Folengo, Teofilo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Folengo, Teofilo

Francesco Vagni

Sul noto letterato (Cipada, Mantova, 1491 - S. Croce di Campese, Bassano del Grappa, 1544) rimane valido il rilievo accennato dal De Sanctis sul realismo dello stile messo in rapporto con quello dantesco: " Questo realismo rapido, nutrito di fatti, sobrio di colori, fa di Merlino lo scrittore più vicino alla maniera di. Dante, salvo che Dante spesso ti fa degli schizzi ed egli disegna e compie tutto il fatto. Il suo continuatore e imitatore è fuori d'Italia: è Rabelais, che ha la stessa maniera " (Storia della letter. ital., c. XIV). I moderni linguisti e critici stilistici hanno offerto una prospettiva più adeguata alla soluzione dell'intero e complesso fenomeno rappresentato dal Folengo.

Sull'espressionismo, sulla mescolanza degli stili, in una parola, sul plurilinguismo del Folengo insiste, come su un episodio fondamentale, Gianfranco Contini nel ‛ saggio introduttivo ' a Gadda (cfr. C.E. Gadda, La cognizione del dolore, Torino 1963, 19-22) e conclude il suo cammino a ritroso con l'autore della Commedia: " Dante, anche se, per quanto s'è detto, non assolutamente il punto di partenza, è però il gran nodo che qualifica la linea ascendente di Gadda ".

La Palermitana, in terza rima, è esplicitamente (cfr. l'introduzione dell'autore) derivata dai Trionfi del Petrarca, ma - scrive il Goffis (T.F., studi di storia e di poesia, Torino 1935, 116) - " siamo... dinanzi ad una visione nella prima parte. Teofilo è nell'atteggiamento di Dante, Palermo in quello di Virgilio, il numero tre è alla base dello schema... La serie delle somiglianze di vocaboli, sintassi e concetti è tale da farci pensare ad una profonda conoscenza del Divino Poema ". Però nel Caos, se la vicenda di peccato e redenzione è ancora cristiana e dantesca, la forte coscienza della crisi si oggettiva modernamente nella molteplicità drammatica dei personaggi risultanti dall'intima scissione del protagonista, mentre il carattere intellettualistico e autobiografico del simbolismo riconduce il tono dell'espressione e la finzione letteraria nell'ambito di una tradizione allegorica, autobiografica ed erudita, che va dall'Amorosa Visione del Boccaccio al Polifilo del Colonna.

L'ascesa di Baldo e dei compagni al settimo cielo, fino all'incontro con Manto nella sfera di Mercurio (Baldus XIII 144-343), e la digressione astrologica di Cingar (XIV-XV), una specie di Margutte, costituiscono delle spietate satire dell'astrologia, dell'alchimia e della mitologia, che tendono a parodiare il De Rebus coelestibus e il poemetto mitologico-astrologico Urania del Pontano. Spunti polemici e violente invettive, conformi all'indole e alla moralità del poeta, richiamano D.: ricordiamo lo sdegno per la corruzione del clero (Baldus VIII 509-521 e XXV 222-279), l'asprezza della satira anticlericale (Orlandino VIII), l'invettiva contro le divisioni politiche e le discordie civili degl'Italiani nell'episodio di Guelfo e di Ghibellino (Baldus XXV 294-351); ci sono, infine, la discesa all'Inferno con la figura di Caronte (XXIV 365-762, XXV 1-427) e, precedentemente, la zuffa vittoriosa con i demoni (XIX), dove figurano tutte le Malebranche dantesche.

Nell'Orlandino (I, ott. 16-20) si trova un'esplicita lode all'eccelso ingegno poetico dell'Alighieri: " Quel Dante, sai, lo qual ‛ Omer Toscano ' / appellar deggio sempre... / e chi 'l Petrarca fa di lui soprano, / ne l'arte matematica lavora, / ché Dante vola più alto, e questo dico / col testimonio di Giovanni Pico ".

Altre volte, invece, una certa similarità di situazioni sembra richiamare topiche immagini della Commedia: così Triperuno si rivolge a Merlino (Caos, Selva Il): " O mio maestro e guida / ...mia scorta fida! ", in evidente analogia con le invocazioni di D. a Virgilio; sempre nel Caos (Selva III) leggiamo: " il grave sonno ... / ruppemi orrendo grido ", con chiara derivazione da If IV 1-2; Merlino con frequente ricorso all'immagine dantesca della sempre più ardita navigazione sottolinea il crescere della sua musa, come in Baldus XI 1 " Altius o Musae nos tollere vela bisognat ", che va accostato alla protesi del Purgatorio; caratteristica, infine, questa designazione astronomica dell'ora " Paulatim Phaebus descendit ab aethere scalam, / tresque appena horae giorni morientis avanzant " (Baldus XVIII 123-124). Gli occhi di bragia di Caronte (If III 109) riaffiorano nel ritratto caricaturale di Marte: " Mars... / ... scorozzata [corrucciata] semper cum fronte menazzat, / brasatos oculos guardando torcet adossum " (Baldus XV 176-177).

Puntuali riscontri di figurazioni dantesche sono la selva oscura (If 2): " Scurus et asper / boscus adest, ac sylva pavens... " (Baldus XXIV 365-366), e la porta dell'Inferno (cfr. XXIV 377-382). L'ispirazione etica del F. non disdegna l'allegoria della lupa (If I 49), che ritorna nell'Orlandino (V ott. 78) in un'invettiva contro l'avarizia: " Che maladetta sia l'ingorda rabbia / di questa lupa, e chi adorar la vole ! ".

Un cenno a parte merita l'ampio brano di Caronte, demonio quanto altro mai scornato: innamorato deluso e irriso da Tesifone, ninfa del re d'Averno, è preso per il collo dal gigante Fracasso e scaraventato nel vuoto centrale della cavità infernale; in tal modo Baldo e i compagni s'impossessano della barca e passano l'Acheronte. In questo vivace episodio si toccano con mano i prestigiosi risultati delle contaminazioni letterarie e linguistiche, delle invenzioni foniche e verbali del Folengo. I procedimenti mossi e drammatici della Commedia sono qui utilizzati antifrasticamente, per dar vita a una scena comica di parossistico movimento, cui fa riscontro la bizzarra fantasia di suoni, di versi animaleschi, distorti e incomprensibili, imitati dal grido intimidatorio di Pluto (If VII 1): " Ecce venit sbraiando Charon, chiamatque bravazzus: / Papa Satan, o papa Satan, beth, gimel, aleppe. / Cra cra, tif taf noc, sgne flut, canatauta, riogna ". Sembra di leggere nelle prime battute un tentativo di semantizzazione, poi tutto si disperde nel puro espressionismo fonico, con un'amplificazione bizzarra e fantastica (Baldus XXIV 610-612).

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