TIGNA

Enciclopedia Italiana (1937)

TIGNA (fr. teigne; sp. tiña; ted. Grind; ingl. scab)

Mario TRUFFI
Nino BABONI

Si sono in passato denotate con questo nome alcune particolari affezioni croniche del cuoio capelluto, le cui prime meno oscure descrizioni, sotto denominazioni diverse, risalgono a medici arabi.

La parola tinea era però già comparsa nelle opere di Stefano d'Antiochia. L'etimologia non ne è chiara: la maggior parte degli antichi autori (Lanfranco da Milano, Guido di Chauliac, G. Mercuriale, ecc.) ritiene che essa derivi da tinea "tignola" per similitudine con l'azione disgregante e corrodente che questo insetto esercita sul legno e sulla lana.

Per molto tempo la denominazione è stata circoscritta a una particolare forma di tigna, la favosa, o data ad affezioni che con essa potevano andar confuse. Sul principio del secolo XIX sono entrate a far parte del gruppo delle tigne altre forme, di cui più tardi le ricerche eziologiche hanno dimostrato la stretta parentela con la favosa; e oggigiorno si designano come tigne, oltre alla favosa, la tricofizia e la microsporia e non solo quando colpiscono il cuoio capelluto, ma anche quando si limitano o sono diffuse ad altre parti pelose o glabre dei tegumenti. Le tricofizie e le microsporie sono descritte sotto le corrispondenti voci.

La tigna favosa o favo è malattia che era una volta notevolmente diffusa nei paesi di campagna; la frequenza ne è in questi anni enormemente diminuita ed essa è ora circoscritta, in Italia almeno, a poche zone di determinate regioni. È trasmissibile per contagio, ma la contagiosità non è molto rilevante, e il contagio si svolge di solito nell'ambiente familiare o dove sono raccolti molti bambini; ma in generale solo pochi membri della famiglia o della comunità ne sono colpiti. Pare che la trasmissione possa avvenire anche attraverso animali (topi, gatti) che sono talora colpiti dalla malattia. I primi segni dell'infezione si manifestano di solito nell'infanzia, ma la malattia può protrarsi nell'adolescenza e anche oltre. La tigna favosa è dovuta allo sviluppo sulla cute di un ifomiceta, l'Achorion, scoperto nel 1839 da J. L. Schönlein. Il parassita sviluppandosi nell'infundibulo del follicolo pilifero dà luogo a una massa di vegetazione formata di corti micelî e di spore irregolari, la quale, estendendosi in superficie, forma una piastra tonda di color giallo zolfo, depressa al centro (scutulo), delle dimensioni da una capoechia di spillo a una lenticchia e più, a superficie levigata. Le formazioni scutulari fondendosi e vegetando producono masse crostose, talora imponenti, di color giallo chiaro o grigiastro, secche, friabili in superficie e fortemente aderenti sul fondo. Strappando con le pinze la massa scutulare si trova al disotto la cute fortemente arrossata, infiltrata e facilmente sanguinante. L'Achorion invade anche il pelo, vegetando specialmente sotto forma di micelio rettilineo dentro la sostanza corticale e all'esterno della cuticola; attacca tanto la radice, fino a breve distanza dal bulbo, quanto lo scapo. Il pelo malato appare secco, arido, grigiastro, ma non si frammenta all'uscita dal follicolo. Dove la malattia persiste a lungo si determina un'atrofia cicatriziale della cute. Le cicatrici, sottili e depresse, hanno forma irregolare e presentano qua e là peli isolati o ciuffi di peli di aspetto normale. Tutto il capillizio può essere invaso dalla malattia; viene però di solito rispettata la zona marginale. Il favo può colpire anche le parti apparentemente glabre ed estendersi, in casi gravi, a quasi tutta la superficie cutanea. Anche altre specie di Achorion (Achorion Quinckeanum, gypseum, violaceum, ecc.) possono, per quanto eccezionalmente, essere causa di favo umano. La diagnosi della malattia è facile in base agli elementi ricordati; può essere confermata dall'esame di peli e croste fatto estemporaneamente in una goccia di soluzione di potassa caustica al 10%: micelî e spore sono rigonfiati e messi facilmente in evidenza. La malattia ha andamento cronico; quando è circoscritta non dà luogo a disturbi generali; nei rari casi in cui è largamente diffusa può determinare grave deperimento e cachessia. In alcuni casi è stata dimostrata la presenza del parassita nel sangue e la possibilità di eruzioni generali (favidi) dovute a funghi o a tossine circolanti. La cura del favo, come quella delle tricofizie e delle microsporie, ha per base la depilazione. Questa veniva una volta praticata con la calotta di pece o colle pinze. Si fa ora di solito con applicazioni di raggi X o con l'uso interno di sali di tallio.

Patologia veterinaria. - a) Erpete o tigna tonsurante. - È una malattia contagiosa della pelle causata da un ifomiceta, il Trichophyton tonsurans. È caratterizzata dalla formazione di chiazze rotondeggianti, a margini bene limitati in corrispondenza delle quali la pelle provvista di scarsi peli si manifesta cosparsa di piccole vescicole, mentre dov'è dotata di peli abbondanti, si presentano depilate o con pochi mozziconi di peli, oppure sono sede di croste e di squame epidermiche. È diffusa in tutti i paesi; si rinviene in forma isolata ma può assumere diffusione enzootica, specie nei bovini ed equini. Lo sviluppo dell'ifomiceta nei follicoli e nella radice dei peli e nello spessore dell'epidermide si compie come nell'uomo. Il periodo d'incubazione varia dagli 8 ai 30 giorni. Il quadro della malattia è molto variabile, tuttavia il carattere fondamentale di tutte le forme di erpete tonsurante è dato dalla diffusione della lesione in modo eccentrico, in forma circolare. La parte del corpo che prima ammala è quella che è venuta in contatto con l'agente infettante. Le regioni inferiori degli arti sono risparmiate anche quando la malattia è diffusa. La diagnosi clinica è facile; può essere convalidata dall'esame microscopico.

L'erpete tonsurante in generale è una malattia benigna; nei bovini adulti non sono rare le guarigioni spontanee. In qualche caso però si presenta in forma maligna, per la facile diffusibilità e per la difficile guarigione. Negli animali giovani ha sempre decorso più grave, in qualche caso può cagionare la morte. La cura medicamentosa va preceduta da un trattamento preparatorio, inteso a facilitare un intimo contatto del medicamento con la cute (tosatura del pelo, rammollimento delle croste con sostanze grasse e successivo loro allontanamento). I medicamenti antiparassitarî impiegati sono innumerevoli: preparati mercuriali (da evitarsi nei bovini), acido salicilico, catrame e suoi derivati, impiegati a preferenza in pomata; tintura di iodio, acido fenico e cloralio idrato in parti eguali; nel cane, il balsamo del Perù, la luce della lampada a quarzo e, in analogia a quanto si fa nell'uomo, l'applicazione dei raggi X. Come misure profilattiche, si richiede l'isolamento, la disinfezione dei locali, la distruzione e la disinfezione di tutto quanto può rappresentare fonte di contagio (lettiere, arnesi di governo, finimenti, ecc.).

Il genere Trichophyton comprende varie specie. Il T. granulosum, descritto in Italia da M. Carpano e da L. Rossi nel laboratorio di G. Finzi, causa un'affezione cutanea nel cavallo, che per il suo carattere esteriore viene definita erpete serpiginoso.

b) Tigna favosa. - È una malattia contagiosa della pelle causata dall'Achorion Schönleinii, caratterizzata dalla formazione di croste circolari, spesse, di colore giallo zolfo, con una depressione centrale a guisa di scodella. Il favo è frequente nel ratto e nel sorcio; è raro nel gatto e coniglio; è discussa la sua presenza nei bovini ed equini. La trasmissione del favo dagli animali all'uomo s'osserva abbastanza di frequente. L'infezione naturale avviene quasi sempre per contatto diretto. Nel gatto, cane e coniglio i luoghi di predilezione sono gli arti, specie gli anteriori e la testa. Le guarigioni spontanee non sono infrequenti. In generale valgono le indicazioni terapeutiche e profilattiche dell'erpete tonsurante.

c) La tigna favosa dei polli. - È prodotta da una varietà dell'ifomiceta del favo, l'Achorion gallinae. La malattia si manifesta con la produzione di macchie biancastre, talora circolari, simili a muffa, sulle parti della testa prive di penne (cresta e bargigli). Tali macchie possono aumentare di dimensioni e di numero, al punto da ricoprire l'intera cresta, assumendo l'aspetto di una patina biancastra o di una crosta screpolata di color bruno. L'infezione può estendersi anche alle regioni pennute. La malattia si origina per contatto diretto e indiretto. Sono più recettivi i polli giovani e quelli di razze asiatiche. La prognosi è favorevole. Come medicamenti antiparassitarî rispondono bene quelli già accennati per l'erpete tonsurante; molto consigliabili sono le medicazioni con soluzione al 2-5% di formalina. Dànno buon esito i metodi di profilassi diretta.

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