TREVISO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (2000)

TREVISO

G. Valenzano

(lat. Tarvisium; Tervisium nei docc. medievali)

Città del Veneto, capoluogo di provincia, situata nella pianura alla confluenza nel Sile del torrente Botteniga.

T. sembra costituire un caso emblematico di continuità urbana tra età imperiale e altomedievale. La città, di fondazione romana, è caratterizzata dal perimetro quadrilatero costituito dal corso del Sile e del Botteniga e dal canale di collegamento Roggia-Siletto, quadripartito dall'incrocio del cardine e del decumano.Importante roccaforte in età gota, per tutto l'Alto Medioevo T. è chiamata civitas e risulta sede di un'intensa attività economica. All'età longobarda risalgono una guarnizione da cintura in bronzo e il pendaglio di collana ascritto all'inizio del sec. 7° (La Rocca, 1989, p. 107). Una fibula a staffa, del tipo già diffuso in Pannonia, è stata rinvenuta a Oderzo (Mus. Civ., inv. nr. 60). Nel territorio di T. sono state ritrovate tracce di necropoli longobarde e in particolare nei pressi di Vittorio Veneto sono state rinvenute, già a partire dal 1842, diverse sepolture, tra cui una con crocetta aurea e spada; a Farra di Soligo spade e umboni; a Tarzo una sepoltura con fibula zoomorfa, armille bronzee e fibula dal corpo romboidale (La Rocca, 1989, p. 121).Felice, primo vescovo trevigiano, attestato da un diploma di Alboino, fu compagno di viaggio di Venanzio Fortunato e noto per essere andato incontro ai Longobardi presso il Piave nel 569 (Motta Broggi, 1989, p. 270). Mancano testimonianze monumentali di età paleocristiana, a eccezione del pavimento musivo di sec. 4°, rinvenuto in via delle Canoniche Vecchie nel 1969, di discussa destinazione (Motta Broggi, 1989, p. 271). Nulla si sa della cattedrale del vescovo Felice, a cui sono stati riferiti il capitello a foglie mosse (Treviso, Mus. Civ. Luigi Bailo) e i due plutei oggi murati all'interno del duomo. Il complesso della chiesa matrice fu probabilmente ristrutturato in età carolingia - quando il ducato di età longobarda fu trasformato, con alcune riduzioni territoriali, nel comitato di T., attestato nell'829 - come parrebbero indicare alcuni capitelli altomedievali reimpiegati nella cripta del 12° secolo. Verso la fine del sec. 9° il vescovo Landolo donò una serie di manoscritti al monastero di San Gallo, dove aveva trascorso la giovinezza.La tradizione locale ricorda nel 1025 il trasporto nella cattedrale, dedicata a s. Pietro, del sarcofago dei Ss. Fiorenzo e Vindemiale. Una completa ricostruzione fu realizzata nella prima metà del sec. 12°, culminata nella realizzazione di un nuovo pavimento musivo nel 1141, secondo la data dell'iscrizione, scoperta nel 1739 nell'area presbiteriale, che celebra l'artista Uberto. Del duomo del sec. 12° si è interamente conservata soltanto la cripta, seppure con modifiche seriori. Si tratta di un'ampia struttura 'a sala' suddivisa in undici navatelle da sessantotto colonne. L'abside nord inscritta è articolata da nicchie, riprendendo un modello elaborato nel cantiere della S. Marco contariniana. I resti di plutei, di cornici a niello e i lacerti musivi con disegni geometrici in opus sectile alternati a riquadri con figure animali e vegetali in opus tesellatum, secondo una tipologia diffusa nell'area lagunare nel sec. 12°, suggeriscono che la ricostruzione del duomo, completata nel 1141, è stata realizzata da maestranze lagunari. Il battistero, dedicato a s. Giovanni, è frutto di un restauro filologico terminato nel 1935 (Coletti, 1926, p. 27). Oltre alla cattedrale sono attestati la chiesa di Santa Sofia e, dal sec. 8°, i complessi monastici di Ss. Maria e Fosca, dipendente dal monastero di S. Silvestro a Nonantola, e della chiesa di S. Martino. In età carolingia si edificarono le chiese di S. Bartolomeo, S. Agostino e S. Gregorio. Nel sec. 10° si rinforzò il perimetro urbano.Il più antico monastero documentato nel Trevigiano è quello dei Ss. Pietro, Paolo e Teonisto a Casier, attestato nel 710, dipendente dal monastero veronese di S. Zeno. A Mogliano, alla fine del sec. 10°, i Benedettini dedicarono la chiesa alla Vergine. Della chiesa, completamente ristrutturata a partire dal Cinquecento, rimangono alcuni settori murari. Delle strutture monastiche sono ancora leggibili alcune arcate del chiostro, realizzate nel 1184, e il suo ampliamento duecentesco, oltre a una cappella, identificata con quella dedicata a s. Benedetto ricordata dai documenti, ove recentemente è stato rinvenuto un ciclo di affreschi messo in relazione con la documentata presenza del pittore fiorentino Filippo nel monastero nel 1348. L'8 agosto 1106 fu fondata l'abbazia di S. Maria Bona di Vidor, in seguito alla donazione da parte di nobili bellunesi di una cappella dedicata a s. Maria di Vidor all'abate di Pomposa (Passolunghi, 1977, p. 242). Del complesso monastico si è ben conservato soltanto il chiostro, a pianta quadrata, con sei arcate per lato, impostate su ventiquattro colonnine con capitelli scolpiti, di diretta derivazione da quelli del chiostro di Follina, distante pochi chilometri, datato 1268. Un precedente chiostro è ricordato in un documento del 1202 (Passolunghi, 1977; Spagnolo, 1980). L'attuale struttura fu realizzata nel 1283, secondo quanto attesta l'iscrizione di una lapide immuratavi.Assai problematica è la definizione della fondazione del monastero di S. Maria di Follina: nel primo documento noto, che risale al 18 giugno 1170, Sofia Colfosco, sposatasi nel 1154 con Guecellone da Camino, donò numerosi terreni all'abate Pietro (Spagnolo, 1980). Del tutto infondata è la notizia, riportata per la prima volta da Torres (1900, pp. 4-18) e ripresa da Wagner-Rieger (1956, pp. 95-103), che esso sia stato in origine una fondazione umiliate. In un documento del 6 settembre 1193 si menzionano proprietà acquisite dai monaci cistercensi quarant'anni prima (Spagnolo, 1980). In un documento del 1217, riportato negli Annales Camaldulenses, si dice che i Cistercensi sono presenti da sessant'anni e più. Sulla base di queste fonti è stata ipotizzata una filiazione da Chiaravalle Milanese (Fraccaro de Longhi, 1977). Gli scavi effettuati in occasione dei restauri, diretti da Ferdinando Forlati tra il 1919 e il 1921, hanno portato alla luce tracce di fondazione di due diversi edifici. Il primo è di modeste dimensioni, di forma basilicale, con abside centrale semicircolare e absidi laterali a terminazione rettilinea. Del secondo si sono conservate le arcate a tutto sesto con pilastri, immurate nell'attuale parete sud della chiesa. La ricostruzione di quest'ultima, che inglobò parte dell'edificio precedente della seconda metà del sec. 12° e citato nell'atto del 1170, fu iniziata dall'abate Gualtiero da Lodi nel 1305 e conclusa dall'abate Nordio di T. nel 1335. Già Wagner-Rieger (1956) individuò due fasi costruttive: la prima è databile entro il 1268, anno di compimento del chiostro, realizzato dai magistri Zaccaria e Armando e a opera dei monaci Arnaldo e Andrea durante l'abbaziato di Tarino, stante un'epigrafe ivi murata (Torres, 1900, p. 15); la seconda, trecentesca, è responsabile della trasformazione del capocroce, del sovralzamento delle navate e dell'innalzamento della facciata. Dellwing (1970) ha ipotizzato che la ristrutturazione del sec. 12° sia stata realizzata intorno al 1225, sottolineando l'importanza dell'edificio, che verrebbe a essere l'anello di congiunzione tra l'architettura cistercense lombarda e quella mendicante veneta. Fraccaro de Longhi (1977) riprende la tesi di Wagner-Rieger (1956), assegnando l'edificio attuale a una data ante 1268 e attribuendo alla fase trecentesca solo la realizzazione della facciata, la sopraelevazione delle parti orientali e la costruzione del campanile. Cadei (1980) ha dimostrato che i capitelli del chiostro sono stilisticamente precedenti a quelli della chiesa, suggerendo ineludibili confronti con i capitelli delle chiese di S. Lorenzo a Vicenza (1280-1318) e di S. Anastasia di Verona (1290-1320).Lo schema planimetrico della chiesa abbaziale, a tre navate con transetto non sporgente su cui si aprono tre absidi a pianta quadrata, ha dato adito all'ipotesi di una derivazione da chiese dell'Ordine degli Umiliati. Cadei (1980) ha sottolineato, oltre alla consonanza planimetrica, i pilastri cilindrici analoghi a quelli dell'umiliate S. Maria di Brera a Milano, le lesene che salgono sulla parete della navata centrale in corrispondenza dei pilastri, confrontabili con quelli di Viboldone e di S. Maria di Brera, il portale con archivolto su stipiti lisci inscritto in un corpo a capanna, simile a quello della chiesa umiliate di Monlué, alla periferia di Milano. Dal momento che la tradizione di una fondazione umiliate è risultata non documentata - fu postulata solo all'inizio dell'Ottocento sul fatto che gli Umiliati erano dediti alla follatura dei panni, attività assai fiorente a Follina, come indica anche l'origine etimologica della località - pare difficile individuare dirette derivazioni dall'architettura umiliate: la pianta si ritrova in altre costruzioni cistercensi quali Staffarda (prov. Cuneo) e Tiglieto (prov. Genova); le arcate, i pilastri cilindrici, i capitelli trovano diretti confronti con edifici mendicanti veneti; la tipologia del portale è diffusa nelle Venezie e si ritrova, seppure realizzato in cotto, nella chiesa di S. Francesco a Treviso.Il complesso claustrale di Follina ha subìto numerose trasformazioni, culminate nella costruzione di appartamenti privati nel 1835. Furono murate alcune arcate e innalzate varie strutture, mentre l'antico refettorio fu trasformato in teatro. Per porre fine allo stato di degrado lamentato da Federico Berchet, direttore dell'Ufficio Regionale dei Monumenti del Veneto, in due missive, Giuseppe Torres fu incaricato di redigere uno studio del complesso e un progetto di restauro, che, avviato, ripristinò le diciotto arcate murate del chiostro, eliminò le trasformazioni, rifece pavimenti e soffitti.I capitelli presentano diverse tipologie, da quelli con foglie d'acqua stilizzate e stereometriche, di chiara ascendenza cistercense, a quelli con influenze veneziane nel movimentarsi delle foglie e nelle decorazioni dei fusti con motivi a zigzag o a torciglione; compaiono anche motivi figurati come una croce patente inscritta, un gallo, un'aquila, un calice, un vitello, un pesce alla base di una colonna binata.In età comunale la città di T. si espanse e nel 1178 si costruirono nuove mura che inglobarono i borghi extramuranei. Nel 1215 è ricordato il nuovo palazzo Comunale, addossato alla precedente domus lapidea, citata in un atto del 1207. La c.d. loggia dei Cavalieri, eretta tra il 1276 e il 1277 su pianta quadrata, aperta in tre lati da portici, era riccamente decorata con cicli ispirati ai poemi francesi.Nel sec. 13° si assistette all'arrivo in città degli Ordini mendicanti. Del 1230 è lo statuto De ecclesia pro Comuni ordini praedicatorum facienda (Gli Statuti, 1951-1955, I, p. 268). L'anno successivo venne emanato uno statuto in favore dei Frati Minori. Il Comune promosse l'arrivo dei frati in città e finanziò le costruzioni. Numerosi sono inoltre i lasciti testamentari in favore delle fabbriche conventuali che hanno permesso di ricostruirne le vicende architettoniche. Nel 1238 venne concessa al priore degli Eremitani fra Matteo la chiesa di S. Zeno. Pochi mesi dopo i frati costruirono ex novo una chiesa su un terreno donato da Valperto Bellacalza, posto fuori la porta S. Teonisto, nella fascia suburbana il cui stato giuridico era diverso da quello della civitas. Nel 1265 gli Eremitani eressero un nuovo edificio, intitolato come il precedente a s. Margherita, nell'area oltre il Sile, nel borgo di S. Paolo. Si realizzò così il modello urbanistico mendicante più diffuso, che vede ai vertici di un triangolo i conventi mendicanti e per baricentro la zona episcopale. Nel 1346 giunsero a T. anche i Servi di Maria, che si insediarono sull'area del palazzo dei Caminesi, distrutto dai cittadini nel 1321 dopo la cacciata di questa famiglia da Treviso.Tra le chiese degli Ordini mendicanti ancora conservate, quella domenicana, dedicata a s. Niccolò, è assai importante. Sull'esistenza di una precedente chiesa, S. Niccolò I, esistono notizie nei Decretua Tarvisii pro construtione ecclesie S. Margherite (Coletti, 1928), che fornivano le disposizioni per costruire la chiesa di S. Margherita dei Domenicani ad modum et formam della chiesa di S. Niccolò, riportando le misure in pertiche di 5 piedi di lunghezza, larghezza e altezza di quest'ultima. Se il piede adottato fu quello agrimensorio (1=m 0,408), come nel caso del S. Francesco, la chiesa doveva essere lunga m 48,96 (contro i m 85,35 dell'attuale) e larga m 14,28. Come la chiesa di S. Margherita, demolita in seguito alla soppressione napoleonica, ma ricostruita sulla base di disegni e rilievi dopo la seconda guerra mondiale, S. Niccolò I doveva essere a navata unica, con fronte a capanna, e tre absidi, probabilmente a terminazione rettilinea. Tale edificio fu quindi il più antico esempio di chiesa a navata unica realizzato nel Veneto (1231 ca.), caratterizzato da una netta distinzione tra spazio riservato ai frati e spazio riservato ai laici ("undecim pertiche in coro et tresdecim perticarum in corpore laicorum"; Coletti, 1928), e fu modello per le altre chiese trevigiane ad aula unica, S. Margherita, S. Caterina, S. Francesco.Nel 1303 si iniziò a costruire la nuova chiesa, S. Niccolò II. Con uno statuto comunale del 1313 si stabilì che per dieci anni fossero prelevate cinquecento lire sul dazio di Mestre per la costruzione del tempio (Gli Statuti, 1984, p. 674). L'erudito settecentesco Petrogalli (Federici, 1803, p. 175), riporta che la chiesa fu costruita in due campagne; la prima tra il 1303 e il 1318, anno della guerra con gli Scaligeri; la seconda dopo il 1348, con la soprintendenza di un altro architetto, frate Nicolò da Imola. Nel corpo delle navate è effettivamente individuabile un segno di cesura che parte dalla base e raggiunge il profilo del tetto. Ma l'interruzione tra le due fasi costruttive non dovette essere così lunga, dal momento che l'affresco con S. Michele Arcangelo, dipinto sulla prima colonna sud, fu commissionato con lascito testamentario da Margherita Brusega nel 1348, segno che la chiesa doveva già essere agibile a tale data. Durante la seconda campagna costruttiva la parte superiore della navata centrale rimase incompiuta, coperta con un tetto di emergenza. Nel 1389 è documentata la riscossione di denaro per la costruzione del muro di facciata, sopra la porta fino al tetto con l'oculo in mezzo (Scoti, 1737, p. 201). Nel Seicento Bartolomeo Burchelati (Milanese, 1904, p. 69) testimonia della distruzione del coro dei frati e del tramezzo, sopra il quale vi erano due pulpiti, posto oltre i due terzi del tempio. Le prime quattro colonne delle dodici che suddividono le navate, non sono dipinte, forse perché a esse stava addossato il coro. In tale zona, come nel transetto, sono visibili le tracce di una precedente copertura a volte, poi eliminate con la costruzione del soffitto a carena di nave. L'edificio, realizzato in laterizio, a eccezione di alcuni elementi ornamentali in pietra, fu restaurato e completato con il sovralzamento della zona occidentale della navata centrale e della facciata a partire dal 1854, su progetto di Tommaso Meduna. La parte orientale è caratterizzata da cinque cappelle, le due laterali a terminazione rettilinea e le tre centrali a terminazione poligonale, coperte da volte costolonate. L'abside centrale a nove lati con trafori lapidei, vera innovazione nel panorama dell'architettura mendicante nel Veneto, sarebbe stata il frutto di un recupero di elementi dell'architettura lagunare tra i secc. 11° e 12° (Dellwing, 1970, p. 92). Successivamente fu avanzata l'ipotesi di un adattamento e di una riduzione del tipo di ambulacro francese introdotto a Padova con la Basilica del Santo (Dellwing, 1990, p. 37). Cadei (1980, pp. 350-356) ha richiamato come possibile modello la soluzione del Langchor delle chiese domenicane di Coblenza (1245) e di Ratisbona (1246).La particolare altezza dell'abside e l'allungarsi delle sottili monofore sono motivi nuovi che trovarono il loro massimo sviluppo nei cori-luce delle chiese mendicanti veneziane dei Ss. Giovanni e Paolo e di S. Maria dei Frari.La vivacità culturale di T. nel Trecento è documentata dalla presenza di poeti e letterati e da uno straordinario collezionista come Oliviero Forzetta. Tale contesto contribuì allo sviluppo delle arti figurative. Già nel sec. 13° furono realizzate pitture, come attestano i frammenti con l'Anastasi e il Martirio di Tommaso Becket (1260 ca.) del palazzo Arcivescovile. Verso il 1280 è stato collocato il primo strato del palinsesto di affreschi nell'oratorio di S. Giorgio di Manzana (presso Ceneda).In alcune delle dimore private (sono trenta ca. quelle ascrivibili tra i secc. 13° e 14°, tra cui alcune case-torri) sono stati portati alla luce lacerti pittorici che illustrano motivi decorativi, come quello a vaio (1280 ca.) ritrovato recentemente nella casa di Riva Cagnàn, al ponte S. Francesco, o quello analogo del piano superiore della casa in vicolo Spineda nr. 20, temi profani, ma anche religiosi, come la Madonna tra i ss. Antonio e Cristoforo (1360 ca.) in via S. Niccolò nrr. 12-16. Dei primi decenni del Trecento T. conserva varie testimonianze pittoriche, tra cui la Crocifissione tra i ss. Pietro e Paolo nella sala capitolare dei Domenicani, di cultura lagunare, e la Madonna con il Bambino e s. Domenico, affrescata presso la porta della sagrestia di S. Niccolò, che risente ormai della cultura giottesca. Opera di Pietro da Rimini era il ciclo, purtroppo distrutto nel 1918, affrescato nella cappella vecchia di S. Salvatore del castello di Collalto presso Susegana (Fossaluzza, 1994). In città sono documentati pittori veneziani, veronesi, emiliani e fiorentini.In tale ambiente fervido si inserisce Tomaso Barisini (v.), documentato dal giugno 1349 al marzo 1354, di cui si è supposto un secondo soggiorno tra il 1360 e il 1366. Tra il ciclo dei Domenicani illustri, affrescato nel 1352 nella sala capitolare del convento domenicano, e la Leggenda di s. Orsola, dalla chiesa di S. Margherita (Treviso, Mus. Civ. Luigi Bailo), l'artista realizzò S. Girolamo nello studio e altri tre santi sul secondo pilastro nord in S. Niccolò, la Madonna e santi nella cappella Giacomelli in S. Francesco, nonché il Cristo passo nel vescovado. Se l'influenza di Tomaso Barisini fu notevole, non mancarono altre importanti presenze, come quella di Marco Veneziano, riconosciuto nella lunetta dipinta con la Madonna con il Bambino tra i ss. Francesco e Ambrogio sul portale di S. Francesco, chiesa per la quale aveva realizzato vetrate e arazzi. Di un pittore senese, tra quinto e sesto decennio del sec. 14°, già identificato con Bartolo di Fredi, è l'affresco con l'Adorazione dei Magi e s. Margherita d'Ungheria nella cappella Monigo in S. Niccolò. Giovanni da Bologna soggiornò a T. dal 1377 al 1383; Catarino Veneziano nel 1390; Marco, figlio di Paolo Veneziano, tra il 1391 e il 1399. Importanti sono i monumenti sepolcrali (Manzato, 1991).

Bibl.:

Fonti inedite. - Anonimo Foscarino, Cronaca Trevigiana (sec. 15°), Treviso, Bibl. Com., 619; B. Zuccato, Cronica Trevisana (sec. 16°), Treviso, Bibl. Com., 593; B. Burchielati, Gli sconci et diroccamenti di Trevigi nel tempo di mia vita (1630), Treviso, Bibl. Com., 1046a-1046b; N. Cima, Le tre faccie di Trevigi. Notizie storiche, letterarie, artistiche. Secolo, Chiesa, Chiostro di Treviso (1630), Treviso, Bibl. Com., 643; Da Trevigi, Descrizione delle chiese e monasteri, pitture, sculture che si trovano nelle città di Trevigi (1670), Treviso, Bibl. Com., 1419; V. Scotti, Raccolta di documenti trevigiani (sec. 18°), Treviso, Bibl. Com., 957; F. Avanzini, Series documentorum redactorum studio et diligentia Philippi Avanzini anno 1792, Treviso, Bibl. Com.; F.S. Fapanni, La città di Treviso esaminata nelle chiese, luoghi pubblici e privati, con le iscrizioni esistenti e perdute e colla descrizione delle pitture (1891-1892), Treviso, Bibl. Com., 1355; G. Bampo, I pittori fioriti a Treviso e nel territorio. Documenti inediti dal secolo XIII al XVII dell'archivio notarile di Treviso (sec. 19°), Treviso, Bibl. Com., 1410.

Fonti edite. - G. Bonifacio, Historia Trevigiana, Treviso 1591; A. Scoti, Memorie del Beato Benedetto XI pontefice massimo detto pria Frate Nicolò da Trevigi dell'Ordine de' Predicatori, Treviso 1737; G.A. Bonifacio, Istoria di Trevigi, Venezia 1744; G.B. Verci, Storia della Marca Trevigiana e Veronese, XII, Venezia 1789; D.M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di disegno dal Mille e Cento al Mille Ottocento, per servire alla storia delle belle arti d'Italia, Venezia 1803; Gli Statuti del Comune di Treviso degli anni 1207-1218, 1231-1233, 1260-1263, a cura di G. Liberali, 3 voll., Venezia 1951-1955; Gli Statuti del Comune di Treviso (sec. XIII-XIV), a cura di E. Betto, I, Roma 1984.

Letteratura critica. - L. Cricco, Indicazione degli oggetti di belle arti di Treviso, Treviso 1829; M. Sernagiotto, Passeggiata per la città di Treviso verso il 1600 e memorie illustrative di cose e fatti anteriori, Treviso 1869; L. Bailo, Degli affreschi salvati nella demolita chiesa di S. Margherita in Treviso, Treviso 1883; C. Agnoletti, Treviso e le sue pievi, Treviso 1897; G. Torres, Cenni storici e documenti sul monastero cistercense di Follina. Ricerche dell'ottobre 1897, Mestre 1900; G. Milanese, La chiesa monumentale di Treviso brevemente descritta, Treviso 1904; G. Biscaro, Per la storia dell'arte in Treviso, I, L'inventario di un pittore trevigiano della prima metà del Trecento, Treviso 1910; J.J. Berthier, Le chapitre de S. Nicolò de Trévise, Roma 1912; L. Coletti, Treviso (Collezione di monografie illustrate. Italia artistica), Bergamo 1926; id., Il tempio monumentale di S. Nicolò, L'Illustrazione veneta 3, 1928, 4, pp. 69-72; A. Piovesan, Ville e palazzi trevigiani. La casa romanica di Castel Menardo in Treviso, ivi, 5, 1930, 10, pp. 5-6; Mostra della ricostruzione degli edifici storici ed artistici danneggiati dalla guerra, a cura di G. Mazzotti, cat., Treviso 1952; R. Wagner-Rieger, Die italienische Baukunst zu Beginn der Gotik (Publikationen des Österreichischen Kulturinstituts in Rom, 1), I, Oberitalien, Graz-Köln 1956; G. Mina, Il tempio di San Nicolò di Treviso, L'architettura 4, 1959, 7, pp. 488-493; M. Botter, S. Caterina di Treviso chiesa e convento dei Servi (1346-1372), Roma 1963; L. Coletti, Tomaso da Modena, a cura di C. Rosso Coletti, Venezia 1963; G. Mazzotti, Relazioni ed interventi nella giornata di studi sull'urbanistica di Treviso, Bollettino del Centro internazionale di studi di architettura A. Palladio 6, 1964, pp. 46-65; G. Renucci, L'arca dei da Camino a Treviso, Nuova antologia 99, 1964, pp. 504-510; V. Sgarbi, San Pietro di Feletto, gli affreschi, Treviso 1968; A. Sartoretto, Cronotassi dei vescovi di Treviso (569-1564), Treviso 1969; H. Dellwing, Studien zur Baukunst der Bettelorden in Veneto. Die Gotik der monumentalen Gewölbebasiliken, München-Berlin 1970; G. Netto, Treviso medievale e i suoi ospedali, Treviso 1974; G. Bozzolato, Saggio d'iconografia trevigiana, Treviso 1976; L. Fraccaro de Longhi, S. Maria di Follina. Una filiazione di Chiaravalle Milanese nel Veneto, Arte lombarda, n.s., 1977, 47-48, pp. 5-30; P.A. Passolunghi, Abbazie soggette a Pomposa in diocesi di Ceneda, Benedictina 24, 1977, pp. 225-250; A. Rizzi, Le chiese degli Ordini mendicanti a Treviso nel Duecento e Trecento in rapporto col contesto storico ambientale, Ateneo veneto, n.s., 17, 1979, pp. 3-18; F. Zuliani, Tomaso da Modena, in Tomaso da Modena, a cura di L. Menegazzi, cat., Treviso 1979, pp. 75-109; M. Botter, Affreschi decorativi di antiche case trivigiane dal XIII al XV secolo, Treviso 1979; id., Le case affrescate, in Treviso nostra. Ambiente, storia, arte, tradizioni, Treviso 1980, pp. 231-261; E. Spagnolo, L'abbazia di Santa Bona di Vidor, Cittadella 1980; Tomaso da Modena e il suo tempo, "Atti del Convegno internazionale di studi, Treviso 1979", Treviso 1980; F. Zuliani, Proposte per Tomaso, ivi, pp. 249-256; A. Cadei, Si può scrivere una storia dell'architettura mendicante? Appunti per l'area padano-veneta, ivi, pp. 337-362; I. Boccanero, Le vie di Treviso, storia, arte e toponomastica, Treviso 1981; R. Gibbs, L'occhio di Tomaso. Sulla formazione di Tomaso da Modena, Treviso 1981; C. Lamanna, F. Pittalunga, Treviso, la struttura urbana, Roma 1982; D. Rando, Minori e vita religiosa nella Treviso del Duecento, in Minoritismo e centri veneti nel Duecento, a cura di G. Craco, Trento 1983, pp. 63-91; R. Gibbs, A Group of Trecento Bolognese Painters Active in the Veneto, BurlM 124, 1984, pp. 77-86; H. Dellwing, L'architettura degli Ordini mendicanti nel Veneto, in Storia e cultura a Padova nell'età di S. Antonio, "Atti del Convegno internazionale di studi, Padova-Monselice 1981", Padova 1985, pp. 457-465; D. Rando, Eremitani e città nel secolo XIII: l'esempio di Treviso, in Sitientes venite ad aquas. Nel giubileo sacerdotale del vescovo di Treviso mons. Antonio Mistrorigo, a cura di L. Pesce, Treviso 1985, pp. 475-507; T. Franco, Affreschi trecenteschi della chiesa di San Francesco a Treviso, Arte veneta 40, 1986, pp. 12-19; M. Lucco, Pittura del Duecento e del Trecento nelle province venete, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 113-149; Facciate affrescate trevigiane. Restauri, cat., Treviso 1989; R. Gibbs, Tomaso da Modena. Painting in Emilia and the March of Treviso, 1340-1380, Cambridge 1989; C. La Rocca, Le fonti archeologiche di età gotica e longobarda, in Il Veneto. Dalla ''Venetia'' alla Marca Veronese, a cura di A. Castagnetti, G.M. Varanini, Verona 1989, I, pp. 81-163; M. Motta Broggi, Treviso, in Il Veneto nel Medioevo. Dalla 'Venetia' alla marca veronese, a cura di A. Castagnetti, G.M. Varanini, Verona 1989; R. Alessandrini, S. Francesco di Treviso. Aspetti edilizi e pittorici, Il Santo, s. II, 30, 1990, 2-3, pp. 239-274; H. Dellwing, Die Kirchenbaukunst des späten Mittelalters in Venetien, Worms 1990; A. Cadei, ''Secundum loci conditionem et morem patriae'', in Saggi in onore di Renato Bonelli, Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, n.s., 15-20, 1990-1992, pp. 135-142; E. Manzato, Architettura, pittura e scultura nel Medioevo trevigiano (secoli XI-XIV), in Storia di Treviso, a cura di E. Brunetta, II, Venezia 1991, pp. 399-412; Storia di Treviso. Il Medioevo, a cura di D. Rando, G.M. Varanini, Venezia 1991; T. Basso, Treviso illustrata. La città e il territorio in piante e vedute dal XV al XX secolo, Padova 1992; R. Gibbs, Treviso, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. Lucco, Milano 1992, I, pp. 178-246; E.M. Zordan, Simbolo e poesia nell'architettura monastica cistercense dell'abbazia di Santa Maria in Follina, Vicenza 1993; D. Rando, Presenza mendicante nella diocesi di Treviso in età medievale. Momenti e problemi, Nuova rivista storica 77, 1993, pp. 349-372; id., Momenti e problemi della presenza mendicante in età medievale, in Diocesi di Treviso. Storia religiosa del Veneto, Roma 1994, pp. 351-386; G. Fossaluzza, I dipinti murali trecenteschi in Santa Maria Nova di Soligo e un compendio della pittura di Due e Trecento nell'alto Trevigiano, in Santa Maria Nova di Soligo, Treviso 1994, pp. 79-157; G. Garatti, Treviso sotterranea, dal Medioevo al Rinascimento, Treviso 1995; C. Guarnieri, Ristudiando Giovanni da Bologna, Arte veneta 49, 1996, pp. 46-51.G. Valenzano

CATEGORIE
TAG

Seconda guerra mondiale

Monastero di san gallo

Ordine degli umiliati

Margherita d'ungheria

Bartolomeo burchelati