TERRENO

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

TERRENO (XXIII, p. 644; App. II, 11, p. 982)

Valentino MORANI
Luigi TOCCHETTI

Fisica, chimica e fertilità del terreno agrario. - Una caratteristica che distingue i t. naturali di antica formazione è la differenziazione degli strati od orizzonti, succedentisi dall'alto in basso e formanti il profilo. La pedologia pura studia di questi orizzonti i caratteri e lo spessore, in rapporto alle diverse condizioni climatiche, che ne hanno determinato la formazione e la evoluzione.

Il profilo dei terreni in condizioni naturali comprende i seguenti orizzonti, spesso non tutti rappresentati, specie nelle zone ad utilizzazione agraria:

I t. di recente sedimentazione, come pure quelli di nuova formazione da arature profonde, non manifestano invece differenziazione di orizzonti, se non in casi particolari; ai fini agronomici si distinguono in questi casi, come in quelli precedenti dopo dissodamento, lo strato arabile o terra vegetale, lavorato e sottoposto ad arricchimento coi fertilizzanti nell'interesse del rendimento economico delle colture erbacee, ed il sottosuolo o strato inerte, fatto oggetto di lavorazioni per l'impianto di colture arboree o comunque per accrescere, laddove sia conveniente, la massa del terreno attiva nella nutrizione delle colture.

Le particelle detritiche, commiste a humus, costituenti il terreno, hanno in genere forme e dimensioni estremamente varie. In rapporto alle dimensioni si distinguono, e si determinano con l'analisi fisico-meccanica, le seguenti frazioni:

Dalle percentuali di queste frazioni si desume la tessitura o composizione granulometrica. Per caratterizzare dal punto di vista fisicomeccanico i terreni agrarî si adottano nomenclature diverse da luogo a luogo, aventi frequente impiego nella pratica agricola. Una di tali classificazioni, di uso corrente negli S. U. A., può essere riportata in italiano come segue:

La nomenclatura di cui sopra viene integrata eventualmente da attributi relativi sia alla presenza dello scheletro (ciottoloso, sassoso, ghiaioso, ecc.) sia a particolari componenti in eccesso (calcareo, umico, ecc.).

Nella generalità dei t. le particelle anzidette si trovano legate fra loro in aggregati, più o meno coerenti e voluminosi, sotto l'azione cementante di colloidi minerali (materiali argillosi) ed organici (componenti dell'humus). Fra questi ultimi si annoverano sostanze mucillaginose escrete da diversi microrganismi e formate da macromolecole aventi gruppi a differenti cariche elettriche, atte a stabilire legami chimici con le superfici dei componenti minerali.

La struttura o stato di aggregazione del suolo, così generata, esiste soltanto allo stato potenziale e poco manifesta nei t. sodivi, in quanto gli aggregati sono naturalmente costipati in massa più o meno compatta. Gli elementi strutturali si separano fra loro, lungo piani di minore aggregazione ad opera delle lavorazioni agrarie, oltreché delle gelate. Questi aggregati hanno forme e dimensioni spesso abbastanza uniformi, tanto da potersi distinguere una serie di "tipi strutturali" (t. grumoso, nuciforme, a briciole, glomerulare, granulare, polverulento, ecc.).

Nella discissione meccanica del suolo si crea una lacunarità o macroporosità, e si promuove di conseguenza, entro lo strato lavorato, la permeabilità all'aria e all'acqua la cui entità è evidentemente in rapporto col carattere strutturale del terreno. Nei t. sabbiosi incoerenti lavorati, ove mancano i grumi terrosi, la lacunarità si stabilisce fra i singoli granelli sabbiosi. In quelli argillosi privi di struttura, gli spazî lacunari si determinano, in genere irregolarmente, per effetto della contrazione dei materiali argillosi durante il loro disseccamento.

La permeabilità costituisce fattore fondamentale della fertilità del suolo, in quanto da essa dipende sostanzialmente, sebbene indirettamente, la nutrizione delle colture. La circolazione dell'ossigeno atmosferico è necessaria per la respirazione delle radici, cui è legata l'assimilazione degli elementi nutritivi fissi, per conferire al suolo uno stato ossidativo favorevole alle attività microbiologiche utili, specie nell'interesse della nutrizione azotata, ed ancora per regolare lo svolgimento di altri fenomeni che interessano la vita dei vegetali.

La circolazione idrica entro gli spazî lacunari vale alla distribuzione dell'acqua nei varî orizzonti del suolo ed all'imbibizione del sottosuolo: essa viene accumulata in seno agli stessi aggregati strutturali, in virtù della loro microporosità e della capacità di rigonfiamento dei colloidi. L'acqua trattenuta dalle forze capillari costituisce la riserva per soddisfare il continuo fabbisogno acqueo delle piante e corrispondente alla "capacità idrica minima" del t., direttamente e facilmente misurabile. La "capacità idrica massima" è invece in rapporto con la porosità totale, la quale trova misura più esatta nel "peso specifico apparente", cioè nel peso dell'unità di volume di terra, presa nel suo strato strutturale di campo, indisturbato, ed allo stato di secchezza all'aria. Il peso specifico apparente (Pa) si trova nella seguente relazione con il peso specifico reale (Pr) e col volume degli spazî vani (Vv):

Pertanto si può desumere la porosità totale da

Il ristagno idrico provoca l'assestamento o costipazione del suolo, in seguito al disfacimento degli aggregati: questi offrono però da t. a t. diversa resistenza all'azione disperdente dell'acqua, come anche all'azione battente delle piogge. Il relativo "indice di stabilità della struttura", che raffigura agronomicamente l'attitudine del suolo a conservare la lacunarità conferita dalle lavorazioni, è in rapporto non soltanto con le proporzioni delle sostanze aggreganti anzidette, ma anche con la natura e la saturazione basica dei minerali argillosi e coi contenuti di humus, di sesquiossidi, di calcare.

La fertilità del t. agrario è secondariamente dipendente dalla sua disponibilità di elementi minerali indispensabili per lo sviluppo delle piante, o più esattamente dalla sua attitudine ad offrire alle piante tali elementi nutritivi nella quantità e nella forma richieste, con una velocità corrispondente al fabbisogno delle piante stesse durante le varie fasi del ciclo vegetativo.

L'assorbimento ha luogo prevalentemente sotto forma di ioni, in quanto sulla superficie radicale si produce uno scambio di cationi soprattutto H+, coi cationi del suolo, e uno scambio di elettroni con anioni. Lo scambio si verifica sia in seno alla soluzione acquosa circolante nel terreno, sia nel contatto con gli aggregati terrosi, utilizzando in quest'ultimo caso gli ioni scambiabili esistenti alla superficie dei materiali argillosi; le radici possono utilizzare inoltre varî componenti di facile attaccabilità, come i sesquiossidi idrati e il calcare. L'assorbimento ionico è strettamente legato alla respirazione radicale e quindi alle condizioni fisiche del suolo, sopra descritte, che regolano gli scambî aerei con l'atmosfera.

L'assimilazione dei nitrati e di alcune altre sostanze, come certi composti organici (es. urea) si ritiene avvenga, almeno in modo prevalente, come semplice fenomeno di endosmosi, attraverso la parete della radice, bagnata dal liquido che imbeve il terreno. Le materie assimilate in tal modo, compresi gli anioni nitrici, non vengono infatti trattenute dai componenti del suolo a funzione assorbente e di natura colloidale, soprattutto dall'argilla e dall'humus, mentre si trovano disciolte nel liquido acquoso.

I nitrati si formano, e si sciolgono immediatamente, a spese dell'attività dei batterî nitrificanti; questi operano l'ossidazione dei composti ammoniacali, a loro volta provenienti sia dall'ammonizzazione delle sostanze organiche azotate contenute nell'humus nutritivo o labile, sia dal metabolismo dei batterî fissatori dell'azoto atmosferico (azotobatterî, clostridî, oppure batterî simbionti delle leguminose). I nitrati, che costituiscono la forma di azoto generalmente meglio accessibile per le piante, possono andare dispersi, oltreché per la loro facile dilavabilità, per il fenomeno della denitrificazione, prodotto da Bac. denitrificans, specie in ambiente riducente.

L'azoto ammoniacale è d'altro lato soggetto ad assorbimento da parte dei suddetti materiali colloidali ed in parte anche fissato entro le micelle argillose. Dalla forma assorbita l'ione NH4+ diviene facilmente preda dei nitrificanti.

Come l'azoto ammoniacale, anche gli altri elementi nutritivi sono presenti nel suolo in molte forme, diversamente assimilabili o suscettibili di attacco, da parte degli agenti fisico-chimici e biologici del suolo. Gli elementi metallici sia macronutritivi (potassio, calcio, magnesio, ferro) sia micronutritivi (manganese, rame, zinco), si presentano generalmente nelle seguenti quattro forme:

a) Stato nativo, come minerali cristallini, silicati (ortoclasio, plagioclasî, miche, anfiboli, pirosseni, olivina, ecc.) o di diversa composizione (calcite, dolomite, magnetite, piriti, pirolusite, blenda, ecc.) componenti delle rocce madri. I minerali in parola vanno incontro ad attacco molto lento e graduale da parte di agenti climatici e anche biologici, liberando gli elementi in forme più o meno accessibili per le piante, come le seguenti.

b) Stato fissato o comunque legato stabilmente nei prodotti di alterazione delle rocce. Il potassio, come l'ammonio, è soggetto a fenomeni di fissazione in stato non scambiabile, entro il reticolo cristallino di certi materiali argillosi, specie dell'illite. Da questo stato il potassio e l'ammonio possono trasferirsi alla superficie delle micelle argillose, divenendo scambiabili; quest'ultimo fenomeno viene facilitato dall'essiccamento del t., mentre la fissazione è favorita dall'umettamento. Fra la forma fissata e la scambiabile si stabiliscono equilibrî, onde la proporzione di questa ultima si mantiene abbastanza costante nel tempo, malgrado le asportazioni colturali. Fra gli elementi nutritivi quasi tutti si presentano in forme similmente dotate di media attaccabilità, atte cioè a rifornire, più o meno rapidamente, il t. delle dotazioni necessarie per le piante.

c) Stato scambiabile o facilmente assimilabile è quello in cui si trovano le disponibilità nutritive del suolo dalle quali le piante attingono principalmente per i loro fabbisogni. I cationi, in questo caso, si trovano legati alla superficie dei materiali colloidali argillosi, dotati di gruppi acidoidi, o alle materie organiche umificate, fra le quali gli acidi umici formano sali facilmente dissociabili. A contatto con il liquido acquoso del terreno, entro cui è disciolto l'acido carbonico derivante dalla combustione lenta dell'humus, i cationi vengono agevolmente scambiati con gli H+ e passano in soluzione. Inoltre le superfici dei materiali assorbenti sopra accennati, per contatto con le radici dei vegetali, in virtù della loro capacità di scambio cationico, possono cedere a queste gli elementi nutritivi, indipendentemente dalla presenza dell'acqua.

d) Stato disciolto nel liquido acquoso, nel quale i cationi vengono riforniti dalle forme scambiabili, col meccanismo già ricordato, e si trovano ad immediata accessibilità per le piante.

Anche fra le forme solubili e quelle scambiabili si stabiliscono equilibrî, per modo che la concentrazione di ciascun ione nella soluzione del suolo può venire ripristinata via via che le radici ne assorbono.

Il rapporto fra asportazione colturale di un dato elemento e l'attitudine del suolo a reintegrare le disponibilità immediate dell'elemento stesso, è considerato indicativo del relativo fabbisogno di concimazione. A parità di tali condizioni, tuttavia, il fabbisogno assume entità diverse a seconda dello sviluppo della superficie radicale assorbente della coltura: a superfici assorbenti minori si manifestano necessarie più elevate concentrazioni ioniche, sia nella soluzione che sulla superficie degli aggregati terrosi.

Resta da accennare alle forme degli altri elementi assorbiti allo stato di anioni, cioè del fosforo, dello zolfo, del boro e del molibdeno.

Sebbene anche in questi casi ci si possa ricondurre, per grandi linee, ai quattro stati indicati per i cationi, di fatto le forme, soprattutto del fosforo, che esistono nel suolo appaiono ben più complesse e non ancora completamente rivelate. Esse variano da un suolo all'altro soprattutto in dipendenza della concentrazione idrogenionica. Secondo G. R. Bauwin e E. H. Tyner il fosforo nel suolo, ai fini analitici, può essere distinto nelle maggiori frazioni: solubile in ac. deboli, assorbito o scambiabile, organico, insolubile o non estraibile. Secondo M. S. Bhangoo e F. W. Smith i fosfati di ferro e di alluminio insolubili rappresentano poco più della metà del fosforo totale negli orizzonti superficiali e 2/3 nei sottosuoli; il fosforo organico, lentamente utilizzabile, 1/3 ed 1/5 rispettivamente del totale; il fosforo assorbito dai colloidi ed il P solubile in acidi diluiti, cioè le due forme costituenti le riserve immediate del suolo, rappresentano complessivamente circa 10% e 5% nei due orizzonti superficiale e profondo. Molto esigui, in confronto alle forme suddette, sono i fosfati disciolti nella soluzione del suolo: la concentrazione fosforica di quest'ultima rispecchia con buona approssimazione lo stato di fertilizzazione fosforica del terreno.

Lo zolfo, il boro e il molibdeno si trovano anch'essi sia in forme organiche di diversa natura e comportamento, sia allo stato di composti inorganici, specialmente come sali di calcio, costituenti la riserva di facile disponibilità. Essi esistono inoltre allo stato di anioni disciolti, ma quelli degli acidi borico e molibdico in forte diluizione.

Bibl.: A. Menozzi e U. Pratolongo, Il terreno e i fertilizzanti, Milano 1952; A. Demolon, Dynamique du sol, Parigi 1948; L. M. Thompson, Soils and Soil Fertility, New York 1957; V. Morani, Chimica agraria, Roma 1961; G. R. Bauwin e E. H. Tyner, in Soil Sci. Soc. Amer. Proceed., XXI (1957), p. 245; M. S. Bhangoo e F. W. Smith, in Agronomy Journ., XLIX (1957), p. 354.

Meccanica dei terreni (App. II, 11, p. 983).

Gli sviluppi recenti della meccanica dei t. riguardano soprattutto la classificazione dei terreni e la portanza dei sottofondi stradali: studî entrambi suggeriti dalla moderna esigenza di conoscere in maniera quanto più possibile rapida ed efficace il comportamento dei diversi tipi di t. che si possono . incontrare, in ispecie nel corso della costruzione del corpo stradale e delle pavimentazioni delle strade.

Classificazione dei terreni. - Il comportamento di un t., specialmente per gli scopi dell'ingegneria stradale, risulta abbastanza bene individuato quando sono note la resistenza a compressione, la compressibilità e la suscettibilità alle variazioni del contenuto d'acqua. La determinazione di queste caratteristiche richiede lungo tempo e una adeguata attrezzatura di laboratorio, cosicché, causa la grande varietà di t. che possono incontrarsi, è molto difficile, se non impossibile, stabilire, in fase di progetto, dei valori definitivi per le caratteristiche dei terreni, mentre in fase di esecuzione può non esservi tempo sufficiente per la ricerca.

Tale difficoltà può superarsi proprio mediante la classificazione dei t., ossia con la suddivisione dei t. in gruppi corrispondenti a caratteristiche fisiche essenziali variabili in modo molto ristretto, cosicché basti accertare mediante prove agevoli e rapide l'appartenenza del t. ad un certo gruppo, per desumerne indirettamente le sue caratteristiche. La prima classificazione semplificata dei terreni per gli scopi tecnici, è dovuta ad A. Atterberg, e richiede la conoscenza dei limiti di consistenza dei terreni stessi. Tali limiti (di liquidità, di plasticità e di ritiro) individuano, come è noto, il contenuto d'acqua del t. (umidità), in corrispondenza del passaggio tra i varî stati di consistenza, in cui si nota una brusca variazione nelle proprietà del materiale.

Il limite liquido Ll segna il passaggio dallo stato liquido a quello plastico ed individua il contenuto di acqua a cui i granuli del t. hanno ancora un grado di libertà sufficiente perché possano aggiustarsi sotto leggere vibrazioni, senza però poter cambiare liberamente le posizioni reciproche.

Il limite plastico Lp individua il passaggio dallo stato plastico a quello semisolido, intendendosi per stato plastico - secondo Atterberg - quella condizione in cui il t. può venire ridotto in fili di 1/8 di pollice senza rompersi. A tale limite non si attribuisce un valore puramente convenzionale, poiché in questi ultimi tempi si è visto che esso individua alcune fondamentali proprietà del terreno. K. Terzaghi ha osservato che, per contenuti di umidità uguali o inferiori al limite plastico, le proprietà dell'acqua non sono più identiche a quelle dell'acqua libera: inoltre, facendo aumentare gradatamente il contenuto di umidità di un t., in corrispondenza del limite plastico si osserva una brusca diminuzione della portanza (punto di carico critico).

Il limite di ritiro Lr segna il passaggio tra lo stato semisolido e solido, ed individua il contenuto d'acqua per cui un'ulteriore evaporazione avviene senza variazione di volume del terreno.

La differenza tra limite liquido e limite plastico è stata definita da Atterberg indice di plasticità Ip. Esso individua l'intervallo di umidità in corrispondenza del quale il t. si mantiene plastico, cioè può subire considerevoli variazioni di forma senza variare di volume: tale proprietà è caratteristica delle argille che hanno indice di plasticità elevato, mentre manca del tutto nelle sabbie, il cui indice plastico è praticamente nullo. Quanto più elevato è l'indice di plasticità di un'argilla tanto maggiore è il quantitativo di sabbia che con essa può mescolarsi senza farle perdere la plasticità. Per questi ed altri motivi Atterberg considera tale indice come caratteristico della plasticità del t., ed in base ad esso distingue quattro categorie di terreni: a) t. friabili (indice di plasticità inferiore ad 1); b) t. debolmente plastici (indice di plasticità da 1 a 7); c) t. mediamente plastici (indice di plasticità da 1 a 15); d) t. fortemente plastici (indice di plasticità superiore a 15). La classificazione è molto incompleta, perché vi si ignorano le relazioni che legano la plasticità alle altre proprietà caratteristiche del t.; pur tuttavia la sua validità è dovuta al fatto che insieme con la plasticità aumentano alcune caratteristiche negative dei t., come la suscettibilità all'acqua, con conseguenti riduzioni di resistenza alle azioni meccaniche esterne. Essa rappresenta la base di tutte le classificazioni successive, e la sua conoscenza è opportuna per la comprensione di queste ultime.

Le classificazioni dei t. oggi maggiormente usate nel campo dell'ingegneria sono: quella proposta da A. Casagrande in America nel 1942 ed attualmente adottata in Gran Bretagna dal Road Research Laboratory; quella in uso dalla U. S. Public Roads Administration, la cui ultima edizione risale al 1945 ed attualmente adottata dal U. S. Highway Research Board; ed infine quella della Civil Aeronautic Administration (C.A.A.) la cui ultima edizione risale al 1946. Ciascuna di queste classificazioni riflette le finalità per cui fu compilata: così quelle del Casagrande e del C.A.A. sono maggiormente adatte per i terreni da impiegarsi nelle costruzioni aeroportuali, mentre quella dell'H.R.B. è più idonea nelle costruzioni stradali; quest'ultima, riportata nella tabella 1, è la più nota e diffusa in Italia.

Essa suddivide i t. in sette gruppi e undici sottogruppi, in base alla granulometria, al limite liquido ed all'indice di plasticità. Ai primi tre gruppi (A1-A2-A3) appartengono i t. granulari, caratterizzati dal fatto di avere un quantitativo di passante al setaccio da 0,075 mm non superiore al 35%. Agli altri quattro gruppi appartengono i t. limo-argillosi, che sono caratterizzati dall'avere un quantitativo di passante al setaccio da 0,075 mm superiore al 35%. I sottogruppi, nei quali alcuni di tali gruppi si suddividono, vengono individuati a mezzo di un secondo numero, oppure di una lettera minuscola. Il criterio con cui si stabilisce l'appartenenza di un t. ai varî gruppi e sottogruppi della classifica si desume agevolmente dalla tabella.

A ciascun terreno si assegna ancora un numero, variabile da o a 20, detto indice di gruppo Ig, che viene calcolato in base al quantitativo di passante al setaccio da 0.075 mm, al limite liquido ed all'indice di plasticità con la formula:

dove i simboli hanno il significato qui di seguito indicato: a = l'eccedenza su 35 della quantità di terra che passa al setaccio da 0,075 mm senza oltrepassare 75, espressa da un numero intero positivo compreso tra 0 e 40; b = l'eccedenza su 15 della percentuale di terra che passa al setaccio da 0,75 mm senza oltrepassare 55, espressa da un numero intero positivo compreso tra 0 e 40; c = l'eccedenza su 40 del limite liquido che non supera 60, espressa da un numero intero positivo compreso tra 0 e 20; d = l'eccedenza su 10 dell'indice di plasticità che non supera 30, espressa da un numero intero positivo compreso tra 0 e 20.

L'indice di gruppo è tanto più alto quanto peggiori sono le qualità portanti del t.; perciò associando nella classificazione a ciascun tipo di t. l'indice relativo, si possono distinguere, entro uno stesso gruppo o sottogruppo, i t. di qualità portanti migliori con indice di gruppo più basso da quelli di qualità portanti peggiori con indice di gruppo più elevato.

Misure di portanza. - La portanza di un t. è il carico che esso può stabilmente sopportare ovvero quello per il quale non si oltrepassa un determinato cedimento. La conoscenza della portanza è essenziale per la progettazione delle strutture destinate a distribuire i carichi - dovuti al peso proprio e a quello di altre strutture soprastanti - sul t. di appoggio (pavimentazione stradale, fondazione di un edificio, di un ponte, ecc.). Per la misura della portanza si possono eseguire prove sia in sito sia in laboratorio; le prime possono essere dirette o indirette a seconda che diano direttamente i valori della resistenza del t. oppure valori di altre grandezze da cui si possa pervenire alla resistenza del terreno a mezzo di tabelle di correlazione. I metodi di laboratorio sono invece sempre metodi indiretti, a meno che non si operi su terreni ricostituiti e posti in grandi vasche.

Metodi indiretti. - Diversi sono i criterî che consentono di stabilire un legame tra la portanza al limite di rottura di un t. di fondazione e le sue caratteristiche intrinseche, determinabili - queste ultime - mediante prove di laboratorio (v. fondazione, App. II, 1, p. 959; terreno, App. II, 11, p. 987 e ss.).

Una volta che siano noti i valori della coesione e dell'attrito interno del t. in esame (determinati mediante prove di compressione triassiale), la portanza limite può anche essere calcolata con la seguente formula, adatta al caso di carichi ripartiti lungo striscie continue di fondazione:

dove: c è la coesione del terreno in kg/cm2; γ è il peso dell'unità di volume (peso specifico apparente) del terreno in kg/cm3; h la profondità del piano di fondazione in cm; b la larghezza della fondazione in cm; Nc, Nq e Ny sono dei coefficienti numerici adimensionali funzioni dell'angolo di attrito interno del terreno. Nel caso di carichi su impronte circolari di raggio r, la formula si modifica nella qr = 1,3cNc + γhNq + 0,6 γrNy. Le formule precedenti si applicano con sufficiente approssimazione per t. di discreta resistenza, per i quali cioè è ben marcato il ginocchio della curva "carico-cedimento" della prova triassiale. Per t. di scarsa resistenza, è invece opportuno, nelle formule precedenti, attribuire alla coesione ed all'attrito interno valori ridotti ai 2/3 di quelli determinati sperimentalmente.

Trovato il valore della capacità portante limite, quella ammissibile per il t. in esame potrà porsi pari alla metà o ad un terzo di quella limite; oppure si può assumere come capacità portante il carico unitario che nella curva carico-cedimento dà luogo ad una deformazione assiale del campione ritenuta ammissibile agli effetti della costruzione da eseguire.

Altro metodo indiretto è quello che opera su campioni ad espansione laterale libera; in questo caso la capacità limite può ricavarsi dalla formula

dove qu è il carico a rottura constatato e b ed l sono le dimensioni trasversale e longitudinale della fondazione continua in progetto. In genere il secondo termine in parentesi si può trascurare e la formula diventa qr=0,95qu.

Metodo del California Bearing Ratio (C.B.R.). - È un metodo indiretto con il quale si misura il carico unitario necessario per far penetrare nel t. in esame un pistone cilindrico di 20 cm2, fino alla profondità di 2,5 mm, con la velocità di 1 mm ogni 50 sec. Tale carico, rapportato ad un carico convenzionale di 70 kg/cm2 fornisce l'indice portante californiano o C.B.R. del terreno in esame. Quanto maggiore è il valore di tale indice, tanto più alta è evidentemente la portanza del terreno. La prova può eseguirsi in laboratorio su un campione opportunamente preparato e costipato in una fustella ovvero su un campione prelevato indisturbato dal sottofondo in esame o può infine eseguirsi in sito. Talvolta il campione viene preventivamente immerso per quattro giorni in acqua, allo scopo di osservare l'effetto che ha la sommersione sulle capacità portanti del terreno. La possibilità di tale osservazione rende il metodo C.B.R. particolarmente indicato per i terreni limo-argillosi (gruppi da A4 ad A7 e relativi sottogruppi) molto sensibili all'acqua, quando si prevede che i sottofondi costituiti da terreni di quel tipo non possano venir sottratti all'azione dell'acqua. La prova si esegue su materiale passante al setaccio da 3/4 di pollice della serie ASTM, il che costituisce una limitazione abbastanza notevole di impiego. Un sottofondo con indice C.B.R. superiore al 15% può definirsi buono, tra il 5 e il 15% discreto, inferiore al 5% senz'altro scadente.

Il metodo C.B.R. è sostanzialmente una prova convenzionale di penetrazione, dalla quale si può risalire alla capacità portante a mezzo di tabelle di correlazione dedotte sperimentalmente per i singoli tipi di t.; più che per la determinazione della capacità portante esso viene usato per la determinazione dello spessore delle pavimentazioni; il suo interesse deriva dal rilevante numero di prove eseguite per le soprastrutture aeroportuali e stradali e quindi su una casistica che consente di impiegarlo prevalentemente a detto fine.

Altri metodi indiretti di determinazione della portanza sono quelli penetrometrici nei quali si misura il numero di colpi per i quali una massa di dato peso, cadente da una data altezza, deve subire un affondamento di valore prestabilito. In linea di larga approssimazione la capacità portante viene determinata con opportune tabelle di correlazione.

La valutazione della portanza può anche essere effettuata mediante abachi che legano la portanza dei terreni con i gruppi di appartenenza delle classificazioni sopra citate; valutazione anch'essa molto approssimata, che presuppone, in ogni caso, un determinato compattamento.

Metodi diretti. - Consistono nel caricare il t. in sito ed alla profondità del piano di fondazione, a mezzo di piastre di acciaio, generalmente circolari. rilevando gli abbassamenti che il t. subisce. La portanza viene così determinata con prove a rottura o con prove di deformazione che possono essere eseguite o con una sola applicazione del carico (prove a ciclo unico) o con più applicazioni (prove ripetute). Nelle prove a rottura il carico o il numero delle ripetizioni viene spinto sino a raggiungere la rottura del t. o della struttura in prova: con le seconde prove si determina invece il carico che produce una deformazione prestabilita della superficie caricata.

L'influenza del diametro della piastra sul valore del carico unitario applicato, a parità di cedimento, diminuisce con l'aumentare del diametro; l'influenza è praticamente nulla per diametri superiori a 70÷80 cm. Per questo nelle prove su sottofondi di pavimentazioni stradali si impiegano preferibilmente piastre del diametro di 76 cm. Le prove effettuate in questo campo sono per lo più prove di deformazione. Nel caso, per es., delle pavimentazioni in calcestruzzo, la valutazione della portanza del sottofondo viene effettuata mediante una prova di carico a ciclo unico, determinando il carico in corrispondenza di un cedimento totale (plastico ed elastico) di 1 mm o 1,25 mm; il rapporto tra il carico e il cedimento in cm dà il modulo di reazione K del sottofondo o modulo di Westergaard. Esso è espresso in kg/cm3 e il suo valore numerico rappresenta la pressione che occorrerebbe esercitare sul terreno per ottenere la deformazione di 1 cm.

Per t. di posa di pavimentazioni flessibili la portanza viene determinata invece in corrispondenza di deformazioni effettive di mm 5; la prova viene eseguita con modalità diverse a seconda del tipo di metodo adottato (metodo del Palmer, dello Highway Research Board, metodo Maresca, metodo svizzero, ecc.).

Lo stesso numero dei metodi introdotti per la determinazione della portanza dei terreni costituisce una prova indiretta della loro incerta interpretazione e quindi della larga approssimazione dei risultati. Le prove assumono poi significato diverso secondo che siano impiegate quale mezzo di valutazione per il progetto delle opere oppure come mezzo di comparazione di terreni diversi. Nel primo caso l'incertezza è maggiore anche in relazione al numero di parametri che possono modificare nel tempo la portanza; nel secondo caso il risultato delle prove è naturalmente molto più attendibile.

Bibl.: K. Terzaghi, Simplified soil test for subgrades and their physical significance, in Public roads, ott. 1926; id., Theoretical soil mechanics, New York 1948; id. e R. B. Peck, Soil mechanics in engineering practice, New York 1948; D. W. Taylor, Fundamental of soil mechanics, New York 1948; A. Caquot-J. Kerisel, Traité de mécanique des sols, Parigi 1949; G. P. Tschebotarioff, Soil mechanics, Foundations and earth structures, new York 1951; Road Research Laboratory, D.S.I.R. Soil mechanics for road engineers, Londra 1957; C. Cestelli Guidi, Meccanica del terreno - Fondazioni - Opere in terra, Milano 1957; G. Moraldi, Che cosa ci si può attendere dalle prove di carico con piastre, in Le strade, marzo 1959.

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