TOREUTICA

Enciclopedia Italiana (1937)

TOREUTICA

Pericle DUCATI
Filippo ROSSI

. Il termine indica l'arte di lavorare il metallo in incavo e a rilievo, e deriva dal verbo greco τορέω "perforo, passo fuori", da cui τορεία, cioè il lavoro d'intaglio (non solo in metallo, ma anche in pietra e nel legno) e τορευτης, l'intagliatore, il cesellatore. La parola corrispondente in latino è caelatura. La lavorazione del metallo avviene coi processi del martellamento, dello stampo, della cesellatura, dell'incisione, operando in una sola massa o rapportando i pezzi e riunendoli meccanicamente o con la saldatura. Il metallo più usato è il bronzo, ma l'arte della toreutica si applica pure all'oro e all'argento, sì da foggiare recipienti e utensili di uso comune, oppure oggetti d'ornamento arricchiti e resi leggiadri da decorazione geometrica, vegetale, figurata.

Antichità. - Per l'Egitto l'arte della toreutica ci è documentata sin dall'inizio dell'Antico impero (3000 circa a. C.); le statue del faraone Pjôpe I (della VI dinastia - 2400 circa a. C.) e di suo figlio, di bronzo martellato, sono insigni esempî di toreutica. Nelle civiltà mesopotamiche insigni sono gli antichissimi rivestimenti di colonne lignee e la lastra con aquila e due cuori del tempio di Ur in Caldea, l'elmo-parrucca d' oro della stessa provenienza, il vaso di Entemena e i rivestimenti bronzei di porte lignee di Balawat, rappresentanti le vittorie di Salmanassar II (860-825 a. C.), ora nel British Museum. Famosa è anche la lamina bronzea incisa con scene magiche, nel Museo del Louvre.

Nella civiltà cretese-micenea la toreutica assurge ad espressioni assai alte. Il vasellame è numeroso e vario; talora, come nei vasi bronzei di Tilisso, assume dimensioni grandiose. Importanti sono i rinvenimenti cretesi, oltre che di Tilisso, di Cnosso e di Moclo; per la penisola ellenica si hanno i vasi bronzei e quelli aurei ed argentei delle tombe di Micene. Appaiono nella metallotecnica cretese-micenea già altri processi di lavorazione oltre al mero martellamento: la cesellatura, per cui il rilievo o l'incavo sono raggiunti mediante il bulino; l'incisione, per cui molti particolari decorativi sono delineati con una punta acutissima; l'agemina (cioè ad gemina metalla), infine il niello (da nigellum, diminutivo di niger), per cui le incisioni nel metallo vengono riempite di sali metallici (argento, rame, piombo), o di zolfo o di borace, che assumono un colore nerastro. Veri capolavori di toreutica cretese-micenea sono le due celebri tazze d'oro da Vaphió (Peloponneso), del Museo di Atene; le lamine, lavorate in squisito modo con martellamento, sono ripiegate convenientemente su un'altra lamina liscia, che costituisce la parete interna del recipiente. Altro capolavoro di toreutica è il rhyton frammentario d'argento da Micene, con scena relativa all'assedio di una città. Da ricordare anche la maschera d'oro da una delle tombe a fossa di Micene.

La toreutica, che aveva raggiunto sì alto grado di sviluppo nella civiltà cretese-micenea, pare subisca un regresso durante il così detto Medioevo ellenico, sebbene i poemi omerici (v. Iliade, XVIII, 428 segg.: le armi fabbricate da Efesto per Achille; e Odissea, III, 425 segg.) facciano più volte cenno di opere di toreutica e di abilissimi toreuti.

Una grande esplicazione della toreutica si ha in Italia con la prima età del ferro, con la civiltà cosiddetta villanoviana (v.); ripercussioni di tale fioritura della metallotecnica si possono constatare al di là delle Alpi, specialmente nella civiltà detta di Hallstatt. È un vasto e vario campionario di vasellame e di oggetti laminati, con decorazione a motivi geometrici o a motivi vegetali ed animali geometrizzati. Nel frattempo si manifesta la toreutica siro-fenicia specialmente con tazze, sia di bronzo (trovate nel palazzo nordovest di Nimrud costruito da Assurnasirpal - 885-860 a. C.) sia d'argento, talvolta dorato, rinvenute a Cipro, a Creta, nel continente greco (Atene, Delfi, Olimpia), in Italia (Preneste e Cerveteri); la decorazione comprende figure bestiali e mostruose e scene inspirate a modelli mesopotamici ed egizî.

Ma ben presto nella Grecia, ormai pervasa da influssi dall'Oriente, e in special modo per opera della stirpe ionica, si sviluppa una florida metallotecnica, in cui peculiare è il tipo del lebete a protomi di leoni o di grifi. Questo tipo di recipiente, proprio del sec. VII-VI a. C., ci è noto da esemplari rinvenuti non solo in Grecia (Atene, Delfi, Olimpia, Ptoion nella Beozia, antro Ideo a Creta, Calauria), ma anche fuori di Grecia (Vetulonia e Cerveteri in Etruria, Preneste nel Lazio, Van in Armenia, tumulo della Garenne nella Costa d'Oro in Francia); il tipo fu verosimilmente imitato in Etruria. Erodoto (IV, 152) riferisce di mercanti ionici che, al ritorno da un viaggio a Tartesso nella Penisola Iberica, dedicarono ad Era un cratere bronzeo di tipo argolico, sulla cui sommità si innalzavano teste di grifi; da questo passo erodoteo si è voluto dedurre che questo tipo di lebete fosse originario di Argo; ma è più probabile che l'invenzione sua spetti agli Ioni d'Asia; basterà rammentarsi dei crateri aurei che Gige dedicò ad Apollo a Delfi nel 685 e per cui a recipienti di tali proporzioni derivò il nome di Gygades (Erodoto, I, 14).

Lavori di toreutica si possono, anzi si debbono considerare le statue primitive fatte di lamine metalliche insieme ribattute, così, per esempio, il colosso bronzeo di Apollo ad Amicle presso Sparta, opera di Baticle di Magnesia (circa il 550 a. C.), e la statua di Zeus Hypatos a Sparta, opera di Clearco di Reggio. Di conseguenza, opere per gran parte di toreutica furono i colossi crisoelefantini, che ebbero la loro maggiore esplicazione nel sec. V a. C. con Fidia (Zeus di Olimpia, Atena Parthenos del Partenone) e con Policheto (Era di Argo).

Ma la toreutica si esplica specialmente nel rilievo. Famoso era il tempio di Atena Chalkioikos, o "dalla casa di bronzo", a Sparta (Pausania, III, 17, 2), adornato da Gitiada di pareti bronzee con scene espresse a sbalzo, ricordanti in tal modo la decorazione di palazzi preellenici, di cui una eco è nell'omerico palazzo del re dei Feaci (Odissea, VII, 84 segg.). Non molte sono le documentazioni di questa toreutica nel bronzo di arte ellenica arcaica a noi pervenute: si possono addurre la lastra di bronzo battuto di Olimpia suddivisa a zone, in cui appare la figura eroica (Eracle in lotta col centauro) e la figura divina (Artemide alata domatrice di belve), le cosiddette lamine argivo-corinzie, di cui un pregevole esempio è venuto alla luce da una tomba di Noicattaro (Bari) con un cinturone rettangolare, pure lavorato a sbalzo, e le suppellettili della piccola necropoli di Trebenište presso il Lago di Ochrida (B.D. Filov, Die arch. Nekropol von Trebenischte am Ochridasee, 1927).

In Etruria, dopo documenti di toreutica del secolo VII, con decorazione prima geometrizzante, poi orientalizzante, con busti iconografici (busto della grotta di Iside a Vulci del British Museum), e con le maschere canopiche di Chiusi, si hanno lavori di toreutica bronzea dal sec. VI, o eseguiti direttamente da artisti greci immigrati in Etruria o da bronzisti etruschi sotto l'immediato influsso dell'arte greca. È da menzionare il grande rinvenimento di bronzi e di lamine d'argento lavorate da Castello S. Mariano presso Perugia (Museo di Perugia, British Museum, Gliptoteca di Monaco), nel quale si possono discernere due gruppi distinti per stile, di cui il più antico spetta alla decorazione di un carro; è da menzionare anche la biga di Monteleone di Spoleto, ora nel Metropolitan Museum di New York.

Scomparsa del tutto col sec. V a. C. la scultura in bronzo a lamine martellate, la toreutica si restringe alla fattura di oggetti, di vasi e di strumenti. Opera insigne di toreutica è il tripode bronzeo, in origine dorato, decima del bottino della battaglia di Platea (479) a Delfi, alto circa m. 6,50 e sostenuto da una base a serpenti attorcigliati, che è ora a Istanbul. Nel sec. V toreuti oltre che scultori furono insigni artisti, quali Mirone, Calamide, Fidia e Policleto; ma come toreuta eccelle Callimaco (v.), forse corinzio (fiorito negli ultimi decennî del sec. V a. C.), il katatexitechnos o il "raffinato". Il suo capolavoro di toreutica era la lampada d'oro con il relativo fusto di palma di bronzo del tempio di Atene Poliade o Eretteo (Pausania, I, 26, 6). Acquistano grande pregio anche in Grecia durante il sec. V i lavori di toreutica etrusca (v. Crizia e Ferecrate presso Ateneo. Deipnosophistai, I, 28, b; XV, 700, c): esempio prezioso sino a noi pervenuto è il celebre lampadario bronzeo di Cortona.

Ricchissima documentazione di toreutica applicata a metalli nobili si ha nei rinvenimenti dei tumuli della Crimea e della regione del Dnepr (Solokha); gli oggetti pregevolissimi, ora all'Ermitage di Leningrado, sono squisite opere con scene o mitiche o della vita scitica. A partire dallo specchio argenteo inciso e dorato e dalle coppe auree da Kelermes (Kuban′) del sec. VI, attraverso la tazza argentea con emblema inciso e dorato dal tumulo dei Sette Fratelli, attraverso i górytoi o turcassi, rhýta o vasi per bere, il vaso di elettro degli Sciti da Koul-Oba, il diadema aureo da Taman, il vaso argenteo da Nicopoli, si perviene alla produzione andante di lamine argentee figurate degli ultimi tempi ellenistici e del periodo dell'impero.

Intanto in Etruria e nel Lazio la metallotecnica si restringe essenzialmente nella produzione di ciste e di specchi, adorni di incisioni, o, gli specchi, anche a rilievo.

Ben diversa e superiore è la manifestazione della toreutica nell'arte ellenistica. È il tempo del vasellame d'argento riccamente adorno, e tale genere di arte si sviluppa nelle fastose sedi dei regni dei Diadochi, non solo in Alessandria ed in Antiochia, ma a Pergamo e a Pella di Macedonia. Già prima del periodo ellenistico si erano acquistata fama di toreuti e di cesellatori Mentore e Mie. In età ellenistica i toreuti provenivano per lo più dall'Asia Minore e propriamente dal regno pergameno: sono da menzionare Stratonico di Cizico, e Boeto di Calcedone. Di origine incerta è Acragante, ma forse era anch'egli un asiatico, poiché il suo celebre bicchiere adorno di centauri e di baccanti si trovava a Rodi. Per le vittorie dei Romani su Antioco III di Siria (190 a. C.) e su Perseo di Macedonia (168 a. C.) e per il passaggio di Pergamo in potere di Roma (133 a. C.) insigni tesori emigrarono in Roma. Al mondo ellenistico appartengono pregevolissimi cimelî di toreutica a noi pervenuti per i rinvenimenti di Hildesheim, di Boscoreale, della casa del Menandro di Pompei (v. argento, IV, p. 256 segg.; Append.); si aggiungano altri notevoli esemplari, specialmente del museo di Napoli (es., coppa con l'apoteosi di Omero da Ercolano), provenienti da Ercolano e da Pompei. Ma alcuni esemplari del tesoro di Boscoreale appartengono ormai al mondo imperiale romano per le scene storiche di cui sono adorni. E in realtà di età più tarda sono gli esemplari di altri rinvenimenti: quello di argenterie di Berthouville in Francia, la patera d'oro di Rennes, ecc.

Accanto alla tecnica del martellamento e della cesellatura nel metallo stesso del recipiente si osserva la tecnica degli emblemata o crustae, cioè di figure o di ornati riportati all'interno o all'esterno dei vasi e in essi saldati o placcati.

Lavori insigni di toreutica non solo nell'argento, ma anche, e in maggior quantità, nel bronzo provengono da Pompei: vasi e utensili diversi, nei quali si esplica la ricchezza dell'ornamentazione, spesso figurata, sono testimonianze della celebre campana supellex. Oggetti insigni di toreutica sono, per esempio, gli elmi gladiatorî e le relative gambiere, da Pompei.

Notevoli, nella produzione toreutica dell'età imperiale, sono i piatti, dal cui centro emergono come crustae o emblemata uno o due busti.. Uno degli esempi più noti è quello argenteo del trono di Berthouville coi busti di Mercurio e di Venere e con l'iscrizione Aelius, che ci indirizza all'età di Adriano. Di piatti ornati di busti si hanno esempî non solo di argento, ma anche di bronzo.

Ma vi sono anche piatti d'argento, insigni opere d'arte, adorni a rilievo con ampie scene di carattere allegorico: gli esempî più pregevoli sono il piatto di Aquileia, ora nel Museo di storia dell'arte a Vienna, con la rappresentazione di un sacrifizio per parte di Claudio (?) a Cerere, e la patera di Parabiago, alla Pinacoteca di Brera a Milano (della fine del sec. II d. C.) con varie figure mitiche e allegoriche, tra cui risalta il carro, tirato da quattro leoni, di Cibele.

Si rarefanno i prodotti di toreutica dal sec. II in poi; anzi la loro esecuzione diventa più ridotta; di ciò si ha un esempio nel rivestimento di lamina bronzea di una tensa del museo del Palazzo dei Conservatori in Roma, ove è un affastellamento di scene mitiche degenerate dai motivi della toreutica del vasellame d'argento (predominanti sono le figure del tiaso dionisiaco e del mondo marino), distribuite a zone con divisioni date da elementi architettonici. Si ricollegano in certo modo a questa tensa capitolina le magnifiche argenterie trovate a Marengo, ed ora al Museo di Torino.

Specialmente dalla Penisola Balcanica e dalla Crimea provengono esempî di tarda toreutica romana, nella quale caratteristici sono i dischi d'argento o clipei votivi con rappresentazioni a bassorilievo. Destinati a servire come sottocoppe, venivano regalati da imperatori e da alti magistrati ai loro amici in feste solenni o per ricordo, assumendo il nome di missoria. Esempi sono, nel Museo di Firenze, il clipeo di Ardabur Aspar, console del 434, con la figura sua e del suo figlioletto tra le personificazioni di Roma e di Costantinopoli (v. argento, IV, tav. LII); quello di Ginevra con Valentiniano III (imperatore dal 425 al 455) che arringa i soldati; l'esemplare più recente è quello di Kerčriferibile forse a Giustiniano.

Tardivi esempî di toreutica sono il calice d'argento di Antiochia, il cofano nuziale di Proiecta del British Museum, che faceva parte del tesoro rinvenuto nel 1793 a Roma presso la chiesa dei Ss. Silvestro e Martino e il vassoio di Corbridge (Inghilterra). È il solito repertorio (nascita di Venere con Tritoni e amorini nel cofano; divinità in un paesaggio nel vassoio) di lontana derivazione ellenistica, ma con scene stanche, schematiche.

È nella tarda toreutica talora la tecnica dell'opus interrasile, che consiste nel ritagliare la lamina metallica col martello, con la lima, col cesello, sì da formare ornati o figure a giorno. È un processo antico, per cui si possono addurre laminette bronzee cretesi intagliate a forma di figure dell'arte arcaica greca e ciste argentee di arte etrusca orientalizzante (tomba Regolini-Galassi di Cerveteri; esemplari preziosissimi del museo del Palazzo dei Conservatori e del British Museum). Per la tarda toreutica romana basterà addurre un cantaro di argento già dorato, proveniente dalla Georgia, nell'Ermitage di Leningrado; ivi le figure e gli ornati sbalzati e ritagliati risaltano su di uno strato vitreo di colore rosso scuro, sicché si ha l'apparenza di tanti scompartimenti riempiti di un vetro colorato, cioè dello smalto che i Francesi chiamano cloisonné.

Bibl.: H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste bei den Griechen und Römern, I-IV, Lipsia 1875-1887; K. O. Mueller, Handbuch der Archaeologie der Kunst, 3a ed. curata da Fr. G. Welcker, Stoccarda 1878, p. 420 segg.; E. Pernice, Das Kunstgewerbe im Alterthum, in G. Lehnert, Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino 1907, p. 45 segg.; E. Pernice, Gefässe und Geräte aus Bronze, in F. Winter, Die hellenistische Kunst in Pompeji, Berlino e Lipsia 1925; E. Saglio, s. v. Caelatura, in Ch. Daremberg e E. Saglio, Dictionnaire des antiquités, I, ii, p. 778 segg.

Medioevo et età moderna. - Anche sul principio del Medioevo continuarono nell'antico mondo classico le precedenti pratiche della ioreutica, l'uso dei varî metalli trattati a sbalzo, anche niellati se preziosi, lavorati spesso a traforo nei gioielli veri e proprî. L'Oriente cristiano, specialmente nella Siria, produsse largamente oggetti sbalzati d'argento per uso liturgico, capselle, vasi sacri (Roma, Museo cristiano vaticano; Parigi, Museo del Louvre), ma più singolare ancora per commistione di motivi classici e nuovi fu la produzione sassanide (Leningrado, Museo). La toreutica bizantina ebbe grande sviluppo specialmente nel sec. VI, quando il fasto e la potenza dell'impero favorivano l'uso dei metalli preziosi sia nell'oreficeria sacra (figure d'argento cesellato erano nell'iconostasi di Santa Sofia), sia in quella profana (il servizio da tavola di Giustiniano, fatto con l'oro tolto ai re Vandali, era decorato di bassorilievi storici e dell'immagine cesellata dell'imperatore). Le officine principali erano non solo a Costantinopoli, dove accanto alla decorazione incisa (scudo di Giustiniano trovato a Kerč) era frequente l'uso dello sbalzo (medaglioni della croce d'argento dorato del tesoro di S. Pietro in Vaticano), ma anche nella Siria, in Egitto e in Mesopotamia, donde provengono anche esempî di sbalzo su foglia d'oro, e di sbalzo fatto su stampi (ampolle del tesoro di Monza); tecniche, queste, frequenti anche nei gioielli (collare del tesoro di Mersina; tesoro di Kerynia), al pari di quella sussidiaria del niello. Caratteristica invece della seconda età d'oro bizantina (sec. IX-XII) è la decorazione incisa, sul bronzo; nelle porte le figure incise e ageminate d'argento hanno spesso le parti nude d'argento niellato. Si ha allora una ricchezza di oreficeria non minore di quella dell'età giustinianea, nei numerosi bassorilievi sbalzati d'oro e d'argento (icone da Torcello a Londra, Victoria and Albert Museum), negli arredi ecclesiastici (cofanetto del tesoro di S. Marco a Venezia; legature della Biblioteca Marciana, ivi; stauroteca di Alba Fucense, patena di Halberstadt; artoforio di Aquisgrana), nelle cornici di icone (Vich; Ochrida); di un rilievo più piatto queste, al pari delle stauroteche, e abbellite anche di filigrane, o più spesso di nielli, finirono nei secoli successivi con essere il soggetto principale dell'oreficeria bizantina, senza grandi mutamenti di tecnica, mentre nelle porte di bronzo al disegno inciso si andava sostituendo il rilievo fuso. L'influsso della toreutica bizantina si fa sentire in Italia fino dai suoi principî insieme con quello della metallotecnica barbarica; ed è evidente soprattutto negli argenti cesellati e graffiti (cappella di Grado) e in quelli di lamina d'oro lavorati su stampo o a cesello (crocette, bratteate) o negli esempî meno numerosi di decorazione a traforo; non meno che nell'uso del niello e dell'ageminatura, frequente anche negli oggetti di bronzo e di ferro, nei quali è invece più sensibile l'influsso della corrente germanica, con la sua tipica decorazione d'intrecci che risale tuttavia anch'essa alla tarda romanità. Un periodo in cui la toreutica ebbe particolare sviluppo è quello della cosiddetta rinascenza carolingia in cui lo sbalzo riacquistò tutta la diffusione che era andato perdendo nei secoli antecedenti, pur raffinandosi contemporaneamente le altre tecniche del rilievo a contorni incavati e della filigrana: massimo monumento per l'arte non solo italiana ma europea di quel periodo è l'altare d'oro di S. Ambrogio a Milano, dal quale sembrano dipendere tutti gli altri esempî di poco più tardi. Come accadde delle altre arti minori, anche la toreutica divenne allora prevalentemente un'arte monastica che, specie in Germania, ebbe officine da cui uscirono monumenti insigni (Treviri, Aquisgrana, Ratisbona, Essen, Hildesheim, Fritzlar): documento di questa durevole fioritura è nella celebre Schedula diversarum artium dove il cosiddetto monaco Teofilo ce ne descrive varî processi, che trovano perfetto riscontro nelle opere conservateci di quel periodo e di cui alcune risalgono allo stesso Ruggero di Helmershausen che non è certo sia l'autore della Schedula. Questa toreutica prevalentemente germanica dovette avvantaggiarsi delle relazioni frequenti con Bisanzio pur proseguendo la tradizione carolingia nell'uso delle filigrane e dello sbalzo. Meno ricca in quei secoli fu la produzione francese, che ebbe precoce sviluppo nel sud (statua di Saint Foy al tesoro di Conques); ancora più legata alla tradizione tecnica barbarica quella inglese, notevolmente inferiore alle altre ora accennate. Col periodo romanico acquistano sempre più importanza le officine laiche, specie nella Francia settentrionale, nelle valli del Reno e della Mosa, in Lorena e nella Germania settentrionale; più attive nell'oreficeria le scuole della Lorena e della Mosa con Godefroid de Claire, Nicola di Verdun, Ugo di Oignies; nella produzione dei bronzi quelle della valle della Mosa e della Germania settentrionale; in ambedue i campi quelle di Aquisgrana e della Francia settentrionale. In Italia si lavorò il ferro a martello e a punzone (cattedra di S. Barbato nel duomo di Benevento), il piombo anche a traforo, il rame a stampo e a cesello, dorato o argentato e anche modellato a tutto tondo (statua di Bonifacio VIII a Bologna, Museo civico); il bronzo era cesellato dopo la fusione, e decorato con disegni graffiti, con rilievi talora rapportati, con incrostazioni d'argento talvolta di figure lavorate a cesello e a punzone, con vere e proprie ageminature, non senza rivelare l'uso dello stampo nei motivi decorativi o nelle iscrizioni. Furono allora soprattutto imitate in Italia le porte di bronzo che prima si eran fatte venire da Bisanzio (Canosa, Troia); ma di quel tempo si hanno anche campane, con iscrizioni a stampo, e croci con decorazione graffita, accanto ai più numerosi monumenti di oreficeria (ornamenti, gioielli, suppellettili sacre). In questi continua il lavoro a sbalzo, con originalità di forme che riflettono le tendenze della scultura contemporanea (paliotto della cattedra di Città di Castello) o con persistente ricordo degli esempî bizantini (reliquiarî del tesoro di S. Marco a Venezia, pala del duomo di Cividale), anche attraverso il mezzo meccanico della formatura o battitura su stampi (cofanetto del duomo di Anagni, legatura del tesoro di S. Marco a Venezia) che si trovano talora diffusi in luoghi fra loro assai distanti: ma serbando sempre una costanza fondamentale di forme, interrotta soltanto dai primi influssi dello stile gotico, visibili nelle forme dei calici e nei partiti decorativi di opere come l'altare di Pistoia e il reliquiario di S. Galgano. Filigrana, ageminatura e niello continuano ad essere nell'oreficeria elemento non trascurabile di decorazione, riflettendo influssi d'oltralpe (croce di S. Maria presso S. Celso a Milano) o dell'Oriente bizantino e musulmano (tiara siciliana dell'imperatrice Costanza). Delle altre regioni d'Europa, l'Inghilterra soltanto possiede monumenti notevoli di toreutica romanica (candelabro di Gloucester a Londra, Vict. and Alb. Mus.) e ha ricordo dell'attività in tal senso di singoli artisti; mentre l'Irlanda conserva ancora con maggiore fedeltà tradizioni addirittura precarolingie. Lo stile gotico che nelle forme decorative si compiacque soprattutto di riportare motivi architettonici, applicandoli talvolta come rilievi a superficie piatte, lavora l'argento a preferenza degli altri metalli, anche battendolo per foggiare reliquiarî a forma di testa o di braccio, ma soprattutto facendone a forma di nicchie, di baldacchini con pinnacoli, in cui vengono collocate le statuette. Gli orefici francesi si volsero alla scultura in argento, e fecero prevalere il loro senso plastico anche nelle forme dei reliquiarî: grande fu la produzione di oreficeria profana, per quanto assai meno che di quella sacra ne rimanga. Dalla Francia (che raffinò allora anche la tecnica della filigrana rendendola più sciolta e meno ricca di colore), e specialmente da quella del nord, lo stile gotico si diffuse negli altri paesi: più forte il suo influsso nella Fiandra occidentale che produsse anche opere insigni, come l'arca di S. Geltrude a Nivelles, mentre più palese è in quella orientale il contatto con la Germania che abbandonò più tardi lo stile romanico, tranne che nell'alto Reno. Minore quell'influsso in Italia (da cui fu influita anche la Spagna) dove già si trovano (o persistono) elementi e modanature antiche accanto alle forme architettoniche gotiche, con tendenza ad una notevole ricchezza ornamentale: centri principali dell'oreficeria, prima Siena e poi Firenze. Più naturalmente fedele ai modelli francesi l'Inghilterra, con le sue effigie sepolcrali in bronzo e in argento, e con larga produzione sia di bronzi sia di argenti tanto sacri quanto di uso profano. Nel tardo periodo gotico la produzione di oggetti ecclesiastici fu limitata di preferenza a talune forme (ostensorî, custodia a torre in Spagna). La Germania produsse soprattutto argenti d'uso profano, applicando prevalentemente lo sbalzo che esercitò il suo influsso sulla forma dell'oggetto più caratteristico di quell'arte, il boccale, e evolvendo con senso architettonico anche quelle degli altri oggetti: fu adoperato anche l'ottone. L'Italia rimase fedele al gotico solo in qualche regione nella prima metà del sec. XV; e la Spagna ne subì sempre meno l'influsso. Il ferro fu adoperato per le armi, per le grate, per i rivestimenti di porte, e con maggior raffinatezza per serrature, per lampadarî. Il Rinascimento torna a lavorare soprattutto il bronzo: se ne fanno basi di croci, acquasantiere, turiboli, ciborî, cornici di paci in cui è sempre l'equilibrio e il senso strutturale caratteristico di quell'arte, non meno che negli oggetti profani (picchiotti, candelieri, cofanetti, campanelli, calamai, mortai) che, in Italia, Padova e Venezia particolarmente mandaron fuori: a Venezia è tuttavia anche una sopravvivenza di tecniche e di forme medievali orientalizzanti, negli arabeschi orientali e soprattutto nella produzione di bronzi che riprendono la tradizione degli argenti intarsiati di Mossul, del Cairo e della Persia. Più che nel bronzo, nel ferro trovano applicazione le tecniche proprie della toreutica: sbalzo, incisione all'acquaforte, ageminatura sono frequenti nelle armi da parata, negli stipi (Milano, Spagna). Larga la produzione di ori e argenti da chiesa in cui l'Italia soprattutto eccelle (basi della croce del Pollaiuolo e del Calvario di Esztergom); caratteristiche le paci niellate: Firenze, Siena, Bologna sono i centri principali di una produzione cui si dedicarono anche gli artisti maggiori, e che nel pieno Rinascimento si volge soprattutto al lusso profano: Benvenuto Cellini ne è allora l'artista tipico, versato in tutte le tecniche del metallo. Il tardo Rinascimento vede diffondersi le tendenze classiche anche nel nord, ma diminuire la produzione di carattere sacro. La Germania è la massima produttrice di oreficerie, ed ebbe maestri insigni come Wenzel Jamnitzer, Eisenhoit, Jakob Mores il Vecchio; l'oro e l'argento divennero comune ornamento dei mobili di ebano. Minore la produzione di oreficeria olandese e francese; un po' più ricca quella inglese, specie per l'argenteria da tavola. Il cesello fu largamente applicato sull'ottone dorato di cui si facevano orologi e altri strumenti di precisione; assai poco usato il bronzo che fu fuori d'Italia sostituito dallo stagno o dal peltro; intensa invece la produzione delle armi e delle armature in Germania. Il Barocco riflette nella metallotecnica le sue tendenze all'asimmetria, alla linea curva, alla profusione degli ornamenti: più maestoso in Francia con Luigi XIV, serba ancora forme rinascimentali nei paesi protestanti, ad eccezione dell'Inghilterra che si compiace di ricche volute e di forme esuberanti. Il rococò, che ebbe un suo carattere in Francia durante la Reggenza e sotto Luigi XV, non passò senza trasformazioni negli altri paesi: la reazione classica è già visibile negli ultimi decennî del sec. XVIII e culmina poi nello stile Impero. Rimandiamo alle singole voci intorno all'arte dei diversi paesi per quanto riguarda la toreutica nell'Estremo Oriente (v. cina; corea; giappone; india; tibet, ecc.) e alle voci particolari per più ampia trattazione dei suoi varî rami (v. bronzo; ferro; oreficeria, ecc.). (V. tavv. I-IV).

Bibl.: J. H. Pollen, Ancient and modern Gold and Silver smith's work in the South Kensington Museum, Londra 1878; H. Lüer e M. Creutz, Geschichte der Metallkunst, Stoccarda 1904-09; M. Rosenberg, Geschichte der Goldschmiedekunst auf technischer Grundlage, Francoforte 1910 segg.; G. Lehnert, Illustrierte Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino s. a.; British Museum, Guide to Mediaeval antiquities, Londra 1924 (s. v. Metalwork); P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927; A. Riegl, Spätrömische Kunstindustrie, Vienna 1927, p. 264 segg.; British Museum, A guide to the early Christian and Byzantine Antiquities, Londra 1921, p. 127 segg.; O. M. Dalton, Byzantine Art and Archaeology, Oxford 1911; Ch. Diehl, Manuel d'art byzantin, Parigi 1925-26, voll. 2.