TOMASI, Giuseppe, duca di Palma, principe di Lampedusa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TOMASI, Giuseppe, duca di Palma, principe di Lampedusa

Nunzio Zago

TOMASI, Giuseppe, duca di Palma, principe di Lampedusa.̶ – Nacque a Palermo il 23 dicembre 1896 da Giulio Maria, duca di Palma e principe di Lampedusa e da Beatrice Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò.

Della sua infanzia parlò come di un «Paradiso Terrestre e perduto» (Ricordi d’infanzia, in Opere, a cura di N. Polo, 1995, p. 338), il cui scenario spaziava fra l’amatissima dimora avita, in via Lampedusa, che i bombardamenti alleati su Palermo, nel luglio del 1943, avrebbero devastato, e l’incanto della residenza di campagna di Santa Margherita Belice, nell’agrigentino, possedimento di parte materna passato a nuovi proprietari già negli anni Venti e sempre rimpianto fino alla trasfigurazione artistica di esso nel palazzo di Donnafugata del Gattopardo. Nei Ricordi s’intravedono pure le prime tappe di un’educazione cosmopolitica, con i periodici soggiorni parigini che inaugurarono una stagione di viaggi, per lo più in compagnia della madre; con il precoce apprendimento del francese, al quale si aggiunse, via via, quello delle altre principali lingue europee; con l’insorgere, in un ragazzo incline alla solitudine, del ‛vizio’ della lettura, che fu l’esclusiva occupazione di una vita.

Conseguita la maturità classica, nel 1915 Tomasi s’iscrisse alla facoltà di legge all’Università di Roma e cinque anni più tardi si trasferì in quella di Genova, senza andare molto avanti negli studi. Nel novembre del 1915 fu chiamato alle armi e nel 1917, al termine del corso allievi ufficiali a Torino, fu inviato al fronte sull’altopiano di Asiago, dove fu fatto prigioniero dagli austriaci. Internato nel campo ungherese di Szombathely, riuscì a evadere, raggiungendo Trieste e quindi Palermo. Il trauma della Grande Guerra e le convulsioni politico-sociali del dopoguerra dovettero lasciare su Tomasi tracce indelebili. Risalgono ad allora la tempestiva scoperta dei maestri europei della letteratura novecentesca (Rainer Maria Rilke, Marcel Proust ecc.) e la familiarità con il pensiero nietzscheano e con la cosiddetta cultura della crisi. Ne sono prove due saggi su Paul Morand e su William Butler Yeats e un’ampia recensione al libro di Friedrich Gundolf, Caesar: Geschichte seines Ruhms, non ancora tradotto in italiano, che Tomasi pubblicò sulla rivista genovese Le opere e i giorni fra il 1926 e il 1927.

In aggiunta a questi scritti, alcune lettere ai cugini Casimiro e Lucio Piccolo, rese note recentemente, oltre a precisare la fisionomia intellettuale di Tomasi trentenne (vasta cultura, curiosità per arti figurative e cinema, spiccata anglomania), documentano, con la loro umorosa cifra stilistica, una vocazione letteraria che non ebbe un seguito immediato. Rimangono da registrare, fra le due guerre, una simpatia iniziale, presto rientrata, per il fascismo, dovuta a un’istintiva paura di classe di fronte al pericolo ‘bolscevico’, e quella sorta di turismo apparentemente svagato, in Italia e all’estero, del quale si è detto.

A Londra, la «città diletta» come un «dolcissimo alvo» materno (Viaggio in Europa, a cura di G. Lanza Tomasi - S.S. Nigro, 2006, p. 141), pietra di paragone della civiltà occidentale, utile anche a stigmatizzare con ironia il provincialismo e i ritardi socioculturali della Sicilia, Tomasi fu ospite, ripetutamente, dello zio Pietro Tomasi della Torretta (v. la voce in questo Dizionario), ambasciatore dal 1922 al 1927, la cui figliastra, la baronessa baltica Alessandra Wolff-Stomersee, detta Licy, egli sposò nel 1932 in una chiesa ortodossa di Riga (nonostante la contrarietà della madre, in specie, verso questa donna volitiva ed emancipata quanto lei, più grande del figlio di un paio d’anni e con un divorzio alle spalle). Seguì un periodo di vita coniugale diviso tra palazzo Lampedusa, a Palermo, e il castello di Stomersee, in Lettonia, dove Licy si tratteneva spesso al di là dei soggiorni estivi, impegnata nel suo lavoro di psicoanalista, che proseguiva anche a Palermo (fu membro della Società italiana di psicoanalisi e presidente dal 1959 al 1961). Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, mentre Licy era costretta a lasciare il suo castello di Stomersee (ma ci tornò fino al 1942, poco prima della controffensiva sovietica, preludio della nazionalizzazione delle vecchie proprietà terriere), Tomasi fu richiamato alle armi con il grado di capitano e prestò alcuni mesi di servizio poco distante, nella zona di Poggioreale.

Nell’autunno del 1942 si iscrisse (senza dare alcun esame, come a Genova) alla facoltà di lettere di Palermo; fu un modo, forse, per reagire alla malinconia che gli causavano la frequente lontananza della moglie, appena attenuata da un fitto scambio epistolare, e il moltiplicarsi dei bombardamenti sulla città. A dicembre, con la madre, decise di sfollare a Capo d’Orlando, ospite, inizialmente, dei cugini Piccolo nella loro villa che gli rievocava la perduta dimora di Santa Margherita Belice; quindi in una casetta in affitto, dove Licy, però, al definitivo rientro da Stomersee, non volle raggiungerlo, preferendo l’ospitalità romana del patrigno e della madre (Alice Barbi, ex cantante da camera stimata da Johannes Brahms). Li raggiunse nel luglio del 1943, temendo che lo sbarco degli Alleati tagliasse in due la penisola. Frattanto, oltre a palazzo Lampedusa, anche l’alloggio di Capo d’Orlando fu bombardato e Tomasi si dovette trasferire a Ficarra, sui Nebrodi. I coniugi Tomasi ritornarono a Palermo dopo l’armistizio, rinunciando a malincuore al palazzo semidistrutto e saccheggiato per una camera ammobiliata, a pigione.

All’indomani della Liberazione, Tomasi accettò dal governo militare alleato la carica di presidente provinciale, e poi regionale, della Croce Rossa. Inoltre, grazie alla quota toccatagli da una remota controversia ereditaria e all’accensione di un mutuo, poté acquistare e restaurare una casa in via Butera, appartenuta, per un breve periodo, al bisnonno paterno Giulio Tomasi Caro Traina (v. la voce in questo Dizionario), astronomo dilettante come poi il protagonista del Gattopardo. Gli anni successivi, pur non esenti da preoccupazioni economiche, furono più sereni, scanditi da un monotono tran tran quotidiano che vedeva la moglie assorbita dalla sua attività e il principe, taciturno, in giro fra librerie e caffè in cui si fermava a leggere o a scrivere, rincasando in autobus solo nel primo pomeriggio. Un’occasione per uscire da questo soffocante isolamento venne a Tomasi, nell’estate del 1954, da un viaggio con Lucio Piccolo a San Pellegrino Terme, agli incontri che vi si organizzavano fra autori affermati e non, dove Eugenio Montale, quell’anno, rivelò al mondo letterario il fascino dei Canti barocchi di Piccolo, poeta esordiente a più di cinquant’anni: il principe ne ricavò un impulso a competere con il coltissimo cugino anche su un piano più propriamente creativo.

In precedenza attorno a lui si era accesa la curiosità di un gruppo di giovani intellettuali palermitani che frequentavano la casa del barone Bebbuzzo Sgadari, suo amico e critico musicale del Giornale di Sicilia: fra essi Gioacchino Lanza, futuro figlio adottivo di Tomasi di Lampedusa, e Francesco Orlando. Per questi giovani, e segnatamente per Orlando, studente universitario con ambizioni letterarie, poi diventato un illustre francesista, Tomasi di Lampedusa cominciò a tenere, allo scadere del 1953, due cicli privati di lezioni: uno, completo, di letteratura inglese, l’altro, più frammentario, di letteratura francese, che preannunciano un’urgenza di affabulazione narrativa sfociata, tra la fine del 1954 e la primavera del 1957, in un romanzo, Il Gattopardo, e in quattro prove minori, i cosidetti Racconti (Ricordi d’infanzia, La gioia e la legge, La sirena, I gattini ciechi). Le Lezioni, scritte a mano su fogli che il principe, mentendo, dichiarava di strappare dopo ciascuno di quegli appuntamenti trisettimanali, furono stampate integralmente soltanto nel 1995, nel volume delle Opere: con il loro tono amabilmente leggero, da causerie o portrait nello stile di Charles-Augustin Sainte-Beuve, costituiscono un vivace spaccato dei gusti e dell’orizzonte culturale dell’autore.

Quanto alla gestazione del Gattopardo, il primo capitolo o Parte era già pronto a metà del 1955, allorché il romanzo fu momentaneamente accantonato per i Ricordi d’infanzia. A innescare un ulteriore subbuglio di memorie personali e familiari intervennero, fra settembre e ottobre del 1955, due gite a Palma di Montechiaro, l’antico feudo dei Tomasi, che Giuseppe non aveva mai visitato. Se ne avvantaggiò la stesura del romanzo, che riprese in autunno con l’elaborazione della seconda Parte (viaggio e arrivo a Donnafugata), seguita dalle attuali settima e ottava (morte del protagonista ed episodio delle ‘reliquie’). Nel maggio del 1956 questo ‘Ur’ Gattopardo in quattro Parti, che Orlando si era offerto di battere a macchina, venne inviato, grazie a Piccolo, a un funzionario della Mondadori e a ottobre si arricchì del terzo e quarto capitolo, anch’essi di ambientazione donnafugasca, nati durante l’estate. Al rifiuto della Mondadori di pubblicare il romanzo si tentò, con esito analogo, la strada einaudiana della collana I Gettoni: in entrambe le circostanze, e particolarmente nella seconda, pesò il parere sfavorevole di Elio Vittorini, convinto che si trattasse di un lavoro dignitoso, ma tradizionale.

Intanto Tomasi aveva composto altri due capitoli, gli attuali quinto (padre Pirrone a San Cono) e sesto (il ballo a palazzo Ponteleone), che Orlando non volle dattiloscrivere invocando scadenze scolastiche. Fu lo stesso autore, allora, a ricopiare a mano questo romanzo in otto Parti, intitolandolo Il Gattopardo (completo) e affidandolo a Lanza, suo figlio adottivo dal giugno del 1957.

Contemporaneamente, dopo il racconto La gioia e la legge, che risale all’autunno del 1956, ne scrisse un altro, La sirena, e avviò un secondo romanzo, I gattini ciechi, interrotto al primo capitolo; inoltre, progettò nuove articolazioni del Gattopardo, rimaste allo stato di abbozzo. Nel maggio del 1957 andò a Roma per curarsi, in una clinica specializzata, da un male inesorabile che improvvisamente lo aveva colpito: morì il 23 luglio e dopo i funerali fu portato a Palermo e sepolto nella tomba di famiglia al cimitero dei Cappuccini.

Il Gattopardo uscì postumo l’11 novembre 1958 per i tipi di Feltrinelli, a cura di Giorgio Bassani, il quale era venuto in possesso, tramite Elena Croce, di una delle copie dattiloscritte del romanzo, a cui aveva aggiunto i due capitoli nati per ultimi (avuta notizia del manoscritto rivisto da Tomasi prima di morire e donato al figlio adottivo, Bassani scese a Palermo per visionarlo e poté contaminare le due stesure). Nel 1958 il romanzo ottenne il premio Strega; nel 1961, sempre da Feltrinelli e a cura di Bassani, videro la luce I racconti. Nel 1969 Gioacchino Lanza Tomasi, ancora per Feltrinelli, pubblicò un’edizione del Gattopardo «conforme al manoscritto del 1957», con numerose varianti rispetto all’edizione Bassani.

Il Gattopardo ebbe un enorme successo di pubblico – mai venuto meno grazie anche alla versione cinematografica realizzata nel 1963 da Luchino Visconti – suscitando un clamoroso caso letterario che divise la critica fra «gattopardeschi e no» (Stammati, 1960).

Prevalsero riserve e fraintendimenti, causati dall’impressione che si trattasse di un romanzo nel quale, in pieno Novecento, si riproponevano schemi desueti, come quelli del genere ‘storico’, sulla scia dei Vicerè di Federico De Roberto o dei Vecchi e i giovani di Luigi Pirandello. Più tardi, il romanzo è stato apprezzato per la qualità della sua scrittura e per il congegno narrativo squisitamente moderno: un congegno basato sul montaggio di Parti più o meno autonome, che si snodano irregolarmente dal maggio del 1860, data dello sbarco di Giuseppe Garibaldi a Marsala, alla celebrazione del cinquantenario nel maggio del 1910, a scandire il tramonto irreparabile (il luogo comune del gattopardismo non ne tiene conto!) di una grande famiglia e dello stesso privilegio signorile. Il punto di vista è quello del capofamiglia, il principe don Fabrizio Salina: disincantato, legato al regime borbonico, refrattario al trasformismo tanto da rifiutare il seggio senatoriale offertogli, nella casa di villeggiatura di Donnafugata, dall’ottimo funzionario sabaudo Aimone Chevalley dopo il plebiscito per l’annessione al Regno d’Italia. L’aspetto più originale del romanzo è da riconoscere nella capacità di fare del Risorgimento in Sicilia, malgrado o proprio per i suoi limiti politici, cioè a partire dalla mera sostituzione di ceti che esso determina al vertice della società, una svolta epocale, di civiltà, per la quale l’aristocrazia, sconfitta sul piano storico, perde via via i connotati più strettamente sociologici, di classe, ed è sottoposta, un po’ al modo di Friedrich Nietzsche, a una sorta di trasvalutazione etico-estetica, di idealizzazione (il contrario di quel che accade nei Viceré di De Roberto, dove, secondo Tomasi, la nobiltà è vista dal buco della serratura, con gli occhi del cameriere). Sicché il ‘mondo di ieri’, come in una certa letteratura asburgica (Stefan Zweig ecc.), assurge, qui, ad allegoria di una condizione esistenziale più integra e autentica, minacciata dalla precarietà e volgarità dei tempi moderni, dall’inarrestabile ascesa di una borghesia, quella dei Sedara, meno sensibile alle ‘buone maniere’e al ‘pregio’ delle cose, ora sostituito dal ‘prezzo’. Il Gattopardo diventa così una riflessione, dai toni sia lirico-ironici sia profetico-apocalittici, sull’esperienza della modernità e sui rischi (rapacità, arrivismo, massificazione, atrofia della memoria, eclissi del senso e dei valori) che essa può comportare.

Opere. Paul Morand, in Le opere e i giorni, 1926, n. 5, pp. 15-21; W.B. Yeats e il risorgimento irlandese, ibid., 1926, n. 11, pp. 36-46; Una storia della fama di Cesare, ibid., 1927, n. 3, pp. 28-42; n. 4, pp. 17-32 (in volume con il titolo Il mito, la gloria, a cura di M. Staglieno, Roma 1989); Il Gattopardo, prefazione di G. Bassani, Milano 1958; I racconti, prefazione di G. Bassani, Milano 1961 (poi a cura di N. Polo, prefazione di G. Lanza Tomasi, Milano 1988); Il Gattopardo (completo), premessa di G. Lanza Tomasi, Milano 1969 (nuova edizione riveduta, Milano 2002); James Joyce, in Corriere della sera, 7 agosto 1977; Lezioni su Stendhal, introduzione di Ph. Renard, Palermo 1977; Virginia Woolf, in Corriere della sera, 19 febbraio 1978; Invito alle Lettere francesi del Cinquecento, avvertenza di A. di Lampedusa, Milano 1979; Letteratura inglese, a cura di N. Polo, introduzione di G. Lanza Tomasi, I-II, Milano 1990-1991; Opere (Il Gattopardo, I racconti, Tre saggi da Le opere e i giorni, Letteratura inglese, Letteratura francese), a cura di N. Polo, introduzione e premesse di G. Lanza Tomasi, Milano 1995 (edizione accresciuta e aggiornata, Milano 2005).

Lettere. Perché ho scritto Il Gattopardo, tre lettere a G. Lajolo, in L’Espresso, 8 gennaio 1984 (nota di G. Cassieri); C. Cardona, Lettere a Licy. Un matrimonio epistolare, Palermo 1987; Licy e il Gattopardo. Lettere d’amore di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a cura di S. Caronia, Roma 1995; Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930, a cura di G. Lanza Tomasi - S.S. Nigro, Milano 2006.

Fonti e Bibl.: E. Montale, Il Gattopardo, in Corriere della sera, 12 dicembre 1958; M. Alicata, Il principe di Lampedusa e il Risorgimento siciliano, in Il Contemporaneo, aprile 1959, pp. 11-23; A. Banti, Il caso del Gattopardo, in Paragone, X (1959), pp. 3-9; L. Blasucci, Il Gattopardo, in Belfagor, XIV (1959), pp. 117-121; G. Pampaloni, Il Gattopardo (o anche: les lendemains qui ne chantent pas), in Comunità, XIII (1959), pp. 78-85; E. Vittorini, Vittorini confessa: scrivo i libri ma penso ad altro, in Il Giorno, 24 febbraio 1959 (intervista rilasciata a R. De Monticelli); L. Aragon, Il Gattopardo e La Certosa, in Rinascita, 30 marzo 1960; G. Stammati, Gattopardeschi e no, in Belfagor, XV (1960), pp. 160-170; L. Russo, Analisi del Gattopardo, ibid., pp. 513-530; L. Sciascia, Il Gattopardo, in Id., Pirandello e la Sicilia, Caltanissetta-Roma 1961, pp. 173-187; G.P. Biasin, The prince and the siren, in Modern language notes, 1963, n. 78, pp. 31-50; F. Orlando, Ricordo di Lampedusa, Milano 1963 (nuova ed. accresciuta, Torino 2006); Il film “Il Gattopardo” e la regia di L. Visconti, a cura di S. Cecchi D’Amico, Bologna 1963; U. Eco, Il gattopardo della Malesia, in Apocalittici e integrati, Milano 1964, pp. 115-125; G. Contini, Letteratura dell’Italia unita 1861-1968, Firenze 1968, p. 887; F. Felcini, G. T. di Lampedusa, in Letteratura italiana. I contemporanei, III, Milano 1969, pp. 249-266; A. Di Pace, Questione delle varianti del “Gattopardo”, Latina 1971; S. Salvestroni, T. di Lampedusa, Firenze 1973; F. Fortini, Contro il Gattopardo (1959), in Id., Saggi italiani, Bari 1974, pp. 242-251; G.P. Samonà, Il Gattopardo. I racconti. Lampedusa, Firenze 1974; N. Zago, I Gattopardi e le Iene, Palermo 1983; Id., La «bella follia». Sulla Sicilia di T. di Lampedusa, in Scrivere la Sicilia: Vittorini ed oltre, Siracusa 1985, pp. 63-69; G.L. Lucente, Lampedusa’s Il Gattopardo. Figure and temporality in a historical novel, in Id., Beautiful fables, Baltimore 1986, pp. 196-221; A. Vitello, G. T. di Lampedusa, Palermo 1987; N. Zago, G. T di Lampedusa. La figura e l’opera, Marina di Patti 1987; V. Bramanti, Rileggendo Il Gattopardo, in Studi novecenteschi, XV (1988), 36, pp. 323-348; G.C. Ferretti, Il Gattopardo rifiutato, in L’Indice dei Libri del Mese, VI (1989), pp. 14-15; D. Gilmour, L’ultimo Gattopardo, Milano 1989; V. Spinazzola, La stanchezza dell’ultimo Gattopardo, in Id., Il romanzo antistorico, Roma 1990, pp. 191-237; E. Saccone, Nobility and literature. Questions on T. di Lampedusa, in Modern language notes, 1991, n. 106, pp. 159-178; Il Gattopardo, a cura di F. Musarra - S. Vanvolsem, Leuven-Roma 1991; M. Bertone, T. di L., Palermo 1995; G. Masi, Come leggere Il Gattopardo di G. T. di Lampedusa, Milano 1996; T. e la cultura europea, a cura di G. Giarrizzo, I-II, Catania 1996; T. di Lampedusa: testi e dintorni, a cura di G. Marrone, in Nuove effemeridi, 1996, n. 36, monografico; R. Luperini, Il «gran signore» e il dominio della temporalità. Saggio su T. di Lampedusa, in Allegoria, 1997, n. 26, pp. 135-145; F. Orlando, L’intimità e la storia. Lettura del Gattopardo, Torino 1998; G. T. di Lampedusa. Cento anni dalla nascita, quaranta dal Gattopardo. Atti del Convegno... 1996, a cura di F. Orlando, Palermo 1999; Lucio Piccolo - G. T.: le ragioni della poesia, le ragioni della prosa, a cura di N. Tedesco, Palermo 1999; N. Zago, G. T. di Lampedusa siciliano ed europeo. Giuseppe Maggiore, in Storia della Sicilia, a cura di N. Tedesco, VIII, Roma 2000, pp. 421-431; N. La Fauci, Lo spettro di Lampedusa, Pisa 2001; N. Zago, T. di Lampedusa, Acireale-Roma 2011; S.S. Nigro, Il Principe fulvo, Palermo 2012; M.A. Ferrarolo, T. di Lampedusa e i luoghi del Gattopardo, Pisa 2014; G. T. di Lampedusa, Europe, monografico di Revue littéraire mensuelle, 2019, n. 1077-1078.

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