Tiziano Vecellio

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Tiziano Vecellio

Caterina Volpi

Il maestro del colore

Gloria di Venezia e simbolo del suo Rinascimento, Tiziano seppe interpretare al meglio le peculiarità che rendono unica la pittura veneziana: il colore, la sensibilità per la luce e il paesaggio, una lieta partecipazione spirituale e carnale alla bellezza e alla natura. Egli fu anche insuperabile portavoce della cultura ufficiale della Repubblica veneziana e dei suoi messaggi politici negli anni del massimo splendore. Per le straordinarie doti di pittore, Tiziano fu conteso da imperatori, papi, principi e cardinali, e morì ricco e carico di onori

Gli esordi tra Bellini e Giorgione

Tiziano Vecellio nasce a Pieve di Cadore tra il 1480 e il 1490 e si forma a contatto con Gentile e Giovanni Bellini. Quando esordisce come artista autonomo, nel 1502, con la Pala con il vescovo Jacopo Pesaro presentato a s. Pietro da papa Alessandro VI, è ancora molto giovane ma già appare come un pittore dallo stile personale ben formato e assolutamente autonomo rispetto a Giorgione, di cui un’antica tradizione, oggi messa in dubbio dagli studiosi, lo voleva allievo e continuatore. Con quest’opera, inoltre, egli risulta già ben inserito nell’ambiente politico di Venezia, dove frequenta dogi, vescovi e capitani.

Le prime opere pubbliche sono tutte eseguite su richiesta diretta o indiretta della Repubblica veneziana: sono opere ufficiali dagli importanti ed espliciti contenuti politici. La citata Pala celebra la vittoria navale ottenuta dai Veneziani contro i Turchi a Santa Maura nel 1502. Negli affreschi del Fondaco dei Tedeschi, oggi quasi del tutto perduti, eseguiti intorno al 1507-08, compare una raffigurazione di Venezia in forma di Giustizia per ricordare alle popolazioni tedesche, allora alleate contro la città, la protezione divina di cui la Repubblica godeva. Così pure la Pala di s. Marco, eseguita intorno al 1510 per la chiesa di S. Spirito in Isola, venne realizzata dal pittore su richiesta della Repubblica come voto per scongiurare la peste.

Questo rapido e precoce successo porta Tiziano a comprendere pienamente il proprio valore, al punto che nel 1513, rifiutando un invito a Roma da parte di Pietro Bembo, scrive una lettera al Consiglio dei dieci, massima autorità politica veneziana, proponendosi come pittore ufficiale della Serenissima, con stipendio fisso. È l’inizio dell’inarrestabile ascesa sociale dell’artista che morirà, molti anni dopo, nel 1576 a Venezia, come pittore di corte dell’imperatore Filippo II dopo essere stato elevato da quest’ultimo al titolo di conte palatino.

I temi letterari ed erotici

Sostenuto dalla fama di pittore prodigio, Tiziano entra nei circoli letterari più esclusivi e alla moda. Riflessi della discussione in campo letterario, filosofico e musicale del tempo, cui partecipavano intellettuali quali Bembo e Leone Ebreo, sono riscontrabili in numerosi quadri di soggetto campestre che l’artista realizza nei primi anni del Cinquecento. I più celebri sono senza dubbio il Concerto campestre e l’Amor sacro e profano.

Nel primo sono raffigurati, in un paesaggio idillico e incontaminato, due giovani eleganti intenti a suonare strumenti musicali, accompagnati da due donne nude, forse due Muse. Nel secondo due donne, una nuda e l’altra vestita, sono sedute ai bordi di una fontana in cui sembra giocare Cupido. Anche in questo caso il pittore dà ampio spazio al paesaggio, una veduta di campagna con un castello, un lago e una scena di caccia stupendamente descritti. Al di là dei complessi significati filosofici, questi dipinti raccontano, con splendidi colori, l’eterno legame tra bellezza e amore, musica e passione, spiritualità e carnalità. Si tratta dello stesso tema che Tiziano riprende nel 1522, quando il principe di Ferrara Alfonso d’Este gli chiede tre dipinti a soggetto mitologico. Con un nuovo stile, più movimentato, eroico e classico, il pittore esegue il Bacco e Arianna, gli Andri e l’Offerta a Venere, grandi dipinti ispirati alla letteratura greca e latina in cui torna in primo piano il legame tra amore, musica ed ebbrezza, fertilità e natura, impegno ed evasione.

Le grandi pale d’altare

La grande capacità di Tiziano nel rendere naturali e immediati i concetti più astratti e complessi lo fa particolarmente apprezzare anche agli uomini della Chiesa. Con la pala dell’Assunta, eseguita per la chiesa di S. Maria dei Frari tra il 1516 e il 1518, Tiziano riesce a creare una novità assoluta nel genere delle pale d’altare e, soprattutto, a rendere più vera del vero un’improbabile macchina teatrale. In un solo dipinto, senza bisogno di ricorrere ad architetture, egli descrive l’ascensione della Vergine al cielo, la sua incoronazione e, contemporaneamente, lo stupore degli apostoli rimasti sulla Terra; egli mostra tutto questo come se si trattasse di un evento, magari straordinario come un’eclissi, ma pur sempre naturale. I misteri della fede e la legge divina divengono leggi di natura, e la Vergine, da apparizione, diviene una donna vicina e reale.

Pochi anni dopo (1519-26) il vescovo Pesaro, già committente della pala giovanile, chiede all’artista un secondo dipinto per la stessa chiesa dei Frari, e Tiziano consegna un secondo capolavoro: la Pala Pesaro, una riunione eccezionale in cui condividono lo stesso spazio la Vergine e il Bambino, i Santi e i membri della famiglia Pesaro al completo.

I ritratti

In questo quadro Tiziano dà prova di essere un eccellente ritrattista, ottenendo una grande somiglianza con il soggetto, ma al tempo stesso conferendo ai personaggi un’autorevolezza e un fascino quali mai si erano visti nella pittura italiana, eccettuato forse il caso di Antonello da Messina e del contemporaneo Raffaello.

Grazie a queste doti, l’imperatore Carlo V commissiona il proprio ritratto a Tiziano nel 1533, promuovendo il brillante artista a ritrattista delle corti europee. Il pennello di Tiziano ci ha lasciato alcuni tra i più indimenticabili ritratti della storia dell’arte, e grazie a essi noi oggi ricordiamo ancora le fisionomie della bella ed elegantissima Isabella d’Este, dell’ancor più raffinata Eleonora Gonzaga e del malinconico e orgoglioso guerriero suo marito, il duca Francesco Maria della Rovere.

Tiziano ci ha tramandato anche misteriose fisionomie della gioventù aristocratica veneziana: ragazzi pieni di fascino, come il ritratto di Uomo con guanto, che sembra non degnarci neanche di uno sguardo, e di ragazze che al contrario si offrono generosamente alla vista dell’osservatore, con la sottoveste semiaperta e i capelli sciolti, molto sensuali, tra le quali spicca la Flora.

Con il ritratto di Carlo V a cavallo Tiziano fissa il modello di ritratto ufficiale dei grandi della Terra: mostra nel quadro il sovrano, del quale si diceva che sul suo impero non tramontava mai il Sole, a cavallo, al rientro da un’importante battaglia contro i protestanti, vittorioso ma al tempo stesso pensieroso, come un moderno eroe cattolico.

Nel ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese il pittore inventa invece il ritratto di gruppo facendone una specie di pezzo teatrale. Nelle fisionomie e nelle pose del papa e dei suoi nipoti si racconta infatti tutto un mondo fatto di intrighi politici, responsabilità, ambizioni: sfumature e psicologie sottili che Tiziano sa esprimere con rapidi tocchi di pennello.

Dal manierismo all’impressionismo

A partire dal Polittico Averoldi, eseguito nel 1520-22 per la chiesa bresciana dei Ss. Nazzaro e Celso, si assiste a un progressivo mutamento dello stile di Tiziano, nel senso di una crescente adesione al manierismo toscano e romano. Le figure si fanno più monumentali e drammatiche, le luci più cupe, aumentano le citazioni da opere d’arte classica. Questa fase, che dura fino alla partenza dell’artista per Roma, dove nel 1545 è chiamato presso i Farnese, termina al rientro a Venezia quando, grazie anche al contatto con l’esordiente Tintoretto, lo stile del maestro si fa particolare e bizzarro. Tiziano abbandona completamente il disegno e comincia a dipingere con colpi di pennello dati in modo violento sulla tela e non armonizzati tra loro: una specie di pittura preimpressionista. Le opere di questa ultima fase risentono anche di una nuova drammaticità espressiva molto lontana dal clima sereno dei suoi primi dipinti. Per Filippo II l’artista esegue infatti una serie di quadri a soggetto mitologico pieni di sofferenza e di intensità emotiva, quali Venere e Adone, Diana e Atteone o la Punizione di Marsia.

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