DOCCI, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DOCCI, Tommaso (Thomas Docii, Decii, Doctius)

Paolo Nardi

Nacque da Doccio di Abate, quasi certamente nel 1401 e forse in Siena. La data di nascita si deduce da quella di morte, avvenuta nell'ottobre del 1461, allorché, come informa l'umanista Agostino Dati, suo contemporaneo, egli aveva appena compiuto sessant'anni. Più incerto è il luogo di nascita, perché il suo nome non figura nel registro dei battezzati a Siena agli inizi del secolo XV. Tuttavia, nel primo atto pubblico che lo riguarda, risalente al 1421, è detto "de Senis" e pertanto doveva avere la cittadinanza senese, non diversamente dal padre, un modesto artigiano di oscura origine, che le fonti menzionano sempre come "civis senensis".

Negli anni dell'adolescenza il D. intraprese gli studi di ars notariae, evidentemente al fine di conseguire in breve tempo risultati concreti per un giovane la cui famiglia non apparteneva alla classe dirigente cittadina. Il 16 apr. 1421, all'età minima prescritta, che era di vent'anni, il D. conseguì l'approbatio privata e, quindi, l'ammissione all'esame pubblico di notariato, che riuscì a superare il giorno successivo, ottenendo di essere immatricolato nella corporazione dei giudici e notai di Siena. Subito dopo gli si aprirono le porte degli incarichi pubblici e già nel bimestre maggio-giugno 1421 esercitò le funzioni di notaio del capitano del Popolo. Allo stesso anno risalgono anche le pochissime notizie relative a suoi rogiti. Ma il D. perseguiva obiettivi più ambiziosi e decise di abbandonare la professione di notaio per dedicarsi interamente agli studi giuridici e all'insegnamento accademico.

Lo Studio generale di Siena vantava nel terzo decennio del Quattrocento la presenza di docenti autorevoli di diritto civile e canonico, come Niccolò dei Tedeschi detto l'"abate panormitano", reputato il maggior canonista del tempo, e i civilisti Antonio Roselli e Floriano da S. Pietro. Il D. riferisce nei suoi scritti di avere ascoltato le lezioni del Tedeschi e del Roselli, ma considera soltanto il primo come suo maestro, riservandogli l'appellativo di "dominus meus". Nello stesso periodo l'ambiente universitario senese era vivacizzato anche dalla presenza di scolari d'eccezione, attratti dal magistero di professori illustri, e vi si distinsero studenti di giurisprudenza destinati ad una brillante carriera, come Mariano Sozzini, accanto ad esponenti di primo piano della nascente cultura umanistica quali Antonio Beccadelli, Giovanni Marrasio, Giovanni Toscanella ed Enea Silvio Piccolomini, il futuro pontefice Pio II. Con alcuni di costoro il D. strinse rapporti d'amicizia, soprattutto con il Sozzini e almeno dal 1423, e più tardi, data la minore età, anche con il Piccolomini, che nell'opera De viris illustribus lo avrebbe menzionato tra i maestri di diritto della sua giovinezza, definendolo "multa memoria pollens".

Nell'agosto del 1423, essendo ancora studente, il D. fu proposto per la prima volta dai savi dello Studio senese per una lettura e il Concistoro, supremo organo di governo della città, autorizzò la condotta, purché il compenso non eccedesse la somma di 50 librae all'anno, ma non è certo che la lettura gli fosse stata affidata. Altri tre anni, comunque, dovettero trascorrere prima che il D. conseguisse il dottorato: infatti, nel novembre del 1424 figura testimone a un atto di laurea con la qualifica di "studens in iure civili" e tra il settembre e l'ottobre del 1426, essendo assurto per la prima volta alla carica bimestrale di priore del Concistoro in rappresentanza del terziere di Camollia, è menzionato con l'appellativo generico di "iurisperitus". Finalmente, nell'agosto del 1427, compare tra i "doctores" condotti ad insegnare materie giuridiche nello Studio senese: è incaricato, infatti, di tenere una lettura straordinaria ed ha per colleghi personaggi come il maestro Niccolò dei Tedeschi e i docenti perugini Benedetto Barzi e Sallustio Buonguglielmi.

Negli anni che seguirono, sino al 1431, il D. ebbe sempre confermato l'insegnamento civilistico nello Studio senese, dapprima con lo stipendio annuo di 30 fiorini d'oro, poi aumentato di 6 fiorini all'anno dal 1428 e, infine, portato a 60 fiorini nel settembre del 1430. Nello stesso tempo iniziò a svolgere attività di consulente ed a pronunciare lodi arbitrali, talora insieme con il Tedeschi, oppure con altri colleghi concittadini come il Sozzini, Pietro Pecci e Battista Bellanti. Al termine dell'anno accademico 1430-31 il D. dovette lasciare l'insegnamento per assumere la carica di podestà di Piombino e vicario generale di lacopo (II) Appiani.

Nella fase assai critica delle relazioni tra Siena e Firenze il piccolo Stato di Piombino appariva, per la posizione geografica e la collocazione politica, come un osservatorio privilegiato dei movimenti delle forze in campo. Tra il novembre 1431 e il maggio 1432, mentre si consolidava l'alleanza tra Siena, Genova e Milano e scoppiavano le prime ostilità contro Firenze, il D. intrattenne un fitto carteggio con il governo della sua città e inviò molte preziose notizie ai signori del Concistoro, specialmente in merito alla rotta inflitta nell'aprile del 1432 dai Senesi e dai loro alleati all'esercito fiorentino nel contado di Pisa, nonché sui preparativi di guerra della flotta genovese contro il porto pisano e il castello di Livorno, riguardo ai quali il D. aveva acquisito informazioni anche dall'amico Enea Silvio Piccolomini, approdato a Genova nel febbraio del 1432 dopo essersi imbarcato proprio a Piombino per recarsi al concilio di Basilea al seguito del cardinale Domenico Capranica.

Nell'ultima lettera al Concistoro (maggio 1432) il D. non solo avvertiva che stava per accendersi la battaglia per la conquista di Livorno, ma poteva dare notizia anche di altri eventi importanti come l'arrivo in Toscana attraverso Pontremoli del re dei Romani Sigismondo di Lussemburgo, diretto a Roma per esservi incoronato imperatore dal papa. Rientrato a Siena, il D., che già nel febbraio era stato estratto tra i priori del Concistoro per il bimestre marzo-aprile senza potere accettare, dovette assumere la carica per i mesi di luglio e agosto, in coincidenza con l'arrivo di Sigismondo nel territorio senese e proprio al D. spettò l'onore di rivolgere il discorso di saluto al sovrano, mentre entrava solennemente in città, il 12 luglio.

Alla fine di agosto del 1432 il D. ottenne la conferma della cattedra civilistica nello Studio senese, ma egli era ormai pienamente coinvolto nella vita pubblica. Nell'inverno successivo, infatti, fu nuovamente distolto dall'insegnamento e incaricato di recarsi a Roma per favorire la ripresa delle trattative tra la S. Sede e Sigismondo al fine di addivenire alla sua incoronazione. L'ambasceria, iniziata il 2 genn. 1433, si protrasse sino a marzo e la mediazione non risultò inutile, tant'è che nell'aprile il re dei Romani, accordatosi con il papa, partì da Siena e il 31 maggio ricevette a Roma la corona imperiale. Intanto il D. veniva nominato "sindaco" con l'incarico di provvedere alla scelta del capitano di Giustizia per il secondo semestre del 1433 e, poiché costui doveva essere forestiero, egli dovette recarsi in missione per compiere le necessarie ricerche. Successivamente, nei mesi di maggio e giugno, fu tra i componenti della Balia come dottore dello Studio e rappresentante della sua parte politica, il Monte del popolo. Infine, il 25 luglio dello stesso anno fu inviato a Firenze, insieme con Francesco di Mino Cicerchia, per trattare con i governanti di quella città alcune questioni di comune interesse rimaste in sospeso dopo la conclusione della guerra.

Le qualità di diplomatico del D. furono messe duramente alla prova nel negoziato con Rinaldo degli Albizzi e i suoi più autorevoli concittadini, dai quali i Senesi si attendevano la pronta restituzione dei prigionieri e la fine del protettorato di Firenze nei confronti del conte Orsini di Pitigliano, che ancora teneva la città di Sovana, sfuggita al controllo di Siena. Il carteggio degli ambasciatori con il Concistoro rivela le difficoltà della trattativa durante la quale i Fiorentini non dettero immediata esecuzione agli accordi di pace, limitandosi a fornire assicurazioni che lasciarono assai dubbiosi i governanti senesi e lo stesso Docci.

L'attività accademica del D. riprese sicuramente nel 1435, allorché venne chiamato a leggere diritto civile con lo stipendio di 60 fiorini insieme con Battista Bellanti e Bartolomeo Borghesi. Alla fine dello stesso anno, inoltre, egli partecipava assiduamente alle sedute della corporazione dei giudici e notai. Ma già nel maggio del 1436 fece ritorno alla vita politica, entrando in Concistoro come priore e contemporaneamente nel più ampio consesso detto Consiglio generale. Durante il suo priorato, il Concistoro perseguì una chiara politica di potenziamento dello Studio, autorizzando i savi riformatori del medesinio a stipendiare maestri di diritto tra i più celebri del tempo, come Giovanni d'Anagni, Paolo di Castro, Ludovico Pontano e Antonio da Pratovecchio. Scaduto il mandato di priore, il D. avrebbe dovuto assumere la carica di podestà di Asciano nel contado senese, ma fu costretto a rinviare la presa di servizio perché gravemente ammalato. Finalmente il 18 ottobre il D. tornò all'insegnamento con una condotta annuale e tenne lezioni sul libro VI del Codice giustinianeo, che furono trascritte dal suo scolaro Nanni di Andrea "Minnotii de Senis". A parte una breve interruzione nel dicembre del 1436, motivata dalla missione a Cetona, all'estremo Sud dello Stato senese, per fissare i confini tra il territorio di quella Comunità e la località vicina di Castello della Pieve, il D. durante circa tre anni accademici fu costantemente impegnato nell'attività didattica con uno stipendio che raggiunse 1100 fiorini annui.

Nell'estate del 1439 Siena ebbe ancora bisogno del consiglio e dell'opera di giurista e di politico del Docci. Le lotte tra due fazioni cittadine indussero il Concistoro a nominare una commissione con il compito di predisporre gli strumenti necessari per combattere il grave fenomeno. Di essa fece parte, in rappresentanza del Monte del popolo, anche il D. che dette un prezioso contributo alla stesura dei provvedimenti legislativi. Nel contempo il D. fu nominato commissario per conto di Siena con l'incarico di compiere una ricognizione dei confini tra il territorio senese e quello di Volterra nei pressi della località di Monterotondo Marittimo. La missione, svoltasi nel mese di agosto, si concluse con un fallimento; il D. ne spiegò i motivi nella relazione rimessa al Concistoro, affermando che con i commissari volterrani non era stato possibile trovare un accordo perché "v'erano venuti col pensiero fatto", nonostante le prove che il D. medesimo aveva addotto.

Nel luglio del 1439 il D. ottenne la conferma della condotta in diritto civile per il biennio successivo e riprese l'attività accademica svolgendola con una certa continuità fino al 1444 e con lo stipendio di 110 fiorini annui a partire dal 1441. In tale periodo ricoprì una sola carica pubblica, quella di consigliere del capitano del Popolo, nel bimestre luglio-agosto del 1441 - Ma nel giugno del 1444 egli era nuovamente immerso negli affari di Stato quale podestà di Lucignano della Chiana, terra sottomessa ai Senesi e in lotta secolare con la vicina Foiano, appartenente al territorio fiorentino. In tale veste il D. dovette occuparsi di liti ed episodi di sconfinamento che minacciavano i ristabiliti rapporti tra Siena e Firenze. E ancora i rapporti tra le due città furono cagione della nuova ambasceria che il D. dovette compiere a Firenze alcuni mesi dopo, nel febbraio del 1445. Dallo scambio delle numerose lettere con il Concistoro e dalla relazione finale si apprende che formarono oggetto della missione anche due vertenze delle quali si era occupato proprio il D. negli anni precedenti, ossia le controversie di confine tra Lucignano e Foiano e tra Siena e Volterra. Il D., inoltre, dovette occuparsi di altri importanti argomenti e principalmente sondare la disponibilità dei Fiorentini ad appoggiare l'entrata di Siena nella lega che univa Firenze a Venezia ed a Milano. I colloqui con Cosimo de' Medici e gli altri componenti del collegio dei Signori otto ebbero peraltro un esito solo interlocutorio e tutte le questioni principali restarono in sospeso.

Ripresa l'attività accademica, il D. fu riconfermato alla cattedra civilistica per il biennio 1445-47 con il salario di 145 fiorini, ma intanto il suo impegno nella vita politica non si affievolì. Durante il bimestre gennaio-febbraio 1446 egli sedette ancora in Concistoro, per la prima volta rivestendo l'alta carica di capitano del Popolo e in tale ruolo si adoperò anche per caldeggiare presso la S. Sede la canonizzazione di frate Bernardino degli Albizzeschi. Successivamente, nel bimestre luglio-agosto dello stesso anno fu consigliere del capitano del Popolo. Nel marzo dell'anno seguente venne chiamato, con i colleghi civilisti Goro di Niccolò Loli e Giorgio di Iacopo Andreucci a collaborare con il Concistoro per la soluzione di un grave caso che minacciava di compromettere i rapporti tra Siena e Firenze a motivo dei debiti che il mercenario Angelo Morosini, cittadino senese, aveva contratto verso un gruppo di mercanti fiorentini, costringendo il Comune di Siena ad intervenire a suo favore con il sostegno di alcuni fideiussori. Nel luglio del 1447, su consiglio del D. e dei suoi colleghi, si giunse alla conclusione dell'intricata vicenda mediante una transazione che consentì di ridurre notevolmente l'importo della somma da versare ai mercanti fiorentini.

Nella tarda estate del 1447 si profilò una nuova grave minaccia per l'indipendenza senese: il re Alfonso d'Aragona mirava a realizzare il suo antico disegno di espansione in Toscana e il 14 settembre si accampò con il suo esercito presso Montepulciano, deciso ad aggredire Firenze ed a costringere Siena ad allearsi con lui. Ma i Senesi si prepararono a resistere e il 23 ottobre inviarono ambasciatore il D. insieme con Giorgio Luti e Ludovico Petroni con il mandato di rifiutare qualsiasi alleanza "dicendo volerci conservare di mezo, né intrometterci in parte alcuna". Tre giorni dopo il D. comunicò di avere incontrato il sovrano nella Val di Chiana, ma aggiunse che il re non aveva formulato alcuna proposta "unde etiandio noi sotto silentio la passamo". Le vicende successive non ebbero il D. tra i protagonisti.

Nuove cariche e consulenze di rilievo anche politico furono affidate al D. negli anni della maturità intorno alla metà del sec. XV. Nel 1448 fu, per tutto il secondo semestre, gonfaloniere del terziere di S.Martino e come tale autorevole membro del Concistoro. Nel 1449 fu interpellato dal Concistoro medesimo, con l'amico e collega Mariano Sozzini, riguardo alla possibilità di emanare talune disposizioni contro il clero senese senza incorrere nella scomunica. Nell'aprile del 1450 gli fu conferito ancora una volta l'incarico di effettuare ricerche per la scelta del capitano di Giustizia per il semestre giugno-dicembre. Nel 1451 fu nominato arbitro per risolvere i contrasti esistenti tra l'abbazia di S. Salvatore al monte Amiata e la Comunità omonima in territorio senese. Nel 1452 fu dapprima priore dei consoli dell'arte dei giudici e notai, nel mese di luglio, e poi capitano del Popolo, per la seconda volta nel bimestre novembre-dicembre.

Durante il suo mandato di capitano del Popolo furono varate alcune disposizioni concernenti il bidello dello Studio, fatto significativo nella fase di ripresa della vita universitaria dopo la crisi del 1448-50 provocata dalla pestilenza e dalla mancanza di professori forestieri famosi. Il D. tuttavia non aveva mai interrotto l'insegnamento per lunghi periodi: dal febbraio del 1449 mantenne la sua cattedra civilistica e l'ebbe confermata fino al 1454 raggiungendo lo stipendio di 160 fiorini all'anno. Intanto nel corpo accademico, senese erano ricomparsi nomi illustri che andavano ad affiancarsi ai docenti locali e il D. ebbe per colleghi Benedetto Barzi da Perugia, Francesco Accolti e Giovanni Battista Caccialupi.

La rinascita dello Studio di Siena dopo la metà del secolo era stata favorita dalle condizioni di relativa tranquillità e fioridezza della città, ma ben presto la pace sarebbe stata gravemente turbata dall'arrivo dell'esercito di ventura di lacopo Piccinino, nella primavera del 1455. Per fronteggiare la situazione fu eletta una speciale Balia formata da quindici cittadini, della quale fece parte anche il D. in rappresentanza del Monte del popolo. Tale collegio restò in carica dal luglio 1455 al giugno 1456, allorché, dopo estenuanti trattative tra le principali potenze italiane, il Piccinino fu indotto a lasciare lo Stato di Siena. Dopo la scadenza da questo importante incarico il D. fu di nuovo consigliere del capitano del Popolo nel bimestre settembre-ottobre del 1456, mentre il 3 ottobre dello stesso anno gli fu confermata la cattedra civilistica con lo stipendio di 160 fiorini per il biennio accademico successivo.

L'elezione al pontificato di Enea Silvio Piccolomini, avvenuta il 19 agosto 1458, segnò un momento importante anche nella vita di Siena e dei suoi cittadini più colti, molti dei quali, come il D., appartenevano alla stessa generazione del nuovo papa ed erano stati in rapporti con lui dagli anni giovanili. Il D. fu designato tra gli autorevoli ambasciatori inviati a Pio II il 4 ott. 1458 per formulare una serie di importanti richieste, ma egli non restò a Roma per tutta la durata dell'ambasceria: il 17 ottobre scrisse al capitano del Popolo e, dopo averlo informato sul colloquio personale avuto con il papa la sera precedente, lo pregò di non essere più impiegato in missioni del genere che gli costavano ormai troppe fatiche.

Rientrato a Siena, il D. fu ancora professore di difitto civile nello Studio e dall'ottobre del 1459 percepì lo stipendio di 200 fiorini all'anno. Nel 1460 ebbe confermata la condotta e fu l'ultima della sua non lunga ma intensa vita. Aveva raggiunto intanto una certa fama ed ebbe a meritarsi l'appellativo di "doctor veritatis": i testi delle sue lezioni erano diffusi anche tra gli studenti dello Studio di Napoli ed egli annoverava tra i suoi allievi giovani d'ingegno come Bartolomeo Sozzini, che proprio il D. presentò per l'immatricolazione nell'arte dei giudici e notai, nel gennaio del 1461.

Nello stesso mese ed anno il Comune di Siena ebbe ancora bisogno del suo consiglio per una questione di confini con la Comunità di Colle Val d'Elsa e il D. sottoscrisse il parere espresso in merito da Mariano Sozzini.

Il D. morì a Siena il 19 ott. 1461, come attesta G.B. Caccialupi nel suo Tractatus de modo studendi et vita doctorum (editio princeps in Repetitiones Disputationes nec non Tractatus diversorum doctorum, Venetiis 1472, f. 63ra). Il Diplovatazio, citando il Caccialupi, riferisce la data del 24 ottobre, ma è certo altresì che il 20 dello stesso mese il Concistoro deliberava solenni onoranze e nel medesimo giorno Agostino Dati, cancelliere della Repubblica, pronunciava l'orazione fimebre (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Cod. lat. XIV 219 [4631], ff.96r-98v, orazione erroneamente attribuita ad Antonius Ilicinus, e Milano, Bibl. Braidense, Cod. A.F.IX.32, ff. 158r-162r). La salma fu inumata nella basilica di S. Francesco a Siena, ove ancora si legge un'iscrizione sul pavimento dell'atrio di sacrestia: "Domini Thomae Doctii et haeredum suorum". Il D., infatti, aveva generato sei figli (Francesco, Raffaello, Ludovico, Antonio, Girolamo e Filippo) e fu il capostipite e l'iniziatore delle fortune della famiglia.

L'opera giuridica del D. consisterebbe, secondo il Diplovatazio, in commentari sul Codice, sui Digesta e su Istituzioni 4,6. In realtà ci sono pervenute soltanto recollectae relative al VI libro del Codice e ad alcuni titoli dell'Infortiatum (1). 24-3, e 28.1.2.6), che si conservano in manoscritti del Collegio di Spagna di Bologna: cod. 232, ff. 1r-274v; cod. 239, ff. 216r-440r; cod. 242, ff. 282r-383v. Nel cod. 259, ff. 77r-164v dello stesso Collegio si trovano reportata su D. 45.1 rubr.-45 riferiti a Napoli da Andrea Mariconda e trascritti da Scipione Cicinello. Più rilevante è il contributo del D. alla letteratura consiliare del XV secolo: pareri e sottoscrizioni a pareri altrui si trovano sparsi in numerosi manoscritti: Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 1727, f. 27v; Milano, Biblioteca Ambrosiana, I 249 inf., ff. 27v-28r; Modena, Biblioteca Estense, cod. γ K 4 1, Campori app. 43, f. 298r; Napoli, Biblioteca Nazionale, cod. VII D 77, ff. 198rb-vb, 266va; Perugia, Biblioteca Comunale, cod. M 30 (= 1007), f. 88rv; Ravenna, Biblioteca Classense, cod. 485, vol. 3, p. 459; Arch. di Stato di Siena, Capitoli 183, f. 24r e Siena, Archivio dell'Università degli studi, ms. senza segnatura, f. 76v; Stoccarda, Württembergische Landesbibliothek, cod. Jur. fol. 123, f. 63ra. Altri consilia sono segnalati anche a Lione, Bibliothèque municipale, cod. 387, ff. 121-46, ed a Valenciennes, Bibliothèque municipale, cod. 261, ff. 258-391, in raccolte di testi di diversi autori. Tuttavia il codice più importante resta il ms. 44 della Biblioteca Comunale di San Gimignano che conserva una collezione di consilia del Docci.

Il solo scritto del D. reperibile tra gli incunaboli è un consilium edito insieme con il trattato De excusatore di Antonio da Cannara: Pescia, tipografia del Canaro 1489 (H 4306, GKW 5958, IGI 737); Milano, Ulrich Scinzenzeller 1493 (GKW 5959); Milano, Ulrich Scinzenzeller, 1495-1500 (GKW 5965); Venezia, Paganinus de Paganinis (?), dopo il 1500 (?) (GKW 5960).

La prima ed unica edizione completa che si conosca è del tardo Cinquecento (Consilia vel responsa, Venetiis, apud Franciscum de Franciscis, 1584). Un consilium del D. è incluso tra quelli di M. Socinus, Consiliorum volumen quintum, Venetiis 1594, ff. 108vb-109ra, unitamente a sottoscrizioni dello stesso D. a consilia del Sozzini J. 108ra-b, 116ra).

L'opera del D. è, pertanto, quella di un giurista prevalentemente impegnato nell'attività pratica piuttosto che nell'esegesi dei testi legali. I suoi consilia rivelano una vasta conoscenza della produzione della scuola dei commentatori: accanto a Cino, Bartolo e Baldo egli cita spesso il maestro Niccolò dei Tedeschi, Paolo di Castro, Antonio Roselli, Ludovico Pontano, Bartolomeo da Saliceto, Domenico da San Gimignano e tutti i principali canonisti e civilisti del sec. XIV e della prima metà del XV, nonché taluni giuristi meno noti. Chiamato frequentemente a interpretare la legislazione statutaria, soprattutto della sua città, il D. è convinto che "statuta debent in dubio intelligi secundum ius commune ... quando ius commune disponit ordinarie et vere, non quando disponit ficte et extraordinarie", ma, immerso com'è nelle cause legali e negli affari di Stato, non sembra avvertire certe critiche rivolte dalla cultura umanistica del suo tempo al sistema del diritto comune. La sua adesione al metodo ed ai contenuti della giurisprudenza medievale è pertanto senza riserve.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Siena, Arti 2, ff. 158r, 214r-215r, 262r, 270v; Balia 1, passim; Capitoli 28, 183, f. 24r; Concist. 345, f. 18r; 364, ff. 3rv; 369, f. 17r; 372, f. 7r; 374, f. 11v; 375, ff. 7r, 24v; 379, f. 22v; 387, f. 12r; 396, f. 73r; 399, ff. 16v, 30r, 51r, 63v; 404, f. 2; 417, ff. 8v-9r; 422, ff. 9r, 41v, 61v; 424, f. 35r; 428, f. 29r; 441, ff. 9v, 20r, 21r, 24v, 30r, 31v, 40v, 46r, 47v, 62r; 451, f. 25r; 452, f. 13r; 464, f. 28r; 475, f. 27v; 480, ff. 1r, 4v; 487, f. 13v; 489, ff. 16rv; 495, f. 1r; 498, f. 31r; 503, f. 28r; 508, ff. 21r, 70v-71r; 507, f. 40r; 510, f. 20v; 513, f. 37v; 515, ff. 56v, 59r, 61v; 517, ff. 1r, 2v, 37r, 38r; 518, ff. 20v-21r; 522, f. 23v; 533, ff. 56v-57r; 540, ff. 26v-27r; 552, f. 16r; 556, f. 22r; 560, ff. 1r, 2r; 562, f. 14r; 565, f. 46v; 566, f. 2v; 570, f. 22r; 1637, f. 215v; 1638, ff. 25v, 72r, 99v, 138r, 161r; 1640, ff. 20v-21r, 57r; 1641, ff. 22v, 24v-25r, 26v, 27v, 28v, 29v, 32r; 1647, ff. 49r, 60r, 63r; 1664, ff. 23v, 27r, 27v, 28rv, 29v; 1671, f. 115r; 1923, nn. 50, 63, 74, 94; 1924, nn. 12, 23, 27, 44, 49; 1925, nn. 34, 62, 83, 95, 99; 1930, nn. 42, 44, 45, 47, 52, 53, 54, 55; 1956, nn. 85, 87, 90, 91, 93, 94, 95; 1960, n. 99; 1992, n. 89; 2407, ff. 113v, 119v, 127r, 132r, 161r, 194v, 195v, 250r, 253v, 262r, 281r; 2408, ff. 3v, 5v, 84r, 93r, 98r, 119v, 120v; 2412, ff. 54v-55v, 65r-66v; 2414, ff. 47v-48r, 51rv; 2415, ff. 16v-17v, 80r-81v; 2416, ff. 52v-55v; 2335, ff. 10r, 55r, 71r, 88v, 100r, 115v, 129v, 131r, 137rv, 138r, 149r, 160v; Diplomatico 1431, ott. 31; 1431 (1432), febbr. 28 (lettera di Enea Silvio Piccolomini a "domino Tomaso legum doctori famosissimo et Plumbini dignissimo potestati" che è stato erroneamente identificato con Tommaso della Gazzaia da R. Wolkan, Der Briefwechsel des Eneas Silvius Piccolomini, I, Briefe aus der Laienzeit (1431-1445), I, Privatbriefe, Wien 1909, pp. 4-6, n. 4); 1439, sett. 29 (= Pergamene Bichi N. 78); 1451, ott. 16; Gabella dei contratti 172, ff. 16r, 29r; 177, ff. 23r, 75r (notizie sul padre del D.); Mss. A 11, ff. 228rv; A 13, ff. 363r-364r; A. 15, p. 146; A 26, pp. 136, 137; A 27, pp. 60, 61; A. 30 II, ff. 249rv; A 49, f. 219r (elenco dei figli del D.); A 54, f. 295r (notizia del matrimonio con Checca di Bartolomeo Pannellini nel 1458); A 68, f. 196r; Notarile Antecosimiano 325, f. 40v; Particolari (Famiglie senesi) 55 (7); A. Dati, Opera, Senis 1503, ff. xcviii rv; O. Malavolti, Dell'Historia di Siena, III, Venezia 1599, f. 27r; G. Panciroli, De claris legum interpretibus, Venetiis 1637, pp. 234-5; I. Ugurgieri Azzolini, Pompe sanesi, I, Pistoia 1649, p. 434; L. De Angelis, Biografia degli scrittori senesi, I, Siena 1824, p. 270; V. Buonsignori, Storia della Repubblica di Siena esposta in compendio, II, Siena 1856, p. 20; F. Coselschi-D. Caporali, Appunti biografici e bibliografici sui giureconsulti senesi, in Studi senesi, I (1884), p. 211; L. Zdekauer, Lo Studio di Siena nel Rinascimento, Milano 1894, p. 115; F. Novati, Una lettera ed un sonetto di Mariano Sozzini, in Bull. senese di storia patria, II (1895), p. 96; R. Cardarelli, Baldaccio d'Anghiari e la signoria di Piombino nel 1440 e 1441, in Bull. senese di storia patria, XXVII (1920), p. 132 (con l'errato riferimento a Tommaso della Gazzaia); E. Besta, Fonti, in Storia del diritto italiano, diretta da P. Del Giudice, Milano 1923, p. 882 n.; G. Prunai, Notizie e documenti sulla servitù domestica nel territorio senese (secc. VIII-XVI), in Bull. senese di storia patria, XLIII (1936), p. 434; T. Fecini, Cronaca senese, in Rerum Italicarum: scriptores, 2 ediz., XV, 6, a cura di A. Lisini-F. Iacometti, p. 868; J. A. Tedeschi, Notes toward a genealogy of the Sozzini family, in Italian Reformation studies in honor of Laelius Socinus, a cura di J. A. Tedeschi, Firenze 1965, p. 287; T. Diplovatatius, Liber de claris iuris consultis, II, a cura di F. Schulz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, Bononiae 1968, p. 377; M. Ascheri, Scheda di due codici giuridici senesi, in Studi senesi, LXXXIII (1971), p. 131; C. Cenci, Manoscritti francescani della Biblioteca Nazionale di Napoli, I, Quaracchi Florentiae 1971, pp. 487, 489; G. Dolezalek, Verzeichnis der Handschrifiten zum römischen Recht bis 1600, I-III, Frankfurt am Main 1972, ad Indicem; G. Catoni, Genesi e ordinamento della Sapienza di Siena, in Studi senesi, LXXXV (1973), pp. 172-3; P. Nardi, Mariano Sozzini giureconsulto senese del Quattrocento, Milano 1974, ad Indicem; G. Fioravanti Alcuni aspetti della cultura umanistica senese nel '400, in Rinascimento, XIX (1979), p. 135; E. Mecacci, La biblioteca di Ludovico Petrucciani docentedi diritto a Siena nel Quattrocento, Milano 1981, p. 12; M. Ascheri, I consilia dei giuristi medievali, Siena 1982, pp. 19, 40; T. M. Izbicki, Legal and polemical manuscripts, 1100-1500, in Biblioteca Ambrosiana, Milano, in Quaderni catanesi di studi classici e medievali, V (1983), p. 299; E. Cortese, Sulla scienza giuridica a Napoli tra Quattro e Cinquecento, in Scuole, diritto e società nel Mezzogiorno medievale d'Italia, I, Catania 1985, p. 40; D. Maffei, Manoscritti giuridici napoletani del Collegio di Spagna e loro vicende fra Quattro e Cinquecento ibid., pp. 19, 22; P. Nardi, Enea Silvio Piccolomini, il cardinale Domenico Capranica e il giurista T. D., in Riv. di st. del diritto ital., LX (1987), pp. 195-203; Catalogo dei manoscritti del Collegio di Spagna di Bologna, a cura di D. Maffei ed altri, in corso di stampa; G. Mazzatinti, Inv. dei manoscritti delle bibl. d'Italia, IV, p. 251; V, p. 226; G. Garosi, ibid., LXXXVIII, pp. 178-180; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 267.

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