TRAETTA, Tommaso Michele Francesco Saverio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TRAETTA, Tommaso Michele Francesco Saverio

Lorenzo Mattei

TRAETTA (Trajetta), Tommaso Michele Francesco Saverio. – Nacque a Bitonto il 30 marzo 1727, primogenito di Filippo, un modesto agricoltore originario di Altamura, a servizio della famiglia Sylos Labini, e di Anna Teresa Piacente, bitontina di nascita. La coppia ebbe anche un secondo figlio, Giuseppe.

Tommaso, che restò orfano di padre il 10 gennaio 1735, studiò presso la scuola gesuitica della città. I maestri del coro in cattedrale, Mauro Lella e Giuseppe Sicolo, seguirono la formazione musicale del ragazzo che, grazie al vitalizio concessogli da donna Anna Labini, vedova del notabile Cesare Sylos, fu avviato alla vita monastica nel febbraio del 1740 presso il convento di S. Maria del Monte Carmelo, retto dal prozio materno Giuseppe Piacente. Traetta ricevette la prima tonsura e il titolo di abate il 30 luglio 1741 a Napoli nel palazzo del vescovo di Bitonto, Giovanni Barba (Napoli, Archivio storico diocesano, Fondo Secretaria del Clero «Ordinazioni», Sez. Regestum testimonialium ad Ordines ab anno 1731 a 1742).

Il processetto matrimoniale redatto a Venezia il 5 settembre 1777 dal sacerdote Giovanni Domenico Brustoloni, contenente i sunti autobiografici di Traetta e della luterana Elisabeth Sund, sua promessa sposa, è il documento più attendibile circa la vita del musicista (Binetti, 1972, pp. 195 s.). Su questa base si può ipotizzare che alla fine del 1741 Traetta venisse ammesso come convittore nel conservatorio di S. Maria di Loreto, abbandonando di fatto la carriera ecclesiastica (restò abate laico) per quella musicale. Entrato nel momento in cui la direzione del conservatorio passava da Nicola Porpora a Francesco Durante, nel 1750 completò il corso di studi (nel 1748 era divenuto ‘mastricello’), durante il quale aveva iniziato a comporre musiche ecclesiastiche su commissione di chiese e conventi napoletani.

Il debutto operistico non seguì la consuetudine che impegnava in campo buffo i compositori esordienti; ebbe anzi luogo nel teatro di San Carlo con Il Farnace (4 novembre 1751), un vecchio dramma di Antonio Maria Lucchini (1724), con il bitontino Gaetano Majorano, detto il Caffarelli nel ruolo eponimo. Stando alla testimonianza di Luigi Vanvitelli, che contraddice i giudizi entusiastici dei primi biografi, l’opera non ebbe successo: «Andiede l’opera del Farnace in scena, la quale per ragione della cattiva musica di un principiante riesce pessima. Li balli sono belli» (Bossa, 1976, p. 52). Dopo un anno, nella stagione invernale 1752, Traetta debuttò al teatro dei Fiorentini con La Costanza, commedia per musica di Antonio Palomba; vi tornò poi soltanto nell’autunno del 1755 con L’incredulo, commedia di Pasquale Mililotti. Nei successivi tre anni l’attività operistica proseguì non senza fatica, limitandosi a collaborazioni con compositori della generazione precedente, Niccolò Jommelli (per l’Ifigenia in Aulide inscenata al San Carlo il 18 dicembre 1753 compose quattro arie, tra cui una per il soprano Giuseppe Aprile) e Nicola Logroscino, suo concittadino (scrisse recitativi e arie per le parti serie nel pasticcio La Rosmonda e nella commedia I disturbi, dati al teatro Nuovo nel Carnevale del 1755 e nell’estate del 1756). Dopo l’esito infelicedella Fante furba, libretto di Palomba (Nuovo, autunno del 1756), si vide costretto a continuare la carriera fuori di Napoli: la città non ospitò mai più sue ‘prime’.

Dal 1757 al 1759 si stabilì a Venezia – poi sua città d’adozione – in casa del compositore Salvatore Perillo, suo compagno di studi e amico fraterno, nei pressi del teatro di S. Cassiano. Nel 1757 poté mettere a frutto la predilezione per il genere serio in tre drammi del Metastasio: Ezio al teatro delle Dame di Roma (Carnevale; Aprile eroe eponimo), Nitteti (Reggio Emilia, 30 aprile; Gaetano Guadagni nei panni di Sammete) e Didone abbandonata (Venezia, S. Moisè, autunno; Aprile nella parte di Enea). Il 1758 fruttò due altre opere metastasiane: Demofoonte a Mantova per Carnevale (ancora una volta con Aprile, Timante) e L’olimpiade al Filarmonico di Verona in autunno (Giovanni Manzuoli e Guadagni furono Megacle e Licida). Il 27 dicembre 1758 tornò all’opera buffa con il Buovo d’Antona di Carlo Goldoni al S. Moisè di Venezia, riscuotendo un successo incondizionato: l’opera – la prima tra le sue che circolò fuori d’Italia (Barcellona 1760) – fu ripresa in altri nove allestimenti fino al 1772.

La vera svolta nella carriera si ebbe nel Carnevale del 1759 con la chiamata alla corte di Filippo I di Borbone, duca di Parma, per comporre Il Solimano, dramma di Ambrogio Migliavacca (3 febbraio): l’ottima accoglienza gli procurò la nomina a maestro di cappella e insegnante di canto delle principesse, lo stesso incarico che tre anni prima Egidio Romualdo Duni, trasferitosi a Parigi, aveva lasciato vacante (è possibile che a proporre il nome di Traetta fosse stato lo stesso Duni, suo parente per parte di madre). Il progetto del primo ministro parmense, Guillaume du Tillot, di improntare le stagioni d’opera locali al gusto francese mediante la riscrittura di celebri tragédies en musique fu messo in atto dal poeta di corte Carlo Innocenzo Frugoni e da Traetta, che nella primavera del 1759 confezionarono la «tragedia» Ippolito ed Aricia (in scena il 2 maggio, e ripresa nel 1765 per il matrimonio dell’infanta di Parma, Maria Luisa, con il principe delle Asturie, il futuro Carlo IV). L’opera prendeva a modello l’omonima tragédie en musique di Simon-Joseph Pellegrin e Jean-Philippe Rameau (Parigi 1733). Le parti di soprano degli eroi eponimi furono affidate al marchigiano Filippo Elisi, reduce dai teatri reali di Spagna, e alla romana Caterina Gabrielli, che rimase poi a lungo legata a Traetta sul piano professionale e forse anche sentimentale. Frugoni si espresse in termini entusiastici sulla musica in una lettera indirizzata a Francesco Algarotti, il quale nello spettacolo parmense vide una concreta manifestazione delle sue riformistiche «idee sopra l’opera in musica» (lettera a Voltaire, 14 novembre 1759, in Opere, XVI, Venezia 1794, p. 129). La chiusura dei teatri imposta per la morte della duchessa Luisa Elisabetta di Borbone-Parma (6 dicembre 1759) permise a Traetta nonché a Elisi e Gabrielli di accogliere la scrittura del teatro Regio di Torino per un Enea nel Lazio, dramma di Vittorio Amedeo Cigna Santi: l’opera, che andò in scena nel Carnevale del 1760, costituì un’ulteriore risposta alle istanze di riforma dell’opera seria che in quel torno d’anni svariati intellettuali andavano manifestando.

Dopo l’impegno torinese Traetta replicò la collaborazione parmense con Frugoni con il dramma I Tindaridi (Ducale, 14 maggio 1760; Gabrielli e Aprile protagonisti), ricalcati sul Castor et Pollux di Pierre-Joseph Bernard e Rameau (1737, revisionato nel 1754), e con la serenata Le feste d’Imeneo per le nozze di Isabella di Borbone con l’arciduca Giuseppe d’Asburgo (3 settembre). Il legame dinastico tra le corti di Parma e Vienna propiziò la chiamata di Traetta da parte del conte Giacomo Durazzo, direttore degli spettacoli nella capitale austriaca, per musicare al Burgtheater il suo libretto-traduzione dell’Armide di Philippe Quinault, fortemente revisionato nella versificazione da Migliavacca. Inscenata il 3 gennaio 1761, l’Armida, «azione teatrale per musica», fu confezionata in tutta fretta, stando alle parole del poeta nella seconda edizione del libretto: destinata a festeggiare il genetliaco dell’«arciduchessa sposa, principessa di Parma, sole poche settimane appena avanti tal giorno, per l’angustia del tempo è convenuto di mano in mano che andavo scrivendo la poesia passarla al compositore della musica».

Pochi mesi più tardi, tornato a Parma, Traetta scrisse per il teatro Ducale Enea e Lavinia (1° maggio) su versi di Jacopo Antonio Sanvitale (che nel 1763 subentrò a Frugoni come direttore degli spettacoli), ma l’esito fu infelice. Dopo un ritorno ai teatri impresariali e al Metastasio, con Zenobia a Lucca nell’autunno del 1761 e all’Argentina di Roma nel Carnevale seguente, dove fu male accolta, e con Alessandro nell’Indie a Reggio Emilia il 29 aprile 1762, dove Gabrielli entusiasmò l’uditorio, Traetta varcò di nuovo le Alpi per onorare la commissione di una Sofonisba da parte dell’elettore palatino Carlo Teodoro a Mannheim (4 novembre 1762). Il libretto del dramma per musica era di Mattia Verazi, fresco di nomina come poeta di corte, che ben conosceva Traetta, come attesta una lettera del 12 gennaio 1760, dove il musicista smentiva le accuse di plagio mossegli dal Mercure de France nel luglio del 1759, ringraziando il librettista per aver preso le sue parti (nel Carnevale del 1760 Verazi aveva adattato per Ignaz Holzbauer il libretto di Ippolito e Aricia). L’opera, che nella scena finale (la morte per veleno della principessa cartaginese) tocca un vertice d’inusitata violenza espressiva, riscosse ottimo successo. La maturazione stilistica che traspare dalla partitura trovò prosecuzione nell’Ifigenia in Tauride su libretto di Marco Coltellini, inscenata nella residenza viennese di Schönbrunn il 4 ottobre 1763: questo dramma per musica, uno dei più fortunati di Traetta nel genere dell’opera seria, circolò a Firenze (1767, 1772 come oratorio, 1776, 1782 come cantata), Milano e Mantova (1768), fino a una tarda ripresa a Eszterháza sotto la direzione di Joseph Haydn (1786).

Nel 1764 il legame con il sistema teatrale veneto fu rinsaldato con due drammi metastasiani, Antigono (Padova, Nuovo, giugno) e Semiramide (Venezia, S. Cassiano, 26 dicembre), inframezzati in autunno dal primo frutto della collaborazione con il commediografo Pietro Chiari, La francese a Malghera (Venezia, S. Cassiano). Tra gli ultimi incarichi parmensi – Traetta abbandonò la corte con la morte di Filippo I (18 luglio 1765) – vi furono tre azioni teatrali commissionate per omaggiare Maria Luisa di Borbone-Spagna, figlia di Carlo III, diretta a Innsbruck per le nozze con Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena: alle tappe di andata e di ritorno in Mantova furono destinati L’isola disabitata, l’«azione per musica» di Metastasio creata a Madrid nel 1753 (27-30 luglio 1765), e Il tributo campestre (settembre; ma l’esecuzione fu sospesa per il sopraggiunto decesso di Francesco Stefano I, genitore dello sposo), mentre a Bolzano a fine agosto risuonò La pace di Mercurio, versi di Zaccaria Betti.

Traetta si stabilì di nuovo a Venezia. Assunto come maestro del coro dell’Ospedaletto l’8 giugno 1766, si divise tra le commissioni sacre e devote (spiccarono l’oratorio Rex Salomon su libretto di Chiari, la cantata Pulchra ut luna, il Vespro della Beata Vergine, un Miserere, un Salve regina, un Beatus vir) e i teatri lagunari. Il S. Moisè ospitò due drammi giocosi su testo di Chiari, nell’autunno del 1766 Le serve rivali, opera buffa tra le più fortunate, e nel Carnevale del 1768 Amore in trappola, un fiasco, come testimonia una lettera di Bernardino Ottani a Giambattista Martini: «l’opera di Trajeta [...] non ha avuto gran sorte» (Bologna, Museo della musica, I.13.83). Nel Carnevale del 1767 al teatro di corte di Monaco di Baviera andò in scena Il Siroe metastasiano, una commissione che confermava l’alta considerazione conquistata nelle corti transalpine e filoimperiali. Nella Firenze del granduca Pietro Leopoldo l’apprezzamento per Traetta si manifestò con numerose riprese di opere, anche di quelle nate a corte e non facili da allestire (il 22 febbraio 1767, per la nascita della primogenita, la Pergola ripropose Ifigenia in Tauride abbinata a un prologo composto e diretto da Christoph Willibald Gluck). Per la discesa a Napoli di Maria Carolina, promessa sposa di Ferdinando IV (primavera del 1768), a Mantova fu allestito Il tributo campestre del 1765 e a Bologna si replicò L’isola disabitata.

Alla luce di questa rete di committenze auliche si comprendono le ragioni della chiamata a Pietroburgo come compositore di corte presso Caterina II, subentrando a Baldassarre Galuppi. L’8 agosto 1768 il concistoro dell’Ospedaletto nominò Antonio Sacchini maestro sostituto, da riconfermare di anno in anno, permettendo a Traetta di mantenere la carica per l’intera durata del servizio in Russia. Giunto sulla Neva alla fine di settembre del 1768, vi esordì nel successivo gennaio riproponendo L’isola disabitata e per il compleanno della zarina, il 21 aprile 1769 (del calendario giuliano), L’olimpiade nella versione revisionata da Giambattista Casti per la corte lorenese di Firenze nell’autunno del 1767.

Nel 1770 Traetta conobbe una dama svedese ventisettenne, Elisabeth Sund, sorella di due diplomatici di corte, da un anno residente a Pietroburgo, che andò a vivere con lui: una sua certificazione di stato libero, datata 9 gennaio 1775, attesta il progetto matrimoniale della coppia. Il 22 settembre 1770, anniversario dell’incoronazione di Caterina, nel teatro imperiale fu ripreso l’Antigono padovano, qui ridotto a due atti; in ottobre il balletto Le quattro stagioni, dato in onore di Enrico principe di Prussia, ebbe luogo durante una mascherata nell’istituto femminile Smol′nyj. L’elenco delle opere pietroburghesi di Traetta sconta la parziale dispersione dei documenti d’archivio e le difficoltà di accesso alle fonti primarie conservate in Russia. Il titolo successivo è di ben due anni dopo: l’11 novembre 1772 andò in scena nel teatro imperiale la «tragedia in musica» Antigona, il capolavoro indiscusso di Traetta, tanto per l’intensità espressiva delle arie e dei duetti (vi brillò ancora una volta Gabrielli), quanto per il magistrale trattamento della coralità. Autore del dramma fu Coltellini, assunto come poeta teatrale di corte; la collaborazione proseguì con Amore e Psiche (29 o 30 settembre 1773, per le nozze del granduca Paolo) e Lucio Vero (28 novembre 1774, rifacimento del dramma di Apostolo Zeno). La cantata metastasiana Astrea placata chiuse nel 1775 l’esperienza pietroburghese del musicista, che a metà agosto varcò il confine sulla via di Venezia.

Nel Carnevale del 1776 a Milano le recite della Merope, rifacimento del dramma di Zeno, furono interrotte dall’incendio che devastò il teatro Ducale. Dopo aver di nuovo richiesto al concistoro dell’Ospedaletto un maestro sostituto, nell’estate del 1776 Traetta partì per Londra, dove nel Carnevale seguente il King’s Theatre ospitò a due riprese «a new serious opera» di sua composizione, Germondo, testo di Goldoni (21 gennaio, dall’esito incerto), e Telemaco (15 marzo), libretto del conte Zaccaria Seriman da Fénelon, con Venanzio Rauzzini nei ruoli eponimi. Tornò a Venezia ai primi di luglio e infine regolarizzò il coniugio con Sund, convertitasi al cattolicesimo il 15 settembre 1777; frattanto, l’8 gennaio, era nato il loro figlio, Filippo. Ottenuti i documenti di stato libero, la coppia poté infine sposarsi il 19 novembre, testimoni l’amico Perillo, Filippo Livigni (librettista di successo) e un tal Giovanni Poletti. Appianata la situazione familiare, Traetta si dedicò alla stesura di due opere che sarebbero andate in scena nel Carnevale del 1778: al S. Benedetto La disfatta di Dario, del duca Nicola Giuseppe Morbilli, e al S. Moisè Il cavaliero errante, dramma giocoso di Giovanni Bertati. Afflitto da anni dalla tubercolosi, nei mesi successivi Traetta vide peggiorare la propria salute, tanto da lasciare incompiuto il dramma giocoso di ambientazione mitologica Gli eroi de’ Campi elisi, completato da Gennaro Astaritta per il S. Samuele nel Carnevale del 1779 (ignoto il librettista).

Morì in Venezia il 6 aprile 1779, «andando soggetto a frequenti e copiosi sbocchi di sangue dal polmone dal quale copiosissimo sorpreso la scorsa notte restò soffocato e morì all’ora 8 incirca» (Binetti, 1972, p. 212).

Traetta fu operista dedito essenzialmente al genere serio: di quarantun melodrammi solo nove furono comici; in questi ultimi peraltro il compositore accolse appieno le novità strutturali offerte dai finali d’atto sul modello del quasi coetaneo Nicolò Piccinni. Oscillando tra sguardi retrospettivi e conati innovativi, la sua arte conseguì i risultati migliori nei drammi composti per le corti d’Oltralpe, prodotti in condizioni operative vantaggiose. Contando un totale di trentatré allestimenti operistici fuori d’Italia, il maestro bitontino non si discostò dalla media dei coevi maestri napoletani, e già a pochi anni dalla morte il suo nome, fortemente legato, ieri come oggi, all’esperienza ‘riformata’ della corte parmense, scomparve dalla programmazione dei teatri. Elementi stilistici salienti furono la tendenza alla microvariazione melodica nelle arie, la scrittura imitativa degli episodi corali, sempre ben intrecciati all’azione drammatica, e il potenziamento espressivo dell’orchestra nei concertati e nei numerosi recitativi accompagnati.

Filippo, compiuti gli studi nel locale collegio gesuitico, intorno al 1790 si recò a Napoli per studiare con Nicolò Piccinni, che lo ospitò in casa propria. Aderì alla rivoluzione napoletana del 1799 e si compromise agli occhi della corte borbonica con la composizione di inni patriottici; riparò allora negli Stati Uniti d’America, sbarcando a Salem il 3 luglio 1800. A Boston, il 24 novembre, fu tra i fondatori di una Musical Academy privata: ne diresse il dipartimento di musica vocale (a quella data risalirebbe la stesura del suo primo manuale, Rudiments of the art of singing, poi pubblicato a Filadelfia nel 1841) e compose romanze e varie musiche da camera. In compagnia del cantante-impresario londinese Joseph Story, nell’autunno del 1801 si trasferì a Charleston, nella Carolina del Sud, dove nel 1803 la St. Cecilia Society gli commissionò una sinfonia e un quartetto d’archi. Nello stesso anno pubblicò a Charleston un opuscolo di rime (Delle poesie, libro primo). Ben inserito nel milieu massonico e nella rete dei concerti pubblici, rimase in Carolina fino all’inizio del 1809; il 22 dicembre di quell’anno fece rappresentare nel City Hotel di New York la farsa Harlequin’s triumph in war and in love, testo e musiche suoi. A New York entrò in affari con il violinista compositore Uri Keeler Hill, fondatore della Handelian Society, poi ribattezzata nel 1820 American Conservatorio. A New York adottò una giovane cantante, Eliza, per la quale, in data imprecisata, scrisse testo e musica dell’azione tragica Ero. Alcuni programmi di concerti attestano di nuovo la presenza del musicista a Charleston nel 1813. In compagnia di Hill si stabilì infine a Filadelfia nel 1822, dove collaborò con le principali istituzioni musicali e scrisse due oratori: The daughter of Zion (1829) e Jerusalem in affliction (1830). Per la Musical Academy, e sotto il patrocinio della Musical Fund Society, diede alle stampe An introduction to the art and science of music (Philadelphia 1829).

Morì il 9 gennaio 1854. L’ampio necrologio apparso l’indomani sul Philadelphia Evening Bulletin attesta la stima unanime di cui godé nel mondo culturale della città.

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