Trigliceridi

Universo del Corpo (2000)

Trigliceridi

Giancarlo Urbinati

I trigliceridi, detti anche acilgliceroli, sono esteri del glicerolo, nei quali tutti e tre i gruppi alcolici risultano esterificati con radicali di acidi grassi. Un loro aumento nel sangue, espressione di un alterato ricambio dei grassi, viene considerato fattore di rischio di aterosclerosi.

l. Caratteristiche biochimiche e metabolismo

Come gli acidi grassi liberi (FFA, Free fatty acids; v. acidi grassi), anche i trigliceridi si caratterizzano per la loro idrofobicità, che ne è la proprietà fondamentale e fa sì che le lunghe catene idrocarburiche tendano a interagire tra loro o con altre strutture idrofobiche (come, per es., gli steroli e le catene laterali di certi aminoacidi) piuttosto che con l'acqua o con altre molecole polari. La natura idrofobica dei trigliceridi e il loro stato ridotto rendono questi composti molto efficienti per la conservazione dell'energia. Infatti, prima di essere utilizzati a livello muscolare per produrre energia, gli acidi grassi liberi vengono depositati sotto forma di esteri del glicerolo, essenzialmente come trigliceridi; i composti esterificati con uno (monogliceridi) o due (digliceridi) acidi grassi sono presenti in piccole quantità, soprattutto come intermedi della sintesi o della demolizione dei trigliceridi. Sono trigliceridi i grassi introdotti con la dieta che, una volta ingeriti, sono idrolizzati almeno parzialmente a opera di enzimi digestivi (lipasi) e assorbiti nel lume intestinale per essere convogliati nel sistema linfatico e nel sangue. Dopo avere subito l'idrolisi ed essere stati scissi in acidi grassi liberi e monogliceridi, essi vengono solubilizzati a opera degli acidi biliari (che agiscono come detergenti) e trasportati dal lume intestinale alla superficie delle cellule assorbenti, da cui vengono captati per essere nuovamente risintetizzati a trigliceridi in particolari micelle dette chilomicroni, che rappresentano il principale veicolo per il trasferimento delle molecole lipidiche dal lume agli enterociti (v. lipoproteine). La captazione di acidi grassi liberi e monogliceridi da parte delle cellule epiteliali della mucosa enterica ha luogo per semplice diffusione attraverso la membrana citoplasmatica, ed è pressoché completa. Il destino degli acidi grassi liberi assorbiti varia a seconda della lunghezza della loro catena carboniosa: quelli a corta e media catena (meno di 12 atomi di carbonio) possono, per le dimensioni molecolari relativamente piccole, passare direttamente nel sangue portale, mentre quelli a catena lunga si legano nel citoplasma a una specifica proteina che li trasporta all'interno del reticolo endoplasmatico, ove sono utilizzati per la risintesi dei trigliceridi. I trigliceridi risintetizzati si associano in globuli lipidici, alla cui superficie si adsorbono fosfolipidi e apoproteine, o apolipoproteine (apo AI, apo AIV e B-48), e all'interno di vescicole migrano, attraverso l'apparato del Golgi, nella parte basolaterale della membrana citoplasmatica. Da qui sono riversati nello spazio extracellulare per la fusione della membrana di dette vescicole con quella citoplasmatica, per raggiungere, attraverso i vasi linfatici e il dotto toracico, la circolazione generale. Queste particelle costituiscono i chilomicroni.

L'apolipoproteina B presente nei chilomicroni (apo B-48) si forma nell'intestino (al contrario di quanto avviene per la apo B-100, di origine epatica) e non è capace di legarsi ai recettori LDL (Low density lipoproteins), per cui viene diretta verso una via metabolica alternativa. Nel sangue, i chilomicroni acquisiscono altre apolipoproteine (apo C e apo E) dalle particelle HDL (High density lipoproteins). Apo CII modula l'idrolisi dei chilomicroni agendo quale cofattore dell'enzima lipoproteinlipasi (LPL), che è localizzato sulla superficie degli endoteli capillari nei muscoli scheletrici e nel tessuto adiposo e catalizza l'idrolisi dei trigliceridi contenuti nella parte più interna (core) di queste particelle, liberando così acidi grassi liberi destinati all'immagazzinamento come riserva nel tessuto di deposito, oppure all'utilizzazione quale fonte di energia. Per effetto del processo idrolitico, i chilomicroni riducono progressivamente le proprie dimensioni, cedendo inoltre alle HDL nascenti gran parte dei propri fosfolipidi e proteine di basso peso molecolare. Ciò che resta dopo questa idrolisi e questa cessione di materiale ad altre particelle (il cosiddetto remnant dei chilomicroni) viene rapidamente eliminato dalla circolazione attraverso un particolare sistema recettoriale di cui sono provviste le cellule epatiche (LRP, LDL-receptor related protein) e al quale si lega per mezzo di apo E. Per quanto riguarda apo CIII, il ruolo di questa apolipoproteina non è stato ancora esattamente definito, ma si ritiene sia quello di ritardare la captazione delle VLDL (Very low density lipoproteins) mediata da apo E fino a quando l'idrolisi dei trigliceridi non sia stata completata. Pervenuti al fegato, i componenti lipidici del remnant, costituiti ancora in prevalenza da trigliceridi sfuggiti al processo idrolitico, vengono immagazzinati o catabolizzati o secreti nella circolazione quali costituenti delle lipoproteine endogene VLDL. Il più importante substrato per la formazione dei trigliceridi endogeni sono gli acidi grassi liberi. La secrezione epatica di VLDL può aumentare sia per accresciuto afflusso al fegato di acidi grassi liberi, sia per una loro esaltata sintesi epatica, la cui entità può essere influenzata notevolmente dalla dieta: per es. una dieta ricca in carboidrati, che induce la lipogenesi epatica, può avere quale effetto la secrezione di 100 g/die di VLDL, mentre un regime iperlipidico può limitare questa secrezione giornaliera a soli 25 g aumentando peraltro la produzione di chilomicroni, che è invece molto bassa quando vengono assunte diete iperglucidiche. Il fegato secerne numerose e distinte specie di VLDL, le cui dimensioni e la cui densità sono forse inversamente proporzionali alla quantità di trigliceridi che debbono trasportare; così, quando la lipogenesi è stimolata dai carboidrati di origine dietetica, le particelle sono più grosse rispetto a quando è il colesterolo a dover essere trasportato. Anche l'assemblaggio delle VLDL a livello epatico può essere eterogeneo. Una volta secrete dal fegato nella circolazione, le VLDL ricche in trigliceridi, che contengono apo C, apo E e, in luogo di apo B-48, la apo B-100 di origine epatica, subiscono il medesimo processo idrolitico cui erano andati incontro i chilomicroni e il risultato finale è la formazione delle particelle IDL (Intermediate density lipoproteins), relativamente ricche in colesterolo. Nei soggetti normali, le IDL vengono in parte captate direttamente dalla cellula epatica attraverso il recettore B,E o recettore LDL, mentre in parte vengono ulteriormente delipidate a LDL per opera di una seconda lipasi posta alla superficie dell'epatocita, la cosiddetta lipasi epatica (HTGL, Hepatic trigliceryde lipase). Pertanto il trasporto dei trigliceridi nel sangue è mediato da due differenti lipasi, che influenzano anche la struttura e la concentrazione sierica delle lipoproteine più dense LDL e HDL, ricche in colesterolo. Per es. il contenuto in trigliceridi delle VLDL è basso e i livelli plasmatici di HDL (specie di HDL₂) alti, quando l'attività della LPL è elevata, come negli atleti o nelle donne in età fertile; mentre entrambi sono ridotti nel caso di elevata attività della HTGL, come nei soggetti di sesso maschile e in coloro che assumono steroidi anabolizzanti. Per questo il rapporto LPL/HGTL può fornire utili indicazioni circa il rischio aterosclerotico di un individuo. Sebbene la cascata fegato→VLDL→IDL→LDL rimanga fondamentalmente valida, si deve tuttavia pensare che a ogni tappa di queste trasformazioni intervengano alcune modificazioni che per es. potrebbero rendere ragione del ritardo osservato in certi casi nella conversione delle VLDL a IDL (è stata ipotizzata l'esistenza di almeno quattro diverse sottopopolazioni di VLDL, ciascuna caratterizzata da una progressiva perdita di trigliceridi). La rimozione dal plasma dei trigliceridi, e quindi delle lipoproteine che lo contengono, può avvenire pertanto direttamente, attraverso i recettori LRP e B,E o LDL (rispettivamente per i remnant dei chilomicroni e i remnant delle VLDL o IDL), oppure indirettamente, dopo trasformazione in IDL o in LDL, per le VLDL di piccole dimensioni. In linea generale, mentre a essere secrete sarebbero le VLDL più grandi, a essere rimosse sarebbero invece quelle di minori dimensioni. Poiché attraverso la lipolisi si ha una progressiva perdita di trigliceridi, e poiché le lipoproteine che si formano in questo processo non sono tutte egualmente buoni substrati per la LPL, è chiaro che l'entità della delipidazione nell'ambito della cascata non è uniforme.

Evidentemente, una particella deve raggiungere uno stato conformazionale appropriato perché il suo ligando proteico (apo E o apo B-100) possa essere riconosciuto dal recettore corrispondente: in altri termini, è verosimile che la rapida rimozione delle VLDL più grandi sia dovuta al loro più elevato contenuto di apo E esposta, e che la progressiva delipidazione delle VLDL piccole a LDL serva invece a esporre quale ligando l'apo B-100. Oltre all'esistenza, in una data classe lipoproteica, di numerose e distinte sottoclassi, importanti sono i continui scambi di materiali tra le lipoproteine delle diverse classi. Uno scambio tra esteri del colesterolo e trigliceridi di tutte le specie lipoproteiche è operato dalla proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo (CETP, Cholesteryl ester transfer protein) ed è più attivo negli individui con ipertrigliceridemia massiva. In questo caso, i trigliceridi in eccesso vengono ceduti alle HDL, che se ne arricchiscono e divengono un miglior substrato per l'azione della HTGL, la quale a sua volta le trasforma in particelle più piccole e più dense che vengono allontanate più rapidamente dal circolo; nello stesso tempo, nelle VLDL aumenta corrispondentemente il contenuto in esteri del colesterolo, che in parte vengono ceduti ai macrofagi. Il risultato netto di questi scambi di materiale è l'aumentato accumulo di esteri di colesterolo nei macrofagi della parete arteriosa e la concomitante riduzione dei livelli plasmatici di HDL, con conseguente compromissione del processo cosiddetto del trasporto inverso del colesterolo.

Ipertrigliceridemia

Sulla scorta di quanto sopra esposto, si comprende come l'ipertrigliceridemia, un tempo ritenuta fattore neutrale nel processo aterogenetico (anche sulla base di dati epidemiologici che non evidenziavano, tra livelli ematici di trigliceridi e incidenza di eventi cardiovascolari, quella forte correlazione esistente invece nel caso del colesterolo), venga oggi da molti considerata un importante fattore di rischio indipendente di aterosclerosi e relative complicanze d'organo. Il rischio diviene particolarmente significativo quando l'ipertrigliceridemia si accompagna a un elevato rapporto colesterolo totale/colesterolo-HDL ( 5). I livelli di HDL rappresentano infatti dei marcatori surrogati, ma non privi di notevole valore, dell'efficienza del metabolismo dei trigliceridi, soprattutto nella fase postprandiale. Infatti, una valutazione del metabolismo delle lipoproteine ricche in trigliceridi (chilomicroni, VLDL) per mezzo di un carico orale di grassi potrebbe risultare utile per definire il rischio dei singoli pazienti, ma è difficilmente standardizzabile. Delle ipertrigliceridemie esistono forme sia genetiche o primitive sia acquisite o secondarie. Le forme genetiche o primitive, dovute a deficit di LPL o apo CII o a varianti di apo E (in particolare ε2/ε2), comprendono la chilomicronemia o iperlipoproteinemia di tipo I, l'iperlipoproteinemia di tipo V, il deficit di HGTL, la dislipoproteinemia familiare o iperlipoproteinemia di tipo III, l'ipertrigliceridemia familiare, la frequente e notevolmente aterogena iperlipidemia familiare combinata (che ha una prevalenza di circa 1/250-1/300 nella popolazione generale), l'ipertensione dislipidemica familiare, nonché alcune sindromi genetiche rare caratterizzate da bassi livelli di HDL. Le forme acquisite o secondarie, di gran lunga più comuni, accompagnano il più delle volte un diabete mellito (non soltanto di tipo 2, ove la ipertrigliceridemia, spesso compresente, è un elemento tra i più importanti della cosiddetta sindrome da insulinoresistenza, ma anche di tipo 1 in fase di scompenso, in cui si verifica una carenza totale di insulina, importante cofattore per l'attività della LPL), l'obesità, la gotta, la glucogenosi, l'ipotiroidismo, l'iperestrogenismo (anche indotto dai contraccettivi orali o dalla terapia sostitutiva ormonale in menopausa), le nefropatie croniche, le paraproteinemie (come il lupus eritematoso sistemico e il mieloma), l'assunzione di numerosi farmaci (diuretici tiazidici, betabloccanti selettivi e non selettivi, retinoidi), oltre a essere la conseguenza delle già ricordate influenze nutrizionali, tra le quali l'abuso alcolico. Il trattamento delle ipertrigliceridemie (v. colesterolo) è essenzialmente affidato all'impiego dei fibrati e dell'acido nicotinico, anche se recentemente sono state introdotte in terapia delle statine che, accanto alla prevalente attività ipocolesterolemizzante, hanno dimostrato di possedere una discreta efficacia ipotrigliceridemizzante (atorvastatina).

Bibliografia

d.s. fredrickson et al., Fat transport in lipoproteins, "New England Journal of Medicine", 1967, 276, pp. 34-44, 94-103, 148-56, 215-26, 273-81.

The hypertrygliceridemias: risk and management, ed. G. Assmann, A.M. Gotto jr., R. Paoletti, "American Journal of Cardiology", 1991, 68, pp. 1A-42A.

d.b. zilversmit, Atherosclerosis: a postprandial phenomenon, "Circulation", 1979, 60, pp. 473-85.

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