DEMPSTER, Thomas

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DEMPSTER, Thomas

Massimo Ceresa

Nacque in Scozia, a Cliftbog, presso Aberdeen, il 23 ago. 1579, terzogenito maschio di Thomas e di Jeanne Leslie.

Il padre, barone o "laird" di Muresk, Auchterless e Killesmont, rissoso e turbolento, spesso perseguito dalla giustizia per aggressioni e debiti, dopo una furibonda lite con il primogenito James, che gli aveva sottratto l'amante e lo aveva inoltre assalito e ferito, decise di diseredarlo, e per rendere più sicura la cosa vendette tutti i beni di famiglia.

Il D., a causa della confusa situazione familiare e della scarsa speranza di ottenere dei beni in eredità, fu spinto presto a emigrare. Dopo aver studiato ad Aberdeen con Thomas Cargill, rettore della locale scuola di grammatica dal 1580 al 1602, nel 1589 lasciò la Scozia, su consiglio dello zio John, celebre avvocato di Edimburgo. Dopo essere stato alunno del Pembroke College di Cambridge, si recò a Parigi, dove trovò l'aiuto di alcuni connazionali, e quindi in Belgio. Giunse a Lovanio nel momento in cui William Crichton, rettore del collegio scozzese di Douay, coinvolto in passato in numerosi tentativi promossi da Roma per restaurare la religione cattolica in Scozia, riceveva dal papa l'ordine di inviare alcuni giovani scozzesi a Roma. Il D. fu nel numero dei prescelti, ma il suo soggiorno nella città, dove studiò al Collegio Romano, fu per ragioni di salute brevissimo.

Tornato a Douay, trovò appoggio stavolta in James Cheyne, professore e poi rettore del collegio scozzese, che convinse il giovane D., recalcitrante alla rigida disciplina del collegio, a terminare tre anni di corso. Iniziarono quindi le lunghe peregrinazioni del D. in Francia, che lo portarono ad insegnare di volta in volta umanità, eloquenza e diritto a Parigi, Tolosa, Montpellier, Nimes. Poi, dopo un breve viaggio in Scozia nel vano tentativo di recuperare l'eredità paterna, tornò a Parigi, dove insegnò ai collegi di Lisieux, Grassins, Plessis e Beauvais. I continui spostamenti erano dovuti anche al suo carattere insofferente e violento, che gli procurava continue inimicizie e lo costringeva spesso a cambiare aria. Fuggito da Parigi, perché sottoposto a minacce per un nuovo incidente da lui provocato, si recò a Londra, dove Giacomo I l'aveva invitato come storico di corte, attirandolo con un dono di 200 sterline. A Londra sposò Susanna Waller, donna di grande bellezza, ma di carattere assai instabile. Secondo il D., che intendeva costruirsi una fama di cattolico perseguitato a causa della sua religione, i ministri anglicani e soprattutto James Montague, vescovo di Bath e Wells, infastiditi nel constatare che il re favoriva un dichiarato cattolico, lo obbligarono a congedarlo. Lasciata la moglie in Inghilterra, il D. si recò allora a Roma dove, scambiato per una spia, venne iniprigionato ma subito rilasciato. A Roma riuscì ad ottenere la protezione di cardinali ed alti prelati, in particolare del cardinale Maffeo Barberini. Tali appoggi gli facilitarono la nomina a docente di diritto all'università di Pisa, che mantenne dal 1616 al 1619.

Al suo arrivo a Pisa, Curzio Pichena, segretario di Cosimo II, scriveva all'ambasciatore del granduca a Roma Pietro Guicciardini di aver sentito del D. che era uomo di straordinaria erudizione, ma si dubitava del suo cervello e della sua pazienza.

Prima di prendere servizio a Pisa il D. si recò in Inghilterra a riprendere la moglie e vi tornò nel 1617 per acquistare libri con fondi datigli da Cosimo Il. Il suo discorso inaugurale all'università di Pisa è del 2 nov. 1616, e venne pubblicato. Tra gli alunni che frequentarono le sue lezioni vi fu Giovan Battista Doni. Seguirono tre anni di tranquillità e di intenso studio, durante i quali il D., che oltre a una notevole erudizione pare avesse eccezionali capacità lavorative, fu in grado di raccogliere un'ampia raccolta di materiali antiquari, storici e archeologici sull'antica Etruria, fondandosi sui quali compilò il De Etruria regali, opera che gli era stata commissionata da Cosimo II. A Pisa, tra l'altro, trovò notevole disponibilità presso gli eruditi locali, e in particolare presso il canonico Alessandro Roncioni, che gli mostrò alcuni manoscritti utilizzati poi dal D. nella sua opera; tra di essi vi erano però dei falsi del famigerato Alfonso Ceccarelli, del quale quindi anche il D. divenne vittima, soprattutto nella invenzione di favolose genealogie di re etruschi (libro II).

L'opera, una delle prime volte a chiarire l'origine ed il linguaggio degli Etruschi, rivela nel D. un atteggiamento più filologico che storico. Egli non credeva all'origine aramaica dell'etrusco, propugnata da P. F. Giambullari alla metà del sec. XVI, e riteneva gli Etruschi l'unico popolo autoctono della regione, il che spiegava la singolarità della loro lingua. Nel corso dell'opera il D. si sforzò di assecondare gli intenti dei Medici, che già al tempo di Cosimo I avevano mostrato di apprezzare i tentativi volti a collegare la Toscana moderna con gli Etruschi; egli tentò anche di affrontare in modo scientifico le origini della famiglia (mise in rilievo che nella lingua etrusca "meddix" è sinonimo di magistrato supremo, pur aggiungendo che era trascorso troppo tempo per trovare un collegamento).

L'opera era pronta, e il D. era sul punto di recarsi a Venezia per la stampa, quando nel maggio-giugno 1619 scoppiò una furibonda lite tra lui e un inglese, Robert Dudley, conte di Warwick, dalla vita assai avventurosa, che intorno al 1612 si era stabilito a Firenze, dopo essersi convertito al cattolicesimo, ed era stato nominato capitano del porto di Livorno. La lite, con reciproche accuse di eresia, di titoli nobiliari usurpati e di concubinaggio, finì per guastare i rapporti tra il D. e il granduca, che gli impose gli arresti domiciliari e quindi gli ingiunse di lasciare la Toscana.

Già nell'aprile 1619la sua biblioteca era stata messa in vendita da Gerolamo da Sommaia, provveditore dello Studio pisano, per pagare i debiti contratti dal Dempster. Questi dovette lasciare il paese e il De Etruria regali rimase per più di un secolo allo stato di manoscritto. Fu riesumato da palazzo Pitti, dove si trovava, quando, nel corso del suo viaggio in Italia dal 1713 al 1719, il nobile inglese Thomas Coke l'acquistò insieme con numerosissimi altri testi. Coke apprezzò assai il manoscritto e gli venne in mente di stamparlo: lo inviò di nuovo a Firenze e decise di sostenere le spese per la stampa. Di quest'ultima si occuparono Anton Maria Biscioni, che copiò il manoscritto, Filippo Buonarroti e Giovanni Gaetano Bottari. Il vero editore fu il Buonarroti, che si era formato nell'atmosfera antiquaria della Roma papale, svolgendo dal 1684le funzioni di conservatore del museo e della biblioteca del cardinal Carpegna; le sue aggiunte all'opera rivelano un atteggiamento antiquario che contrasta con quello meramente erudito del D.; Buonarroti aggiunse all'opera anche un vasto apparato illustrativo, con figure incise su rami sotto la sua direzione. Il volume, sul punto di uscire, venne mostrato a monsignor Giusto Fontanini, professore alla Sapienza, che mise in evidenza come il D. si fosse servito dei falsi del Ceccarelli; Buonarroti, nella prefazione, scusò il D., che non era stato certo l'unico a caderne vittima. Il libro vide finalmente la luce a Firenze nel 1723-24.Da allora in poi il De Etruria regali divenne uno dei testi fondamentali per l'etruscologia. Anton Francesco Gori ne eseguì una revisione, mai pubblicata (Firenze, Bibl. Marucelliana, A. 192, cc. 118 ss.) su incarico dello stesso Buonarroti. Nel 1767Giovanni Battista Passeri pubblicò a Lucca InThomae Dempsteri libros de Etruria regali paralipomena.

Il D., passato l'Appennino, era deciso a lasciare l'Italia, ma fermatosi a Bologna fu convinto dal cardinal legato Luigi Capponi a stabilirsi in quella città, dove, sempre grazie al decisivo appoggio di quel prelato, venne nominato professore di umanità all'università, superando l'opposizione di numerosi professori locali che ambivano a quella cattedra. Continuava però a pendere sul suo capo l'accusa di eresia rivoltagli da Robert Dudley, che aveva fatto sì che una delle sue opere maggiori, l'Antiquitatum Romanorum corpus absolutissimum, fosse sottoposta all'esame della congregazione dell'Indice. Per riconquistare la fiducia e l'appoggio della corte pontificia, il D. si recò a Roma e vi rimase nell'estate del 1620, seguendo la corte medesima anche a Frascati nei mesi più caldi. Dopo essere stato ricevuto in parecchie udienze dal papa, il D. riuscì a rimuovere l'opinione negativa che si aveva di lui, e la sua lite con Dudley, sottoposta all'arbitrio di due cardinali, venne finalmente risolta con la firma di un documento soddisfacente per entrambe le parti. Il 16 marzo 1621, peraltro, il libro sulle antichità romane fu inserito nell'elenco dei libri proibiti con la clausola "donec corrigatur".

Agli avvenimenti pisani e a quelli successivi, come all'atteggiamento del D. verso la corte papale, si fa continuo riferimento nella corrispondenza tra il D. e il cardinale Maffeo Barberini, e dopo che questi era divenuto papa, col suo nipote cardinal Francesco, contenuta nel Barb. lat. 2177, ff. 1r-50v, della Bibl. apost. Vaticana. Le lettere, scritte in un latino oscuro e contorto, fanno luce sulle amicizie e inimicizie del D., sugli ambienti che frequentava e confermano il suo atteggiarsi a perseguitato per la religione cattolica.

Risolte le liti, cominciò per il D. un periodo di relativa tranquillità. Il suo insegnamento a Bologna ebbe notevole successo e risonanza, tanto che presto il suo appannaggio fu aumentato; l'università di Padova gli offrì, per una cifra superiore, la cattedra di diritto, ma egli rifiutò. A Bologna l'Accademia della Notte lo accolse tra i suoi membri col nome di Evantius. Maffeo Barberini, divenuto papa col nome di Urbano VIII, lo creò cavaliere e lo gratificò di una pensione. Un nuovo incidente, l'ultimo, venne però a turbare la serenità del D.: un giorno, tornando a casa dall'università scoprì che la moglie era fuggita con un amante, grazie anche alla complicità di alcuni suoi allievi, portando via tra l'altro dei beni del marito. Il D. la inseguì, ottenne dal Senato veneto un decreto per l'arresto dei fuggitivi, ma dopo parecchie ricerche apprese che avevano già valicato le Alpi. Oppresso dall'agitazione e dal gran caldo, il D. fu preso da febbri; riportato a Bologna vi mori il 6 sett. 1625.

Gli accademici della Notte gli tributarono grandi onori e Ovidio Montalbani recitò un Ragionamento funebre nella morte dell'eccell.mo Tomaso Dempstero scozzese..., poi pubblicato a Bologna nel 1626. Fu sepolto nella chiesa di S.Domenico con un epitaffio.

Il D. scrisse e pubblicò numerose opere. Alcune sue lettere si conservano presso la Biblioteca nazionale di Firenze, Fondo Magliabechiano 47 e Banco rari n. 348; altro materiale manoscritto che lo riguarda è all'Archivio di Stato di Modena (cfr. Kristeller, I, p. 366). Nel Vat. lat. 7805 è contenuta una sua ponderosa opera intitolata Tituli memoriales, in sette libri, con dedica datata 1624 al Senato di Bologna, che è una sorta di antologia del sapere del D., che vi fa sfoggio della sua varia erudizione. Tra le opere pubblicate di maggior rilievo il già citato Antiquitatum Romanorum corpus absolutissimum, stampato a Ginevra nel 1612 a spese di Samuel Chouët, che conobbe varie edizioni (1613, 1620, 1632, 1645, 1662, 1701, 1743); si tratta di un aggiornamento dell'opera di J. Rosinus, monumento di erudizione cinquecentesca. La dedica a Giacomo I re d'Inghilterra è datata dal collegio "des Grassins", dove il D. aveva insegnato, 20 nov. 1612. Altra opera, stampata postuma a Bologna nel 1627, è la Historia ecclesiastica gentis Scotorum: si tratta di una raccolta di notizie biografiche su scrittori e personaggi storici scozzesi, o presunti tali: il nazionalismo portò infatti il D. ad inventare alcune biografie fittizie, sostenendosi con autori immaginari. Al termine del libro è l'autobiografia scritta dal D. e completata dopo la sua morte dall'erudito bolognese Matteo Pellegrini; l'opera fu ristampata nel 1829 a cura di D. Irving.

Tra le altre opere, oltre a numerose composizioni liriche d'occasione, le Notae et animadversiones all'opera di Claudiano (Flexiae 1607), con alcunì felici emendamenti dei testo, che confluirono nell'edizione dell'Opera omnia di Claudiano, uscita ad Amsterdam nel 17601 l'editio princeps del De laudibus Iustini minoris Augusti di Corippo, stampata a Parigi nel 1610; numerosi volumetti sulla Scozia, spesso contenenti delle notizie molto opinabili, che destarono la reazione di un irlandese col quale il D. ebbe un nutrito scambio di libelli e di offese; l'edizione del De bello a Christianis contra barbaros gesto pro Christi sepulcro et Iudea recuperandis di Benedetto Accolti (Firenze 1623, ristampata a Groninga nel 1731 a cura di Heinrich Hofsnider); la Quadrupedum omnium bisulcorum historia, iniziata da Ulisse Aldrovandi e completata dal D. (Bologna 1642). L'elenco delle opere del D., contenente cinquanta titoli, si trova in Irving, Lives..., pp. 363-369.

Fonti e Bibl.: Iani Nicii Erithraei [G. V. Rossi] Pinacotheca..., Coloniae Agrippinae 1645, pp. 2426; J. P. Nicéron, Mémoires pour servir à l'histoire des hommes illustres dans la republique des lettres..., XXVIII, Paris 1734, pp. 301-324; P. Bayle, Dict. histor. et critique, Paris 1820, pp.477-480;D. Irving, Lives of the Scottish writers, Edinburgh 1850, pp. 347-369;J. H. Burton, The Scot abroad, Edinburgh 1900, pp. 260 ss.; L. Simeoni, Storia della università di Bologna, II, Bologna 1940, pp. 45, 117 s., 133; J.Durkan, Notes on Scots in Italy, in The Innes Review, XXII (1972), 1, pp. 14- 18;E. Cochrane, Florence in the forgotten centuries 1527-1800..., Chicago-London 1973, pp. 220, 386 s.; M. Cristofani, La scoperta degli Etruschi. Archeologia e antiquaria nel '700, Roma 1983, pp. 15-43; Dict. of National Biography, V, pp. 785-790; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 117, 175, 366.

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