TESSUTO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (2000)

TESSUTO

S.S. Blair
J. Bloom

Il t. è composto da un ordito o catena (fili disposti longitudinalmente sul telaio) e da almeno una trama, che unisce i fili dell'ordito per la larghezza del telaio. Un t. si definisce sulla base della sua armatura, che è costituita dal sistema di intreccio dei fili dell'ordito e della trama, stabilito da regole precise.

La filatura costituisce la prima operazione di trasformazione della fibra; ci si serve di un fuso, equilibrato da uno o più fusaioli. Il fuso è solitamente tenuto nella mano destra, condizionando il senso della torsione, generalmente a Z (destra-sinistra); la fibra di lino tende ad avvolgersi naturalmente a S (sinistra-destra).Tra le tecniche ereditate da epoche più antiche l'armatura più semplice è la tela (o taffettà), che ha rapporto limitato a due fili di ordito e due di trama: in essa tutti i fili di ordito dispari si sollevano al passaggio delle trame dispari e tutti i pari al passaggio delle pari. Nel Medioevo si conosceva anche la saia, armatura diagonale semplice caratterizzata da nervature oblique ottenute spostando di un solo filo - verso destra o verso sinistra - tutti i punti di legatura a ogni passaggio di trama. Queste due armature di tessitura, analogamente al reps (armatura a coste longitudinali più o meno larghe formate da slegature di trama su un fondo generalmente di taffettà) e alla spina di pesce, erano note in Europa sin dall'età del Ferro, come provano i t. di Halstatt scoperti in Svizzera (Zurigo, Schweizerisches Landesmus.; Tissu et vêtement, 1986, pp. 30-31); gli spinati e le losanghe derivano dalla saia, della quale elaborano le varianti e le possibili alternanze.L'uso della saia semplice - senza effetto a spina di pesce - sembra essere stato frequente in Occidente durante il Medioevo, come dimostrato dai risultati di scavi condotti in territorio inglese (Wincott Heckett, 1993). Tra il sec. 11° e il 14° la maggior parte dei t. in lana erano saie, il più delle volte 2 lega 1. A fini decorativi è possibile aggiungere alla tela o alla saia trame supplementari broccate, limitate cioè alla larghezza dei motivi che producono, o lanciate ovvero passate sull'intera larghezza del tessuti. L'uso della decorazione mediante trame broccate era noto dall'età del Ferro (Tissu et vêtement, 1986, p. 31).

Le stoffe decorate con motivi ottenuti mediante l'incrocio dei fili di ordito e di trama, secondo specifici procedimenti di fabbricazione, meccanici o manuali, sono dette operate. Si possono anche adoperare fili di colori diversi, tanto nel senso dell'ordito quanto nel senso della trama, in modo da creare un effetto di righe verticali od orizzontali, ma la moda dei t. di tale tipo non ebbe molta fortuna nell'Europa occidentale. Le stoffe rigate infatti restarono appannaggio delle persone di riprovevole condotta, delle donne di malaffare (Pastoureau, 1991); le stoffe a righe sembrano essere state apprezzate nel Medioevo soprattutto nel mondo arabo, come testimoniano le immagini delle miniature.Fra le altre tecniche tessili, il lavoro a maglia è attestato in Inghilterra alla fine del sec. 14°: il punto impiegato era il jersey diritto; parimenti, alla metà dello stesso secolo si osserva, sempre in Inghilterra, la presenza del feltro, usato soprattutto per i copricapo, che doveva essere importato dalla Spagna e dalle Fiandre (Crowfoot, Pritchard, Staniland, 1992, pp. 72-77). In epoca medievale le donne raccoglievano i capelli in reticelle di sprangs, di cui si sono ritrovate testimonianze in scavi condotti a Londra in settori datati tra la fine del sec. 13° e la fine del secolo successivo (Crowfoot, Pritchard, Staniland, 1992, pp. 145-149).I principali tipi di telai medievali sono noti attraverso miniature, ma sono stati riportati in luce nell'estremo Nord dell'Europa alcuni esemplari di telai a pesi sufficientemente completi perché sia possibile ricostruirne il funzionamento (Gudjónsson, 1993); i più antichi possono essere datati al 1200-1250, ma ne esiste anche uno del sec. 9° (Bygdöy, Vikingskipshuset Mus.), rinvenuto a Oseberg, in Norvegia (Hoffman, 1964, pp. 330-331). In una miniatura del Virgilio Vaticano (Roma, BAV, Vat. lat. 3225, c. 58; Wild, 1992) è rappresentato un telaio a pesi; assai diffuso in epoca romana a partire dal Basso Impero, questo tipo venne sostituito dal telaio a due sbarre, nel quale la sbarra inferiore, che si poteva alzare o abbassare, consentiva di regolare la tensione dell'ordito, sostituendo in tal modo i pesi. Le prime immagini medievali di questo tipo di telaio compaiono nel Salterio di Utrecht (Bibl. der Rijksuniv., 32, c. 84; Dufrenne, 1978, pp. 87-88, tav. 20, 5) e su una copia del sec. 11° del De Universo di Rabano Mauro (Montecassino, Bibl., 132), ma se ne conoscono molte di età romana, in rilievi o affreschi (Wild, 1992). I telai a pedale, più funzionali, cominciarono a essere diffusi in Europa occidentale a partire dal sec. 11° (Crowfoot, Pritchard, Staniland, 1992, pp. 22-23).

Le stoffe di lana venivano tessute su telai orizzontali, azionati da due tessitori, che consentivano di ottenere pezze lunghe m 30 ca. e larghe m 2 (Piponnier, Mane, 1995, p. 22ss.). Non è certo che il telaio al tiro, giunto verosimilmente in Europa attraverso la Spagna musulmana, sia originario dell'Estremo oppure del Vicino Oriente; si è cercato di identificarlo in un rilievo romano, il fregio del foro di Nerva, ma si tratta di un'ipotesi per nulla convincente (Picard-Schmitter, 1965) perché il sistema che vi appare rappresentato è probabilmente quello di un telaio a due sbarre. Notizie precise e copiose sui gesti compiuti dagli artigiani della tessitura e sugli strumenti di cui disponevano possono essere desunte dalle arti figurative del Medioevo occidentale e particolarmente ricca di informazioni risulta, in tal senso, l'iconografia della Vergine (Wyss, 1973).Durante il Medioevo venivano fabbricati vari tipi di t. di larghezza ridotta, come i galloni, le cinture e le bordure, con tecniche diverse secondo l'uso cui erano destinati e secondo i materiali impiegati. Le guarnizioni più semplici erano soltanto intrecciate a mano - il più delle volte in lana ma, in alcuni casi, anche in seta - e le più preziose in fili metallici.

I telai a cartoni venivano utilizzati esclusivamente per la fabbricazione di teli stretti ed erano formati da una serie di placchette, per lo più quadrate, forate agli angoli per farvi passare i fili dell'ordito e affiancate parallelamente a essi; attraverso la rotazione di queste placchette, un nuovo passo è creato a ogni passaggio di trama. La torsione formata nel t. si ripercuoteva sui fili di ordito, che si arrotolavano a gruppi; il senso di rotazione doveva quindi essere periodicamente invertito. La decorazione poteva risultare dal solo effetto delle diverse armature, dalla colorazione dell'ordito o dall'utilizzazione di trame supplementari. La concezione di questo telaio è quindi estremamente semplice perché composto esclusivamente da piccole placchette forate; i fili dell'ordito erano solitamente fissati da una parte a una parete o a un albero e dall'altra parte alla cintola del tessitore.Per fabbricare le guarnizioni su cartoni si usavano solitamente seta, fili d'oro e d'argento oppure lana. La tecnica del gallone su cartoni era nota in Oriente, dato il ritrovamento di placchette in Egitto, ma praticata anche in Occidente, poiché alcuni esemplari recano iscrizioni in latino. Considerato il tipo di decorazione, è probabile che i galloni rinvenuti presso le reliquie della regina dei Merovingi Batilde (m. nel 680/681) e della badessa Bertille (m. nel 704 ca.) siano di fabbricazione locale. Batilde, giovane schiava di origine anglosassone data in matrimonio al re di Neustria Clodoveo II (632-656), promosse il restauro del monastero di Chelles, dove si ritirò, scegliendo Bertille come prima badessa; i loro abiti (Chelles, Mus. Mun. Alfred Bonno), ancora ben conservati, costituiscono testimonianze fondamentali per la conoscenza delle tecniche di tessitura e di taglio in uso durante l'Alto Medioevo. La tecnica del gallone da cartoni era praticata in Occidente sin dall'età del Ferro (Pritchard, 1993). Si fabbricavano anche tessiture tubolari da cartoni, come testimonia un sottile rosario in seta con perle di ambra, della fine del sec. 14° (Crowfoot, Pritchard, Staniland, 1992, pp. 135-136).Dall'Oriente gli artigiani occidentali appresero la tecnica dello sciamito, che serviva principalmente come t. di fondo, per i ricami. Infatti, sciamiti uniti e sciamiti operati sono caratterizzati dalla presenza di due orditi: la catena di fondo, che, nel caso dello sciamito operato, costruisce la decorazione riportando sul rovescio le trame momentaneamente inutilizzate, e la catena di legatura, che collega l'insieme delle trame in saia. La costruzione dello sciamito unito è identica, con la catena di fondo che riporta la trama rovescia sul lato rovescio del t. e con i fili di legatura che effettuano di solito una saia 2 lega 1 con le trame dritta e rovescia. Gli sciamiti spagnoli presentano di solito una costruzione in saia 3 lega 1.Un'altra armatura, il damasco, era eccezionalmente presente in Gallia sin dall'Alto Medioevo, come attestano esempi ritrovati in sepolture principesche, per es. quella della regina franca Arnegunda (m. nel 565 ca.) nell'abbazia reale di Saint-Denis (Parigi, Direction des Antiquités Historiques de la Région Parisienne) o quella dell'abbazia di Saint-Victor a Marsiglia (Tissu et vêtement, 1986, p. 35), sicuramente prodotti di esportazione.

Nel Medioevo le tecniche di stampa su tela o su saia, come quelle su carta, erano rudimentali e venivano realizzate con stampi recanti il motivo in rilievo; il colore usato più frequentemente era il nero, cui venivano talvolta aggiunti con il pennello particolari in rosso e in verde, spesso cancellati purtroppo dal lavaggio. Tali stoffe stampate sostituivano nelle classi modeste le sete operate o ricamate. Non si conoscono esempi medievali di tintura ottenuta con il procedimento di riserva (a motivi 'risparmiati') prodotti in Occidente, mentre t. stampati sono presenti alla fine del Medioevo in Spagna e nel resto dell'Europa occidentale.I materiali usati per la tessitura erano la seta, la lana di pecora e il lino; non diversamente da quanto accadeva nel mondo bizantino e arabo, venivano utilizzati fili di oro e di argento e si impiegavano sulle stoffe di maggiore pregio ornamenti in metalli preziosi, oro e argento, pietre e perle.Tra le fibre animali, nella fabbricazione dei t. nell'Occidente medievale la lana occupava un posto di grande importanza: era il materiale più adatto alla confezione di abiti che servivano a proteggersi dai rigori di un clima spesso inclemente; usata nella tessitura degli arazzi (v.), era inoltre utile per isolare dal freddo gli interni di grandi dimore difficilmente riscaldabili.La lana è una fibra che non si conserva molto bene a causa dei danni prodotti dagli insetti, come le tarme, né ha il carattere prezioso della seta, che veniva conservata in reliquiari o tesori: di conseguenza, scarsi sono gli elementi che consentono di conoscerne le tecniche di tessitura. A Saint-Denis, nella regione parigina, sono stati scoperti frammenti di panno di lana che è stato possibile datare al sec. 13°; si tratta nella maggior parte dei casi di stoffe di saia, alcune delle quali tinte con il chermes (Tissu et vêtement, 1986, pp. 40-41). Usata tanto per le vesti dei principi quanto per gli abiti dei contadini, la lana differiva per qualità a seconda del destinatario; le lane migliori provenivano dall'Inghilterra e dovevano la loro qualità al clima umido del paese ma anche alla selezione dei riproduttori (Piponnier, Mane, 1995, p. 22s). La tessitura della lana era una specialità soprattutto dell' Europa settentrionale, dove si producevano panni di ottima qualità, molto pregiati, i quali, tra il sec. 12° e il 14°, venivano esportati.

Poco per volta, a partire da questo periodo, il lusso non venne più dall'Oriente, ma piuttosto dalle Fiandre per i t. in lana e dalla Toscana per le sete; erano inoltre principalmente apprezzati i t. molto sottili, diversi dalle pesanti stoffe in lana dell'inizio del Medioevo. Una delle fiere più importanti era il mercato di Genova, da dove venivano distribuite nell'area mediterranea le stoffe prodotte nei paesi del Nord. Gli abiti in panno, così come i velluti, le pellicce e le sete facevano parte degli inventari post mortem ed erano oggetto di lascito.Alla fine del Medioevo esisteva anche una sottile tela di lana a basso prezzo, chiamata stamigna, da cui si ritagliavano i modelli (Roy, 1995, p. 10). Sembra venisse utilizzato anche il pelo di capra per tessiture grossolane; il cilicio, per es., che era l'abito consueto dei monaci e dei vescovi durante l'Alto Medioevo, deriva il nome da una stoffa ruvida e rigida fabbricata con peli di capra della Cilicia. La lana era inoltre usata come filo da ricamo, a differenza dell'Oriente, dove si impiegavano soltanto il filo di seta e il filato argentato e dorato. Secondo Plinio il Vecchio (Nat. Hist., 19, 49), per lavare la lana si adoperava la saponaria, che conferiva al t. straordinario biancore e morbidezza; è probabile che tale uso si sia mantenuto anche durante il Medioevo, data la facile reperibilità di tale pianta selvatica nelle regioni temperate.Escludendo la Spagna musulmana e la Sicilia (v. Seta), è possibile affermare che le origini dell'industria europea della seta si trovano in Italia e che sono strettamente connesse al commercio con il Vicino Oriente. A partire dal periodo delle crociate, fonti di instabilità politica e declino economico nel mondo orientale, i mercanti italiani impiantarono industrie della seta a Lucca - i cui panni lucani vengono citati in inventari medievali come per es. quello della Santa Sede redatto nel 1295 (Molinier, 1882-1888) -, a Genova e a Firenze. Insieme alla Spagna e alla Sicilia, l'Italia divenne la fonte di approvvigionamento di sete e fili preziosi per il resto dell'Europa.Per la tessitura delle sete miste si usavano insieme seta e lino e, frequentemente, il filo metallico argentato o dorato (solitamente una pellicola ricavata da budelli animali). Le sete miste operate, reputate tutte (Falke, 1913) prodotti di fabbricazione tedesca, in particolare di Ratisbona, erano invece prodotte anche a Venezia (King, 1969) e in area spagnola, come i t. del Panteón Real dell'abbazia di Las Huelgas, presso Burgos (Monasterio Santa María la Real de Huelgas, Mus. de Telas medievales; Herrero Carretero, 1988, pp. 26-29, 115-118).

Il lino, e ancor più la canapa, erano le fibre vegetali utilizzate per i t. di uso comune e rappresentavano in epoca medievale l'equivalente dell'attuale cotone; gli abiti del clero erano solitamente in lino, fibra che, a causa di difficoltà tecniche, veniva usata quasi sempre senza sottoporla a tintura. La coltivazione del lino era ampiamente diffusa nel Sud dell'Europa sin dall'epoca romana. Il lino, seminato in inverno o in primavera, matura a luglio, ca. cinque settimane dopo la fioritura; dopo avere raccolto la pianta estirpandola, in modo che gli steli siano più lunghi possibile, si procede alla macerazione, operazione di natura biochimica (marcitura controllata), consistente nel decomporre le sostanze pectiche, liberando così le fibre; la pettinatura o gramolatura serve a separare la corteccia, le fibre e il fusto centrale della pianta: i fasci di fibre vengono divisi mediante un pettine di ferro in 'fibre tecniche' più sottili e parallele per poi procedere alla filatura, consistente nel trafilare le fibre e torcerle per ottenere il filo. Una volta tessute, le tele di lino venivano ammorbidite e lisciate mediante una sorta di calotta in pasta vitrea di cui si sono ritrovati numerosi esemplari in scavi archeologici condotti in Francia e in Gran Bretagna (Un village au temps de Charlemagne, 1988, pp. 275s., 287).

L'insieme delle vesti della regina Batilde è in massima parte realizzato in lino: lo scialle rettangolare è in lino operato; l'abito, che, in base alla ricostruzione, deve essere stato tagliato in un telo (m 6,800,85), è di lino molto sottile, così come la sopravveste ricamata. Con il lino venivano anche prodotti t. di grande qualità, come per es. la serie di casule del santuario di S. Maria ad Rupes di Castel Sant'Elia (prov. Viterbo) e soprattutto la pianeta della chiesa parrocchiale di St Godehard a Hildesheim (Flury-Lemberg, 1988, p. 500ss.), realizzata in Germania nel sec. 14°; esso veniva anche utilizzato per la biancheria da tavola: i t. erano allora ornati da piccole losanghe o motivi a spina di pesce o di altri disegni realizzati in ricamo colorato oppure aggiungendo durante la tessitura trame broccate o gittate.La canapa, materiale molto meno costoso del lino, serviva per la tessitura degli abiti del popolo, operazione solitamente effettuata in casa (Piponnier, Mane, 1995, p. 53).Nell'Antichità già venivano realizzati fili metallici costituiti da lamine appiattite attraverso martellatura (Geijer, 1966, p. 16). Verso il sec. 11° fece la sua comparsa un filo d'oro chiamato 'oro di Cipro', costituito da una foglia di oro o di argento battuto, incollata su una membrana di origine animale ricavata dall'intestino di un bue o di una pecora; la membrana veniva poi tagliata in sottili strisce, successivamente avvolte attorno a un'anima in filo di seta o di lino (Rinuy, 1994, pp. 123-124). In Occidente questa tecnica coesisteva con la tecnica del filo d'oro o di argento composto da una lamina metallica avvolta direttamente attorno a un'anima di seta.I ricami (v.) in oro erano generalmente opere commissionate come doni destinati alle chiese; uno di questi, un antependium (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire), sarebbe stato realizzato per la famosa badessa Ildegarda di Bingen (m. nel 1179) al convento di Rupertsberg. Nel Medioevo le perle furono frequentemente usate quale decorazione dei t., in particolare quelle molto piccole, cui venivano talvolta accostate perle più grosse per ornare i nimbi. Alle importazioni dal Vicino Oriente si accompagnava una produzione locale.In Italia, secondo Agnello di Ravenna (Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis; sec. 9°), l'arcivescovo di Ravenna Massimiano (546-556) fece eseguire per la basilica Ursiana una tovaglia d'altare ornata da perle e recante un'iscrizione che è possibile supporre fosse scritta servendosi di perle. Per Roma, le maggiori e più precise informazioni provengono dal Lib. Pont., che riferisce sulla profusione e persino sul peso dei metalli preziosi e sul carattere sontuoso di molte stoffe tessute con fili di oro o incrostate di gemme e perle - queste ultime usate frequentemente all'epoca di papa Leone III (795-816) - fra cui la tovaglia d'altare ornata da una croce di perle offerta al titulus di S. Ciriaco (Lib. Pont., II, 1892, p. 11). In alcuni casi viene specificato il colore delle gemme: su una tovaglia offerta da Gregorio IV (828-844) per l'altare di S. Maria Maggiore (Lib. Pont., II, 1892, p. 76) erano state disposte trecentottanta gemme bianche, cinquanta ametiste e ventidue gemme di colore verde (prasinas). Un'altra tovaglia, donata alla basilica di S. Pietro da Sergio II (844-847), era adorna di pietre violette e verdi (Lib. Pont., II, 1892, p. 93). Parati in seta con medaglioni e croci uncinate erano anch'essi ornati di gemme e sfere d'oro, come un dono di Leone IV (847-855) alla chiesa dei Ss. Quattro Coronati (Lib. Pont., II, 1892, p. 108). Le gemme verdi e viola erano le più usate; si trovano però anche granate orientali quale ornamento di una tovaglia intessuta con fili d'oro donata da Niccolò I (858-867) alla basilica di S. Paolo (Lib. Pont., II, 1892, p. 159). Le perle venivano adoperate da sole, con ornamenti in oro chrisoclabo o porpora, oppure unite a gemme. Ancora nel Lib. Pont. (II, 1892, p. 133) si fa menzione di ornamenti a forma di mandorla realizzati in argento dorato che adornavano un parato, dono di Leone IV, del monastero di S. Martino.Nelle descrizioni dei t. ricorrono temi specificamente romani, con un particolare rilievo dato al ciclo dell'apostolo Pietro, eseguiti probabilmente da manifatture locali: su una tovaglia di altare chrisoclaba, adorna di gemme, offerta alla basilica di S. Pietro da Leone III era rappresentata la Consegna delle chiavi (Lib. Pont., II, 1892, p. 2): sotto Pasquale I (817-824) quarantasei parati chrisoclabi destinati al santuario descrivono i miracoli del santo, mentre su una preziosissima tovaglia di altare, adorna di gemme, dono di Leone III, erano rappresentati il Martirio di s. Pietro e quello di s. Paolo (Lib. Pont., II, 1892, p. 2). La tovaglia d'altare ornata da una croce donata al titulus di S. Ciriaco doveva essere particolarmente preziosa poiché la croce posta nel centro era realizzata con perle; il drappo era guarnito di porpora e bordato di chrisoclabo. Quattro parati di seta rossa (tetra vila rubea olosyrica alitina), destinati al ciborio di S. Giovanni in Laterano e riservati ai giorni festivi, erano anch'essi decorati con croci in chrisoclabo ornate di perle.Più tardi, l'inventario del Vaticano del 1295 (Molinier, 1882-1888) descrive il paramento di Lione, ove abbondano le perle, che ornano il bordo recante lettere greche e latine che formano il contorno dei nimbi e il disegno delle pieghe degli abiti; il paramento era stato offerto al papa Gregorio X (1271-1276) dall'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo (1258-1282) nel 1274, in occasione del concilio di Lione.Stando a quanto riferisce Tommaso di Ely (sec. 12°), s. Eteldreda, badessa di Ely (m. nel 679), eccelleva nel ricamo in oro e aveva offerto a s. Cutberto una stola e un manipolo ricamati in oro fino con perle preziose (Miracula Etheldredae; AASS, Iunii, IV, Antwerpen, 1707, pp. 459-480). Nel sec. 11° Aelgiva, moglie del re Edoardo I, realizzò un parato d'altare utilizzando una tale quantità di filo d'oro, di gemme e di perle da farlo apparire come un mosaico d'oro (Thieme-Becker, 1907).Molto più tardi, nel sec. 13°, una ricamatrice inglese, Mabel, di Bury St Edmunds, lavorava utilizzando materiali preziosi; il suo nome ricorre infatti quattro volte nei libri contabili del re d'Inghilterra Enrico III (1216-1272) tra il 1239 e il 1245: è noto per es. che nel 1239 ella realizzò una pianeta e un velo d'offertorio e che il ricamo della pianeta la impegnò per tre anni; i pagamenti relativi all'oro, le perle, la seta e le frange vennero debitamente registrati (Weyl Carr, 1976; Staniland, 1992, p. 10).Il processo di tintura dei t. può essere svolto prima della tessitura (tintura in fili); in questo caso i fili vengono immersi in bagni di colore - fissato con un mordente - differenti e poi intrecciati prima di cominciare il lavoro combinandone le sfumature; le fibre animali, a differenza di quelle di origine vegetale, assorbono facilmente il colore. Le stoffe a tinta unita venivano solitamente immerse nella tinta dopo la tessitura (tintura in pezza); è anche possibile tingere la lana grezza.Nei t. medievali si trovano il blu - a base di isatis tinctoria, che dà un colore più chiaro dell'indaco - vari rossi, alcuni gialli ottenuti da bagni di colore vegetale (guada); la guada miscelata con isatis o indaco dà il verde; si può ottenere il blu anche da licheni. Già al tempo di Plinio il Vecchio (Nat. Hist., 16, 9) si otteneva una tintura nera dalle galle della quercia.I tintori usavano la robbia, una tintura vegetale a basso costo, da cui si ottiene un rosso-arancio; conoscevano anche l'oricello, che conferisce una colorazione bluastra, ma che è una tinta poco stabile, perché con il tempo vira sul violaceo. Il chermes, prodotto in Spagna e in Italia (dove veniva chiamato grana), dal colore ricco e brillante, era assai pregiato (Cardon, 1989, p. 31).Le tecniche di tintura progredirono notevolmente durante gli ultimi secoli del Medioevo e aumentò la varietà dei colori; progressivamente sempre più apprezzati furono i colori scuri, come i verdi e i blu cupi, il violetto e il nero.

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Islam

Eredi di due importanti tradizioni della lavorazione dei t., quella del mondo mediterraneo e quella del mondo iranico, gli Arabi fecero della lavorazione dei t. il perno dell'economia. Nel Medioevo i t. rivestirono inoltre notevole significato artistico nelle regioni islamiche poiché costituivano il principale mezzo di trasmissione di concetti artistici.

Nelle terre calde e aride in cui si sviluppò la civiltà islamica i t. assolvevano a numerose funzioni di ordine pratico: oltre che per il vestiario, essi servivano anche a coprire e a definire spazi. Essendo infatti il legno molto scarso in gran parte della regione araba, era per lo più sconosciuto l'uso del mobilio inteso alla maniera occidentale (letti, cassoni, tavoli e sedie), del quale facevano le veci i t., che venivano utilizzati anche per i sacchi adibiti alla conservazione dei beni e per la confezione di cuscini e coperte. A differenza di quanto avveniva nell'Europa occidentale, dove l'uso del mobilio si era sviluppato per permettere di svolgere le attività umane a distanza dal pavimento, che era generalmente freddo e umido, nella maggior parte delle regioni dell'Islam tale problema non si poneva ed erano sufficienti un tappeto o una coperta per evitare il sollevarsi della polvere e per riscaldare durante la breve stagione fredda.

Sebbene utilizzati nella società islamica a tutti i livelli, i t. erano particolarmente importanti per i nomadi, che li usavano non soltanto per vestirsi e per arredare la casa, ma anche per i sacchi che servivano a trasportare i loro beni e per le tende nelle quali riparavano. Le tende - strutture mobili con supporti rigidi che sostenevano una copertura di t. - fin dai tempi remotissimi furono utilizzate come protezione dai nomadi dal Medio Oriente all'Asia centrale, secondo due tipologie fondamentali: nella tenda tipica del Medio Oriente i pali sostengono una coperta di t. fissata da corde, mentre la tenda caratteristica dell'Asia centrale consiste in una struttura lignea autoportante ricoperta da feltro. In entrambe le tipologie i t. sospesi potevano essere utilizzati per suddividere lo spazio interno in zone separate per gli uomini e le donne. Quando i nomadi entrarono a far parte della società medievale islamica organizzata, le loro tipologie di tenda vennero adattate per l'uso regale, aumentando le dimensioni e lo splendore dei t. che le coprivano; alcuni sovrani, quali Timur Lang (1336-1405), eressero per la loro corte vere e proprie città di tende.Il ruolo centrale che i t. hanno sempre rivestito nella vita islamica è esemplificato dal kiswa, il velo che copre la Ka'ba alla Mecca. Anche se non menzionato dal Corano, il velo sembra venisse drappeggiato sopra la Ka'ba già in epoca preislamica e, con l'avvento dell'Islam, nuovi esemplari vennero regolarmente inviati dall'Egitto o dallo Yemen: fornire il velo costituiva un grande onore, tanto che i sovrani lottavano per acquisire tale diritto, presto divenuto segno di sovranità. Attualmente il velo consiste in un drappo nero con fasce di iscrizioni tratte dal Corano tessute in filo d'oro, ma in passato esso poteva essere di qualsiasi colore, compreso il bianco, il verde e persino il rosso. Sembra che all'epoca del profeta Maometto i veli venissero sovrapposti l'uno sull'altro finché, durante il califfato di 'Umar (634-644), la Ka'ba rischiò il crollo a causa del peso di tutte le coperture postevi sopra. Le origini e il significato del velo non sono chiariti, ma esso potrebbe rappresentare un riferimento alla tenda sacra, come quella degli Israeliti per l'arca dell'alleanza nella quale dimorava Dio (2 Sam. 6, 17).Il legame che hanno con la Ka'ba particolari t. si estende alle vesti speciali indossate dai pellegrini che si recano alla Mecca: gli uomini indossano una veste costituita da due pezzi di panno bianco privo di cuciture: un indumento che arriva fino alle ginocchia e uno scialle drappeggiato attorno alla metà superiore del busto. Non sono invece prescritte vesti particolari per le donne, sebbene sia consuetudine coprire le braccia e le gambe e al giorno d'oggi indossare il velo. Tale abbigliamento è appositamente semplice per simboleggiare la separazione del pellegrino dal mondo e la sua uguaglianza con tutti gli altri musulmani davanti a Dio.Nelle regioni islamiche venivano utilizzate per i t. quattro fibre: lana e lino, originari delle regioni mediterranee, e cotone e seta, introdotti dall'Asia. La fibra più versatile, e perciò la più importante, era la lana, realizzata con la lanugine delle pecore, delle capre e dei cammelli. Una volta tosato l'animale, la lana veniva lavata, cardata, pettinata e ridotta in lunghi fili che potevano essere tessuti. Per la maggior parte i mammiferi forniti di lana, in particolare le pecore, venivano allevati dai pastori, che si spostavano a seconda delle stagioni alla ricerca di pascoli tra le montagne e le pianure. Nel periodo immediatamente precedente la nascita dell'Islam, il nomadismo si diffuse a spese dell'agricoltura e l'allevamento di animali da lana venne incoraggiato. I t. di lana vennero prodotti in quasi tutte le regioni islamiche, ma alcune si distinsero in modo particolare. L'interesse per l'allevamento portò anche all'introduzione di miglioramenti nelle razze: per es. la pecora merino, nota nelle regioni islamiche orientali fin dal sec. 8°, alla continua ricerca di pascoli si spostò attraverso l'Africa settentrionale in Spagna, dove infine sostituì le razze locali grazie alla migliore qualità del suo vello.Le altre fibre tradizionalmente utilizzate nelle regioni islamiche erano associate a popolazioni sedentarie, perché la loro produzione dipendeva dall'agricoltura. Il lino è la fibra più robusta, ma anche quella più difficile da preparare e dalla lavorazione più complessa; il lino non necessita di particolari condizioni climatiche, ma sono necessarie grandi quantità di acqua fresca per trasformare la pianta grezza in fibre e perciò, fin dai tempi preistorici, esso veniva abitualmente prodotto in Egitto e in Mesopotamia, regioni di grandi fiumi. La fibra di lino attorcigliata a S, che era una conseguenza naturale della filatura, divenne caratteristica dell'Egitto, peculiarità che era già stata notata nel sec. 5° a.C. da Erodoto; poiché le fibre di lino sono grigio-marroni, il panno doveva essere sbiancato e il sole egiziano costituiva a tale scopo una notevole risorsa. L'Egitto restò il maggior centro della produzione del lino in epoca medievale, sebbene si producessero t. di lino anche in Siria, Mesopotamia, Sicilia, Africa settentrionale e Spagna. Fibra versatile, esso è sufficientemente sottile da poter essere utilizzato per veli e fazzoletti e comunque abbastanza forte per realizzare corde e funi; è però difficile da tingere e di conseguenza la decorazione colorata si otteneva grazie all'unione con altre fibre.Il cotone, come il lino, si produce da una fibra derivata da una pianta che deve essere raccolta e filata. La pianta del cotone necessita, per crescere, di un clima caldo e umido; quando la pioggia non è sufficiente, si può sopperire con l'irrigazione, ma è comunque più facile filare il cotone in un clima umido. Originario dell'India, esso venne introdotto nell'Asia centrale all'inizio del sec. 1° a.C. e coltivato in vaste oasi irrigate da grandi fiumi, diffondendosi ben presto verso O; in epoca islamica, Iraq, Siria e Yemen ne divennero importanti centri di produzione. Come il lino, il cotone è versatile e può essere utilizzato per vari tipi di t., dai veli più sottili a t. spessi e assorbenti simili alla lana.La quarta fibra importante era la seta (v.). Lucida ed elastica, essa era di gran lunga la più costosa e con essa venivano realizzati i t. più belli. In aggiunta a queste quattro fibre principali e alle molte fibre secondarie, come la canapa, i t. erano ottenuti anche dalla combinazione di fibre diverse. Il delicato, leggero t. noto come mulḥam (mezza seta), per es., combina del sottile filo di seta grezza con il cotone, più pesante; i lini egiziani presentavano spesso bande di lana o seta colorata intessute nella stoffa e i cotoni mesopotamici erano spesso ricamati con seta brillante, mentre sul cotone potevano essere annodati tappeti di lana per aumentarne la robustezza. Le fibre, alcune delle quali prodotte soltanto in alcune regioni, così come il filo e i t., erano oggetto di intenso commercio; un grande mercato di t. si teneva per es. ogni anno all'epoca del pellegrinaggio a Gedda, il porto della Mecca, e i lini egiziani venivano scambiati con i cotoni indiani.Le fibre grezze venivano rese ancora più varie tramite la tintura e i colori vividi erano una delle caratteristiche più importanti dei t. islamici medievali, anche se l'esposizione alla luce ne ha spesso attenuato l'originaria intensità. Una grande quantità di tinte, dai gialli ai rossi ai blu, era normalmente disponibile ovunque sul posto, ma la domanda era tale che esse dovevano essere importate in grande quantità. Molte venivano estratte da piante: lo zafferano forniva un giallo acceso, le radici di un'erba chiamata robbia un rosso vivo, mentre le foglie della pianta dell'indaco davano un colore blu brillante. Altre tinte avevano un'origine minerale: il verderame, tratto per l'appunto dal rame, forniva un vivace verde, ma finiva per corrodere le fibre alle quali era applicato. Altre tinte derivavano dagli insetti, per es. il chermes, la cocciniglia, che, come la lacca, producono un rosso acceso. Le sete più lussuose erano intessute di fili d'oro e d'argento realizzati avvolgendo fili di seta con foglia d'oro o d'argento. Come le fibre e i t., le tinte venivano commerciate in tutte le regioni islamiche, così come avveniva anche per molte altre sostanze utilizzate nella produzione di tessuti. Per rendere le tinte delle fibre permanenti erano necessari prodotti chimici (mordenti), come per es. gli alcali, che contribuivano a fissare il colore dello zafferano; il sommacco e le noci di galla erano utilizzati sia come tinte sia come mordenti, in particolare per il cotone. Altri prodotti connessi con il commercio dei t. erano i candeggianti, il nitro e la calce viva per sgrassare la lana e l'amido per rifinire e lustrare. Per rendere i t. soffici e morbidi veniva utilizzata un'argilla nota come terra da follone.La maggior parte dei t. realizzati nelle regioni islamiche era tessuta su telaio, generalmente di uno dei due tipi principali. I nomadi usavano normalmente telai orizzontali che potevano essere ripiegati e spostati facilmente, ma con i quali si potevano realizzare solo strisce di t. relativamente strette. Le popolazioni sedentarie impiegavano in genere telai verticali fissi, difficili da spostare ma in grado di produrre t. di maggiori dimensioni. La bellezza di un t. finito dipendeva dalla scelta delle fibre, dallo spessore dei fili e dalla qualità della tessitura; i ruvidi t. per le tende o per i sacchi erano tessuti con lana scadente oppure con pelo di capra mentre quelli più eleganti per i veli e per gli scialli venivano realizzati in seta e in cashmere, ovvero la lana della parte inferiore del ventre delle capre del Kashmir. T. venivano prodotti anche con altre tecniche. Il t. più direttamente associato al Medio Oriente è il tappeto annodato, nel quale a un sostrato tessuto venivano annodati fili, generalmente di seta o di lana, a formare una superficie simile a pelliccia. Un'altra tecnica importante era la feltratura, nella quale le fibre della lana venivano unite insieme a formare un t. per mezzo di pressione, calore e umidità; è possibile che il feltro sia stato inventato dai nomadi dell'Asia centrale, che lo utilizzavano prima ancora della diffusione della filatura e della tessitura nella regione, dove questa lavorazione divenne una vera e propria arte che continuò sempre a essere praticata.La maggior parte dei t. realizzati nelle regioni islamiche per l'uso quotidiano era semplice, ma i t. decorati erano apprezzati e si era disposti a pagare molto per acquistarli. La decorazione poteva essere aggiunta prima della tessitura tramite la tintura di singoli fili. Tale tecnica produceva t. a righe e a scacchi, così come un tipo speciale di t. chiamato ikat, nel quale i fili dell'ordito, e talvolta della trama, venivano annodati nel momento in cui venivano sottoposti all'operazione della tintura, in maniera tale da produrre poi motivi cromatici nel corso della tessitura. La tessitura a ikat era diffusa nell'Asia centrale e nello Yemen, dove essa era stata introdotta dall'India attraverso l'oceano Indiano. A Ṣana῾ā᾽, capitale dello Yemen, e in altre città nel corso dei secc. 9° e 10° venivano eseguiti t. straordinari; i tessitori dapprima tingevano segmenti dei fili di cotone dell'ordito, che avevano il loro tono di colore naturale, in blu e marrone; quindi, intrecciati questi fili, le trame di cotone naturale producevano le righe caratteristiche dei t. ikat. Alcuni ikat yemeniti venivano anche decorati con ricami, altri erano dipinti in oro con iscrizioni beneaugurali per il possessore.La decorazione poteva essere aggiunta anche durante la tessitura. Nella tessitura ad arazzo, per es., venivano create piccole aree con motivi a mosaico usando trame discontinue, che si sollevavano e si abbassavano intorno a un numero ridotto di fili di ordito. Come in epoca preislamica, i tessitori abbellivano semplici t. di lino con fasce tessute e medaglioni contenenti animali, volatili e iscrizioni ad arazzo in colori vivaci. L'abito tipico degli Egiziani, per es., era costituito da un'ampia veste di lino tessuta in forma di croce, con bande ad arazzo su ciascun lato delle aperture del collo e che attraversavano la parte superiore delle maniche; nessun taglio occorreva per trasformare la pezza in veste. Erano diffuse anche tessiture composite nelle quali venivano utilizzati due o più insiemi di orditi e di trame simultaneamente per produrre t. con complessi motivi figurativi di vari colori su tutta la superficie; sin dagli inizi dell'epoca islamica i tessitori produssero fasce di seta a due colori per decorare le tuniche.La decorazione poteva essere aggiunta alle stoffe dopo la tessitura. L'intera pezza oppure parti di essa potevano essere tinte con la tecnica della riserva, rivestendo parti del disegno con cera per non farle intaccare dalla tinta. Motivi decorativi potevano essere dipinti o stampati sulla stoffa oppure ricamati in vari colori sul t. pronto, spesso di lino di cotone, o, ancora, applicati ritagliando pezzi di t. e cucendoli sopra.Il tipo di decorazione a ricamo di gran lunga più comune nel primo periodo islamico era una lunga fascia iscritta con il nome del sovrano e con altre informazioni, quali il luogo o la data di fabbricazione, ed era noto come ṭirāz, dalla parola persiana che indica il ricamo. Tali t. erano realizzati in botteghe di stato per essere distribuiti dai sovrani alla corte. Del periodo omayyade si conservano alcuni frammenti di ṭirāz di lana e di seta, ma il sistema si diffuse rapidamente all'epoca dei califfi abbasidi, che fondarono delle manifatture nell'Asia centrale, in Mesopotamia e in Egitto, che a ogni stagione dovevano fornire gli indumenti all'enorme seguito del sovrano. Lo storico del sec. 11° Ibn al-Zubayr annota che il vestiario di proprietà del califfo abbaside Hārūn al-Rashīd (786-809) comprendeva ottomila vesti - metà delle quali foderate di zibellino o di altre pellicce e l'altra metà foderata con panno decorato da raffigurazioni -, diecimila camicie e tuniche, altrettanti caffettani, duemila paia di brache, quattromila turbanti, mille mantelli con cappuccio, mille mantelli e cinquemila fazzoletti da testa (Ahsan, 1979, p. 3); oltre agli indumenti, tra i beni del califfo si trovava un gran numero di t. destinati all'arredamento: mille tappeti armeni, quattromila tendaggi, cinquemila cuscini, altrettanti guanciali, millecinquecento tappeti annodati di seta, cento teli di seta, mille cuscini di seta, trecento tappeti di Maysān, mille provenienti da Dārābjird, mille cuscini di broccato, mille di seta a righe, altrettanti drappi di pura seta, trecento di broccato, cinquecento tappeti e mille cuscini dal Ṭabaristān, nonché mille piccoli cuscini per appoggiarsi e mille guanciali.

La maggior parte dei ṭirāz conservati della prima epoca islamica consiste in stoffe relativamente poco elaborate con semplici fasce iscritte ricamate in seta colorata. I tessitori svilupparono varie tecniche per mettere in risalto il testo del ricamo: sul cotone e sul mulḥam, il soffice t. utilizzato nell'Islam orientale, essi potevano utilizzare un rullo per imprimere l'iscrizione nella superficie lustrata. Quando venne introdotto il ricamo nelle regioni islamiche occidentali, i tessitori dovettero sviluppare una nuova tecnica, poiché sul lino, il t. comunemente diffuso in quell'area, era impossibile disegnare una bella iscrizione dato che non poteva essere lustrato; in questo caso il disegno veniva impresso contando i fili e quindi riproducendo in scala il disegno.I t. erano molto costosi e anche delicati; spesso venivano indossati fino a che non erano ridotti letteralmente in brandelli. Molti dei ṭirāz conservati vennero utilizzati probabilmente come lenzuoli funebri, perché la legge islamica richiedeva che i corpi fossero seppelliti in teli bianchi; alcuni musulmani devoti sceglievano di essere sepolti nella veste bianca priva di cuciture che avevano indossato per il loro pellegrinaggio, altri nelle bianche vesti onorifiche che il califfo aveva loro conferito. Gli stracci, in particolare quelli di lino, venivano raccolti da straccivendoli per essere riciclati nella carta, il cui uso era stato introdotto dalla Cina e dall'Asia centrale nelle regioni islamiche a una data non meglio precisata durante l'8° secolo.A eccezione di quei casi che recano l'iscrizione con una data, i t. sono difficili da localizzare e da collocare cronologicamente. Essi raramente costituivano un esemplare unico, poiché si prestavano per loro natura a una riproduzione seriale. Una volta stabilito un modello tipo da riprodurre nella tessitura e una volta impostato il telaio, esso poteva essere ripetuto per un tempo indefinito con soltanto piccoli cambiamenti. Questo sistema di produzione era tipico dei t. dei villaggi o dei nomadi, dove i motivi si trasmettevano di generazione in generazione, analogamente al caso delle manifatture cittadine, dove essi restavano in uso per anni. L'alto costo comportava che i t. danneggiati o usati venissero spesso tagliati e riutilizzati. Le sepolture in cui si rinvengono i t. e le testimonianze archeologiche indicano solo un termine ante quem per la datazione dei t., che tuttavia possono essere stati realizzati anni prima di essere utilizzati o riutilizzati, specialmente nel caso dei lenzuoli funebri.Nonostante l'importanza rivestita dai t. nella società islamica, se ne sono conservati pochissimi risalenti alla prima epoca islamica. Alcuni provengono da sepolture e perciò, trovandosi in un terreno asciutto - in particolare in Egitto e in altre regioni nelle quali piove raramente - sono pervenuti in buone condizioni; per la maggior parte si tratta di t. di tipo semplice, con scarsa decorazione. Alcuni t. sontuosi, in particolare di seta, si sono conservati invece in quanto custoditi nei tesori delle chiese europee, dove essi, acquistati dai pellegrini o trasportati su lunghe distanze, erano usati per avvolgere le reliquie dei santi. Molti termini europei che indicano i t. di qualità derivano da termini o da toponimi arabi o persiani: per es., atlas è il nome di un prezioso satin; damasco deriva dal nome della città, muslin da Mosul e organza da Urgench, nell'Asia centrale; mohair deriva invece dal termine arabo mukhayyir ('scelta') e taffettà deriva da tāftan, il verbo persiano che significa 'tessere'.L'intenso commercio dei t., sia di materiale grezzo sia di prodotti finiti, continuò a costituire la base della maggior parte delle economie medievali. Una delle fonti più notevoli del vivace commercio di t. è rappresentata da una custodia per documenti rinvenuta nella Geniza, il magazzino scoperto nel 1889-1890, quando venne abbattuta la sinagoga ad al-Fusṭāṭ (Vecchio Cairo). I documenti che vi erano stati riposti per essere conservati comprendevano lettere, registrazioni relative alla corte, atti, ordini di pagamento e liste di corredo risalenti a un'epoca compresa fra il sec. 10° e il 15°; sebbene prodotti dalla comunità ebraica, tali documenti forniscono una testimonianza delle frenetiche attività di tutti i mercanti impegnati nel commercio nel Mediterraneo.I mercanti del Cairo emularono a quanto pare le consuetudini dell'abbigliamento dei loro dominatori, i califfi fatimidi (909-1171), i cui splendidi guardaroba oscurarono persino quelli dei califfi abbasidi di Baghdad. Il califfo fatimide al-Mu'izz (953-975), il primo di questa dinastia a regnare in Egitto, creò nel palazzo un'istituzione detta 'casa del vestiario', dove veniva tagliato ogni genere di abito e di stoffa; ogni inverno e ogni estate egli riforniva di vesti i membri della sua corte e i suoi servitori, le sue mogli e i suoi figli: a seconda del rango essi ricevevano tutto, dal turbante ai pantaloni al fazzoletto. Al-Mu'izz donava ogni volta vesti per un valore di ca. seicentomila denari: gli emiri ricevevano vesti dabīqī e turbanti con il bordo d'oro, due capi che valevano cinquecento denari, e gli emiri di più alto rango ricevevano collane, braccialetti e spade ornamentali. Quando le truppe affamate saccheggiarono i tesori del califfo nel 1067, le fonti riferiscono che i saccheggiatori portarono fuori dal magazzino più di centomila t.: il valore di quanto venne venduto nel giro di quindici giorni, a parte ciò che venne danneggiato o rubato, raggiungeva i trenta milioni di denari.Si è conservato singolarmente intatto un unico indumento califfale dell'epoca fatimide, il 'velo di s. Anna', così detto perché fu custodito come reliquia nel tesoro della cattedrale di Sainte-Anne ad Apt, in Francia. Poiché sia il signore di Apt sia il vescovo presero parte alla prima crociata nel 1099, il panno venne probabilmente portato dalla Siria o dall'Egitto come parte del bottino: si tratta di un pezzo di stoffa di una certa lunghezza di lino sbiancato tessuto in ta῾bī, decorato da tre fasce parallele tessute ad arazzo, in seta colorata e filo d'oro (una nota tecnica egiziana); al centro si trovano tre medaglioni collegati da un'ampia fascia di cerchi intrecciati e ciascun medaglione contiene una coppia di sfingi addorsate racchiuse da un'iscrizione cufica che cita il committente, il califfo fatimide al-Musta'lī (1094-1101), e il supervisore dell'opera, il suo visir al-Afḍal, per i suoi notevoli esborsi in tessuti. Le fasce lungo ciascun lato sono decorate da uccelli, animali e da un'altra iscrizione che afferma che la stoffa venne tessuta nel 489 o nel 490 a.E./1096-1097 nella manifattura reale di Damietta nel delta del Nilo; questa veste d'onore veniva probabilmente portata come sopravveste o mantello e i medaglioni decorati dovevano ricadere lungo la schiena di colui che la indossava.I tesori dei califfi fatimidi comprendevano anche magazzini contenenti tende, tappezzerie e stoffe destinate all'arredo di inestimabile lusso e splendore; una tenda era decorata con raffigurazioni di tutti gli animali del mondo: secondo le notizie raccolte da al-Maqrīzī (m. nel 1442) furono necessari centocinquanta giorni di lavoro per realizzarla e costò trentamila denari; gli elefanti indossavano gualdrappe di stoffa rossa ricamate profusamente con oro, a eccezione del fondo, sul quale spuntavano le zampe dell'elefante. Per i sedili era previsto un corredo coordinato di cuscini, guanciali, tappeti, sedie, tende e coperte di broccato di seta.

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