ANTONGINI, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

ANTONGINI, Tommaso

Marcello Carlino

Nacque a Premeno (Novara), il 15 sett. 1877 da Alberto e da Clotilde Nay. Laureato in giurisprudenza, conobbe Gabriele D'Annunzio nel 1897 a Firenze, mentre vi frequentava l'Istituto di scienze sociali. Ne nacque sin da allora un rapporto di amicizia che proseguì, senza interruzione, anche quando l'A. si trasferì a Milano. Qui l'A. si rese utile al poeta procurandogli prestiti da usurai. Gli mise a disposizione un appartamentino come garçonnière quando D'Annunzio era a Milano, finché credette di riuscire a farsi suo editore entrando in concorrenza niente di meno che con l'accorto Emilio Treves.

Correva l'anno 1905, e D'Annunzio non faceva che dogliarsi perché Treves, il suo editore, non era, come suol dirsi, di manica larga. Il poeta pescarese, per tener dietro alla sua vita dispendiosa, gli bussava di frequente a denari; e lui, l'editore esperto di amministrazione, nicchiava alquanto, anche perché aveva già elargito congrui anticipi.

L'A., insieme con Arnaldo De Mohr, mise su in fretta e in furia, allora, una casa di edizioni, la Libreria editrice lombarda (le si accompagnò una rivista, Il Rinascimento, che iniziò le pubblicazioni il 15 nov. 1905), il cui programma coincideva con la pubblicazione di qualunque scritto fosse uscito dalla penna magistrale dell'autore delle Laudi. L'editore esordiente credeva di avere l'esclusiva, mentre D'Annunzio, per suo conto, tenendo il piede in due staffe, comunicava a Treves che l'accordo in questione era limitatissimo e non vincolante. Morale della favola: delle tante opere che il vate spacciava per imminenti - Amaranta e La madre folle tra le altre - la Libreria editrice lombarda non poté stamparne nessuna, per il semplice fatto che non furono mai scritte. L'A. si limitò a riproporre quell'anno un vecchio testo dannunziano, le Elegie romane, con a fronte una versione latina curata dal sacerdote Cesare De Titta, amico di D'Annunzio, e ospitò sul Rinascimento alcuni versi della Nave e il Proemio alla Vita di Cola di Rienzo. La sua impresa finanziaria fallì miseramente, a causa dei troppi quattrini sborsati per contratto e come anticipi, e cioè a fondo perduto. Né andarono a buon fine varie combinazioni editoriali progettate da D'Annunzio, come quella tra Treves e l'A. e, nel 1906, un contatto a Parigi per l'eventuale riassorbimento della Libreria editrice lombarda, ingloriosamente abortita, nel settore editoriale del Corriere della sera.

Chiunque, finanziariamente esauritosi, e anche un po' gabbato, avrebbe rotto ogni indugio per passare dalla parte degli accaniti creditori che braccavano il divo Gabriele. La scelta dell'A., la si debba imputare a masochismo o a cieca infatuazione o, invece, a calcolo lungimirante, fu del tutto diversa.

Nel 1906, dopo il fallimento della casa editrice, l'A., anche per tentare di mettere ordine nei suoi affari dissestati, soggiornò a lungo in America. I suoi rapporti con D'Annunzio, tuttavia, non si interruppero ed anzi egli ebbe incarico di trattare circa una progettata tournée del poeta negli Stati Uniti. Brasile e Argentina.

Quando, nel 1909, D'Annunzio dette inizio al suo "esilio" francese, l'A. si trovava già a Parigi per suoi affari e qui assunse a pieno titolo il ruolo e le funzioni di segretario particolare del poeta, ruolo che già parzialmente svolgeva dagli anni della collaborazione editoriale.

Quali fossero i suoi compiti di segretario, l'A. lo rammenta con molta puntualità. Non scrivere lettere (l'immaginifico non era uso sbrigare la corrispondenza né permetteva che altri lo facessero in sua vece), ma assolvere a quelle incombenze usualmente assegnate ad un uomo di fiducia: "La funzione di segretario di D'Annunzio consisteva nel trattare i suoi affari editoriali, teatrali e cinematografici, nel ricercargli una parte di quelle documentazioni e di quei volumi che gli occorrevano per il suo lavoro letterario, nel proteggere la sua indipendenza, trattare gentilmente coloro che avrebbero potuto essergli un giorno utili, e nell'eliminare gentilmente ma implacabilmente dalla sua vita tutte le persone e le cose inutili o dannose" (Vitasegreta…, p. 503).

Fu questo il lavoro che l'A. svolse con grande passione. Tenne alla larga le persone inutili o dannose, magari con la scusa del raffreddore che soleva intrattenere fastidiosamente il vate paradisiaco. Trattò i suoi affari con editori e istituzioni, spesso procacciandogli il denaro, di cui il poeta aveva crescente necessità per soddisfare il suo bisogno del superfluo. Si documentò e raccolse materiali che l'immaginifico avrebbe lussuosamente elaborato. A Parigi, dove D'Annunzio e l'A. stettero, come non mai, fianco a fianco, il segretario solerte, a vantaggio del suo datore di lavoro, seppe tessere una fitta trama di relazioni pubbliche e mondane: se non sono mendaci i suoi ricordi, anche a lui si devono, infatti, i crescenti successi dannunziani nei salotti d'Oltralpe. Qui l'A. accumulò i materiali preparatori del Martyre de saint Sébastien e, con repentini viaggi in Italia, salvò il salvabile della "Capponcina", celebre residenza dannunziana in quel di Settignano, ingloriosamente messa all'asta con tutti i suoi ricercatissimi arredi; fu il confidente, il messaggero, il vivandiere. Nel periodo parigino, comunque, egli, pur essendo segretario di D'Annunzio a tempo pieno, svolse anche una sua attività indipendente come giornalista ed editore dirigendo, dal 1911 al 1914, le edizioni del Journal des dames et des modes.

Mostrando doti notevoli di diplomazia, l'A. non aveva trascurato in questi anni i collegamenti con quanti a sud delle Alpi, in pieno fervore interventistico, si battevano per il ritorno del poeta che aveva cantato, in Merope, la gloria militare della nazione. Il 3 maggio 1915, quando la guerra mondiale era ormai in atto e prossima l'entrata in lizza dell'Italia, D'Annunzio e il suo fido scudiero presero il treno del ritorno. Li attendeva Genova: dallo scoglio di Quarto l'immaginifico avrebbe pronunciato l'Orazione per la sagra dei Mille.

Anni di trionfo si preparavano per il comandante e, di riflesso, per il suo Tom, come l'A. era affettuosamente chiamato. La guerra, vissuta nel modo in cui la visse D'Annunzio, assomigliava ad una pagina di uno dei suoi tanti libri intrisi di estetismo. Il segretario tuttofare, seguendo come un'ombra il poeta soldato, assicurandogli i dovuti rapporti logistici, poté assaporare i frutti di questa ennesima estetizzazione dannunziana. E ne godé anche durante l'avventura fiumana, quando, nella polis governata dal poeta, assunse responsabilità politiche e diplomatiche.

In realtà l'A. trascorse gran parte del periodo "fiumano" a Parigi, in qualità di rappresentante semiufficiale e informatore di D'Annunzio e in appoggio alle missioni più propriamente politiche, come quella di G. Giuriati e G. Antoni nel '20. Dopo la proclamazione della Reggenza del Carnaro ebbe invece "credenziali" vere e proprie di delegato. Fu quindi a ricevere D'Annunzio a Mestre, nel gennaio del '21, quando il poeta vi arrivò da Fiume, e lo accompagnò a Venezia.

Dopo aver trattato col sequestratario governativo G. Ubertazzi, nel 1921, la cessione della villa di Cargnacco sul Garda, dove sarebbe fiorito il ridondante e funebre Vittoriale, e aver favorito la stipula del contratto editoriale tra il poeta e Mondadori, l'A., ai primi di febbraio del '22, si sposò, in seconde nozze, con Bianca Bianco. L'ultimo suo incarico, in quanto vero e proprio segretario personale di D'Annunzio, lo vide impegnato a tenere i rapporti e a sondare le intenzioni di Mussolini in quel momento cruciale. Fu sempre l'A., insieme con G. Schiff Giorgini, a tenere le fila della trattativa che preparava il progettato incontro del 15 agosto tra Nitti, Mussolini e D'Annunzio.

In quello stesso 1922 l'A. si separò da D'Annunzio: l'occasione che favorì il distacco furono i rimproveri rivoltigli dal poeta per i consigli dell'A., del resto condivisi da altri amici del poeta, di non intervenire in prima persona, e comunque di temporeggiare, nel periodo immediatamente successivo alla marcia su Roma. I tempi del distacco erano, però, comunque maturi per l'A. che, avendo messo su famiglia, aspirava ad un lavoro più stabile e definito, per cui accettò un incarico in Cirenaica come funzionario governativo e vi rimase sei anni, fino al 1928.

Di ritorno in Italia, l'ex segretario che era ritornato in ottimi rapporti con D'Annunzio bussò alla porta del Vittoriale, certo che gli sarebbe stato aperto. E infatti l'immaginifico, ormai monumento nazionale, scrisse a Mussolini, chiedendo per il suo fedele e sfortunato editore di pochi mesi, un incarico presso un ente cinematografico. Il 26 luglio 1928 l'A. fu nominato coadiutore di T. Bisi nella direzione dell'Istituto internazionale di cinematografia educativa, sorto a Roma con il concorso della Società delle Nazioni. Quanto durasse questo nuovo incarico non è dato sapere con esattezza; si ha traccia, invece, in questo arco cronologico, di una collaborazione dell'A. a Le Figaro, in qualità di corrispondente, e di un soggiorno nel 1928 a Berlino dove fu preda di una malattia. Sulla malattia e sulla fedeltà dell'A. alla causa italiana, lungo tutta la sua esistenza, D'Annunzio basò una ulteriore richiesta a Mussolini, perché avesse il posto di rappresentante della Società italiana degli autori a Parigi. Era il 1932.

Prima della morte del vate, nel 1938, la vita dell'A., strettamente intrecciata con quella di lui, conobbe, dunque, una prima fase con un bilancio drammaticamente in rosso, per il dissesto finanziario cui andò incontro la Libreria editrice lombarda, e una seconda nella quale i risarcimenti furono molteplici e costanti: dal posto vantaggioso di segretario, alle entrature che poté assicurarsi, in nome della lunga amicizia con il poeta. Ma fu dopo la morte, in particolare, che D'Annunzio incarnò per l'A. la classica gallina dalle uova d'oro. Tanti anni di comunanza avevano fatto sì che una messe di fatti, avvenimenti, annotazioni curiose si depositasse nei taccuini d'appunti del solerte segretario. A cadavere ancora caldo, l'A. si diede a pubblicarli. Cominciò con Vita segreta di Gabriele D'Annunzio, Milano 1938; e proseguì con D'Annunzio aneddotico, ibid. 1939; Gli allegri filibustieri di D'Annunzio, ibid. 1951; Quarant'anni con D'Annunzio, ibid. 1957, Un D'Annunzio ignorato, ibid. 1963.

Si tratta di libri come scritti in serie, l'uno molto simile all'altro, dove mutano soltanto la durata di quel rapporto (e da scarsi trent'anni si arriva a dichiarare, sin dal titolo, un quarantennio di esperienze in comune) e qualche dettaglio. L'A. sceglie un'angolazione particolare per le sue biografie: le monta per capitoli essenziali, per temi si direbbe monografici, dove fa da protagonista il privato di D'Annunzio.

E allora si hanno ammiccamenti alle sue avventure amorose, alle sue galanterie; e si registrano, accompagnati da cifre con tanto di zeri, la sua sconsiderata prodigalità e il suo amore per il lusso e per il superfluo; e si passano in rassegna le fastose residenze del poeta; e si descrive la sua corte, con servitori poco istruiti ma fedelissimi e con governanti devote, un po' innamorate. E le amicizie e i cani e i cavalli e i vestiti e i sarti e le malattie, vere o presunte, con l'immancabile raffreddore che ingrossa il naso dell'immaginifico: per tutti questi particolari c'è spazio anche incongruo e c'è la stessa maliziosa coloritura.

Non ci si attenda dall'A. correttezza scientifica e precisione documentaria: la sua vita di D'Annunzio è un racconto pieno di particolari curiosi e anche piccanti, condotto con un certo brio stilistico e con l'abilità di chi sa usare gli ingredienti più accattivanti e, se del caso, sa correggersi in tempo. E allora il rapporto D'Annunzio-Mussolini (un rapporto che coinvolge lo stesso autore) è tutto rose e fiori nella Vita segreta di Gabriele D'Annunzio ed è, invece, sottoposto ad alcuni distinguo in Un D'Annunzio ignorato: c'è di mezzo, come è ovvio, la guerra con le sue conseguenze politiche e culturali.

Anche come narratore in proprio, adottando la stessa tecnica seriale l'A. sfruttò la sua consuetudine con D'Annunzio. Egli aveva pubblicato già nel 1916 a Parigi, un romanzo La saison des dupes e quindi La volpe azzurra (Milano 1921) e La chiromante (ibid. 1923), narratore non incapace di autocritica, se poi, ricordando gli elogi dannunziani al suo primo testo francese, l'A. li avrebbe imputati saggiamente all'affetto e alla piaggeria di cui strumentalmente il poeta era prodigo. Pubblicò quindi L'immorale testamento di mio zio Gustavo (ibid. 1948) e (sempre a Milano nel 1954 e nel 1961) Icodicilli di mio zio Gustavo e Lo zio Gustavo e il resto, che mettono a frutto l'esperienza dell'A. nell'ambiente mondano frequentato e animato dal vate e si caratterizzano per una scrittura fluida e piacevole, anche se stereotipata e troppo incline ai modelli della letteratura di consumo. Il diavolo si diverte (ibid. 1955) e la commedia Il dispensatore, che fu rappresentata nel 1954 dalla compagnia di Peppino De Filippo, completano il quadro delle opere del segretario e del biografo di D'Annunzio.

L'A. morì a Milano il 26 marzo 1967.

Fonti e Bibl.: T. Antongini, Vita segreta di G. D'Annunzio, Milano 1938, passim; Id., Quarant'anni con D'Annunzio, Milano 1957, passim; R. De Felice, D'Annunzio politico 1918-1938, Bari 1978, ad Indicem; P. Chiara, Vita di Gabriele D'Annunzio, Milano 1978, pp. 160, 161 ss., 168 ss., 213, 216, 219, 223, 227 s., 232 ss., 236, 246, 255, 263, 273, 289, 301, 307 s., 366, 368, 378-80, 421-424, 436, 439 s.; P. Alatri, D'Annunzio, Torino 1985, ad Indicem. Sivedano altresì: Chi è?, Roma 1936, s.v.; Diz. della letteratura ital. contemp., I, Firenze 1973, s. v.

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