TERZIARIO

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Terziario

Angelo Turco

Nella usuale tripartizione delle attività economiche, al settore primario competono le produzioni di materie prime, di tipo sia biologico (attività agro-silvo-pastorali, alieutiche, cinegetiche) sia minerario; il settore secondario,invece, comprende l'arco ampio delle trasformazioni, siano esse artigianali o industriali; al settore terziario spettano, infine, i commerci e, più in generale, le attività di servizio. Comparto in qualche modo residuale, il settore è da sempre connotato da una certa ambiguità. Nei Paesi economicamente avanzati ad alto sviluppo tecnologico il t. rappresenta un indicatore molto forte della modernizzazione dei sistemi produttivi e della transizione dalla fase industriale a quella postindustriale. Viceversa in tutti i Paesi a economia arretrata esso copre situazioni di precarietà occupazionale e produttiva classificata usualmente sotto la voce generica 'economia informale'. Del resto, anche nei Paesi ricchi il t. copre delle sacche di parassitismo o comunque di disoccupazione mascherata, specie nelle fasi recessive del ciclo economico, quando si registrano trasferimenti abnormi di manodopera dagli altri settori che espellono forza lavoro verso gli impieghi offerti dal commercio e dai servizi.

A partire dagli ultimi decenni del 20° sec., tuttavia, si sono verificati mutamenti profondi nel settore terziario, in relazione a una grande molteplicità di fattori, tra i quali vanno sottolineati, accanto ai consumi di massa, i cambiamenti nelle propensioni al consumo, le innovazioni tecnologiche, le riconfigurazioni gestionali. Tutto ciò, del resto, si è verificato in stretta connessione con l'evolvere di due grandi processi manifestatisi a cavallo tra il 20° e il 21° secolo. Da un lato, le dinamiche di urbanizzazione, di cui il t. è stato insieme un potente motore e un effetto patente, specie per quanto concerne la diffusione dei modelli di vita urbani e quindi la profonda riconfiguraione del rapporto città-campagna (v. urbano e rurale). Dall'altro lato, la globalizzazione, e quindi l'aumento del volume complessivo degli scambi, a livello sia materiale sia immateriale, e altresì la tendenza a garantire la fruizione diffusa e istantanea dei beni e servizi, la cui offerta tende dunque a non essere più 'ubicata' grazie alla diminuzione dei vincoli d'accesso legati alla distanza.

Entrano in crisi così i modelli di localizzazione delle attività terziarie, centrati sulla distanza, su fattori agglomerativi e, in dipendenza da questi, gravitazionali. Il modello di spiegazione più complesso a questo proposito è offerto dalla teoria delle località centrali, costruita con il suo elegante reticolo esagonale dal grande geografo tedesco W. Christaller negli anni Trenta del 20° sec., poi ripresa da A. Lösch e successivamente rielaborata dai geografi quantitativisti degli anni Sessanta.

I mutamenti profondi e diffusi del t. si possono sinteticamente osservare a due livelli: da un lato, le variazioni quantitative e qualitative, la riorganizazzione funzionale e geografica dei settori tradizionali del t.; dall'altro lato, la decisa autonomizzazione dal t. tradizionale di nuove aree di servizi indicati sovente come terziario superiore o quaternario, di cui espressione più caratteristica e dinamica appaiono le attività finanziarie e quelle che sono legate alla ricerca e anche all'informazione e alla comunicazione, a loro volta strettamente connessi alla ICT (Information Communication Technology).

Se si osserva il t. tradizionale e la sua evoluzione, le metamorfosi più spettacolari concernono certamente il commercio, il trasporto e il turismo. Guardando specificatamente all'Italia, si vede come nel settore commerciale i cambiamenti della domanda e offerta di beni e servizi riconfigurino la combinazione 'classica' di fattori di localizzazione come le economie di agglomerazione e l'accessibilità. Il processo che mette fuori gioco i cosiddetti centri commerciali naturali, ossia i tradizionali negozi cittadini, si può far risalire all'inizio degli anni Settanta ed è basato su due principi di fondo: 1) aumento delle superfici di vendita; 2) creazione di nuovi tipi di strutture per soddisfare i nuovi bisogni e le abitudini di consumo. Compaiono così le grandi superfici commerciali come supermercati, ipermercati, hard discounts, fino alle strutture di ultima generazione diffusesi negli anni Novanta del 20° sec.: centri commerciali sul modello dei grandi malls americani, e ancora factory outlet centers e catene in franchising riguardanti soprattutto il comparto dell'abbigliamento. Ci si trova di fronte non solo a una straordinaria dilatazione delle tipologie dei prodotti, ma altresì alla comparsa di servizi accessori (ristorazione, parchi giochi, sportelli bancari, sale cinematografiche, cybercafé e internet points). La concorrenza così si sviluppa in rapporto ai prezzi degli specifici prodotti posti in vendita, ma altresì in base alla varietà e qualità dei servizi integrativi offerti. Questi grandi centri commerciali al dettaglio, con i loro amplissimi parcheggi, occupano siti extraurbani che costituiscono nuove polarità localizzative e sono dunque di per sé fattori di nuova urbanizzazione.

Da ultimo, vanno ricordate in questo complesso in evoluzione le fiere che, rispetto al ruolo tradizionale svolto dai saloni e dalle mostre campionarie, sono diventati ambiti nei quali non è tanto la vendita a prevalere, quanto piuttosto la presentazione di nuovi modelli e, quindi, l'informazione e la promozione commerciale. Numerose, accanto alle fiere a vocazione generale, quelle specializzate, con un notevole ruolo di volano economico, considerando l'ampiezza dell'indotto (visitatori, ricezione, trasporti, telecomunicazioni). In Italia i grandi poli fieristici sono, nell'ordine, Milano, Bologna e Verona, cui seguono un'altra decina di centri importanti. Nel complesso il fenomeno mobilita, agli inizi del 21° sec., circa 200.000 aziende, con 20 milioni di visitatori e un giro di affari di 100 miliardi di euro.

Non meno rilevanti sono i mutamenti che hanno interessato i trasporti. Alcuni antichi sistemi conoscono marginalizzazioni che sembrano inesorabili: si pensi alle idrovie, alcune delle quali di gloriosa memoria come i Navigli milanesi, risalenti negli originari impianti addirittura al 12° secolo. Altri si riqualificano, seppure tra crisi dovute eminentemente a una crescita squilibrata della domanda di trasporto. La viabilità ordinaria e quella autostradale è in costante aumento e ammodernamento, ma rappresenta un elemento fortissimo di squilibrio, se si pensa che in Italia l'85% delle persone e i 4/5 delle merci viaggiano su gomma. Si comprende dunque come si sviluppino strategie in grado di contrastare nel medio periodo questa situazione, concernenti sia le strade ferrate sia i porti, gli aeroporti e, soprattutto, le sinergie che tra questi comparti si possono creare grazie allo sviluppo del trasporto intermodale. La dinamica delle ferrovie è in pieno svolgimento, dal punto di vista sia gestionale sia tecnico. Dal primo punto di vista, scomparse ormai le vecchie Ferrovie dello Stato, è stata costituita una holding con società sia di tipo privatistico (produzione di servizi, riqualificazione delle stazioni: il primo grande intervento in questa direzione si è avuto alla stazione di Roma Termini in occasione del Giubileo del 2000), sia di tipo pubblicistico (gestione dell'infrastruttura ferroviaria).

È in questo quadro che si collocano i grandi progetti delle linee ad alta capacità, volte a incrementare le potenzialità della rete integrandola nelle direttrici internazionali europee in un sistema di corridoi transcontinentali di andamento sia E-O sia N-S. In questo contesto si pongono precisamente le linee ad alta velocità con il quadruplicarsi dei binari: i vecchi accoglieranno il traffico regionale e locale; i nuovi, il traffico di lunga distanza, con riduzione dei tempi di percorrenza fino al 40-50%. A fronte di un orizzonte strategico assai promettente, il trasporto su ferro presenta risultati controversi. Da un lato, infatti, vengono premiati obiettivi come la riqualificazione delle grandi stazioni e l'alta velocità, seppure contestata, quest'ultima, dalle collettività locali per l'alto impatto ambientale. Dall'altro lato, risultano penalizzati comparti concernenti il materiale rotabile, le carrozze e quei servizi che sono destinati ai pendolari, che rappresentano punti dolenti delle strade ferrate dell'inizio del 21° secolo.

Passando agli altri settori del trasporto, si osserva per quello aereo, da una parte, una tendenza generale verso la deregolamentazione, dall'altra, l'irruzione sulla scena dei vettori low cost sulle brevi e medie distanze (nazionali ed europee), che hanno dato un impulso notevole al trasporto passeggeri. Tutto ciò si colloca nel quadro di strategie tendenti a potenziare le funzioni aeroportuali - al servizio dei passeggeri e degli aerei (handling) - e mettendo in atto un'articolazione gerarchica degli aeroporti secondo il sistema hub and spoke, con grandi centri di traffico (in Italia se ne segnalano due, Roma-Fiumicino e Milano-Malpensa) connessi a una raggera di aeroporti minori.

Il trasporto via mare, dal suo canto, conosce una grande vivacità sul piano delle idee e su quello delle concrete realizzazioni. Qui infatti non è più tanto la singola struttura portuale a contare, quanto piuttosto il concetto di intermediacy, con riferimento alla posizione del porto rispetto alle rotte intermodali. È qui che si inserisce il discorso su interporti e autoporti quali perni del trasporto intermodale, appunto, i quali consentono la sostituibilità dei modi di trasporto, sia del tipo gomma-ferro, sia del tipo gomma-mare, sia del tipo ancor più complesso gomma-ferro-mare. Interporti e autoporti diventano così potenti elementi di organizzazione del territorio, su diversi piani. Su quello urbano, infatti, essi attivano processi di più vasta riorganizzazione del waterfront (lungomare), che diventa così un valido fattore di risanamento e di riqualificazione urbanistica. Sul piano regionale, essi costituiscono dei poli di servizi specifici e accessori (per es., ristorazione, banche, centri direzionali, servizi doganali), dando impulso a vasti fenomeni agglomerativi che sono a loro volta matrici di ristrutturazione funzionale del territorio. Sul piano nazionale, rappresentano i nuclei vitali delle cosiddette autostrade del mare che si organizzano, di nuovo, secondo la logica del sistema hub and spoke, con lo scopo di favorire al massimo la coesione, l'interconnessione e l'interoperabilità delle varie reti nazionali.

Si è fatto cenno al turismo, una delle attività economiche più vitali a scala mondiale, ai primissimi posti tra le attività con più alto valore monetario dei beni e servizi scambiati. L'Italia è tradizionalmente uno dei grandi poli del turismo mediterraneo, che può essere considerato il più grande bacino turistico del mondo dal punto di vista dei flussi e, dunque, dei redditi mobilitati. Sebbene messa a confronto con vecchi e nuovi competitori, ben dotati di attrattive per il tempo libero e di infrastrutture per l'ospitalità, ma altresì assai agguerriti sul piano delle strategie di marketing, l'Italia resta un Paese con 350 milioni di presenze (incremento del 40% in un decennio, tra il 1991 e il 2001), di cui il 40% stranieri. È ben nota la molteplicità delle tipologie turistiche, che investono, in un modo o in un altro, la totalità delle regioni italiane. Accanto alle classiche fruizioni del mare e della montagna, altre sono venute crescendo dalla seconda metà degli anni Ottanta del 20° sec., legate allo sviluppo di una maggiore sensibilità verso le città d'arte, anche minori, e al turismo verde, associato alla presenza e allo sviluppo di parchi nazionali e aree protette (v. parco naturale) nonché al recupero delle tradizioni enogastronomiche locali.

Nel processo di crescita e differenziazione del settore t., è venuto strutturandosi un ulteriore settore, come si è detto: il quaternario. Si tratta del complesso di attività di gestione/direzione strettamente connesse con la ricerca, con la finanza e le ICT. Volano del processo innovativo, talora con organizzazioni anche fisicamente visibili come i parchi scientifici e tecnologici, il settore quaternario appare come un settore assolutamente strategico nel promuovere nuove dinamiche di sviluppo e nuove forme di organizzazione territoriale in quanto matrice di leadership economico-finanziaria, di internazionalizzazione dei processi e dei mercati, infine di coesione regionale.

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