TRANSAMINASI

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

TRANSAMINASI

Armando Edilio RAGGIO-GUARNASCHELLI

Le transaminasi (un tempo note anche come aminoferasi) sono enzimi, molto diffusi negli organismi animali e vegetali, che catalizzano il processo di transaminazione, cioè il processo reversibile per cui un aminoacido (R−NH2−COOH) trasferisce, senza liberazione di ammoniaca, il proprio gruppo aminico ad un α-chetoacido (R−CO−COOH) con conseguente formazione del chetoacido e dell'aminoacido corrispondenti rispettivamente all'aminoacido e al chetoacido primitivi.

Condizione essenziale della transaminazione è la presenza, nel sistema di reazione, di almeno un elemento bicarbossilico; inoltre, molto probabilmente, è necessaria la preventiva formazione di un corpo di condensazione (base di Schiff), nel cui interno avviene la trasposizione del gruppo aminico con conseguente formazione di un tautomero che, scindendosi, libera i nuovi prodotti. Verosimilmente il ruolo delle t. consiste appunto nel favorire la trasformazione della base di Schiff nella sua forma tautomera. Si conoscono due t.: la glutammico-ossalacetica (G.O.T.) e la glutammico-piruvica (G.P.T.); il gruppo attivo è, in entrambe, l'estere monofosforico del piridossale mentre, cosa che spiega la differente specificità di substrato, l'apofermento è diverso. Dalle reazioni catalizzate dalle due t. (per le quali vedi lo schema alla colonna seguente) appare che, grazie ad esse, gli organismi, partendo da prodotti del ricambio intermedio glicidico, sono in grado di sintetizzare gli aminoacidi ac. aspartico, ac. glutammico e alanina.

Nell'uomo la G.O.T. è localizzata soprattutto nelle fibre miocardiche e la G.P.T. negli epatociti; perciò, quando questi elementi vanno incontro a processi di necrosi, come avviene nell'infarto miocardico e nelle epatiti, in particolare nell'epatite virale, i fermenti si riversano in quantità abbondante nel sangue provocando un cospicuo innalzamento della corrispondente attività enzimatica del siero. Ne consegue che la determinazione dell'attività transaminasica sierica ha assunto un importante ruolo nella diagnosi di laboratorio dell'infarto miocardico e delle epatiti. Nell'infarto del miocardio l'aumento della G.O.T. è molto precoce (12-24 h dall'inizio della sintomatologia) e fugace (5-6 giorni), ma tanto caratteristico da permettere senz'altro di formulare la diagnosi anche in assenza di ogni altro dato; infatti l'unica altra sindrome in cui si è riscontrato un cospicuo aumento della G.O.T. è la pancreatite acuta. Nell'infarto miocardico, la G.O.T., oltre che dal punto di vista diagnostico, è preziosa anche da quello prognostico perché, in linea di massima, l'aumento di attività è proporzionale al danno anatomico, tanto che valori superiori alle 200 unità orientano verso una prognosi infausta.

La G.P.T., che si modifica scarsamente nell'infarto miocardico, aumenta nelle epatiti e, anche qui, il suo livello è in genere proporzionale all'entità del danno epatocellulare.

L'attività transaminasica sierica si determina con metodi spettrofotometrici e colorimetrici. I primi misurano la diminuzione di estinzione cui va incontro il sistema di reazione per la deidrogenazione del difosfopiridinnucleotide ridotto (cozimasi ridotta) che si verifica per permettere la riduzione, in presenza di deidrogenasi malica o di deidogenasi lattica, dell'ac. ossalacetico o rispettivamente dell'ac. piruvico, formatosi in seguito a transaminazione. in ac. malico (nel primo caso) o in ac. lattico (nel secondo).

I metodi colorimetrici, meno esatti ma più pratici, invece determinano la quantità di ac. piruvico formatasi previa trasformazione del chetoacido nel corrispondente fenilidrazone.

Come unità transaminasica è stata adottata quella spettrofotometrica proposta da F. Wroblewski e I. S. La Due, che corrisponde ad una diminuzione di estinzione di 0,001 per 1 cm3 di siero al minuto e alla lunghezza d'onda di m μ 340. I valori normali per l'uomo sono di 10-40 unitá G.O.T. e di 10-25 unità G.P.T.

Bibl.: I. S. La Due e F. Wroblewski, in Science, CXX (1954), p. 497; F. Wroblewski e I. S. La Due, in I. Lab. Clin. Med., XLIV (1954), p. 958; F. De Ritis, M. Coltorti e G. Giusti, in Minerva Medica, XLVI (1955), p. 1207; A. Karman, in J. Clin. Invest., XXXIV (1955), p. 131; F. Wroblewski e I. S. La Due, in Proc. Soc. exp. Biol. a. Med., XC (1955), p. 210; F. De Ritis, M. Coltorti e G. Giusti, in Annali di Sanità Pubblica, XVIII (1957), p. 637.

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