Tortura

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

tortura

Silvia Moretti

Far soffrire e umiliare un altro essere umano

Torturare vuol dire infliggere deliberatamente a una persona che non può difendersi una sofferenza acuta, sia fisica sia psicologica. La tortura, praticata già nel mondo antico, fu adoperata tra il 13° e il 17° secolo soprattutto per estorcere confessioni nel corso dei processi. Ai giorni nostri non è ancora scomparsa, soprattutto nei paesi con regimi dittatoriali o totalitari

Dall’antichità all’Età moderna

Si parla di tortura giudiziaria quando, nell’amministrazione della giustizia, è considerato lecito il ricorso a mezzi violenti per estorcere una confessione e accertare l’eventuale colpevolezza dell’imputato. Nell’antica Grecia e a Roma i codici disciplinavano il ricorso alla tortura giudiziaria: era lecito, per esempio, torturare uno schiavo ma non un individuo libero. Nella Roma imperiale l’applicazione della tortura venne estesa ai casi di lesa maestà, a coloro che si spacciavano per maghi e ai colpevoli di falso.

Con la fine dell’Impero Romano d’Occidente la tortura giudiziaria cadde in disuso: le popolazioni barbariche, infatti, non la praticavano. Nel 13° secolo, però, la rinascita degli studi di diritto romano la riportò all’attenzione, facendone dilagare la pratica in Italia e in Europa. Anche la Chiesa di Roma – con la bolla Ad extirpanda (1252) del papa Innocenzo IV – legittimò l’uso della tortura nei processi di eresia.

Tortura, giustizia e pena

Nei processi che si svolgevano in Europa in Età moderna la confessione del colpevole aveva un’importanza enorme. Il giudice, che era l’unico arbitro del procedimento, voleva a tutti i costi strappare una confessione all’imputato, che diventava così il principale accusatore di sé stesso. Questo era quanto avveniva, per esempio, nei processi di stregoneria, dove le donne accusate del reato – spesso deboli di mente, emarginate, povere e senza protezione – finivano esse stesse per convincersi di essere delle streghe e confessavano ciò che i loro torturatori volevano.

Nel corso del processo l’imputato veniva condotto in catene nella stanza della tortura, per avere un’idea di cosa lo aspettasse. Se la minaccia non bastava a farlo parlare, la tortura veniva applicata per gradi secondo quanto stabilito dal giudice. Gli strumenti erano più o meno gli stessi in tutti i paesi in cui vigeva il diritto romano: la corda, che consisteva nell’appendere l’inquisito per le mani legate dietro la schiena; il cavalletto, una specie di ruota con la quale venivano tirati contemporaneamente, dalle mani e dai piedi, gli arti della vittima; la sedia delle streghe, un sedile irto di chiodi reso incandescente. Terribile, perché fiaccava ogni capacità di resistenza, era la veglia imposta, il tormentum insomniae.

Ma ai supplizi non sfuggivano neanche coloro che erano già stati condannati: così gli schiavi nel mondo antico, così in Età moderna. Con l’Illuminismo si sarebbe levata alta la condanna della tortura (Beccaria) e tra la fine del 18° secolo e l’inizio del successivo molti Stati ne avrebbero decretato l’abolizione.

La tortura nel mondo contemporaneo

All’articolo quinto della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si legge: «Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumane o degradanti». Approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1948, questa dichiarazione fu firmata da oltre 150 paesi. Ciò nonostante, alla tortura si ricorre ancora sistematicamente in molti paesi. Punizioni corporali giudiziarie come l’amputazione, la fustigazione e la marchiatura a fuoco sono previste dalle leggi di alcuni paesi africani e arabi, per esempio la Nigeria, il Sudan, l’Arabia Saudita. Alcuni regimi non democratici ricorrono sistematicamente alla tortura per terrorizzare la popolazione, estorcere informazioni e umiliare i nemici politici.

Proprio perché la tortura è in aperta contraddizione con i principi e le pratiche della democrazia, la comunità internazionale ha reagito con particolare sdegno, nel 2004, alla notizia diffusa in tutto il mondo delle sevizie inflitte ad alcuni detenuti iracheni nel carcere di Abu Ghraib, vicino a Baghdad, da parte del personale della polizia militare degli Stati Uniti. Va peraltro ricordato che il personale coinvolto è stato sottoposto a processo dalla giustizia americana.

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