TERRA

Enciclopedia Italiana (1937)

TERRA (fr. Terre; sp. Tierra; ted. Erde; ingl. Earth)

Giovanni SILVA
Antonio PARASCANDOLA
Roberto ALMAGIA
Salvatore AURIGEMMA
Rosanna TOZZI

Considerata dagli antichi come il centro attorno al quale dovevano muoversi tutti i corpi celesti, la Terra ha oggi il posto che le compete quale modesto pianeta del sistema solare (per le ipotesi sull'origine della Terra, v. solare, sistema) e tale posto diviene sempre più evanescente con l'approfondirsi delle conoscenze sull'Universo, di cui sono infima parte non soltanto il sistema solare ma tutto l'insieme delle stelle note agli uomini avanti la scoperta del cannocchiale. Ma l'importanza ideale e materiale che ha per noi questo pianeta, sul quale si svolge la nostra vita, si rispecchia anche nello studio scientifico di esso e, dal punto di vista geodetico ed astronomico, la forma, le dimensioni, la massa e i movimenti suoi sono i più esattamente studiati e conosciuti, e restano di fondamento alla determinazione delle distanze cosmiche, delle dimensioni, delle masse e dei movimenti di tutti gli astri.

Forma e dimensioni. - Se da un medesimo punto elevato in mezzo al mare si misura l'angolo che la visuale diretta all'orizzonte forma con il piano orizzontale (depressione dell'orizzonte) si trova che esso è tutt'intorno costante, il che dimostra che le tangenti alla superficie del mare condotte dal punto formano un cono di rotazione. Se il punto di osservazione si sposta sulla medesima verticale, il fatto permane, e ciò permette di affermare che la superficie del mare, fino dove è visibile, è di rotazione intorno alla detta verticale e che da ogni punto di questa l'orizzonte marino è veramente circolare, come appare a prima vista. Poiché lo stesso si può dire qualunque sia la verticale scelta, si può concludere che la superficie del mare, nell'ordine di approssimazione di misure di tal genere, ha la forma sferica. D'altra parte il mare copre i 5/7 della superficie terrestre, sicché la medesima conclusione può essere estesa a tutta la Terra, immaginando prolungata la superficie del mare al disotto dei continenti, così da avere, anche dove la superficie fisica della Terra è frastagliata da monti e valli, una superficie di riferimento alla quale la verticale resti sempre perpendicolare (geoide). In via approssimata è del resto lecito fare astrazione dai rilievi montuosi dei continenti, poiché le massime cime arrivano appena, e solo per eccezione, a 1/720 del raggio terrestre.

Nei tempi preistorici l'uomo, guidato dalle apparenze, ritenne la Terra piana e il cielo capovolto su di essa a guisa di campana. L'idea che la Terra sia sferica e isolata nello spazio apparve sicuramente nell'astronomia dei Greci con Pitagora; altri filosofi a lui posteriori, e in particolare Aristotele, ne enunciarono le prove elementari che anche oggi vengono citate sull'argomento, quali la forma sempre circolare dell'ombra che la Terra proietta sulla Luna nelle eclissi di questo nostro satellite; il graduale disparire, prima delle parti inferiori, poi di quelle superiori di un bastimento quando si allontana dalla costa, e le variazioni di aspetto della sfera celeste con gli spostamenti in direzione del Nord o del Sud nei grandi viaggi. A queste prove, note agli antichi, si aggiunsero, da Magellano in poi, i viaggi di circumnavigazione, che valsero a togliere ogni dubbio residuo sulla sfericità della Terra. Le variazioni di aspetto della sfera celeste percorrendo la Terra nel senso dei meridiani dipendono dalle variazioni di altezza del polo celeste sull'orizzonte (media delle altezze massima e minima delle stelle circumpolari) e quest'altezza coincide con la latitudine del luogo. È facile quindi comprendere come misure astronomiche e misure lineari di un meridiano possano determinare la cosiddetta lunghezza del grado di latitudine, cioè la lunghezza dell'arco di meridiano di un grado, dalla quale si ha subito la circonferenza e il raggio terrestre. Misure di tal genere vennero effettuate in tempi antichi e moderni e vennero estese anche ad archi qualunque tracciati sulla superficie terrestre (v. geodesia: Storia) e condussero fino alla fine del sec. XVII a valori sempre più esatti del raggio della Terra. A quest'epoca le teorie esposte da C. Huygens e I. Newton e l'esperienza fatta da J. Richer a Caienna, dove il pendolo che batteva il secondo venne trovato più corto che a Parigi, condussero ad attribuire alla Terra la forma di uno sferoide leggermente schiacciato ai poli.

I meridiani furono da allora in poi considerati ellissi con l'asse maggiore a sull'equatore, l'asse minore b diretto al polo, e fu chiamato schiacciamento terrestre il rapporto α = (a - b)/a. Le misure astronomico-geodetiche furono perciò dirette a misurare, insieme con il raggio equatoriale a, anche lo schiacciamento a, ma questo secondo può essere pure dedotto da sole misure di gravità compiute a latitudini diverse ed anche dagli effetti che la meccanica celeste attribuisce allo schiacciamento stesso, quali la precessione degli equinozî e particolari perturbazioni nel moto lunare. Astronomi e geodeti accettano attualmente i valori dati nel 1909 da J. F. Hayford: raggio equatoriale: a = m. 6.378.388; schiacciamento: a = 1/297 = 0,003.367. Ne seguono i seguenti altri valori: semiasse minore: b =. m. 6.356.912; lunghezza del meridiano: metri 40.009.153; raggio di una sfera di eguale superficie della Terra: m. 6.371.228; raggio di una sfera di eguale volume della Terra: m. 6.371.221.

La differenza di più che 21.000 m. fra a e b dovuta allo schiacciamento terrestre e quella di più che 9000 m. fra la lunghezza oggi nota del meridiano terrestre e quella, meno esatta, di 40.000.000 di metri, che servì a definire il metro campione, possono sembrare notevoli; tuttavia la differenza fra il diametro polare e quello equatoriale di una palla da bigliardo "schiacciata" come la Terra non arriverebbe a due decimi di millimetro, e di questo stesso ordine di grandezza è la differenza fra il metro campione e la quarantamilionesima parte del meridiano.

Massa e densità. - Secondo la teoria della gravitazione, l'attrazione f, che una data massa sferica omogenea di centro A riceve da una massa m, è direttamente proporzionale a m e inversamente proporzionale al quadrato della distanza r fra A e il centro di m, quando anche m sia sferica e omogenea o a strati sferici omogenei concentrici, oppure fra A e un certo punto determinabile di m, quando di questa massa m sia ben nota la forma e la distribuzione della densità nell'interno. Se la massa attraente è la Terra e la massa attratta A è alla sua superficie, f diviene il peso F di A m diviene la massa M della Terra, ed r ne diventa il raggio R, potendosi considerare la Terra sferica. Sicché risulta:

Da questa formula si può dedurre la massa M della Terra quando insieme con m, r, R, siano note f ed F, o semplicemente il loro rapporto. Nota M si ha poi subito la densità, dividendo M per il volume conosciuto della Terra.

La prima determinazione della massa della Terra fu fatta dall'astronomo inglese N. Maskelyne prendendo come massa m ausiliaria quella di un monte della Scozia e determinando con osservazioni astronomico-geodetiche di quanto il filo a piombo veniva deviato dall'attrazione del monte; questa deviazione gli permetteva di conoscere il rapporto f/F fra l'attrazione del monte e l'attrazione della Terra. Sull'attrazione delle montagne o di una parte della crosta terrestre è pure fondato il metodo di determinare, con misure pendolari, la variazione dell'accelerazione di gravità fra la superficie della Terra e la cima di un'alta montagna, come fecero G.A. Plana e F. Carlini nel 1848 con misure gravimetriche ai piedi e sulla cima del Monte Cenisio, o fra la superficie della Terra e il fondo di una miniera, come fece in Inghilterra l'astronomo G.B. Airy. La valutazione dell'attrazione delle montagne, o meglio, nella formula soprascritta, la valutazione di r è assai incerta e le misure possono essere inoltre alterate da altre irregolarità nella distribuzione delle masse in vicinanza dei luoghi di osservazione. Valori più esatti si hanno perciò nelle esperienze di laboratorio. H. Cavendish nel 1798 ricorse a una bilancia di torsione, che gli permise di valutare l'attrazione f fra una coppia di sferette metalliche A e una coppia di grosse masse sferiche m di piombo poste vicino a quelle. Ph.-G. Jolly nel 1881, ricorrendo a una bilancia di precisione, avente una seconda coppia di piatti 21 m. al disotto della coppia normale, ottenne in modo anche più diretto il rapporto f/F fra l'attrazione di una grossa sfera di piombo e quella della Terra su una medesima piccola massa sferica situata su uno dei piatti più bassi. Queste ed altre esperienze più volte ripetute con mezzi sempre più esatti dànno come valori più attendibili della massa della Terra grammi 5,98 × 1027 e della sua densità 5,52 volte quella dell'acqua, con un'incertezza di una o due unità sull'ultima cifra di questi numeri.

Movimenti. - Il moto apparente diurno degli astri, che in particolare, con il nascere e tramontare del Sole, regola la vita quotidiana dell'uomo, si trova per la prima volta attribuito al moto di rotazione della Terra da Filolao, filosofo pitagorico del sec. V a. C.; ma, benché l'idea fosse sostenuta più tardi da Aristarco da Samo e da altri, Ipparco, tre secoli dopo, ammise la Terra ferma e fu seguito in questa opinione da Tolomeo e da ogni altro astronomo fino a Copernico. La scoperta del cannocchiale, che fece subito riconoscere il moto del Sole e poi di altri pianeti, e la legge del Newton diedero le prime prove della rotazione terrestre. Altri fenomeni naturali trovano in essa la loro spiegazione, come la deviazione dalla direzione dei meridiani delle grandi correnti marine e dei venti alisei e contralisei, come pure il senso destrorso e sinistrorso dei cicloni atmosferici nei due opposti emisferi. Molteplici sono poi le prove sperimentali; la più evidente e facilmente realizzabile è quella del pendolo di Foucault; la più utile è quella applicata nella bussola giroscopica, che nelle grandi navi sostituisce con notevoli vantaggi la bussola magnetica. La durata della rotazione terrestre è di 23h 56m 4s,0990 di tempo solare medio, ed è, per la sua costanza, il fondamento della misura del tempo. Tuttavia confronti con altri fenomeni astronomici hanno messo in dubbio quella costanza assoluta; in particolare paragoni con antiche eclissi denoterebbero un graduale aumento di quella durata. Tale aumento, il quale trova spiegazione specialmente nell'attrito delle maree sarebbe di 1/1000 di secondo per secolo. Una seconda perturbazione nella rotazione terrestre, ma d'altra natura, è una leggiera oscillazione della Terra rispetto al suo asse, quale è messa in evidenza dalle variazioni di latitudine, osservate espressamente con continuità da varî decennî. I poli terrestri, in conseguenza di questo moto, circolano intorno a una loro posizione media, e nei loro movimenti si distingue un ciclo di 14 mesi, dovuto alla non coincidenza dell'asse di rotazione con il corrispondente asse principale d'inerzia, e un ciclo annuale, causato da fenomeni meteorologici. Il primo era stato previsto teoricamente da Eulero, che gli aveva attribuito la durata di 10 mesi nell'ipotesi che la Terra fosse rigida; la differenza è quindi imputabile all'elasticità che la Terra possiede.

Il moto apparente annuo del Sole fra le stelle dello zodiaco, lungo il cerchio massimo dell'eclittica, moto che per l'inclinazione di questa sull'Equatore provoca la varia durata dei giorni nel corso dell'anno e l'alternarsi delle stagioni, ebbe pure nell'antica Grecia, da Aristarco da Samo e da altri, la sua spiegazione nel moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole; ma anche per esso dobbiamo venire alle affermazioni di Copernico e alle scoperte del Galilei, del Kepler e soprattutto del Newton perché fosse universalmente accettata. Altri fatti vennero più tardi a comprovarla con il perfezionarsi delle misure angolari e con l'introduzione dello spettroscopio. Tali sono il fenomeno dell'aberrazione della luce; lo spostamento parallattico delle stelle, misurabile per quelle a noi più vicine, che permette di determinarne la distanza; le variazioni annue della velocità radiale delle stelle, messe in evidenza dalle oscillazioni negli spostamenti delle righe spettrali e dovute all'alterno moto di avvicinamento e di allontanamento che la Terra va annualmente compiendo rispetto a ciascuna stella. L'orbita annua descritta dalla Terra, secondo le leggi del Kepler, è un'ellisse con il fuoco nel Sole, ben poco diversa da una circonferenza. La media fra la minima e la massima distanza della Terra dal Sole (semiasse maggiore dell'ellisse) è di km. 149.500.000; il rapporto della differenza fra le due distanze estreme e questa loro media (eccentricità dell'ellisse) è 0,01675. Il periodo nel quale la Terra compie una intera rivoluzione, con riferimento alle stelle, è l'anno siderale, che vale giorni 365,25636. Le perturbazioni periodiche e progressive di questo movimento, dovute all'azione della Luna e degli altri pianeti, sono assai complesse, ma rispettivamente piccole o lentissime; esse costituiscono altrettanti movimenti secondarî della Terra. Così, ad es., poiché più esattamente l'orbita ellittica è descritta dal centro di gravità fra la Terra e la Luna, il centro della Terra ruota intorno a detto centro di gravità nel periodo di una rivoluzione siderale della Luna, pur restandone distante di soli 3/4 del raggio terrestre.

Altre perturbazioni periodiche sono dovute ai varî pianeti, mentre l'azione progressiva di questi provoca, ad es., un lento spostamento dell'asse maggiore dell'ellisse e quindi del perigeo, per modo che tra due successivi passaggi della Terra al perigeo intercorre un periodo (anno anomalistico) di giorni 365,25964, leggermente diverso dall'anno siderale. Similmente si verifica un lentissimo spostamento del piano dell'eclittica, che, combinandosi con il lento spostamento dell'Equatore dovuto aI terzo moto principale della Terra di cui subito diremo, dà origine alla precessione degli equinozî; il periodo che intercede fra due passaggi successivi a un medesimo equinozio (anno tropico) è di giorni 365, 24220, più sensibilmente diverso da due precedenti. A quest'ultimo sono legate le alternanze delle stagioni, sicché sulla sua durata è fondato l'anno civile, il cui principio è fissato con le norme del calendario. Gli astronomi usano iniziare l'anno tropico quando la longitudine media del Sole è 280° esatti (epoca sempre prossima al 1° gennaio) e chiamano annus fictus o anno besseliano l'anno così definito.

Un terzo movimento principale, ma lentissimo, della Terra è dovuto al moto conico del suo asse intorno all'asse dell'eclittica; esso si compie in circa 26.000 anni e si rende manifesto nel fenomeno della precessione degli equinozî; anche questo terzo movimento è perturbato da movimenti secondarî di carattere periodico, che costituiscono la nutazione (v. equinozî: Precessione degli equinozî e nutazione). Quale quarto movimento notevole della Terra è infine da citare quello che essa compie fra le stelle insieme con tutto il sistema solare; ossia il moto del Sole, che ha la velocità di circa 20 km. al secondo e l'apice in un punto della costellazione di Ercole. Se il precedente terzo movimento reca in un determinato luogo variazioni di aspetto della sfera celeste che solo i ricordi storici, possono mettere in evidenza, questo quarto moto, calcolato mediante ricerche statistiche su quei movimenti stellari che solo le più accurate misure astronomiche possono rilevare, non reca alcun effetto che possa interessare la vita umana.

Il calore interno della Terra. - L'osservazione diretta della crosta della Terra a noi accessibile, entità trascurabilissima rispetto al raggio terrestre, ci fa rilevare che in varî punti della crosta terrestre al disotto di una zona a temperatura costante, per ogni 33 metri in media che si scende in profondità, la temperatura aumenta di un grado. Supponendo che la temperatura continui a crescere verso l'interno con la stessa legge, dovremmo considerare la Terra costituita da un nucleo fuso o addirittura gassoso circondato da una crosta solida relativamente spessa; ma ciò è contrario a molte osservazioni che verranno esposte.

Fra l'altro, sotto l'azione attrattiva luni-solare, il nucleo fuso dovrebbe urtare contro la crosta e spezzarla, ovvero questa dovrebbe elasticamente reagire, la quale cosa non ha conferma alcuna.

Né i vulcani sono in favore di questa ipotesi del fuoco centrale poiché il loro fuoco si origina nell'esile crosta terrestre ed è conseguenza di ben altre cause. Il gradiente termico è molto vario; ciò è dovuto a peculiari condizioni locali e secondo alcuni a presenza di elementi radioattivi. Da molti si ritiene che l'interno della Terra abbia una temperatura che va da 4000° a 10.000°.

L. H. Adams ritiene che alla profondità di 100 km. vi sia una temperatura di 1300°, e a 300 km. vi sia una temperatura di 2450°.

Costituzione della Terra. - Da varie fonti noi possiamo trarre conclusioni circa la costituzione della Terra: dalle analogie con le meteoriti; dalla media densità della Terra; dalla costante di gravità, dalla precessione degli equinozî e da varî dati astronomici e geodetici dai quali si può calcolare il momento d'inerzia della Terra, che ci dà ragione della distribuzione della densità nell'interno di essa; dallo schiacciamento della Terra ai poli armonizzante con la distribuzione della sua materia; dai dati sismici; dal magnetismo terrestre; dalle conoscenze dirette della geochimica (v.).

Tra la media densità della Terra (5,5) e quella dei minerali della crosta a noi accessibile (2,7) vi è una notevole differenza, la quale ci induce a pensare che nel suo interno vi debba essere materiale specificamente più pesante e precisamente ferro, in lega con nichelio, come l'osservazione delle meteoriti conferma.

L. H. Adams e E. D. Williamson dimostrano che la densità media della Terra non può essere un effetto della compressione, anche partendo da una densità iniziale di 3,5 alla superficie. La Terra, d'altra parte, si comporta come un grande magnete; a ciò è stato obiettato che alle alte temperature del nucleo, il ferro già avrebbe dovuto perdere il suo magnetismo; ma in tale obiezione non si è tenuto conto del comportamento, da noi del tutto ignorato, del ferro all'enorme pressione del nucleo e, quel che è più, in lega col nichelio.

Le vibrazioni sismiche ci ammaestrano circa lo stato interno della Terra (v. sismologia) la quale si comporta come un solido la cui rigidità è paragonabile quasi a quella dell'acciaio. Esaminando innumerevoli diagrammi sismici, si è rilevato in due punti dello spessore terrestre un brusco cambiamento di velocità di propagazione: onde queste due zone di discontinuità ci inducono a dividere la Terra in nucleo, mantello e crosta. Un brusco cambiamento della velocità delle onde longitudinali da 13 a 81/2 hm./sec., alla profondità di 2900 km., segna il limite tra il nucleo e il mantello terrestre; il limite, poi, fra il mantello e la crosta terrestre, altra zona di discontinuità di primo ordine, si rivela in Europa a una profondità di circa 45 km. cambiando la velocità delle onde longitudinali da 6,25 a 8 km. e quelle trasversali da 3,4 a 4,3. La velocità delle onde longitudinali di 8 km./sec. si riferisce alla velocità di propagazione in rocce oliviniche (duniti) con le quali comincia la zona dei silicati ferromagnesiaci, vale a dire la zona di Sima (silicio-magnesio). Con la denominazione di zona di "eclogite", V. M. Goldschmidt chiama la parte superiore del mantello terrestre, poiché le velocità di propagazione sopracitate vanno in accordo con la presenza di rocce formatesi a pressioni altissime, quali sono le eclogiti, rocce in stretta parentela con quelle gabbriche, tra le quali vi è forte differenza di densità (eclogiti: 3,3-3,4; gabbri normali corrispondenti vicino a 3), per cui le eclogiti si interpretano come forme di equilibrio a pregsioni elevatissime, come anche è dimostrato dalle aggregazioni molecolari dei componenti dei magma gabbroidi che individuerebbero così forme minerali tipiche delle altissime pressioni.

Nelle parti più profonde del mantello terrestre sarebbero distribuiti e addensati solfuri e ossidi metallici particolarmente di ferro, facenti passaggio a masse ferrose povere di silicati, della specie della pallasite, la cui distribuzione dipende dalla quantità e distribuzione dell'ossigeno e dello zolfo.

Alla profondità di 2450 km., B. Gutenberg trovò una discontinuità di secondo ordine rivelata da una variazione delle velocità di propagazione delle onde longitudinali da 13,25 a 13 km./sec.: ciò starebbe a dimostrare un cambiamento dello stato di aggregazione nella parte più profonda del mantello terrestre.

Alla profondità di 60-80 km. il Gutenberg ha osservato nel mantello terrestre una lieve diminuzione nella velocità di trasmissione da 8 a 7,9 km./sec. Tale diminuzione è da attribuirsi a mutamenti di stati di aggregazione e non di costituzione.

Si vorrebbe, perciò, che a tale profondità vi sia il limite tra la zona cristallizzata e quella magmatica, la quale opinione è da rigettarsi perché di magma liquido a quella profondità non si può parlare. Le velocità di propagazione delle onde sismiche nella crosta della Terra vanno aumentando sempre più che ci avviciniamo al mantello terrestre, fino a 6,25 km./sec. Fra i 6-7 km. di profondità si trovano i valori di propagazione nelle rocce basaltiche e del tipo "gabbro". La parte più profonda della crosta terrestre si potrebbe chiamare Sialma (Si, Al, Mg). Il limite fra le rocce tipo granito-gneissico (acide) e quelle basaltiche o gabbriche (basiche) sarebbe svelato da un balzo della velocità di propagazione da 5,5 ad oltre 6 in taluni punti. Molto istruttiva in merito fu l'esplosione di Oppau, le di cui oscillazioni, essendo il focolare di esplosione situato sulla superficie, non penetrarono profondamente nella Terra; essa ci diede una velocità di propagazione delle onde longitudinali = 5,5, vale a dire quella sperimentata nelle rocce granitiche. Secondo il Gutenberg la superficie inferiore dello zoccolo, tipo granito-gneissico, dovrà oscillare in varî punti tra le profondità di z0-40 km.; sotto i continenti esso deve trovarsi a profondità maggiori che non sotto gli oceani. Sotto il fondo dell'Oceano Pacifico verrebbe immediatamente la zona basaltica.

In conclusione secondo Goldschmidt la costituzione della Terra può essere così stabilita: un involucro di silicati con densità 2,8, da o a 120 km.; un guscio di silicati fortemente compressi di densità da 3,4 a 4, tipo eclogite, da 120 a 1200 km.; un guscio di solfuri e ossidi in special modo di ferro con densità da 5 a 6, da 1200 a 2900 km.; un nucleo metallico con densità di circa 8, costituito da nichelio e ferro.

Alla parte esterna della Terra, dello spessore di 120 km. circa, si dà il nome di "crosta", che è quella parte del nostro pianeta, solida e poco spessa, nella quale hanno sede tutti i fenomeni tellurici e perciò da chiamarsi sfera tectonica o tectonosfera.

O. Fischer, S. Arrhenius, R. A. Daly attribuiscono a tale crosta uno spessore di circa 40 km., ma attualmente si è propensi a dare come valore dello spessore della crosta 100 km. circa. Secondo J. F. Hayforde e W. Bowie la profondità di compensazione (livello di compensazione isostatica), alla quale si troverebbe il limite della crosta, è tra i 96 e i 60 km. Secondo H.S. Washington tale profondità è a 59 km. Adams e Williamson si attengono al valore medio di circa 60 km.

Importante ammaestramento ricaviamo dalla costituzione delle meteoriti per dedurne quella della Terra. Sappiamo che le meteoriti (v.), in base alla quantità di metallo o di silicato contenuto e alla sporadicità del metallo nei silicati o viceversa, si dividono in: sideriti, sideroliti, aeroliti. Le prime sono essenzialmente costituite da ferro e nichelio in lega tra loro. Le seconde sono composte da una massa ferro-nichelifera e di silicati abbondanti (olivina in genere), i quali sono sporadicamente sparsi nella massa continua del metallo. Le terze, pietrose, sono costituite essenzialmente da silicati rappresentati da olivina e pirosseni e qualche feldspato.

Partendo dall'esterno si ha un'esile corteccia di rocce sedimentarie e ignee, le quali vanno in profondità trasformandosi in rocce metamorfiche, il tutto con lo spessore di circa 16 km. La natura di questo materiale è acida e aggirante sui tipi dei magmi granitici. Sotto questa zona ve n'è una di natura basaltica (già C. Darwin nel 1844 ne fece parola), disposta secondo l'aggiustamento gravitazionale, per il quale la disposizione del materiale è in dipendenza del peso specifico degli elementi. Ciò non è sempre rispettato, perché sotto gli oceani si trovano direttamente rocce basaltiche, mentre sotto i continenti vi sono rocce di tipo granitico.

Sulla costituzione della Terra emisero ipotesi anche R. Oldham, E. Wiechert, G. Knott, B. Gutenberg: tali studiosi per le loro illazioni si basarono esclusivamente sui dati fisici, quali lo studio dei sismi poteva loro offrire. L'Arrhenius ammette una crosta cristallina, solida, dello spessore di 60 km., contornante una fascia di magma liquido silicato, che attinge la profondità di 300-400 km. Ma questo magma, nella sua massima parte, a causa dell'altissima pressione si comporta come solido. Sotto questa fascia v'è tutto il nucleo terrestre, il quale dovrebbe essere gassoso, ma sotto l'enorme pressione a cui si trova si comporta a guisa di solido con rigidità maggiore dell'acciaio. La natura di tale nucleo è per l'Arrhenius di vapori di ferro. C. Chamberlin e W. H. Hobbs emisero opinioni basate sull'ipotesi planetesimale del Chamberlin. E. Suess, per analogia con le meteoriti, stima il nucleo terrestre costituito da nichelio e ferro per un raggio di 5000 km. e tutto intorno gusci di materiale siderolitico e peridotite cromifera man mano passando dalle rocce basiche fino alle acide. L'ipotesi poi di G. Tamman si avvicina a quella sopraesposta del Goldschmidt. In definitiva, in questo complesso argomento della costituzione della Terra, possiamo attenerci a quanto dicono Adams e Williamson con alcune modifiche di Adams e Washington. Quindi partendo dall'esterno abbiamo la crosta spessa 60 km. con densità media di circa 3, forse tutta cristallina ma non uniforme. Per 10-20 km. sarebbe costituita da rocce acide tipo granitico, facenti graduale passaggio a una zona dello spessore di 40 km. circa, di rocce tipo magma basaltico-gabbrico. Segue un involucro di circa 1700 km., di 3,8 di densità media, di materiale di composizione analoga alle peridotiti, con solfuri, fosfuri, bromuri, azoturi senza ferro-metallico e senza ossigeno. La composizione chimica e mineralogica di questo involucro lo fa avvicinare alle meteoriti chiamate asideriti. Da questo guscio di materiale peridotico, per graduale diminuzione dei silicati e arricchimento di metallo, attraverso tutta una zona di transizione di 1400 km. circa e con densità di poco superiore a 6, si perviene al nucleo metallico centrale di ferro e nichelio, avente uno spessore di circa 3400 km. e corrispondente alle meteoriti sideritiche. La zona di transizione nella parte superiore presenta analogia con le aeroliti, (meteoriti ferrosporiche) con ferro sporadicamente diffuso in una massa continua di silicati (guscio ferrosporico); la parte inferiore, invece, è ricca di metallo e povera di silicati (guscio litosporico il quale corrisponde alle meteoriti pallasitiche). Con le attuali conoscenze possiamo concludere che il nucleo di ferro e nichelio (nife) non è il risultato di fenomeni di riduzione, ma è di natura originaria, dovuta cioè a eccesso. Cosicché secondo Washington, abbiamo un nucleo centrale di 2400 km., un guscio litosporico di 700 km., un guscio ferrosporico di 700 km., un altro peridotico di 1540 km, un guscio basaltico di 40 km., poi ancora uno granitico di 20 km.: totale 6400 km. (raggio terrestre). V. anche marea: Maree terrestri, XXII, pp. 274-277. Per le proprietà elettromagnetiche della Terra, v. magnetismo: Magnetismo terrestre, XXI, pp. 928-932.

Età della Terra. - Varî criterî si sono seguiti per stabilire l'età della Terra; ma tutti con risultati diversissimi. Basandosi sul criterio del raffreddamento L. W. T. Kelvin ne calcolò l'età a dieci milioni di anni e H. L. F. Helmholtz a 40 milioni. Bishop, invece, calcola 350 milioni di anni. Col criterio biologico, che ha come base di partenza i processi evolutivi degli organismi, si giunge a un minimo di 300 milioni di anni secondo Darwin e di 1000 milioni di anni, almeno, secondo T.E. Huxley; ma in tale calcolo non si tiene conto dell'anteriore periodo della Terra prima della comparsa della vita. Se ne volle calcolare ancora l'età dal contenuto in cloruro sodico del mare partendo dal presupposto che in principio gli oceani erano privi di sale o ne contenevano pochissimo: ivi sarebbe stato apportato dai fiumi con incremento annuo sempre costante. Così E. Halley per primo nel 1715 ottenne valori tra 100 e 175 milioni di anni. Il Joly, 184 anni dopo, con lo stesso criterio del Halley calcolò l'età del mare, e quindi l'età di formazione della crosta terrestre a 300 milioni di anni. I valori che si ottengono dai calcoli basati sulla velocità di sedimentazione e dalla denudazione sono oltremodo divergenti. De Lapparent calcola l'età della Terra, a partire dalle prime formazioni sedimentarie, dai 70 ai 90 milioni di anni. S. P. Thompson le assegna 80 milioni e S. Newcomb 14 milioni.

Ma la sedimentazione e l'erosione avrebbero dovuto sempre agire con la stessa velocità dai primordî al presente, per poter fare un calcolo un po' più approssimato, mentre sull'azione delle forze esogene nel passato regna molta oscurità. Inoltre dovrebbe esserci un certo rapporto tra il materiale eroso e quello sedimentato e i tempi necessarî alla formazione di tali processi. Anche qui i risultati non sono soddisfacenti; le conoscenze fluviali sono molto limitate, non solo, ma ignoriamo se i fiumi per il passato apportarono con valori identici a quelli attuali. A. Holmes calcola i sedimenti del Cenozoico a 24 mila metri, del Mesozoico a 30 mila metri, d-l Paleozoico a 61 mila metri, del Precambriano a circa 60 mila metri: in totale 175 mila metri di sedimenti. Per avere un'idea generale della velocità alla quale questi sedimenti si sono depositati, è opportuno osservare che a partire da più di 3000 anni or sono, quando Rameśśêśe II regnava in Egitto, si sono depositati a Menfi sedimenti alla velocità di un metro ogni 1200-1500 anni.

Avendo ora come media la deposizione di un metro ogni 3000 anni, per i 175 mila metri sopraddetti sono occorsi 500 milioni di anni. Con le attuali conoscenze che noi abbiamo sulle sostanze radioattive, si è aperto un nuovo campo all'investigazione dell'età della Terra. Si può calcolare l'età basandosi sul contenuto in elio nelle rocce. A tal uopo bisogna tener presente che un grammo di torio sviluppa un cmc. di elio in 30 milioni di anni, e un grammo di urano dà un cmc. di elio in 9 milioni di anni.

Si è potuto calcolare l'età delle rocce a 570 milioni di anni. È questo un limite molto basso per l'età della Terra, perché dobbiamo tenere presente che se le rocce conservano una gran parte dell'elio in esse prodotto, nel corso del tempo una parte non trascurabile sfugge gradualmente; basta pensare all'elio che si svolge dai soffioni boraciferi di Larderello, e da quelli del Canada (mille metri cubi di elio al giorno). Dallo studio degli aloni pleocroici che si formano attorno a microscopiche inclusioni cristalline quali, ad es., zircone, apatite, più o meno contenenti elementi radioattivi, inclusi nelle miche, tormaline, ecc., si è avuto un altro criterio per la determinazione dell'età della Terra.

Sperimentando, si è riusciti a mettersi nelle stesse condizioni della natura e ad ottenere, con l'emissione di un determinato numero di particelle α, aloni della stessa intensità di quelli più antichi, dove lo stesso numero di particelle α ha agito nel corso dei secoli.

Per certi graniti contenenti zircone, si è calcolata l'età a 470 milioni di anni; ma si va ancora oltre questa cifra (1000 milioni di anni).

Si potrebbe dedurre l'età della Terra anche dalla quantità di piombo contenuto nei minerali radioattivi. Ammettendo che essa sia di origine radioattiva si avrebbero cifre iperboliche; bisogna invece attenersi alla quantità di piombo contenuto nelle rocce e ammettere che esso sia tutto di origine radioattiva ed escludere quello dei giacimenti metalliferi. Ma anche questo metodo non è scevro d'inconvenienti; si sono avuti così valori di 11 mila milioni di anni.

Qualche studioso ha calcolato che il Terziario e il Quaternario durarono complessivamente da 55 a 65 milioni di anni; il Secondario da 135 a 180 milioni di anni, il Paleozoico da 360 a 540 milioni di anni; da questo computo restano esclusi i terreni anteriori, calcolando i quali, si ottengono cifre elevatissime per l'età della Terra.

F. Paneth ha analizzato 24 meteoriti della collezione di Konigsberg e basandosi sulla quantità di elio prodotta da ogni grammo di radio contenuta nelle meteoriti, la quale è tanto maggiore quanto è più lungo il tempo da cui la meteorite s'è solidificata, ha potuto stabilire che quattro delle meteoriti analizzate si sono solidificate da meno di 500 milioni di anni; quattro meteoriti hanno età fra 500 e 1000 milioni di anni; 9 meteoriti hanno età tra 1000 e 2000 milioni di anni, 7 meteoriti hanno età che va oltre i 2000 milioni di anni ma non supera i 3000 milioni. Attribuendo alla Terra un'età di solidificazione di circa 2000 milioni di anni, si conclude che le meteoriti del Paneth si sarebbero presso a poco consolidate contemporaneamente alla Terra.

Per incarico di Harlow Shapley, professore dell'Università di Cambridge e direttore dell'Osservatorio di Harvard, il Paneth ha analizzato alcuni frammenti di una meteorite iperbolica, cioè di quelle di origine stellare, caduta in Polonia il 30 gennaio 1868. Egli ha concluso che quella meteorite s'era solidificata 500 milioni circa di anni or sono, quando già la Terra era non solo solidificata, ma già ricettava la vita.

Le cifre, come si è visto, sono molto discordanti e allo stato attuale delle nostre conoscenze possiamo dire solo che l'età della Terra va nell'ordine di molte centinaia di milioni di anni.

Distribuzione delle terre e dei mari. - Soltanto dalla seconda metà del sec. XVIII si è acquistata sicura conoscenza che la parte della Terra ricoperta dagli oceani e dai mari prevale di gran lunga sulla parte emersa, mentre precedentemente le idee più comuni propendevano per una prevalenza della terra o per un equilibrio fra le due parti (v. oceano). Tuttora non si può stabilire in modo esatto il rapporto fra terraferma e spazî oceanici: incertezze sussistono per la calotta artica entro l'80° parallelo, per quanto oggi sembri esclusa l'esistenza di vaste aree emerse nella zona sconosciuta, e incertezze maggiori sussistono per la calotta antartica, nella quale entro l'80° parallelo indubbiamente la terra emersa prevale in modo assoluto, ma non è esclusa la possibilità di un braccio di mare separante la maggior massa dell'Antartide orientale da quella minore dell'occidentale.

Si può calcolare che dell'area totale del globo. terracqueo, 510 milioni di kmq., ne spettino all'incirca 149, ossia il 29%, alle terre emerse e 361, ossia il 71%, agli spazî acquei. Il rapporto terra: acqua è pertanto rappresentato all'ingrosso dalla proporzione 1 :2,4. Un semplice sguardo a un planisfero mostra subito che terre e acque sono molto inegualmente distribuite: l'emisfero settentrionale ha il 39% di terre, il meridionale non ne ha certo più del 16%; l'emisfero orientale ha l'85 % di terre e l'occidentale il 20%.

La distribuzione delle terre e delle acque alle varie latitudini è dimostrata dal grafico qui annesso: se ne ricava subito che, a prescindere dalla calotta antartica, le terre prevalgono sulle acque solo nella fascia fra 45° e 70° lat. N.

Si possono più particolarmente distinguere: a) una fascia tra il polo artico e il 70° lat., nella quale gli spazî acquei occupano oltre tre quarti dell'area (78% in confronto a 22% di terre); b) la fascia suddetta fra 70° e 45° lat. N. con prevalenza di terre (61%); c) la fascia tra 45° e 18° lat. N. nella quale l'inferiorità delle terre sulle acque è poco rilevante (41% di terre e 59% di acque); d) la grande fascia tra 18° N. e 34° S. nella quale di nuovo gli spazî acquei superano i tre quarti dell'area (77%); e) la fascia fra 34° e 65° S. pressoché esclusivamente oceanica (3% di terre); f) la fascia fra 65° e 75° S. nella quale le terre emerse aumentando rapidamente di estensione; g) la calotta antartica da 75° S. al Polo con assoluta prevalenza di terre.

Si è diviso anche il globo terracqueo in un emisfero continentale e in un emisfero oceanico: il polo del primo cade sull'estuario della Loira, quello del secondo ad est dell'isola meridionale della Nuova Zelanda. Ma si tenga presente che anche nell'emisfero continentale gli spazî acquei prevalgono, se pur lievemente (53,2%); nell'oceanico poi essi occupano quasi i nove decimi (88,6%) dell'area totale. Le grandi masse continentali si aggruppano intorno al bacino artico e l'America Settentrionale si spinge fino a 72° e con la Groenlandia fino oltre 83°, l'Eurasia arriva a 77° 40′; verso sud invece i continenti si assottigliano e nell'emisfero meridionale tendono a terminare con tre punte, l'America Meridionale a circa 76°, l'Australia con la Tasmania a 43° 40′, l'Africa a 34° 50′. Oltre queste punte vi è una corona oceanica pressoché continua, l'Oceano meridionale di alcuni autori, quello che costituisce appunto la fascia tra 34° e 65° S. Per contro la calotta antartica è di nuovo occupata da un continente, all'opposto di quella artica coperta per la maggior parte dalle acque di un mare profondo. Insomma le masse continentali e quelle oceaniche sono situate antipodicamente: solo la parte meridionale dell'America Meridionale fa eccezione perché agli antipodi di essa si trova ancora un'area emersa (Asia Orientale). La massa acquea, come è noto, è continua, come aveva già definitivamente riconosciuto alla metà del sec. XVII, il Varenio; invece le terre emerse si suddividono in masse maggiori (continenti) e minori (isole); queste ultime occupano peraltro appena il 7,2% del totale delle terre emerse e hanno perciò un'importanza subordinata. Del resto fra continenti e isole vi è solo differenza nell'ordine di grandezza: il più piccolo fra i continenti, l'Australia, ha un'estensione tre volte e mezzo maggiore dell'isola più estesa, la Groenlandia (rispettivamente 7,6 e 2,2 milioni di kmq.) e quest'ultima rappresenta poi un'eccezione, perché l'isola più estesa dopo di essa, la Nuova Guinea, è grande meno di 800.000 kmq., cioè poco più di un decimo dell'Australia. Per la suddivisione degli spazî oceanici, v. oceano.

Le terre emerse si dividono in quattro grandi masse o continenti: il Continente Antico (Eurasia e Africa), il Continente Nuovo (Americhe), l'Australia e l'Antartide. Ma gruppi o serie di isole ricollegano l'Australia all'Asia e l'Antartide all'America, cosicché si hanno in sostanza due coppie di continenti, la coppia orientale (63% della terra emersa, cioè quasi due terzi) e la coppia occidentale (37%). L'Australia è una massa unica; dell'Antartide si ignora, come sopra si è accennato, se sia o no divisa in due masse. Invece le zone sprofondate costituite dal Mediterraneo romano (col Mar Rosso) e dal Mediterraneo americano permettono di distinguere nettamente sia l'Eurasia dall'Africa, sia l'America Settentrionale dall'America Meridionale. Per contro la distinzione tra Europa e Asia ha principalmente valore storico e culturale (v. europa, XIV, p. 583). In conclusione risultano dunque, nelle terre emerse, sei grandi individui geografici o individui di prim'ordine, dei quali la tabella qui unita espone i dati di area e di altezza media; a titolo di comparazione aggiungiamo i dati corrispondenti per i tre maggiori oceani:

Altezze e profondità. - La comparazione fra terre emerse e oceani mette in rilievo un fatto assai notevole. La media altezza delle terre emerse è piccola nonostante la presenza di alte catene di montagne e di estesi altipiani; tra i sei maggiori individui fa eccezione solo l'Antartide per la quale il dato di altezza media è incerto, ma rientra sicuramente nell'indicato ordine di grandezza. Sulla terra emersa prevalgono dunque le aree basse e le grandi altezze costituiscono un elemento di estensione limitata. Gli oceani all'opposto costituiscono nel complesso bacini profondamente incavati alla superficie terrestre, come si deduce dalla considerazione dei valori medî: la parte più estesa degli oceani è data da mare profondo. Soltanto i valori estremi di altezza (M. Everest nell'Himālaya, 8880 m.) e di profondità (Abisso Emden nella Fossa delle Filippine, 10.790 m.) differiscono di poco.

Per mettere in vista la distribuzione delle altezze e delle profondità si può far uso della curva ipsografica, che si ottiene riportando, in un sistema di rappresentazione cartesiana, i valori delle aree delle masse continentali e oceaniche alle varie altezze sull'asse delle ascisse, e le altezze stesse sull'asse delle ordinate. Questa curva si può dividere agevolmente in cinque sezioni. La sezione superiore al disopra di 1000 m. circa corrisponde a una zona pochissimo estesa, che abbraccia le alte montagne e si può designare come zona di culminazione. Segue una sezione. molto estesa, che comprende le aree fino al livello marino, anzi fino a circa 200 m. sotto di esso, sezione che si può designare come platea continentale. A circa −200 m., un gradino ben pronunziato segna il trapasso alla terza sezione, la scarpa continentale che scende fin verso i −1300 m.; qui s'inizia la platea abissale, che rappresenta da sola forse il 42% dell'intera superficie terracquea e che scende con un altro gradino, di nuovo molto ben marcato, alle massime profondità marine; queste, come le massime altezze, occupano un'area limitatissima. La platea continentale e la platea abissale sono dunque i due elementi predominanti, raccordati dalla scarpa continentale: la zona delle culminazioni e quella delle massime depressioni sono elemento del tutto secondario.

Il rilievo terrestre. - Se noi consideriamo il rilievo delle terre emerse in particolare, riconosciamo facilmente alcuni lineamenti fondamentali, nella distribuzione delle aree montuose, degli altipiani, dei bassipiani. Si avverte anzitutto che le maggiori catene montuose - la cui origine si deve ai processi di ripiegamento avvenuti durante l'era terziaria - si ordinano in due grandi corone continue: una che circonda l'Oceano Pacifico in quasi tutta la sua estensione (e il circuito anzi si chiude forse attraverso l'Antartide); l'altra, che ha una direzione all'incirca perpendicolare alla precedente e abbraccia i rilievi recenti della regione mediterranea euro-africana e dell'Asia. Queste due corone vengono a contatto nell'Arcipelago australasiatico e nel Mediterraneo americano. Anche al difuori di esse si hanno per vero montagne di estensione talora notevole, ma esse di rado raggiungono i 3000 m., eccezione fatta per alcuni apparati vulcanici recenti o per zone limitate, sollevate in epoca geologicamente vicina.

Nella zona montuosa circumpacifica, rilievi, che raggiungono talora 5000-7000 m., si adergono in prossimità dei margini dell'oceano, fosse suboceaniche si sprofondano a 7-10.000 m., cosicché enormi dislivelli si verificano entro breve distanza spaziale: a quest'area corrispondono zone con forti anomalie di gravità, alta sismicità e frequenti manifestazioni di vulcanismo. Nella seconda zona montuosa, che si può dire mediterranea, si hanno pure rilievi di considerevole altezza, adergentisi in prossimità di aree depresse, come i mari mediterranei ed altri bacini, in parte colmati in epoca recente (bassopiano del Gange); anche questa zona è sede di fenomeni vulcanici e sismici.

A sud della zona montuosa mediterranea si hanno nell'emisfero meridionale vaste regioni nelle quali prevale la struttura a tavolati: esse abbracciano l'Africa (tranne l'Africa Minore), l'Arabia, l'India, la maggior parte dell'Australia e dell'America Meridionale extraandina e probabilmente anche una grande porzione dell'Antartide. La zona montuosa circumpacifica orla a ovest (America Meridionale) e a est (Australia) questa regione di tavolati. Una parte di essi risulta da antichissimi sistemi montuosi (corrugamenti paleozoici) demoliti e spianati. Aree di bassopiani (bacino dell'Amazzoni, Plata) o zone di recente invase dal mare s'interpongono talora fra i tavolati.

Nell'emisfero nord, a settentrione della zona montuosa mediterranea, si hanno aree di prevalenti bassopiani (Russia e Siberia occidentale), ovvero tavolati (Siberia orientale, Canada, Groenlandia, ecc.) che pure in parte risultano dallo spianamento di rilievi antichissimi.

Questa distribuzione degli elementi morfologici fondamentali delle terre emerse, che determina anche le linee essenziali della rete idrografica, potrebbe permettere di suddividere i sei massimi individui cui sopra si è accennato, in un certo numero di individui di second'ordine. Ma accanto alle forme del terreno, abbiamo, come elemento fondamentale, il clima, dal quale dipendono anche, in alto grado, i caratteri della rete idrografica e quelli della coperta vegetale della Terra. Per la divisione della Terra emersa in base ai caratteri climatici, v. clima. I fatti climatici determinano principalmente la distinzione, nella superficie emersa, di regioni areiche, cioè prive di circolazione acquea superficiale, regioni endoreiche, cioè con circolazione terminante in bacini interni (senza sbocco al mare) e regioni esoteriche, cioè con circolazione sfociante negli oceani o mari. In queste ultime si distinguono sette versanti principali: 1. dell'Oceano Pacifico; 2. dell'Atlantico; 3. del Mediterraneo americano; 4. del Mediterraneo romano; 5. del Mare Artico; 6. dell'Oceano Indiano; 7. del Mediterraneo australasiatico.

Grandi regioni naturali. - Tenendo presente i lineamenti morfologici fondamentali, quelli del clima e della idrografia, si può affrontare il tentativo di suddividere le terre emerse in grandi regioni naturali. La divisione di ciascuno dei sei individui maggiori nei singoli versanti principali non si può naturalmente considerare come sufficiente: infattí le linee displuviali che delimitano i sette versanti suddetti non sempre coincidono con i massimi rilievi e spesso anzi non hanno importanza né morfologica, né climatica. Sono stati proposti varî schemi di divisione più o meno complicati, in genere tanto più complicati, quanti più sono gli elementi (forme del terreno, idrografia, clima, vegetazione) che si cerca di combinare insieme per addivenire a una suddivisione; complicatissimi, se, come pur taluno ha tentato di fare, si considerino anche elementi antropogeografici. Alcuni di questi schemi s'inquadrano nella distinzione dei sei individui maggiori, altri no, ma le divergenze non sono, in generale, molto cospicue e riguardano solo i paesi intorno ai grandi mediterranei. Qui sono rappresentati graficamente tre schemi: quello del Herbertson, che si fonda in prima linea su fatti d'ordine climatico, coi quali sono connessi anche fatti biologici (grandi formazioni vegetali, ecc.), ed economici; quello del Braun, che cerca di tener conto sia di fatti climatici, sia di fatti morfologici, e quello del Banse, che, non molto divergente dal precedente in talune divisioni principali, è poi complicato da ulteriori suddivisioni, per le quali entrano in considerazione anche caratteristiche di ordine antropico e culturale. Alla divisione del Braun, limitata da questo autore alle terre emerse, si è accompagnata nella carta qui annessa quella recentemente proposta dallo Schott per gli spazî oceanici.

Si ha così sott'occhio uno schema di divisione generale del globo terracqueo in grandi "regioni naturali". Queste possono naturalmente essere suddivise ulteriormente, ma allora vengono sempre più in considerazione caratteri distintivi di ordine locale.

Vedi anche le voci dedicate ai singoli continenti.

Bibl.: H. S. Washington, La costituzione della Terra, in Bulletin Volcanologique, 1925; L. H. Adams e E. D. Williamson, in Journ. Franklin Inst., CXCV (1923), p. 475; id., in Journ. Washington acad. Sc., XIII (1923), p. 413; C. Chamberlin e R. D. Salisbury, Geology, I, Londra 1905, p. 534; Thiene, Temperatur und Zustand des Erdinnern, 1907, p. 52; L. H. Adams, in Journ. Washington Acad. Sc., XIV (1925), p. 468; E. D. Williamson e L. H. Adams, Density Distribution in the Earth, in Journ. Washington Acad. Sc., XIII (1923); Clarke e H. S. Washington, The Composition of the Earth's crust, in U. S. Geol. Survey, 1924, n. 127, p. 20; L. H. Adams e H. S. Washington, The Distribution of Iron in Meteorites and in the Earth, in Journ. Washington Acad. Sc., XIV (1924), p. 33; R. A. Daly, The Earth's Crust and its Stability in Amer., Journ. Sc., 1923, p. 371; Hayford e W. Bowie, The effect of Topography and Isostatic Compensation upon the INtensity of gravitation, in U. S. Coast and Geodetic Survey, Spec. Publ., 1912, n. 10, p. 10; W. Bowie, Investigation of Gravity and Isostasy, ibid., 1917, n. 40, p. 133, id.; Isostatic Investigations, ibid., 1924; n. 99, p. 22; id., Theory of Isostasy. A Geological Problem, in Bull. Geol. Soc. AMer., XXXIII (1922), p. 273; H. S. Washington, Isostasy and Rock Density, ibid., p. 409; V. F. Wolff, Plutonismus und Vulcanismus, Stoccarda 1933; G. Knott, The Physics of Earthquake Phenomena, Oxford 1908; C. Darwin, Geological Observations, 3a ed., Londra 1891, pp. 132-140; R. A. Daly, IGneous Rocks and their Origin, New York 1914, pp. 162-66; H. Jeffreys, The Earth, its Origin, History and Physical Constitution, Cambridge 1924, p. 178; H. S. Washington, Comagmatic Regions and the Wegener Hypothesis, in Journ. Washington Acad. Sc., XIII (1923), p. 339; R. Oldham, The Constitution of the Interior of the Earth as revealed by Earthquakes, in Quart. Journ. Geol. Soc. London, LXII (1906), p. 456; E. Wiechert e Zoeppritz, Über Erdbebenwellen, in Nachr. Ges. Wiss. Göttingen, CXC, pp. 415-549; G. Knott, The Physics of Earthquake Phenomena, Oxford 1908, pp. 156-258; P. Vinassa de Regny, Quanti anni ha la Terra?, Milano 1935.

Per la distribuzione generale delle terre e dei mari, oltre alle pubblicazioni precedenti, si possono consultare: A. Supan, Grundzüge der phys. Erdkunde, 8a ed., I, Berlino 1934; M. Hannemann, Die Erde als Ganzes, in Handb. der geogr. Wissenschaft, diretto da F. Klute; E. De Martonne, Traité de Géographie physique, 4a ed., I, Parigi 1925.

Per la suddivisione della Terra in grandi individui e regioni naturali: A. J. Herbertson,The major natural regions. An essay in systematic Geography, in Geographical Journal, XXV (1905); E. Banse, Geographie, in Petermanns Mitteilungen, I (1912); L. Passarge, Die Landschaftsgürtel der Erde, Breslavia 1923; A. Hettner, Die Geographie, ihre Geschichte, ihr Wesen und ihre Methoden, IV, Breslavia 1927, cap. 5-6; G. Braun, Grundzüge der Physiogeographie, II, Lipsia 1930; G. Schott, Die Aufteilung der drei Ozeane in natürlichen Regionen, in Petermanns Mitteilungen, 1936.

Schemi, spesso assai minuti, di suddivisione dei singoli continenti in regioni naturali si trovano nei rispettivi volumi della Enzyklopädie der Erdkunde diretta da O. Kende, ma i criteri applicati dai diversi autori per ciascuno dei continenti o delle loro parti non sono sempre uniformi.

Iconografia.

Il concetto greco della Terra, madre universale, alimentatrice di tutti gli esseri, ragion prima del nascere "dei bei fanciulli e dei frutti saporosi" (inno omerico in onore di Gea), e il concetto romano, più legato a preoccupazioni agricole, di Tellus indissolubilmente associata con Cerere (si ricordi quálche passo dei Fasti di Ovidio, e l'oraziano fertilis frugum pecorisque Tellus), trovano la loro espressione realistica nell'iconografia della dea Terra. In opere d'arte romana non appare il tipo di Terra come madre dei Giganti uscenti a mezzo busto dal suolo (v. gea); frequente invece è la figurazione della Terra secondo lo schema della figura femminile adagiata al suolo, con uno dei seni o con la parte superiore del corpo non di rado scoperta, caratterizzata da uno o più attributi (la cornucopia e i frutti sulla corazza della statua di Augusto di Prima Porta, e nel rilievo onorario di Efeso con Marco Aurelio che sale sulla quadriga del Sole; una mucca giacente nel disco argenteo di Aquileia; i piccoli genî delle Stagioni e una divinità solare entro il cerchio dello zodiaco in un musaico di Sentino e nella patera d'argento di Parabiago).

Più rare le immagini di Tellus sedente. Tellus protettrice della fecondità umana, primo principio d'ogni vita nel mondo, siede su una roccia nel celebre rilievo dell'Ara Pacis Augustae, e ha due fanciulli nel grembo, un bove e una pecora accosciati ai piedi, frutti sul seno, e fiori dietro la persona. Ad analogo concetto s'ispira la Tellus sedente della Gemma augustea di Vienna, con due putti dappresso, cornucopia, e corona di fiori e frutti.

Altre figurazioni di Terra Mater sono del tutto generiche, come quella di un'edicola romana, in cui la dea appare avvolta in manto matronale, seduta su trono, con scettro e patera.

Nell'arte medievale, dei quattro elementi, la Terra e l'Acqua, oppure la Terra e l'Oceano, sono personificati più spesso degli altri: accompagnano la crocifissione, negli avorî dell'età carolingia; e la Terra, proseguendo la tradizione classica, è rappresentata come madre dei viventi in atto di nutrire animali, come anche più tardi nelle miniature degli Exultet dell'Italia meridionale, dal sec. XI al XIII. In ville e giardini del Rinascimento, appare la Tellus classica, talora anche in aspetto di Venere, dai cui seni scaturiscono i getti della fonte (Ammannati, Firenze, Museo del Bargello). Gli scultori di Federieo II a Sans-Souci, accanto al Fuoco, non dimenticano di scolpire la Terra, espressione di vita e prosperità. Distinte da tali personificazioni sono le rappresentazioni cosmografiche che cercarono di dare figura a una visione cosmica o naturalistica della Terra come in una miniatura del manoscritto vaticano del Cosmos Indicopleustes o nei molti dipinti del sec. XV in cui la Terra è rappresentata in un compendio topografico sotto i piedi di S. Bernardino.

Bibl.: G. Wissowa, in Roscher, Lexikon d. griech. u. röm. Myth., Lipsia, V (1916-24), col. 341-45; J.-A. Hild, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et rom., V, pp. 73-83; A. Dieterich, Mutter Erde, 2a ed., Lipsia 1913; A. Levi, La patera d'argento di Parabiago, in Opere d'arte del R. Ist. d'archeologia e storia dell'arte, V, Roma 1935. - Per l'arte medievale: É. Bertaux, L'art dans L'Italie méridionale, Parigi 1904; A. Michel, Hist. de l'art, ivi 1905; É. Mâle, L'art religieux au XIIIe siècle en France, ivi 1910; A. Caravita, I codici e le arti a Montecassino, Montecassino 1869-70, voll. 3; R. van Maerle, Iconographie de l'art profane. Allégories et Symboles, L'Aia 1932.