TERMOCHIMICA

Enciclopedia Italiana (1937)

TERMOCHIMICA

Luigi Rolla

. 1. L'applicazione del principio della conservazione dell'energia allo studio dei fenomeni chimici portò, fin dal 1840, Henri-Germain Hess a formulare la legge famosa secondo la quale, in un sistema di corpi che subiscono delle trasformazioni chimiche, la quantità di calore che si sviluppa (nei processi esotermici) o che viene assorbita (nei processi endotermici) dipende solo dallo stato iniziale e dallo stato finale e non dagli stati intermedî attraverso i quali può avvenire la trasformazione. Un esempio tipico è quello fornito dalla combustione del carbonio. Facendo combinare, in condizioni normali, ossia a temperatura ambiente e alla pressione barometrica attuale, 32 grammi di ossigeno (una molecola-grammo) con 12 grammi di carbonio (un atomo-grammo), si ha lo sviluppo di 97,7 grandi calorie, mentre si forma una molecola-grammo di anidride carbonica (CO2) allo stato gassoso, del peso di 44 grammi. Ma, se invece che nel rapporto C: ½ O2, si fa avvenire la reazione, nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione, nel rapporto C: ½O2, si forma una molecola-grammo di ossido di carbonio, allo stato di gas, mentre si sviluppano 29,3 calorie. La quantità di calore che si sviluppa quando CO si combina, sempre nelle stesse condizioni, con ½ O2 è di 68,4 calorie e si forma una molecola-grammo di CO2 gassosa come nella prima esperienza, arrivando dunque, nei due casi, allo stesso stato finale. Si vede subito che 68,4 + 29,3 = 97,7, e si deduce che la quantità di calore sviluppata nella formazione di una molecola-grammo di anidride carbonica gassosa partendo, a temperatura ordinaria e a pressione ordinaria, da carbonio e da ossigeno gassoso nella proporzione richiesta dalla equazione chimica: C + O2 = CO2 è uguale a quella che si ottiene mettendosi nelle stesse condizioni, prima facendo combinare il carbone con l'ossigeno secondo le proporzioni date dall'equazione chimica: C + ½ O2 = CO, e poi facendo avvenire la combustione dell'ossido di carbonio nelle proporzioni:

La legge è generale: vale per qualunque reazione, nel campo della chimica inorganica come in quello della chimica organica, qualunque sia lo stato di aggregazione dei corpi che reagiscono e di quelli che si formano nella reazione, qualunque sia la concentrazione delle sostanze che reagiscono in soluzione, purché la misura sia eseguita operando in condizioni comparabili ed equivalenti. Per valutare la portata di questa legge fondamentale della termochimica basta pensare che, in moltissimi casi, non è possibile eseguire la misura diretta del calore sviluppato o assorbito in un processo chimico, e che ciò si rende possibile con l'applicazione della legge di Hess, determinando cioè la quantità di calore, positiva o negativa, che accompagna processi che possono avvenire in un vaso calorimetrico e che si svolgono fra uno stato iniziale e uno stato finale identici a quelli che si formano nella reazione in esame.

L'esempio tipico è quello del calore di trasformazione. Se si vuol conoscere il valore dell'energia termica necessaria per passare dalla grafite al diamante o dallo zolfo rombico a quello monoclino, basta far avvenire la combustione dell'una forma e dell'altra, nei due casi, senza variare le condizioni sperimentali e partendo sempre da un peso equivalente di sostanza: le differenze dei calori di combustione, coi quali si arriva, in un caso, a una molecola-grammo di anidride carbonica e, nell'altro, a una molecola-grammo di anidride solforosa, rappresentano, per la legge di Hess, il calore di trasformazione, rispettivamente, della grafite in diamante e dello zolfo rombico in monoclino.

La differenza fra i calori di combustione della grafite e del diamante, riferendo le misure all'atomo-grammo e raccogliendo l'anidride carbonica formata alla temperatura ambiente e a pressione ordinaria, è di 500 piccole calorie che rappresentano il calore di trasformazione. Analogamente, determinando il calore di combustione dello zolfo rombico e di quello monoclino, si trova che il calore di trasformazione, riferito all'atomo-grammo, è di 76,8 piccole calorie.

2. Generalizzando i principî della termodinamica ai sistemi chimici, la proprietà fondamentale della funzione U, che si denomina "energia interna" e che si definisce, in base al principio della conservazione dell'energia, come la somma algebrica della quantità di calore svolto o assorbito e del lavoro A esercitato sul sistema, o prodotto dal sistema stesso nella trasformazione di cui è sede per vincere le azioni esterne, risulta dal fatto di dipendere solo dallo stato iniziale e dallo stato finale. Ciò significa, in linguaggio matematico, che dU è un differenziale esatto e il primo principio della termodinamica si enuncia rigorosamente affermando che U è l'integrale di un differenziale esatto. La somma algebrica delle due quantità A e Q, ciascuna delle quali dipende, in generale, dagli stati intermedî per i quali può passare il sistema nella sua trasformazione, ha la proprietà analitica caratteristica che la distingue nettamente e rappresenta l'espressione più rigorosa e generale del principio della conservazione dell'energia.

Se si opera, per esempio, a pressione (p) costante, la A dipende, a temperatura costante, dalla sola variazione di volume (v1v2) e si ha: A = p (v1 v2).

Per la validità della legge di Hess, bisogna che sia: A = 0, ossia, per il primo principio, Q = U, oppure Q + p (v1 v2) = Up. Si definisce così la tonalità termica a pressione costante: analogamente si può definire la tonalità termica a volume costante.

Le misure calorimetriche usuali si fanno a pressione costante, che è quella atmosferica (per esempio nei calorimetri di Favre e Silbermann e di Nernst). Nella bomba calorimetrica di Berthelot, si opera a volume costante.

Nel primo caso, esprimendo la variazione di volume in litri, il lavoro in calorie e tenendo presente che a un litro-atmosfera corrispondono 24,25 calorie, la tonalità termica espressa in calorie è la somma algebrica del lavoro fatto verso l'esterno o assorbito dall'esterno a seconda che il processo è esotermico o endotermico e che avviene con dilatazione o con contrazione di volume. Tra la tonalità termica a volume costante (Uv) e la tonalità termica a pressione costante (Up), esiste una relazione semplice: il valore di Up, è uguale a quello di Uv diminuito del lavoro esterno.

È utilissima, nella termochimica, la nozione di entalpia (i), funzione introdotta nella termodinamica dal fisico olandese H. Kamerlingh Onnes:

Per i processi isobari, nei quali il lavoro è pΔv, si ha: di = dU + pdv. Si vede così che, con un solo simbolo, si viene ad esprimere la produzione di lavoro e la variazione di energia.

Se con Ui si indica genericamente una tonalità a pressione o a volume costante, si ha: U1 + U2 + U3 + ... = ΣUi = 0, tenendo presente che si tratta di una somma algebrica e che si devono sottrarre le quantità di calore assorbite e sommare quelle sviluppate. E poiché il calore di formazione (UF) di un composto dagli elementi che lo costituiscono non può essere misurato, in generale, con esperienze calorimetriche dirette, determinando la differenza fra i calori di combustione dei singoli elementi (Uelem.) costituenti e del composto (Ucomp.), si ha, per la legge di Hess, UF. = ΣUelem.Ucomp..

3. Le notazioni termochimiche devono essere tali da indicare chiaramente le condizioni nelle quali vengono eseguite le misure. Si mettono fra parentesi tonda i simboli e le formule stechiometriche per indicare che s'intende riferirsi agli atomi-grammi o alle molecole-grammo e, fuori della parentesi, in basso e in carattere piccolo, s'indica, abbreviato, lo stato di aggregazione, allotropico o di soluzione in cui si trovano i corpi che prendono parte alla reazione. S'indica poi, di solito, scrivendo l'abbreviazione cal. con c minuscolo o maiuscolo, se si tratta di piccole o di grandi calorie.

Alcuni esempî tipici, citati in tutti i trattati, sono i seguenti:

Abbiamo già illustrato il primo di questi esempî, nel quale p (v1 v2) = 0. Nel secondo, come dato sperimentale diretto, si ha che, per ciascun grammo di H2, si sviluppano 68,400 Cal.; d'altra parte, v1 v2 = − 1,5 molecole: perciò, poiché:

Il dato numerico relativo al terzo esempio. si ottiene dalla misura calorimetrica diretta (a 20°, il calore svolto nella reazione tra zinco e acido solforico nelle proporzioni stechiometriche è di 34.200 cal.) perciò Up = 34.200 + 586 − 34.786 cal.

Nel caso di soluzioni diluite, si scrive, generalmente, aq di seguito alla formula chimica scritta dentro la parentesi: per esempio, il dato termochimico relativo alla neutralizzazione di una soluzione diluita di idrato sodico con una soluzione egualmente diluita di acido cloridrico è rappresentato simbolicamente dall'equazione

4. La legge del valore costante della somma delle quantità di calore (così si suole indicare la legge di Hess) è l'espressione termochimica del primo principio della termodinamica: se la tonalità termica di un processo chimico fosse da riguardarsi come la misura della forza che spinge il sistema a trasformarsi in un assetto più stabile, questo sarebbe caratterizzato dalla formazione di sostanze che si formano da quelle di partenza col massimo sviluppo di calore. Questa deduzione fu ricavata, prima da J. Thomsen nel 1854 e poi da M. Berthelot, che nel 1867 enunciò il principio del lavoro massimo e lo illustrò con una ricchissima raccolta di dati sperimentali in numerosissime pubblicazioni coordinate più tardi nel grande trattato Termochimie che divenne famoso. Invero, per reazionî irreversibili (o, per meglio dire, nel dominio di irreversibilità) questa legge viene ad essere quasi sempre valida: considerandola dal punto di vista della termodinamica, si vede subito la ragione per la quale essa non può essere generale.

Infatti, come nel caso tipico delle pile, la forza elettromotrice (E) può essere calcolata, per T = 0, colla regola di Thomson solo quando

così il lavoro massimo A che si ottiene da un processo chimico, non è uguale a Q che quando T = 0 oppure quando,

come risulta dall'equazione fondamentale la quale esprime i due principî della termodinamica:

che si ottiene scrivendo l'espressione del lavoro necessario per rendere reversibile il ciclo di Carnot

Da questa equazione, J. H. Van't Hoff ha ricavato l'isobara e l'isocora di reazione, che sono l'espressione più semplice del secondo principio. Il lavoro massimo così definito è la misura dell'affinità, ossia della forza che spinge un sistema chimico a trasformarsi in un corpo o in un sistema di corpi che corrisponde a un dato stato di massima stabilità. Il criterio della reversibilità delle reazioni, che è la manifestazione della legge dell'azione di massa, è indispensabile per la definizione e la misura dell'affinità. Per un sistema gassoso, omogeneo od eterogeneo, nel quale si raggiunga, in condizioni opportune, a temperatura costante, l'equilibrio, l'affinità, ossia quel lavoro massimo che abbiamo definito, supponendo che il volume complessivo rimanga inalterato, è data dall'espressione: − RT log Kp = A dove Kp, è la costante d'equilibrio a pressione costante: le pressioni parziali iniziali e finali si suppongono eguali all'unità.

Questo valore sostituito nella (i) scritta nella forma:

porta all'equazione:

Questa è l'isobara di Van't Hoff poiché la tonalità termica che figura nel primo membro è determinata a pressione costante. Essendo:

un'espressione formalmente analoga si ha calcolando con la tonalità termica a volume costante: l'equazione di Van't Hoff prende allora la denominazione di isocora:

L'integrazione di queste equazioni differenziali porta al calcolo dell'affinità in funzione della tonalità termica e della sua variazione con la temperatura, determinate sperimentalmente. Si può anche dire che l'isobara e l'isocora permettono di prevedere l'andamento delle reazioni chimiche al variare della temperatura. Infatti, se il primo membro delle (2), (2′) ha segno negativo, la funzione la cui derivata per rapporto alla temperatura figura nel secondo, è decrescente: l'inverso avviene se la tonalità termica è positiva. La legge dell'equilibrio mobile resta così dimostrata quantitativamente: si viene infatti a calcolare, in base ai dati sperimentali, di quanto una reazione endotermica è favorita da un aumento determinato di temperatura e di quanto una data diminuzione di temperatura favorisce una reazione esotermica. Se, in prima approssimazione, si suppone che la tonalità termica si mantenga costante fra due temperature sufficientemente vicine, alle quali possa essere misurata la costante di equilibrio di una data reazione, si arriva facilmente all'integrazione della (2) e della (2′), rimanendo determinata la costante. Si ha:

D'altra parte, la misura di K1 e K2 relativi a T1 e T2, dà senz'altro la U.

Ma la temperatura ha un'influenza non trascurabile sulla tonalità termica. Infatti, in base al principio della conservazione dell'energia, per un sistema chimico che si trasformi in modo che si abbiano, a due temperature diverse (t1 e t2), due tonalità termiche (Up′, Up″), si deve verificare la relazione:

dove le c sono le capacità termiche delle sostanze reagenti. Dunque l'eccesso dato da c′ − c″ misura l'aumento della tonalità termica per ogni grado di temperatura.

I dati sperimentali relativi alla variazione della tonalità termica a pressione e a volume costante con la temperatura si possono rappresentare mediante uno sviluppo in serie di potenze di T. Si può dunque porre:

dove U0 rappresenta genericamente la tonalità termica allo zero assoluto. Derivando per rapporto a T, il significato fisico dei coefficienti risulta chiaro. Lo sviluppo in serie può essere arrestato al terzo termine, nella massima parte dei casi, quando si può ritenere che i calorici specifici, e perciò la loro differenza, siano una funzione lineare della temperatura.

In generale, l'espressione di Uv sarà data da:

e, analogamente, quella di Up, da:

essendo Cv, Cp i calori molecolari a volume e a pressione costante. Risulta evidente che:

Σn1 Cv1, Σn1 Cp1, i, sono le somme dei prodotti del numero di molecole per i calori molecolari delle sostanze di partenza e Σn2 Cv2, Σn2 Cp2, le corrispondenti somme relative alle sostanze formate.

Lo studio dei passaggi di stato di aggregazione è oggetto della termodinamica classica, ma parlando di termochimica non si può fare a meno di ricordare quelle nozioni relative alla vaporizzazione, alla sublimazione, alla fusione che vengono utilizzate ampiamente nelle applicazioni ai problemi chimici. Il passaggio (H2Oliq.) − (H2Ogas) importa l'assorbimento di 536,4 × 18 − 2 × 373 = 8910 cal./mol. e il passaggio (H2Oliq.) − (H2Osolido), importa lo sviluppo di 79 × 18 = 1422 cal./mol.

Il calore di fusione, nell'ordine di grandezza, è dieci volte più piccolo di quello di vaporizzazione e cresce, in generale, da sostanza a sostanza, al crescere del punto di fusione. Questo fatto si verifica chiaramente nel caso di quegli elementi che si presentano allo stato gassoso (e forse anche allo stato liquido) come monoatomici. La legge di Th. W. Richards si enuncia appunto dicendo che il rapporto fra il calore latente di fusione e la temperatura assoluta di fusione è una costante, compresa tra 1,6 e 3,2, per gli elementi che hanno la proprietà di avere la molecola monoatomica allo stato di vapore. Analogamente, F. Th. Trouton ha trovato che il rapporto fra il calore latente di vaporizzazione (riferito alla molecola-grammo) al punto di fusione e la temperatura assoluta di fusione è una costante (circa 22 cal.). La determinazione sperimentale dei calori latenti è oggetto di un capitolo importante della fisica sperimentale: ai chimici interessa sapere che, per piccole tensioni, le leggi della vaporizzazione e della sublimazione si studiano, partendo dalla (i). Indicando con p la tensione, si arriva, quando il vapore sia così rarefatto da poter essere considerato come un gas perfetto, all'espressione del calore latente molecolare di vaporizzazione λ che mostra un'analogia formale molto istruttiva colla (2) e colla (2′):

La funzione λ si può sviluppare in serie di potenze della variabile indipendente T, come una tonalità termica, e si può dunque porre:

La fusione si considera, dal punto di vista delle applicazioni alla chimica nel campo dei sistemi condensati (che non contengono fasi gassose), insieme coi fenomeni di allotropia e di enantiotropia. W. Nernst ha ricavato l'espressione di A per i sistemi condensati in base al principio che stabilisce una condizione ai limiti per l'integrazione della (i):

Lo sviluppo in serie di potenze della tonalità termica, anche per questi sistemi, porta all'espressione:

che rende conto dei fatti sperimentali e, sostituendo nella (1′), si ha:

Colla condizione che esprime il principio di Nernst, derivando la U e la A per rapporto a T e passando al limite per T = 0, si vede subito che deve essere:

arrestando lo sviluppo al termine della serie che contiene T2.

Al punto di fusione, come al punto di trasformazione, in base ai principî della termodinamica che stabiliscono le condizioni di equilibrio, deve verificarsi la condizione A = 0; perciò

Per i sistemi gassosi omogenei, si dimostra facilmente che:

essendo Σν la somma algebrica delle specie molecolari allo stato gassoso fra le quali avviene la reazione in modo reversibile. Si vede subito che anche il secondo membro della (5) deve contenere dei termini in T log T e dei termini in T che devono andare a zero e si trova così, per A, un'espressione la quale non contiene costanti arbitrarie. Analogamente, si fa il calcolo quando invece di considerare il processo a volume costante, lo si consideri a pressione costante: in luogo di RT log Kv, si avrebbe RT log Kp, in relazione con la (2).

La costante di equilibrio che porta al calcolo dell'affinità è dunque data, a pressione costante, in logaritmi base 10, dall'espressione:

nella quale Q0 è la tonalità termica a pressione costante per T =0 e Cp° rappresenta la differenza fra i calori molecolari allo stato gassoso e condensato, allo zero assoluto; I = Σνi è la somma algebrica delle costanti chimiche, che sono le costanti d'integrazione dell'equazione di vaporizzazione (sublimazione) per ciascuna molecola che prende parte alla reazione. Per i sistemi gassosi eterogenei, si ha:

In questa espressione, le Σn si riferiscono alle molecole che rimangono allo stato condensato: I′ = Sni.

5. La mole dei dati termochimici è imponente. Le Termochemische Untersuchungen di J. Thomsen furono pubblicate a Lipsia dal 1882 al 1886 e contengono un prezioso materiale elaborato fin dal 1853; la Thermochemie di A. Naumann è pure del 1882 e la 2a ed. di quella di H. Jahn del 1892. Favre e Silbermann, Th. Andrews, Th. Graham, J.-Ch. de Marignac, ai tempi di Hess, avevano portato il contributo della loro mirabile e geniale operosità in questo campo così fecondo della chimica, preparando il materiale per l'elaborazione dei principî generali coordinati razionalmente, che fu iniziata da W. Ostwald col suo grande trattato di Chimica generale, e continuata con vedute più larghe da W. Nernst. L'impronta particolare data da M. Berthelot e dalla sua scuola alla termochimica, risalta imponente nel grande trattato Termochimie già citato.

I metodi sperimentali, si sono oggi meravigliosamente affinati, tanto da permettere delle misure di grande rigore, in base alle quali si può arrivare alla verifica di risultati teorici che riguardano capitoli importanti di chimica fisica. Nel campo della chimica organica, le difficoltà da vincere sono assai minori che nel campo vastissimo della chimica inorganica: qui, in molti casi, non è possibile la misura calorimetrica diretta e bisogna ricorrere a metodi indiretti, che, come quello spettroscopico per la misura dei calori di dissociazione, hanno talvolta una grande portata, data la loro sensibilità e la grande precisione nei risultati.

a) Un notevole interesse presenta la determinazione dei calori di soluzione e di diluizione.

Il Thomsen per il primo trovò l'espressione che dà il calore che viene assorbito o sviluppato quando si aggiunge a una mole (molecola-grammo) di un componente, x moli del secondo: per es., a una mole di H2SO4, x moli di acqua. Poiché, in questo caso, U = Q perché A = 0, si trova che U = Q (x). Thomsen trovò la formula empirica, per le miscele di acido solforico e acqua:

che si presta al calcolo, in buon accordo con l'esperienza, qualunque sia x. D'altra parte, in funzione della tensione del vapore di un componente (P0) e di quella (P) della miscela ottenuta aggiungendo a una mole di questo, x moli dell'altro, si ottiene l'espressione:

poiché xRT log P0/P è il lavoro fatto per scendere, dalla pressione P0 alla pressione P, a temperatura costante e

indica il calore sviluppato quando si aggiunge una mole di acqua a una quantità relativamente grande di una miscela di composizione: H2SO4 + x HO2.

Questa formula è dovuta a G. Kirchhoff. La difficoltà per verificarla sta nella misura di P; però bisogna osservare che, nel caso delle soluzioni di acido solforico, di cloruro di calcio e di altri sali,

è maggiore di zero, dunque

decrescono al crescere della temperatura: quando

cresce con la temperatura. La validità della formola di Kirchhoff è così dimostrata.

Nel caso delle soluzioni diluite di non elettroliti, per le quali vale la teoria di Van't Hoff nei riguardi della pressione osmotica, il calore di diluizione deve essere zero perché solo se U = 0, A = TdA/dT ossia A = T e PV = costante. Le soluzioni degli elettroliti si comportano diversamente e il calore di diluizione è positivo o negativo a seconda della natura del sale disciolto. La misura termochimica relativa, di estrema difficoltà, dato il valore molto piccolo delle quantità di calore che vengono liberate o assorbite, è stata eseguita dal Nernst e dai suoi collaboratori nel 1928 con calorimetri di estrema sensibilità costruiti appositamente. La teoria moderna delle soluzioni rende conto di questo fatto che non era prevedibile in base all'ipotesi della dissociazione graduale: del resto, una semplice considerazione termodinamica porta a prevedere quando il segno del calore di diluizione è positivo e quando è negativo. Basta porre, nell'equazione fondamentale (i), A = W + W′. La W è dovuta all'azione reciproca delle cariche portate dagli ioni in un mezzo a costante dielettrica pari a quella del solvente; W′ corrisponde alla variazione della costante dielettrica colla concentrazione. Si sa dall'esperienza in quale misura, per i diversi elettroliti in soluzione acquosa (e in altri solventi), questa variazione avvenga e dunque, poiché:

darà il valore di U, positivo o negativo, in dipendenza del valore relativo di

e di

b) L'isocora di Van't Hoff, nel caso delle soluzioni, permette di arrivare al calcolo del calore di soluzione. Infatti, poiché, in questo caso, la costante di equilibrio K = c, essendo c la concentrazione

e, se si fa l'ipotesi che fra due temperature T1 e T2, corrispondenti alle concentrazioni molecolari c1 e c2, U sia costante, si ha:

Il calore di soluzione, nel caso di sali solidi binarî costituiti di reticoli ionici (esempî tipici sono il NaCl e il KCl) può essere determinato conoscendo l'energia reticolare, ossia il lavoro necessario per la dissociazione completa, allo zero assoluto, di una mole di un cristallo in ioni gassosi liberati. Tanto per i sali alcalini quanto per quelli alcalino-terrosi, l'energia reticolare, a parità di catione, è maggiore per i fluoruri che per i cloruri; per i cloruri, maggiore che per i bromuri; per i bromuri, maggiore che per gli ioduri: in piccole calorie, per gli alogenuri di sodio, si hanno, passando dal fluoruro allo ioduro, i valori: 220; 182; 171; 153: e, per gli alogenuri di calcio, 612; 483; 454; 424. Questi sono valori calcolati in base alla teoria elettrostatica, fondata sull'ipotesi che l'energia elettrostatica di attrazione e di repulsione che tiene vincolati, alla distanza reticolare, gli ioni di un cristallo costituito di un sale binario, si facciano equilibrio in modo da soddisfare ai principî della meccanica, realizzando la condizione di minimo dell'energia potenziale data da un'espressione del tipo:

dove a, b indicano delle costanti, δ è la distanza reticolare ed n è una costante che si determina con misure di compressibilità. L'energia reticolare, data da:

viene espressa in calorie. K è una costante caratteristica per ciascun tipo di reticolo; ρ è la densità e le m sono le masse degli io1li. Questa espressione si trova essere uguale a

dove a è la costarite che figura nell'espressione dell'energia potenziale e ha il significato di potenziale di attrazione: si suppone, per calcolarla, che gli ioni vengano portati da una distanza infinita alla distanza reticolare e si scrive l'espressione del lavoro necessario a questo ravvicinamento. N è il numero di Avogadro e n è l'esponente che figura nell'espressione dell'energia potenziale del reticolo considerato.

I valori teorici riportati sono in buon accordo con quelli determinati sperimentalmente per via indiretta, ossia col ciclo di Born-Haber.

Si possono, infatti, seguire due vie diverse per arrivare al reticolo, per esempio, di cloruro di potassio. Dapprima, si può far avvenire la combinazione diretta degli elementi, misurando l'effetto termico prodotto (QB). Poi, si può arrivare allo stesso risultato con cinque operazioni diverse: 1. sublimare l'elemento metallico, misurando il calore di sublimazione Q1; 2. ionizzare l'atomo K a ione KT(energia di ionizzazione di prima specie: JK); 3. scindere in atomi la molecola Cl2 (lavoro di dissociazione per gr. at.: Di); 4. trasformare l'atomo Cl in ione Cl- (lavoro di elettroaffinità: EA); 5. far combinare gli ioni gassosi per avere il reticolo di KCl (energia reticolare Ur).

Dunque, fra le grandezze così definite esiste la relazione:

E, poiché tutte queste grandezze sono riferite alla molecola-grammo, Ur viene 2 corrispondere alla definizione che abbiamo dato di energia reticolare: il valore calcolato può essere così misurato. Gli ioni gassosi, disciolti in acqua, dànno luogo a un effetto termico (calore d'idratazione degli ioni) che è caratteristico per il catione (Qc) e per l'anione (Qa). La somma (Qc + Qa) viene ad essere uguale alla somma del calore di soluzione e del calore che misura l'energia reticolare. Si suppone, per ottenere questo risultato, che siano gli ioni gassosi a subire l'idratazione. Per il cloruro di potassio, si trova che Qa + Qc =- 159,7 cal./mol. e, per il bromuro di potassio, Qa + Qc= 152,1 cal./mol. e 157 cal./mol., mentre i calori di soluzione sono: −4,3 cal./mol. e − 4,9 cal./mol.

Dunque i calori d'idratazione ionica sono 159,7 e 152,1 e si deduce da questi dati che il lavoro necessario per scindere un cristallo in soluzione è dato per la massima parte dal calore d'idratazione ionica.

E il principio di concorrenza di Fajans stabilisce che la solubilità relativa degli alogenuri alcalini con lo stesso catione (o anione) nell'acqua a 0°, presenta un minimo quando il calore d'idratazione del catione è pressoché uguale al calore d'idratazione dell'anione: cresce con la differenza dei calori d'idratazione degli ioni corrispondenti.

c) La termochimica degli elettroliti porta a conclusioni degne di rilievo nel caso delle soluzioni diluite. Si trova infatti che il calore di formazione di due soluzioni con uno ione in comune è una costante caratteristica ed è indipendente dalla natura dello ione comune. Per es.:

Infatti si trova che:

dunque, quando, in soluzione diluita, si sostituisce nello ioduro lo iodioione col cloro-ione, si ha lo stesso sviluppo di calore.

D'altra parte, il calore di neutralizzazione tra soluzioni normali di acidi e di basi forti è, in ogni caso, di 13.700 calorie che corrispondono alla formazione di una molecola di acqua praticamente indissociata:

Queste leggi valgono per soluzioni diluite, nelle quali si possono trascurare le interazioni fra gli ioni: in quelle condizioni, le teorie moderne coincidono con la teoria classica di S. Arrhenius. In generale, si può ritenere che la tonalità termica che si ha mescolando soluzioni qualunque, si possa calcolare quando si conosca il valore di soluzione delle specie molecolari che si considerano.

Nel campo delle soluzioni, si utilizza la legge di Hess per determinare, per esempio, il calore di formazione di una soluzione diluita partendo dagli elementi che costituiscono il sale sciolto e dal solvente. Un caso tipico è quello del cloruro di sodio in acqua per il quale si può schematizzare il procedimento nel modo seguente:

In totale:

d) Questo è un caso particolare: in generale, per avere la tonalità termica di un processo chimico, si fa la differenza fra i calori di formazione delle sostanze finali e i calori di formazione delle sostanze iniziali, secondo la formula generale ricavata nel paragrafo 2.

In una molecola AC, la sostituzione di B ad A corrisponde a una tonalità termica U′ − U″. Infatti:

ma:

dunque:

Facendo reagire l'ammoniaca sull'acido cloridrico (NH3 + HCl), si sviluppano 42.100 calorie mentre si forma il cloruro di ammonio (NH4 • Cl). Questo, per sciogliersi in acqua, assorbe 3900 calorie; dunque,

D'altra parte:

dunque:

La verifica è da ritenersi soddisfacente.

e) Il caso delle sostanze organiche è particolarmente interessante perché anche i criterî puramente energetici come quelli che sono di base alla termochimica attestano l'esistenza di quei radicali che sono il fondamento della strutturistica. Per es., il calore di formazione del metano è dato dalla somma:

In totale:

Ciascun legame si forma con 270.000/4 e 92.000 calorie, che rappresentano il calore di dissociazione del radicale: CH.

L'esperienza dà, per i diversi radicali, i seguenti valori:

Il calore di formazione del vapore di benzolo sarà dunque:

e quello del tetrametilmetano:

f) Dalle nozioni esposte nel secondo paragrafo, nel quale è stato definito il calore di formazione di un composto come la quantità di energia che si svolge o si assorbe nella sua formazione dagli elementi, risulta che la tonalità termica di una reazione è la somma dei calori di formazione delle molecole che si formano e di quelle che scompaiono. La dissociazione è un esempio tipico.

Una legge analoga a quelle di Trouton e di Richards, enunciata al paragrafo 4, è la legge di R.-H. de Forcrand, relativa al calore di dissociazione: ρ, il rapporto fra il calore di dissociazione e la temperatura assoluta alla quale la tensione del gas che si sviluppa eguaglia quella atmosferica, è una costante (circa 32 calorie). I calori di dissociazione hanno esattamente lo stesso valore di quelli di formazione; deduzione ovvia del principio della conservazione dell'energia. In molti casi, la determinazione sperimentale diretta è straordinariamente difficile e, qualche volta, impossibile. Affinché obbedisca alla definizione universalmente accettata, il calore (lavoro) di dissociazione deve essere riferito allo zero assoluto, perché, a più alte temperature, le molecole e gli atomi possiedono un'energia di natura termica. Il lavoro che deve essere fornito per scindere, allo zero assoluto, una molecola negli atomi che la costituiscono o in molecole più semplici, è misurato dal calore di dissociazione.

Le difficoltà sperimentali che s'incontrano nell'eseguire le misure dirette coi metodi termochimici usuali sono, in molti casi, insormontabili. Per esempio, la misura del calore di dissociazione in atomi dell'azoto e dell'idrogeno molecolare, dell'anidride carbonica in carbonio e ossigeno e in ossido di carbonio e ossigeno.

Il metodo spettroscopico, elaborato da James Franck e dai suoi collaboratori, consiste essenzialmente nel misurare la frequenza limite alla quale uno spettro di assorbimento diventa continuo. Esso porta a risultati di grande precisione e fu applicato a molti casi nei quali mancavano o erano imprecisi i dati termochimici diretti e indiretti. Per esempio, furono determinati i calori di dissociazione degli alogeni (meno il fluoro); dell'ossigeno; dell'idrogeno; dell'azoto; dell'ossido di carbonio; dell'ossido d'azoto; dello zolfo; del selenio; dello ioduro d'argento; dell'acido iodidrico; del cloruro e del bromuro di potassio; degli ioduri di cesio, di sodio, di tallio. Per quelli per i quali si conoscono con precisione i dati termochimici, l'accordo è ottimo; per O2, N2, H2, Cl2, NO, CO, non si hanno determinazioni con le quali fare il confronto.

6. I criterî che sono stati finora posti a base della presente trattazione riguardano i fenomeni statici, ossia i sistemi chimici in equilibrio. Ma un grande capitolo della chimica moderna, che è tuttora in via d'elaborazione, è quello che riguarda la velocità con la quale avvengono i processi chimici e, poiché la condizione necessaria affinché un corpo reagisca con un altro è l'attivazione, che si provoca con la temperatura e con la catalisi, l'energia di attivazione potrà essere misurata in calorie e i dati relativi rientreranno nel campo della termochimica. Il calore di attivazione è in relazione con la velocità con la quale avvengono le reazioni: nel caso delle reazioni esplosive, il calore svolto e la variazione di volume sono le caratteristiche grandezze del fenomeno. Le reazioni che avvengono in sistemi omogenei gassosi sono attivate per effetto degli urti fra le particelle, quando si tratti di reazioni bimolecolari, e si calcola il calore di attivazione (in calorie) col rapporto:

essendo Q il calore di attivazione, R la costante dei gas (1,985 calorie), I. la temperatura assoluta. Il numero totale degli urti si determina in base ai postulati della meccanica statistica e, dalle equazioni le cui proprietà sono state illustrate nel paragrafo secondo, si deducono le relazioni:

nelle quali k è la costante di velocità definita in base alla legge dell'azione di massa. Il numero degli urti efficaci è, nella massima parte dei casi, piccolo in confronto al numero totale degli urti; se così non fosse, le reazioni gassose bimolecolari, che sono le più comuni, sarebbero straordinariamente esplosive. Ciò significa solo che una frazione delle particelle che costituiscono le sostanze reagenti sono attivate e, con la relazione soprascritta, determinando Q mediante la (I), si può calcolare il valore numerico del rapporto. Scopo della catalisi è quello di abbassare l'energia necessaria all'attivazione, ossia di accelerare la velocità colla quale avvengono le reazioni.

Il meccanismo dell'attivazione è diverso a seconda dell'ordine delle reazioni: per i sistemi gassosi omogenei, almeno nel caso delle reazioni bimolecolari, ossia del secondo ordine, esiste una teoria di carattere generale, che si può ritenere soddisfacente.

Bibl.: A. Campetti, Compendio di chimica fisica, Milano 1912; A. Mazzucchelli, Elementi di chimica fisica, Torino 1928; J. Thomsen, Systematische Durchführung thermochemischer Untersuchungen, Stoccarda 1906; W. Ostwald, Lehrbruch der allgemeinen Chemie, Lipsia 1910; M. Berthelot, Mécanique chimique fondée sur la thermochimie, Parigi 1879; W. Nernst, Theoretische Chemie, Stoccarda 1926; A. Eucken, Grundriss der physikalischen Chemie, Lipsia 1934.