da est e da ovest anche Tripoli aveva una discreta attività culturale. Le relazioni con il retroterra erano scarse; abbastanza intense restavano le relazioni marittime con la Sicilia, la Spagna e l'Oriente. Nel 1355 il genovese Filippo Doria con un attacco di sorpresa conquistò la città e l'abbandonò pochi mesi dopo con un forte riscatto.

Tripoli restò nominalmente sotto il governo dei Ḥafṣidi fino al 1510; ma nel 1324-1400 vi predominò la famiglia locale dei Banū Thābit o Banū ‛Ammār; nella seconda metà del sec. XV l'autorità dei sovrani di Tunisi era decaduta e i Tripolini usarono scegliere tra di loro uno shaikh per il governo della città. Il 25 luglio 1510 truppe spagnole e italiane comandate da Pietro di Navarro occuparono la città che fu dagli Spagnoli affidata al viceré di Sicilia; nel 1530 Carlo V la cedette in feudo ai Cavalieri di San Giovanni insieme con Malta. In quel tempo fu ricostruito e ingrandito il castello esistente e furono apprestate altre fortificazioni a difesa del porto e delle mura della città continuamente insidiate da Arabi e Turchi. Il 5 agosto 1551 Tripoli fu assediata da una flotta turca comandata da Sinān Pascià, della quale faceva parte Dorghūt; il 14 agosto dello stesso anno i Cavalieri si arresero con l'onore delle armi. Dal 1551 al 1911 Tripoli fu governata da pascià mandati dalla Porta o dāy (dey) e bey eletti dalle milizie locali, costituite da giannizzeri e loro discendenti e rinnegati cristiani d'ogni parte del Mediterraneo, le quali riconoscevano più o meno apertamente la sovranità del sultano di Costantinopoli. Fra i governatori vanno ricordati quelli, quasi indipendenti, della famiglia Caramanli (v.), tra il 1711 e il 1835. Dal 1793 al 1795 Tripoli fu posseduta dall'avventuriero ‛Alī Burghul.

In questo tempo Tripoli visse degli scarsi tributi dell'interno (il Fezzan fu sottomesso a tributo alla fine del sec. XVI), ottenuti con ripetute spedizioni armate, e dei proventi della pirateria; i capi della marina da corsa, detti re'īs, ebbero talora il governo della città alternandosi con i dāy (o dey) e i bāy (o bey); l'opera dei corsari attirò spesso su Tripoli bombardamenti di squadre europee. Con l'occupazione francese di Algeri la pirateria fu stroncata. Nel 1835 la Turchia, profittando delle discordie che travagliavano i Caramanli, ristabilì a Tripoli il dominio diretto. La città non progredì molto sotto i Turchi. La maggiore sicurezza agevolò le comunicazioni con l'interno e avviò un considerevole movimento di scambî commerciali con il Sudan centrale; le colonie europee crebbero in numero e in attività; le scuole italiane nel 1906 contavano 1125 alunni fra Italiani, Ebrei e Musulmani tripolini. La missione francescana, stabilita a Tripoli nel 1641, contribuiva anche alla diffusione dell'istruzione e della lingua italiana. Nel 1907 iniziò la sua feconda attività il Banco di Roma che promosse le prime coltivazioni razionali, istituì linee di cabotaggio fino a Bengasi e una linea di navigazione con l'Italia assicurando così alla Libia un servizio postale sino allora pressoché inesistente. Nel 1909 prese a stamparsi a Tripoli il giornale italiano L'Eco di Tripoli. Il 5 ottobre 1911 la città fu occupata dagl'Italiani. La città non subì molte modificazioni nei primi dieci anni in cui le attenzioni maggiori furono rivolte alle operazioni militari. Dal 1921 ad oggi essa è stata completamente trasformata con l'impianto di servizi civili, la sistemazione delle mura, del porto e del lungomare e la costruzione di moderni quartieri.

Bibl.: Opere bibliografiche: R. L. Playfair, The Bibliography of the Barbary States. I: Tripoli and Cyrenaica, Londra 1889; F. Minutili, Bibliografia della Libia, torino 1903; U. Ceccherini, Bibliografia della Libia, Roma 1915; P. Romanelli, Bibliografia archeologica e artistica della Tripolitania, in Boll. R. Ist. arch. e storia dell'arte, I; A. Mori, L'esplorazione geografica della Libia, Firenze 1927; A. Vittorio Pellegrineschi, Bibliografia del fascismo. I libri coloniali, Roma 1934.

Fonti per la storia: P. Toschi, Le fonti inedite della storia della Tripolitania, Intra 1934.

Antichità: Corp. Inscr. Lat., VIII, pp. 5 e 2292; S. Aurigemma, Le fortificazioni della città di Tripoli, in Notiz. arch. Min. colonie, 1916, p. 217 segg.; P. Romanelli, Scavi e scoperte nella città di Tripoli, ibid., p. 301 segg.; III (1922), p. 103 segg.; S. Aurigemma, L'arco di Marco Aurelio in Tripoli, in Boll. d'arte, giugno 1926; id., Il coronamento architettonico dell'arco di M. Aurelio in Tripoli, in Africa italiana, V (1933), p. 135 segg. ecc.

Medioevo ed età moderna: P. Picca, L'Italia e la Tripolitania attraverso la storia, in Nuova antologia, 1° dicembre 1911; C. Manfroni, Tripoli nella storia marinara d'Italia, Padova 1911; G. Ferrari, La spediz. d. marina sarda a Tripoli, Roma 1912; F. Nani Mocenigo, Tripoli e i Veneziani, Città di Castello 1914; I. Chemàli, Gli abitanti della Tripolitania, Tripoli 1916; G. De Agostini, Le popolazioni della Tripolitania, ivi 1917; S. Aurigemma, Le fortificazioni, ecc., cit.; id., Il castello di Tripoli in Barberia, in La Rinascita della Tripolitania, Roma 1926; R. Micacchi, Tripoli e la Tripolitania anteriormente all'occupazione italiana, ibid.; P. Costanzo Bergna, La Missione francecana in Libia, Tripoli 1925; Ch. Féraud, Annales Tripolitaines, Tunisi-Parigi 1927; E. Rossi, Il secondo periodo del dominio ottomano a Tripoli, in Rivista coloniale, 1927; id., Per la storia della penetrazione turca nell'interno della Libia e per la questione dei suoi confini, in Oriente moderno, IX (1929); G. Cimino, La Zecca di Tripoli d'Occidente durante il dominio degli Ottomani, in Notiz. arch. Min. colonie, 1922; C. Manfroni, L'Italia nelle vicende marinare della Tripolitania, Intra 1935; R. Micacchi, La Tripolitania sotto il dominio dei Caramanli, ivi 1936.

Fonti arabe: Aḥmad an-Nā'ib, al-Manhal al-adhb fī ta'rīkh Ṭarābulus al-Gharb, Costantinopoli 1317 seg.; Ibn Ghalbūn, at-Tidrār, ecc,. Cairo 1349 eg. (trad. di E. Rossi, La Cronaca araba tripolina di Ibn Ġalbūn, tradotta ed annotata, Bologna 1925); ‛Abd as-Salām at-Tāgiūrī, Kitāb al-ishārāt, ecc., ediz. R. Rapex, Tripoli 1921 (trad. di A. Cesaro, Santuari islamici nel sec. XVII in Tripolitania, Tripoli 1933).

Articoli varî in Rivista della Tripolitania, Libya, Rivista delle Colonie italiane, Africa italiana, Tripolitania (di Tripoli).

Spedizione del 1825. - Il 26 settembre 1825 una divisione navale sarda composta della fregata Il Commercio armata con 64 cannoni (capo della spedizione capitano di vascello Francesco Sivori), della fregata Cristina con cannoni (comandante Luigi Serra), della corvetta Tritone con 20 cannoni (comandante Giuseppe Zicavo) e del brigantino Nereide con 16 cannoni (comandante Maurizio Rey di Villarey), si avvicinò alla rada di Tripoli. Tutte le navi diedero fondo alle ancore, ad eccezione del Nereide che rimase in crociera al largo per visitare i bastimenti diretti a quel porto. Il Sivori, recatosi al consolato britannico, espose all'incaricato del governo le ragioni del contrasto dello stato sardo con il bey. La conferenza fu ripresa il 27, ma, poiché furono presentate proposte che il Sivori ritenne offensive per il re di Sardegna, egli ruppe ogni indugio e fece ritorno a bordo, non senza aver raccomandato al console britannico la colonia sarda e fatto sapere al pascià che gli dava quattro ore di tempo per fare proposte onorevoli. Sul Commercio fu riunito un consiglio di guerra: poiché le condizioni atmosferiche non avrebbero permesso alla squadra di avvicinarsi a tiro utile senza pericolo, il Sivori decise di far entrare di notte nel porto lance armate, allo scopo di catturare o incendiare la flottiglia tripolina, composta di un brigantino, due golette e qualche legno minore. Le imbarcazioni dovevano essere rimorchiate dal Nereide, che ad operazione finita doveva raccoglierle. Nel tempo stesso altre scialuppe armate dovevano simulare un attacco a ponente del paese, pur tenendosi pronte a dar man forte alle altre lance. L'operazione si presentava difficile poiché l'entrata del porto era a quel tempo angusta e pericolosa e ben difesa. La flottiglia di attacco, al comando del tenente di vascello Giorgio Mameli (padre di Goffredo), si componeva di 10 unità tutte comandate da ufficiali. Divisa in tre gruppi, essa riuscì a imboccare l'entrata del porto, non vista dapprima, poi fatta segno a un violento cannoneggiamento di tutte le opere di difesa e delle navi in porto. Il brigantino tripolino fu preso e incendiato dalle unità del 1° gruppo agli ordini del Mameli, e così avvenne delle altre unità nemiche che fecero viva resistenza. Le lance sarde ritornarono trionfalmente alle loro navi. I Tripolini ebbero un totale di circa 60 morti e numerosi feriti; i Sardi soltanto un morto e sei feriti.

L'energica condotta del Sivori indusse il bey a pregare il console britannico di adoperarsi perché la pace col regno di Sardegna fosse ristabilita. E il 30 settembre a bordo del Commercio il console e il viceconsole inglese presentarono al Sivori una convenzione già firmata dal pascià che fu accettata. All'una dopo mezzodì la bandiera fu rialzata sul consolato sardo salutata dalle salve delle batterie tripoline. Il 10 ottobre il bey ricevette il conte Sivori con una larga rappresentanza del suo stato maggiore.

Per le operazioni del 1911-12, v. italo-turca, guerra.

Bibl.: G. Ferrari, La spedizione della marina sarda a Tripoli nel 1825, Roma 1912.

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