TOMMASO Pisano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TOMMASO Pisano

Roberto Paolo Novello

TOMMASO Pisano. – Figlio e allievo di Andrea Pisano (Andrea di Ugolino di Nino da Pontedera) e fratello di Nino (Nino Pisano, v. la voce in questo Dizionario), nacque, probabilmente a Pisa, in una data ignota, ma da collocarsi verosimilmente intorno al 1320-1325.

Rispetto al padre e al fratello Nino (ritenuto solitamente di lui maggiore per nascita), Tommaso è figura meno definibile artisticamente, sia per la scarsità delle opere rimaste che per una minore rilevanza di documenti e di fonti. Si può supporre che si sia formato nella bottega del padre e abbia collaborato ad alcune sue opere assieme al fratello Nino, per poi lavorare al fianco di quest’ultimo dopo la morte di Andrea, avvenuta nel 1348 (su questa data, v. Novello, 2013). I tentativi di enucleare interventi di Tommaso all’interno del corpus di Andrea e Nino (il più ampio quello di Kreytenberg, 1984) si sono rivelati per ora insoddisfacenti, anche perché basati spesso sul semplicistico criterio di indicare la mano di Tommaso laddove si riscontra un abbassamento qualitativo. In ogni caso, nei documenti sopravvissuti Tommaso è quasi sempre indicato come orafo, e questa, oggi non ricostruibile, deve essere stata la sua attività prevalente.

La documentazione conservata intorno a Tommaso, per quanto non scarna, non è comunque sempre attinente alla sua attività artistica. La più antica attestazione rivela che nel 1362 prese parte come balestriere, con altri maestri, a una scorreria pisana in territorio fiorentino (Tanfani Centofanti, 1897, p. 26).

Diversi atti notarili, scaglionati fra il 1363 e il 1372, riguardano soprattutto acquisizioni di mutui, locazioni e acquisti di terra, anche a nome del fratello Nino, in qualche caso con strascichi legali relativi ai mutui (evidentemente non restituiti) che vanno ben oltre la morte dell’artista e coinvolgono gli eredi (Fanucci Lovitch, 1991: nei regesti della studiosa non sono specificati i nomi degli eredi). In questi documenti Tommaso è quasi sempre qualificato come orafo e viene indicata la sua residenza nella cappella pisana di S. Lorenzo alle Rivolte, dove risiedeva anche il fratello Nino.

Il 15 febbraio 1368 Tommaso comparve come testimone in due atti redatti nella Cancelleria dell’Opera del duomo; in uno di questi è testimone anche il capomaestro dell’Opera, Iacopo di Piero (Fiderer Moskovitz, 1986, pp. 209 s.). Il 28 settembre 1368 Tommaso, ancora definito aurifex nel documento, ricevette dall’Opera del duomo un pagamento per aver lavorato tredici giorni presso l’Opera «in faciendo angiulos marmoreos» (Supino, 1904, pp. 24 s.; Fiderer Moskovitz, 1986, p. 210; Caleca, 1996, p. 45, nota 140). Mariagiulia Burresi (1993, p. 262) ha ipotizzato, con molta cautela, che l’attestazione possa riferirsi a due figure marmoree di angeli con libro, a mezza figura, oggi nel Museo di S. Matteo (dalle collezioni del Camposanto; ubicazione originaria sconosciuta), che presentano alcuni contatti (soprattutto nei volti: Fattorini, 2015) con l’unica opera attestata di Tommaso (cfr. infra).

Il 5 dicembre 1368 il Comune di Pisa riconosceva a Nino Pisano (rappresentato dal figlio Andrea perché defunto) e al fratello Tommaso i crediti spettanti per i lavori eseguiti per il doge di Pisa Giovanni dell’Agnello (Fiderer Moskovitz, 1986, p. 209; Novello, 2013); il Comune assicurava il pagamento delle cifre convenute dalla vendita dei beni già appartenuti a quest’ultimo. A Tommaso veniva riconosciuto il credito di 30 fiorini per l’esecuzione e la decorazione di un cimiero in gesso e per i disegni progettuali di opere che non risultavano eseguite, ovvero il palazzo del doge, la tomba della moglie Mattea (da realizzarsi nel duomo di Pisa) e un trono in marmo che il doge voleva per sé nel coro del duomo. Le opere citate non sono ovviamente conservate; il documento è l’unico che attesti con certezza un’applicazione di Tommaso all’architettura, sia pure solo a livello di ‘disegno’. A indicare, invece, una concreta attività di Tommaso come architetto è il testo di Giorgio Vasari: «il quale [Tommaso] finì la cappella di Campo Santo, e pose la fine del campanile del Duomo, cioè quella ultima parte dove sono le campane» (Vasari, 1568, 1878, p. 493). Sia il primo riferimento (non chiaro, perché non si capisce cosa intenda esattamente Vasari con l’indicazione «cappella») sia il secondo sono in contrasto con il fatto che Tommaso non risulta mai essere stato capomaestro dell’Opera; inoltre, esiste la concreta possibilità che il coronamento della Torre risalga a tempi anteriori. Benché continui a essere tradizionalmente citata, l’attribuzione di Vasari non sembra avere fondamento e sostituisce di fatto un suo precedente riferimento a Giovanni Pisano (per un esame della questione v. Caleca, 2001).

L’unica opera certa di Tommaso è il grande polittico marmoreo policromo posto sull’altare maggiore della chiesa pisana di S. Francesco, firmato dal maestro nel basamento dello scomparto centrale con l’iscrizione: «Tomaso figliuolo che [fu di mae]stro Andr[e]a f[ece qu]esto [la]voro et fu pisano».

Nella predella dell’opera compare lo stemma della potente famiglia Gambacorta, della quale è certo il patronato sull’altare, presso il quale alcuni suoi membri importanti erano sepolti; la commissione da parte della famiglia viene generalmente posta dopo il 1369, con il ritorno a Pisa di Pietro Gambacorta dall’esilio. In tal modo il polittico rappresenterebbe un risultato estremo dell’attività di Tommaso, che l’avrebbe eseguito negli ultimi anni di vita, e dopo la morte del più dotato fratello Nino (già morto nel 1368, cfr. supra e Novello, 2013).

Ricordata nell’ubicazione originaria da Vasari (che cita la presenza del nome di Tommaso), l’opera passò successivamente nel capitolo del convento francescano; nel 1810 entrò nelle collezioni del Camposanto di Pisa, per essere ricollocata nell’ubicazione primitiva all’inizio del XX secolo, con il reintegro di alcune parti mancanti (sulle vicende Burresi, 1993, p. 260). Raro esempio trecentesco di pala d’altare scolpita a figure intere, forse esemplato su un precedente di Giovanni di Balduccio (Novello, 1992), si presenta come una grande ancona a sette scomparti nel registro principale. Al centro, in un riquadro a tre arcate, si trova la Madonna stante con il Bambino, accompagnata da quattro angeli; nelle edicole laterali i santi Benedetto (indicato anche come Antonio Abate), Andrea, Giovanni Battista, Pietro, Lorenzo e Francesco. Nella predella compaiono le scene dell’Annunciazione, della Natività, di Cristo fra i Dottori, del Battesimo, della Resurrezione e della Pentecoste; al centro il riquadro principale ospita il Cristo in Pietà tra la Madonna, s. Giovanni Evangelista e quattro angeli. L’arte di Tommaso presuppone quella del fratello Nino, dal quale sono ripresi molti stilemi (per esempio, nei panneggi), con un’evidente semplificazione formale e una minore, per quanto discreta, capacità tecnica nella lavorazione del marmo. Rispetto a Nino si notano comunque un evidente impaccio ideativo e una minore grazia, che spiegano i giudizi a volte limitativi espressi da una parte della storiografia (cfr. per tutti Supino, 1895, pp. 354 s. e Toesca, 1951). Elementi stilistici più tipici di Tommaso appaiono la compattezza e la staticità delle figure maschili, i volti marcatamente ovali della Madonna e degli angeli che la affiancano, l’intaglio piuttosto secco e abbreviato, nonché il fare compendiario e il tono quasi popolaresco delle figurazioni narrative della predella. Si notano comunque differenze esecutive fra i vari elementi (per esempio, fra la Madonna con il Bambino e i santi del registro principale, Fattorini, 2015, p. 139), tali da far pensare a un lavoro realizzato con ampia collaborazione di bottega.

Tommaso morì, verosimilmente a Pisa, fra il 5 settembre 1372 (quando fu testimone in una carta di matrimonio) e il 15 febbraio dell’anno successivo, quando in una controversia su un terreno risultano citati i suoi eredi (Fanucci Lovitch, 1991, p. 276).

Oltre alle opere già ricordate, ben poco può essere riferito a Tommaso; i tentativi compiuti da diversi studiosi di creare un corpus di opere sotto il suo nome si sono rivelati incoerenti (in particolare quello di Kreytenberg, 1984; Id., 1996) e comprensivi di manufatti sicuramente riconducibili documentariamente ad altri artefici, come la tomba di Ligo Ammannati nel Camposanto pisano, di Puccio di Landuccio e altri scultori pisani (cfr. Novello, 2016).

Tra le opere più frequentemente messe in rapporto con lo scultore deve essere segnalato il rilievo marmoreo dei Coniugi Upezzinghi-Gherardesca (Pisa, Museo di S. Matteo, già nella chiesa di S. Francesco), che, qualora fosse di Tommaso, sarebbe verosimilmente alquanto anteriore rispetto al polittico firmato (sull’opera, attribuita già da Supino, 1895, p. 356, v. Burresi, 1993, p. 261). Da rivedere in sede critica le attribuzioni di diverse sculture lignee, a cominciare da un interessante Angelo annunciante del Victoria and Albert Museum di Londra, di supposta, ma non dimostrata, provenienza dal duomo di Pisa (Burresi, 1983, pp. 190 s.). Vicine ai modi di Tommaso appaiono altre sculture lignee policrome, quali una santa priva di braccia del pisano Museo di S. Matteo (dall’omonimo convento), l’Angelo annunciante della pieve di S. Giovanni alla Vena a Vicopisano e la testa dell’Annunciata che vi si collegava (oggi nel Museo di S. Matteo), il gruppo dell’Angelo e della Madonna dell’oratorio Pesciolini a Ghizzano di Peccioli (su tutte Burresi, 2000, pp. 188-191). Di queste opere, l’ultima è quella che presenta stilisticamente maggiori punti di contatto con le figure del polittico di S. Francesco e che ha più probabilità di essere uscita dalla bottega di Tommaso. All’Annunciazione di Peccioli e al polittico pisano si può dubitativamente accostare anche l’altorilievo marmoreo con la Maddalena, già Contini Bonacossi e oggi nella collezione Salini di Asciano (Fattorini, 2015).

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, p. 493; A. da Morrona, Pisa Illustrata nelle arti del Disegno, II, Livorno 1812, pp. 401-405, tav. 10; F. Bonaini, Memorie inedite intorno alla vita e ai dipinti di Francesco Traini e ad altre opere di disegno dei secoli XI, XIV e XV, Pisa 1846, pp. 59-67, 127-129; I.B. Supino, Nino e T. P., in Archivio storico dell’arte, s. 2, I (1895), 5, pp. 343-362; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, pp. 26, 322; I.B. Supino, Arte pisana, Firenze 1904, pp. 239-245; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IV, La scultura del Trecento e le sue origini, Milano 1906, pp. 517-519; P. Toesca, Storia dell’arte italiana, II, Il Trecento, Torino 1951, pp. 330 s.; E. Castelnuovo, Andrea di Ugolino, in Dizionario biografico degli Italiani, III, Roma 1961, pp. 115-121; M. Burresi, Andrea, Nino e Tommaso scultori pisani, e schede nn. 46-48, in Andrea, Nino e Tommaso scultori pisani, a cura di M. Burresi, Milano 1983, pp. 19-36, 190-192; G. Kreytenberg, Andrea Pisano und die toskanische Skulptur des 14. Jahrhunderts, München 1984, pp. 115-120; A. Fiderer Moskowitz, The sculpture of Andrea and Nino Pisano, Cambridge-New York-Melbourne 1986, pp. 163 s., 209 s.; M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVIII secolo, Pisa 1991, pp. 274-276; R.P. Novello, La pala d’altare, in Niveo de marmore (catal., Sarzana), a cura di E. Castelnuovo, Genova 1992, p. 221; M. Burresi, Schede nn. 81, 82, 83a, 83b, in I Marmi di Lasinio (catal., Pisa), a cura di C. Baracchini, Firenze 1993, pp. 260-262; R.P. Novello, La scultura del Trecento, in Il Duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, I, Modena 1995, pp. 207-223 (in partic. pp. 219 s.); A. Caleca, Costruzione e decorazione dalle origini al secolo XV, in Il Camposanto di Pisa, a cura di C. Baracchini - E. Castelnuovo, Torino 1996, pp. 13-48 (in partic. pp. 30, 45 nota 140); G. Kreytenberg, Pisano (ii), (3), T. P., in The Dictionary of art, XXIV, New York 1996, pp. 876 s.; M. Burresi, «Or ride, or piange, or teme, or s’assecura». Poetica del sentimento e esercizio di stile nell’attività di Nino Pisano. E dintorni, in Sacre Passioni. Scultura lignea a Pisa dal XII al XV secolo (catal., Pisa), a cura di M. Burresi, Milano 2000, pp. 164-195; A. Fiderer Moskowitz, Italian gothic sculpture, c. 1250 - c. 1400, Cambridge 2001, pp. 156 s.; A. Caleca, La Torre di Pisa. Viaggio fotografico e storico, Pisa 2001, pp. 18 s.; R.P. Novello, Nino Pisano, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVIII, Roma 2013, pp. 585-590; G. Fattorini, Scheda n. 16, in La Collezione Salini, III, Addenda. Pittura e scultura (secoli XIV-XVI), a cura di A. De Marchi - G. Fattorini, Firenze 2015, pp. 132-139; R.P. Novello, Puccio di Landuccio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXV, Roma 2016, pp. 608-610.

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