CARACCIOLO, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARACCIOLO, Tommaso

Gino Benzoni

Nacque, a detta del genealogista F. Fabris (in Litta), a Napoli, il 10 marzo 1572, da Tristano dei baroni di Castelfranco e da Cornelia di Giovan Battista d'Azzia; famiglia numerosa quella del C., che ebbe due sorelle e ben sei fratelli, tre dei quali - il viceré Antonio Alvarez de Toledo, duca d'Alba, li citerà riconoscendo al C. i grandi meriti della sua "casa" -, Vincenzo, Bartolomeo e Muzio, morranno "servendo Sua Maestà".

Al pari di loro, pure il C. iniziò giovanissimo la carriera militare al soldo della Spagna. Semplice fante nel "tercio" di Vincenzo Carafa, la tradizione agiografica lo vuole partecipe all'assedio di Bricherasio occupata dai Francesi, assegnandogli, inoltre, una parte di spicco nel giorno dell'assalto decisivo: pur sanguinante per una sassata, avrebbe varcato per primo le mura della piazzaforte.

Si tratta comunque di una versione dovuta all'entusiasmo degli agiografi - i quali, d'altronde, sono, quanto meno, imprecisi nella cronologia, oscillando, nel datare il gesto, tra il 1588 e il 1592 - ché, nel più documentato studio sulla vicenda, non solo non appare mai il nome del C., ma viene affermato pure chiaramente che "don Diego di Cordova... fu il primo ad entrare nella terra di Bricherasio" (cfr. L.C. Bollea, Assedio di Bricherasio dato da Carlo Emanuele I... 18 sett. 23 ott. 1594, in Misc. di storia it., s. 3, XII [1907], pp. 316-400).

Di nuovo a Napoli, concorre, come altri nobili, coll'arruolamento d'una compagnia alla formazione del "tercio" di 45 compagnie, sottoposto al comando del principe di Avellino Camillo Caracciolo; e da questo (così stabilisce la patente, del 25 ag. 1600, del viceré Fernando de Castro, conte di Lemos) il C. dipende in qualità di capitano, avendo comunque in seguito - in assenza del sergente maggiore e del maestro di campo -, di fatto più ampie competenze. Passato in Fiandra, ov'è iniziato il 1º ag. 1601 il prolungato assedio di Ostenda, viene promosso, il 5 settembre, sergente maggiore dall'arciduca Alberto; partecipa a parecchi scontri - e in uno di questi, il 7 genn. 1602, è ferito alla testa e ad un braccio -, in particolare alla difesa di Bois-le-Duc, ai combattimenti avvenuti al ponte di Damm, ai forti di San Giorgio, Santa Caterina, San Filippo e al vano soccorso dell'Ecluse. Ed è presente all'assedio di Wachtendonk e Cracar. Rientrato a Napoli, è inviato ad ispezionare le fortezze dello Stato dei Presidi; vi si impegna soprattutto a guidare lavori di rafforzamento a Porto Longone e a stroncare, pur disponendo di soli 50 uomini, le incaute pretese del principe di Piombino Carlo Appiano, che fece imprigionare a Scarlino inducendolo bruscamente all'immediata restituzione dei luoghi sui quali aveva tentato d'allargare la sua giurisdizione.

Arruolato, a ciò autorizzato dal conte di Lemos, un "tercio" di circa 3.000 uomini, alla fine del 1614 si reca con questo in Lombardia, quando è in corso la prima guerra del Monferrato che contrappone le forze spagnole alle sabaude. E, disponendo di 5.000 uomini, parte tratti dal suo "tercio", parte spagnoli, parte provenienti da truppe stanziate presso Oneglia, nonché di tre pezzi d'artiglieria, si segnala nell'assalto a Maro che si conclude, ai primi di gennaio del 1615, colla morte del governatore conte Broglia e la resa del castello. Punta quindi verso le Langhe, al recupero dei feudi imperiali caduti in mano piemontese; e vi si acquartiera per svernare, dopo aver preso parte alla conquista di Mombaldone e Denice. Riprese, alla fine di marzo, le ostilità, concorre alla caduta di Roccaverano, passando quindi a soccorrere il marchese di Mortara Rodrigo 0 rosco, governatore di Alessandria. Unitosi a questo, ripara a Bistagno, mentre s'approssima il duca di Savoia che aveva varcato il Tanaro il 16 aprile con 7.000 fanti e 1.200 cavalieri. Ma il tempestivo arrivo, con consistenti rinforzi, del governatore di Milano Giovanni de Mendoza marchese de la Hinojosa costringe quest'ultimo - pel Siri, ad ogni modo, più che di una sconfitta si può parlare di ripiegamento tattico - a riparare ad Asti, mentre i Napoletani del C. si battono validamente, il 24 maggio, contro Francesi e Svizzeri guadagnando le colline vicine. Troppo lento però l'Hinojosa per approfittare del successo, sì che non segue un urto decisivo e i contendenti finiscono col fronteggiarsi; ad un forte sabaudo corrisponde un forte spagnolo affidato al Caracciolo. Le ostilità cessano e il governatore si ritira - in seguito alla "pace" del 21 giugno, "stabilita", grazie alla mediazione veneta e all'impegnata pressione francese, "tra la Maestà del re Cattolico et... il duca di Savoia". Accordo precario tuttavia, ché don Pedro de Toledo il nuovo governatore di Milano, riprende le operazioni belliche nel 1616; quanto al C., è impegnato, in settembre, in numerosi combattimenti, tra cui quello, d'un certo peso, presso la badia di Lucedio. Ritornato nel Milanese il governatore, egli resta, col suo "tercio", a presidiare San Germano opportunamente e tempestivamente fortificata, al punto che Vittorio e Tommaso di Savoia, incaricati dal padre di recuperarla, preferiscono rinunciare all'assedio diretto limitandosi a disturbarne l'approvvigionamento. Ma il C. replica bravamente con frequenti e fortunate incursioni e intralcia, a sua volta, i rifornimenti sabaudi a Vercelli, subendo, nel 1617, un solo smacco, quando il governatore di quella città, il marchese di Caluso, s'impadronisce d'un convoglio di vettovaglie e munizioni diretto a San Germano sotto il comando di Gherardo Gambacorta, un capitano del suo "tercio". Insuccesso comunque che non offusca il grosso merito del C. d'aver salvaguardato, per circa sette mesi, in cui subì una sorta d'assedio indiretto, un'importante posizione, contribuendo in tal modo alla presa di Vercelli, da parte spagnola, del 25 luglio 1617.

Al profilarsi della minaccia d'un attacco turco in Sicilia, il C., affidata San Germano a quattro compagnie dirette dal suo sergente maggiore Antonio Mastrillo, si porta colle altre dieci del suo "tercio" a Messina e, di lì, a Catania, essendogli stata conferita il 9 sett. 1618, dal viceré Pedro Tellez Girón duca di Ossuna, autorità di "capitano a guerra" in tutta la, Val di Noto, la più esposta, delle circoscrizioni in cui era ripartita la Sicilia, alle mosse ottomane. Svaniti i timori di pericolo, il 2 genn. 1619, ha licenza di portarsi a Napoli, ove contribuisce al reclutamento di fanti da inviare, sotto il comando supremo di Carlo Spinelli, alla guerra boemo-palatina, alla quale egli stesso si reca.

Fermissimo il suo comportamento alla battaglia della Montagna Bianca, dell'8-9 nov. 1620, nella quale l'offensiva degli uomini dello Spinelli giocò un ruolo decisivo: si deve infatti anche al C. se la cavalleria imperiale, paurosamente vacillante di fronte all'impeto dei cavalieri ungheresi e cosacchi, riuscì tuttavia a resistere. Lo riconobbe, con esplicite congratulazioni, il rappresentante del re cattolico a Vienna ed il C. venne premiato colla dignità di consigliere collaterale "di sua maestà... nel regno di Napoli"; quanto all'imperatore Ferdinando II, "consideratis et perpensis eiusdem... strenuis... servitiis", lo nominò, il 22 luglio 1621, "supremum marescallum totius pedestris et equestris... exercitus". E, almeno secondo l'autore contemporaneo d'un "commentarius" sulla guerra, il C. continuò a distinguersi: egli, infatti, e "Svendius baro germanus", all'inizio del settembre 1621, "Gaborem, Iagerdorsium, Turrianum, Budianum et alios hungaros fortiter aggressi, eosdem a Posonio repulerunt".

Inoltre il C., dietro suggerimento del rappresentante spagnolo presso l'Impero, fu latore dei ringraziamenti di Ferdinando II a Madrid per gli aiuti prestati; reduce dalla missione di cortesia, ebbe l'incarico di condurre truppe all'infanta Isabella, la quale, a sua volta, gli ordinò di guidarle sino a don Gonzalo de Córdoba. Così il C. ebbe modo d'essere presente agli scontri d'Ivry e Fleurus. Preceduto da una lettera, del 16 sett. 1622, dell'imperatore a Filippo IV secondo la quale "copias... ex hisce provinciis in Palatinatum inferiorem singulari sollecitudine et... rigore: deduxit... strenuus Caracciolus", il C. è di nuovo a Madrid, ove è accolto con onore ed ottiene - come ebbe a scrivere, il 31 genn. 1624 il sovrano al vicerè di Napoli - "merçed de un titulo de marques en Italia". Ed un successivo diploma regio, del 14 febbraio, gli aggiunse quello più prestigioso di duca di Rocca Rainola.

Dopo un breve soggiorno napoletano, il C. è a Milano essendovi nominato, il 20 maggio, consigliere segreto ed avendovi, inoltre, l'incarico di costituire un corpo di spedizione da destinare al soccorso di Genova aggredita - inizia così la guerra pel marchesato di Zuccarello - dalle forze franco-sabaude. Il C. sta per uscire cogli uomini da lui assoldati "in campagna", quando, all'inizio del 1625, preferisce aderire all'offerta fattagli dal Senato genovese di divenire, subentrando a Gian Girolamo Doria creato maestro di campo generale, governatore dell'armi della Repubblica; lo stipendio - pare di capire da un dispaccio del residente toscano a Napoli, del 25 marzo, ove accenna ad analoghe pretese di Lelio Brancaccio - avrebbe dovuto essere di 12.000 scudi annui. Mentre il Senato è diviso tra i fautori d'una difesa concentrata in pochi luoghi essenziali e i sostenitori del mantenimento di più numerose posizioni, il C. rianima le truppe e rafforza le fortificazioni. Quindi, prevalso il piano del Doria di opporre resistenza sulla linea oltreappenninica, avanza sino a Gavi e Voltaggio, lasciando quest'ultima per scontrarsi col nemico. I suoi uomini, circa 5.000 secondo il Ricotti, nell'assieme poco combattivi perché le cernide prevalevano sugli stipendiati, non reggono, però, all'urto e il C. stesso, nella rotta del 9 aprile, è fatto prigioniero.

Nella versione del diarista napoletano Scipione Guerra, desideroso di segnalarsi s'era spinto "troppo innanzi" sinché "trovò una fiera scaramuzza": allora, "cacciato mano all'armi, entrò nella zuffa, havendo quasi rotto il nemico e posto in fuga", quando la sopraggiunta "furia di cavalli francesi" sbaragliò "l'esercito italiano e genovese, et... fu fatto prigione".

Riconosciuto dal duca di Savoia - il quale s'affretta ad annunciare al re di Francia la presa di Voltaggio, citando, tra i "prisionniers" illustri, il C. "napolitano leur general et du conseil de guerre du roy d'Espagne" -, il C. è trattato con ogni riguardo da questo, memore delle "cortesie" da lui fatte al figlio Tommaso "nella guerra di Milano"; e avrebbe potuto ottenere subito la "libertà", purché si fosse impegnato a non servire, per tutta la durata di quel conflitto, la Spagna "con l'armi" e "col conseglio". Ma il C. rifiutò sdegnosamente la proposta, affermando "che tali attioni non erano da suoi pari, che prima voleva morir in carcere che far cosa che non li fusse d'honore". Rimase, perciò, "prigione del duca, se prigione si può chiamare", osserva il Guerra con involontaria ironia, alludendo al trattamento cortesissimo e deferente riserbatogli; venne liberato quando, per ordine di Filippo IV dell'11 sett. 1625, fu pagato il riscatto.

Rimasto a Milano circa due anni e rientrato poi a Napoli con licenza regia, una volta scoppiata la guerra per la successione a Mantova, il C. è di nuovo mobilitato, ché - attesta il Bulifon -, nel 1629, il "viceré, per inanimire il governadore di Milano alla guerra contro i Monferrini manuogli... per Tommaso Caracciolo ventimila fanti e settecentomila scudi". Imbarcatosi per Genova e raggiunta, di lì, Milano, il C. vi si dedica con solerzia all'arruolamento ed equipaggiamento di truppe. Ma, il 3 agosto, viene richiamato a Napoli perché, come commissario e soprintendente generale delle fortificazioni, appresti le difese antiturche in Terra d'Otranto, Barese, Capitanata e Molise; grandi infatti erano i timori provocati dalla comparsa della flotta ottomana a Valona. Arrivato in tutta fretta a Napoli, il C. ne partì, racconta Ferrante Bucca d'Aragona prosecutore dei Diurnali del Guerra, l'8 agosto in qualità di "vicario generale", implicante "grandissima autorità" e la "provisione di maestro di campo generale, cioè di ducati 500 il mese".

"È andato - prosegue il diarista - molto superbamente, accompagnato da infiniti cavalieri, molti de' quali si staranno con lui, come Ottavio Marchese, ... Bartolomeo Caracciolo, suo nipote, Scipione Capecelatro, Mario Landulfo". Alla partenza solenne e fastosa si contrappone, di lì a poco, il ritorno in tono piuttosto dimesso: "pochi di sono è tornato - annota, il 19 ottobre, lo stesso cronista - per haversi ferito a caso un piede lui stesso cavalcando con lo sperone e, per non haverne poi fatto caso, ne have havuto un pezzo di travaglio; e s'intende che si è portato in detto carico molto honoratamente".

Divenuto da "povero cavaliere" - così, ancora, il Bucca d'Aragona - grazie all'assidua milizia "a nessuno della natione inferiore", al suo prestigio mancava il corroborante riscontro d'una solida posizione economica; di qui la pronta accettazione, nel 1631, della proposta di tornare a Genova come governatore generale dell'armi. Ma mentre s'accingeva a partire per ricoprire la lucrosa carica, "non li mancando altro, per finir d'ingrandir la sua casa, che denaro quale", tramite quella, "s'haveria acquistato in gran quantità", la morte lo coglieva improvvisa il 5 dicembre; rimaneva alla famiglia la sua onorata memoria non però la ricchezza che s'era ripromesso di conseguire.

Sposatosi, il 28 giugno 1609, con Aurelia di Camillo Brancia e Vittoria Recco, ne aveva avuto due figlie, Maria (sposa al principe di Sant'Agata Cesare Firrao e, in seconde nozze, al marchese di Cervinara Giuseppe Francesco Caracciolo) e Vittoria, e due figli, Giacomo (1610-1667) e Tristano (1619-1642). Erede il primo del ducato di Rocca Rainola, divenne cavaliere di S. Iago nel 1624 e si distinse per intensa devozione; una certa impressione fece la sua morte, ché, come ricorda il Bulifon, morì "da accidente apoplettico" mentre conversava "col reggente Zuffia". Il secondo, iniziata adolescente la carriera delle armi, fu "capitano di corrazze" e morì giovanissimo all'assedio di Tortona.

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