TIRINTO

Enciclopedia Italiana (1937)

TIRINTO (Τίρυνς, Tiryns)

Margherita GUARDUCCI
Doro LEVI

Antica e famosa città della Grecia, situata su una piccola altura un poco a SE. di Argo, in una posizione che largamente domina la pianura argiva e sorveglia a un tempo gli accessi dal mare. La tradizione riporta gl'inizî di questa città argolica nel mondo della leggenda. Il fondatore sarebbe stato Preto, il cui figlio avrebbe ceduto a Perseo la nuova città; e dalle mani di Perseo essa sarebbe passata in quelle di Anfitrione, marito di Alcmena, e poi in quelle di Eracle. Può darsi che in queste leggende si rispecchi il passaggio da una signoria degli Achei a una dei Dori. I principi di Tirinto sembra abbiano abitato il loro antico palazzo fino al sec. VIII o VII a. C. Poi Tirinto dovette a mano a mano piegarsi all'autorità della vicina Argo. Quando, circa il 494 a. C., il re spartano Cleomene I sconfisse gli Argivi presso Tirinto, si pretende che la città venisse occupata dagli schiavi degli Argivi, i quali l'avrebbero tenuta poi per alcuni anni. Tirinto prese parte alle guerre persiane, sì che il nome dei Tirinzî meritò di essere inciso in quel serpente di bronzo che, dopo la vittoria di Platea (479) i Greci dedicarono nel santuario di Apollo delfico. Fu questa l'ultima impresa di Tirinto, la quale poco dopo cadde definitivamente sotto il dominio degli Argivi, forse nel 468. Distrutta l'acropoli di Tirinto, gli abitanti furono costretti a rifugiarsi esuli in altre località dell'Argolide, mentre una parte di essi fu trapiantata nella stessa città vincitrice. Più tardi una nuova Tirinto fu fondata ai piedi dell'acropoli distrutta, e sembra godesse di notevole floridezza, come provano fra l'altro le monete. Nell'età imperiale romana la più giovane Tirinto non esisteva più. Il nome di Tirinto sembra essere, per quella sua terminazione caratteristica, di origine pregreca. Si può infine ricordare che Tiryns, l'eroe eponimo della città, fu, secondo Pausania, figlio di Argos, ciò che, come al solito, adombra la caduta della più antica città sotto il dominio di quella più giovane e potente.

Bibl.: C. Bursian, Geographie von Griechenland, Lipsia 1868-72, II, p. 57 segg. Per la topografia archeologica, v. soprattutto Tiryns, Ergebnisse der Ausgrabungen des Instituts in Athen, I segg., Atene 1912 segg. Un buon riassunto in G. Karo, Führer durch Tiryns, 2a ed., ivi 1934. - Per un'iscrizione trovata a Tirinto, v. Inscriptiones Graecae, IV, 668. - Per le monete: B. V. Head, Historia Numorum, 2a ed., Oxford 1911, p. 443. - Per il nome: A. Fick, Vorgriechische Ortsnamen, Gottinga 1905, p. 131 seg.

In seguito ai ripetuti scavi dell'Istituto archeologico germanico, si sono potuti distinguere con tutta chiarezza due periodi di costruzione delle fortificazioni dell'acropoli; il più antico, appartenente all'età paleomicenea (sec. XVI a. C.), comprendeva solo il castello alto, cioè solo la parte meridionale della bassa cresta, lunga circa 300 m. e larga 100, ergentesi sulla pianura circostante solamente da 10 a 20 m. circa (v. fortificazione, XV, p. 735): la fortificazione, con numerose peculiari rientranze del muro a riseghe, aveva l'ingresso principale circa nel punto dei propilei, più tardi sul lato orientale; il resto del colle rimaneva allora vuoto, mentre le casette dei sudditi si addossavano nella pianura a sud del colle. La seconda più poderosa fortificazione, nell'età micenea più avanzata (sec. XIV-XIII a. C.), ha aggiunto la cinta di baluardi poderosi più esterni ai precedenti, comprendendo oltre alla cittadella alta un lungo corridoio d'ingresso protetto fra la doppia cinta così risultante, e includendo a nord le acropoli media e bassa, che rimasero però sempre prive di costruzioni interne, semplice cinta di rifugio dei paesani in caso di pericolo; in questo secondo periodo fu ricostruito pure il palazzo, cancellando quasi completamente le tracce del più antico, di cui si sono ricuperati solo avanzi di suppellettili, e soprattutto importanti resti delle pitture parietali. La cinta esterna più tarda consiste di una spessa parete di enormi blocchi di calcare locale, lunghi fino a oltre tre metri e grossi circa un metro, appena sbozzati per lo più e posti in filari abbastanza regolari, con cementatura di blocchetti e di argilla negl'interstizî; l'altezza attuale della muraglia arriva in più punti fino a circa 8 metri, mentre qualche tratto raggiunge l'enorme spessore di m. 17,50; delle due qualità di calcare di cui è costituita, l'una, grigiastra, è assai resistente, mentre l'altra, rosea, è più deperibile, e ha causato varî crolli e spostamenti di blocchi. Un grosso braccio di muro in direzione est-ovest continuava a tenere separata la parte alta della cittadella da quella bassa, quest'ultima accessibile per due postierle a nord e a sud-ovest. Sul lato sud e sudest della cittadella alta, entro lo spessore assai maggiore della muraglia, sono state praticate due serie di nicchie accessibili lungo due corridoi laterali, le cosiddette "gallerie", con vòlta ad arco acuto formato dall'aggetto dei poderosi blocchi delle pareti, "gallerie" che costituiscono uno degli spettacoli più grandiosi della muraglia "ciclopica" di Tirinto; le terrazze superiori a tali stanze servivano con verosimiglianza per il più comodo lancio di proiettili dall'alto. Nello spessore del muro occidentale, di andamento curveggiante, è praticata una porta ausiliaria, dalla quale, fra le due spesse pareti di massi, sale una lunga e stretta rampa diretta verso nord (v. fortificazione, XV, p. 735, fig. 17, A); la porta principale invece si apre sul lato est ad angolo retto nella muraglia, dopo una lenta salita a rampa che costeggia il muro orientale. Dopo la porta, secondo la strategia micenea, gli assalitori dovevano percorrere ancora un lungo corridoio, verso sud, fra due bracci di muro facilmente difendibili dall'interno; questo corridoio a sua volta, a circa metà cammino, era sbarrato di nuovo da una seconda porta (vedi fig. cit., C), costruita in grandi lastre di breccia, con due pilastri leggermente rastremati in alto, e che doveva somigliare alla Porta dei Leoni di Micene; a metà altezza della galleria sud-est, piegando di nuovo verso est, da uno spiazzato si accede al propileo del palazzo.

Il propileo, come gli altri simili della civiltà cretese-micenea, consisteva di due loggiati, aperti ciascuno su una porta contenuta tra due colonne e due ante, a est e a ovest, e divisi da una parete mediana, interrotta nel mezzo sull'asse dei due ingressi fra le colonne. Al dì là del propileo si entra in un ampio cortile (v. fig. cit., F), che arrivava in giù, con varie costruzioni intermedie, fino all'altezza della galleria meridionale, circondato sui lati da logge e da altri vani; accostandosi alla parete occidentale della cinta, si ripiega verso nord, dove si penetra negli appartamenti privati mediante un secondo propileo (v. fig. cit., K), dì forma del tutto simile al primo, ma un poco più piccolo. Precede gli appartamenti degli uomini un peristilio (v. fig. cit. L), pavimentato con un solido battuto di cemento composto di argilla e di ciottoli; nel mezzo del lato sud del peristilio una costruzione rettangolare, con un foro circolare nel mezzo che forma la bocca di una cavità sotterranea, era una specie di altare o pozzo sacrificale. Sull'asse centrale del peristilio verso nord, salendo due gradini, un vestibolo dà accesso all'ambiente principale del palazzo (v. fig. cit. M), il mégaron, in cui quattro colonne attorno al focolare centrale rotondo sostenevano forse un lucernario mediano, sopraelevato al tetto; il pavimento era decorato con piastrelle dipinte a disegni in gai colori, mentre dei frammenti di alabastro hanno conservato nel vestibolo parte dell'elegante fregio in rilievo, con rosette e spirali, che rappresenta forse le ornamentazioni di kyanos dei palazzi omerici. Un passaggio dall'anticamera del mégaron conduce a una sala da bagno, col pavimento formato da un solo gigantesco blocco di calcare, di oltre venti tonnellate di peso, con un bordo sporgente lungo il contorno, e con fori dove forse erano incastrati pioli per una transenna di legno; il blocco presenta una leggiera pendenza del piano verso l'angolo nord-est, dove s'iniziava un canale di scolo delle acque; sul pavimento erano poste infatti le bagnarole in terracotta per i bagnanti, di cui s'è rinvenuto nello scavo un solo ïrammento. A oriente del mégaron attorno a due cortili minori si aggruppano varî appartamenti (v. fig. cit., P, Q), in cui si osserva più volte la medesima disposizione del mégaron maggiore (v. figura cit., N), si è riconosciuto in essi il quartiere delle donne.

Sotto al mégaron grande si alzava la principale costruzione della città precedente al castello miceneo, degli inizî del II millennio, consistente precisamente in un grande edificio rotondo di quasi 28 m. di diametro, con un duplice muro circolare di mattoni crudi sopra a un basamento di pietre; attorno al palazzo si alzavano le coeve casette di minori proporzioni, di pianta quadrata, rotonda ed ovale. Egualmente sul posto del grande mégaron sorse l'edificio più importante dell'epoca successiva a quella micenea di cui si sono rinvenuti i ruderi a Tirinto, cioè un tempio di stile dorico arcaico.

Bibl.: v. cretese-micenea, civiltà.