Cornelio, Tommaso

Enciclopedia Dantesca (1970)

Cornelio, Tommaso

Giuseppe Inzitari

Filosofo, medico e letterato cosentino (Rovito 1614-Napoli 1684), latinista d'eccezionale valore (" latinissimo " lo definì il Vico), contribuisce alla fortuna di D. nel Seicento con un'opera dalle modeste proporzioni, ma di notevole significato: la traduzione in versi esametri, di sapore prevalentemente virgiliano, del c. XIII dell'Inferno.

Insieme col Caloprese, e prima di lui, fu uno dei più solerti propagatori del cartesianesimo, anche se di Cartesio rifiutò, per certi aspetti, il principio intellettualistico d'interpretazione della natura a favore del principio telesiano e del metodo galileiano dell'esperienza. Fu membro di primo piano, insieme con L. Di Capua, dell'Accademia napoletana degli Investiganti, che, accanto all'Accademia Cosentina, fu uno dei " propugnacoli dell'Antiaristotelismo ". Modernità e tradizione classica sono in lui intimamente connesse; e come nei suoi studi scientifici (Progymnasmata phisica, Venezia 1683; Opera quaedam postuma [Prog. de sensibus], Napoli 1688) è frequente il ricorso a reminiscenze classiche (platoniche, lucreziane, virgiliane, ecc.), non solo come fonti letterarie e linguistiche, ma come ispirazione e convalida di originali scoperte scientifiche, così la traduzione dell'episodio di Pier della Vigna nasce dall'esigenza di esemplificazione concreta e di richiamo all'autorità di D., nel contesto di un trattato filosofico in lingua latina: De Metempsycosi seu de Trasmigratione Pithagorica, Napoli 1788 (ediz. postuma a cura del nipote suo omonimo; titolo completo: Manuscriptum autographum philosophi praestantissimi Thomae Cornelii de Metempsycosi seu de Trasmigratione Pytagorica). Appare in sostanza infondato il dubbio avanzato da qualcuno sull'autenticità del manoscritto. Evidentemente infondati, anzi arzigogolati, risultano anche gli argomenti prodotti a favore di un motivo antipapale e filoghibellino a base della scelta dell'episodio; non si può però escludere la confluenza di un sentimento di simpatia per la vittima dell'invidia e della calunnia (cui dedica anche una premessa biografica), le cui punte il C. aveva drammaticamente sperimentate e sofferte sulla sua stessa persona. (v. Lettera al Glissonio). Il C. confuta la tesi pitagorica della trasmigrazione e trova la conferma nella conclusione dell'episodio dantesco, che limita ai suicidi la definitiva separazione dal corpo: " Ad nostra etiam nos membra reverti / Pristina quaeremus; sed non datur.:. / Huc nostros membrorum artus raptabimus, atro / Exanima in saltu pendebunt corpora; namque / Pallida quisque sua suspendet in arbore membra " (If XIII 103, 104 e 106-108).

Bibl. - C.A. De Rosa, Ritratto poetico di C.T., in Ritratti poetici di alcuni uomini di Lettere, Napoli 1834, 67; L.M. Greco, Intorno ai più eccellenti Accademici Cosentini, in " Atti dell'Accad. Cosentina " I (1838) 171-181; C.T. Aragona, Per una traduzione di C.T., in Note letterarie, Catania 1897, 35-36; A. Aceti, Reminiscenze virgiliane nelle opere di C.T., Cosenza 1932; M. Barbi, Della fortuna di D. nel sec. XVI, Pisa 1890, 4 e 6; B. Barillari, La giovinezza di G.B. Vico e gli scrittori calabresi, in " Calabria Nobilissima " III (1949); F. De Sanctis, Storia della letter. it., a c. di B. Croce, II, Bari 19494, 294, 298.

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