GAZA, Teodoro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GAZA, Teodoro

Concetta Bianca

Figlio di Antonio, nacque a Salonicco probabilmente intorno al 1408-10. Suoi fratelli furono Andronico, Giorgio e Demetrio.

Se il luogo di nascita del G. è confermato dal ricorrente aggettivo "Thessalonicensis", la data, pur rimanendo ipotetica, si fonda su alcune considerazioni relative al suo arrivo in Italia, che va collocato nel 1440. Francesco Filelfo, infatti, in una lettera inviata il 19 ott. 1440 al G. a Pavia chiedeva notizie del figlio Giovanni Mario partito per Constantinopoli nel luglio del 1439, insieme con la delegazione bizantina che faceva ritorno in patria dopo la conclusione del concilio di Firenze. Se dunque veniva interpellato a proposito di Giovanni Mario, che si trovava a Costantinopoli, anche il G. doveva essere presente a Costantinopoli almeno negli ultimi mesi del 1439 e quasi sicuramente anche nei primi del 1440. La certezza dell'arrivo in Italia nel 1440 porta a escludere con buone ragioni la partecipazione del G. al concilio di Ferrara e Firenze, che peraltro non è confermata da alcun documento inerente il concilio stesso. L'arrivo in Italia è raccontato da un testimone oculare, il domenicano Pietro Ranzano, il quale dichiarava che il G. doveva avere a quell'epoca circa 25 anni: si risalirebbe così, per la data di nascita, al 1415 circa; ma tenendo conto che prima del 1427 il G. trascriveva a Costantinopoli il suo primo codice (ora presso la Bibl. apost. Vaticana, Vat. gr. 1334), e che l'attività di copista poteva essere svolta da un giovane di 15-17 anni, si risale al 1410 come anno di nascita più probabile.

Da Salonicco il G., forse intorno al 1422-23, all'età di circa 12-13 anni, al momento cioè di intraprendere gli studi superiori, si trasferì a Costantinopoli. L'amicizia con il Filelfo, che si mantenne intatta per tutta la vita e che emerge dalla corrispondenza di entrambi, risale infatti all'incontro avvenuto a Costantinopoli dove il Filelfo soggiornò, seppur non continuativamente, dal 1422 al 1427. Proprio per il Filelfo il G. trascrisse, insieme con Giovanni Crisococca il Giovane, il già citato codice Vat. gr. 1334. Forse a Costantinopoli il G. conobbe anche Giovanni Aurispa e Giovanni Tortelli.

La prima tappa in Italia fu la Sicilia. Da Palermo, via mare, arrivò a Pisa insieme con Pietro Ranzano, il quale tra l'altro sottolineava come a quel tempo il G. fosse del tutto ignaro della lingua latina, a differenza invece dell'altissimo livello che avrebbe raggiunto negli anni successivi. Tappa successiva fu Pavia, dove il G. si recò per studiare probabilmente medicina: per amore della filosofia e della scienza, infatti, come affermava il Filelfo nella ricordata lettera del 19 ott. 1440, il G. si era trasferito in Occidente, e già a quell'epoca doveva possedere un discreto e forse interessante gruppo di codici se lo stesso Filelfo gli chiedeva, in diverse occasioni, di comunicargli l'elenco dei codici posseduti. Alla fine del 1442 il G. era sicuramente a Milano dove svolse opera di copista per il Filelfo: il 4 nov. infatti indirizzava una elegia greca a Ciriaco d'Ancona in ringraziamento per il dono di un pezzo archeologico raffigurante Scilla (Bertalot-Campana, 1975).

A questo periodo, come conferma anche la miniatura di ambiente lombardo, risale infatti il cod. Laurenziano 32.1 (Firenze, Bibl. Laurenziana) contenente la Batracomiomachia e l'Iliade, entrambe con parafrasi interlineare, copiate dal G. in lettere capitali su incarico del Filelfo che a sua volta chiudeva con due distici autografi la monumentale e faticosa impresa (Rizzo, p. 235; Pontani, p. 114). Un codice, questo, talmente importante che nel 1448 il Filelfo avrebbe rifiutato di cederlo al cardinale Bessarione che gliene faceva insistentemente richiesta. A questi primi anni dovrebbe risalire anche un altro codice copiato per il Filelfo, l'attuale Laur. 80.7, contenente la Repubblica e il Parmenide di Platone, la cui scrittura è attribuita al G. (Wilson, 1962, p. 387; Fryde, p. 288; per altri codici appartenuti al Filelfo dove è presente la mano del G. cfr. Eleuteri, 1991, pp. 173-178).

Nel 1443 il G. si trasferì a Mantova presso Vittorino da Feltre. Con Vittorino collaborò presso la scuola Ca' gioiosa per l'insegnamento della lingua greca, ma allo stesso tempo apprese da Vittorino e approfondì la lingua latina, tanto che nel primo lavoro di traduzione dal greco in latino, i Praecepta nuptialia, natalicia, epithalamia attribuiti a Dionigi d'Alicarnasso, il G., ricordando la sua origine greca, si definiva hospes della lingua e della cultura latina. Tale traduzione, che rimetteva in circolo la retorica bizantina, al pari di quanto nel 1434 aveva fatto Giorgio Trapezunzio (Giorgio da Trebisonda) con l'elaborazione dei suoi Rhetoricorum libri quinque, era preceduta da una dedica del G., datata 15 luglio 1444, indirizzata a Luchino de' Medici, forse da identificare, nonostante gli scarsi elementi, con un Luca di Manfredolo de' Medici di Novate Milanese. La traduzione del G. ebbe una discreta circolazione e fu aggiunta a due edizioni veneziane dell'Ars rhetorica di Chirio Fortunanziano, stampate a Venezia intorno al 1496 e intorno al 1499 (Gesamtkatalog der Wiegendrucke [GW], 10229, 10230). Da questo periodo data l'amicizia con Giovanni Andrea Bussi che avrebbe poi portato a un profondo rapporto di collaborazione scientifica.

Alla morte di Vittorino, nel 1446, il G. si trasferì a Ferrara su invito di Giovanni Aurispa, come si apprende da una lettera di Carlo Marsuppini allo stesso Aurispa (Sabbadini, 1931, p. 112), nella quale il Marsuppini rendeva merito a quest'ultimo per aver fatto venire a Ferrara il G. con lo scopo di istruire i giovani. Proprio nel 1446 il Filelfo ribadiva in una lettera a Francesco Barbaro la superiorità del G. quanto a cultura ed eloquenza, mentre il figlio Giovanni Mario intorno a quegli anni gli dedicava il suo De paupertate. Nella Ferrara di Guarino e di Leonello d'Este il G. acquistò una sempre maggiore notorietà: egli era al tempo stesso studente, tanto da divenire nell'anno accademico 1448-49 rettore degli artisti, e insegnante di lingua greca. Gli studi erano con tutta probabilità quelli di medicina, come testimoniato tra gli altri dal Ranzano, da Bartolomeo Facio e da Raffaele Maffei. A Ferrara tradusse in greco due opuscoli del medico Michele Savonarola (traduzioni oggi perdute); partecipò inoltre come testimone alla laurea in medicina di Pietro Antonio da Ventimiglia e di Gondisalvo di Porto, e pronunciò una presentazione particolarmente calorosa per il palermitano Michele Nuzio, studente in medicina, che gli doveva succedere nella carica di rettore degli studenti. Probabilmente con lo scopo di terminare gli studi, il G. rifiutò l'offerta di trasferirsi a Firenze per insegnare greco presso l'università: nella lettera ai curatori dello Studio fiorentino, datata Ferrara 5 luglio 1447, egli motivava il rifiuto con l'intenzione di tornare presto in patria, ma forse non erano neppure mancate le pressioni da parte del marchese Leonello d'Este.

Del periodo ferrarese rimangono alcune orazioni pronunciate presso lo Studio, tre in qualità di rettore degli studenti e una come professore di lingua greca. Nel prendere possesso del rettorato il G. esaltava, secondo il canone ricorrente delle orazioni universitarie, Leonello d'Este, fautore e sostenitore dello Studio, ma trovava anche lo spazio per denunciare la vita difficile di coloro che in Italia insegnavano greco. L'importanza degli studi greci veniva sottolineata nella prolusione De litteris Graecis (probabilmente del 1446), nella quale il G. sottolineava anche la stretta connessione tra cultura greca e latina, ricordando alcuni personaggi esemplari del mondo latino, da Cicerone a Marco Bruto, ritenuto autore di lettere greche, di cui tra l'altro il G. si farà traduttore, ed esaltando alcuni contemporanei che si erano distinti per aver favorito tale connessione: Vittorino da Feltre, Giovanni Aurispa e Guarino Veronese. La decadenza delle lettere latine, come osservava con lucidità il G., aveva comportato anche la decadenza di quelle greche. Grande successo riscosse soprattutto il suo insegnamento di greco e suoi allievi furono Lianoro de' Lianori, Basinio da Parma, Giano Pannonio (Csezmicei János), Ludovico Carbone: quest'ultimo in particolare, quando il G. aveva deciso di lasciare Ferrara, invitò in una elegia il marchese Leonello a trattenerlo presso lo Studio ferrarese. Da Basinio e dal Carbone si apprende che il G. leggeva l'Iliade e l'Odissea, la Ciropedia di Senofonte, Aristofane, Eschine, Sofocle, Demostene e Platone. A proposito del De corona di Demostene e del Gorgia di Platone rimangono alcuni interessanti dictata ai corsi tenuti dal G. nel 1446, conservati nel ms. V.a.123 della Folger Shakespeare Library di Washington. Ancora dalla testimonianza del Carbone si apprende che il G. si era cimentato in alcuni componimenti poetici, di cui peraltro non rimane traccia alcuna, trattandosi probabilmente di un'esperienza poetica assai limitata nel tempo. Al periodo ferrarese va con verosimiglianza assegnata la composizione della Grammatica, sicuramente una delle migliori sistematizzazioni in lingua greca, che ebbe una notevole circolazione manoscritta. La Grammatica fu stampata a Venezia da Aldo Manuzio il 25 dic. 1495 (Indice generale degli incunaboli [IGI], 4181). Numerose edizioni cinquecentesche della Grammatica contengono anche un'altra opera grammaticale del G., il Liber de mensibus Atticis, scritta a Roma nel 1470.

La partecipazione alla vita della corte estense dovette essere particolarmente intensa; ciononostante il G. decise di lasciare Ferrara per recarsi a Roma, dove Niccolò V, con l'aiuto di Giovanni Tortelli, cercava di attirare gli uomini più dotti del tempo affidando loro traduzioni dal greco in latino, secondo un grandioso progetto culturale e politico. Il trasferimento a Roma avvenne nei primi mesi del 1450: a causa della peste che imperversava in città, il G. fece prima una sosta a Grottaferrata presso il monastero basiliano, da dove, il 23 nov. 1449 scriveva al Tortelli una lettera della quale si conserva l'autografo (Vat. lat. 3908). Il G., una volta a Roma, entrò a pieno titolo nella cerchia del cardinal Bessarione, anche se quest'ultimo, dopo qualche mese, si sarebbe allontanato da Roma per la sua legazione bolognese. Inoltre il G., in quanto Graecus latine dicens, era stato scelto dal papa per impegnativi lavori di traduzione.

Il primo fu il De historia plantarum di Teofrasto, o, meglio, il De natura et moribus plantarum come si legge nel ms. Chigi F.VIII.193 della Bibl. apost. Vaticana. Il G. terminò questa traduzione a metà del 1451, come si ricava dalla dedica a Niccolò V. Strettamente connessa a questa è la traduzione del De causis plantarum di Teofrasto. Il codice chigiano, che contiene entrambe le traduzioni, rimase in possesso del G., il quale, come si verificherà anche per altre traduzioni o testi, rivide in un secondo momento il testo; sui margini del De historia plantarum le correzioni del G. si intrecciano alle annotazioni in inchiostro rosso di mano di G.A. Bussi. Le due traduzioni furono stampate a Treviso nel 1483 per le cure editoriali di Giorgio Merula (IGI, 9508). Delle opere minori di Teofrasto il G. trascrisse di propria mano l'attuale ms. Ottob. gr. 153 (Bibl. apost. Vaticana), di cui non è possibile precisare la data di copia, ma che va forse assegnato al primo soggiorno romano del Gaza.

Al 1452 risale la traduzione dei Problemata attribuiti ad Aristotele, in quanto nella prefazione a Niccolò V, conservata nel codice di dedica, il Vat. lat. 2111, il G. faceva riferimento alla traduzione del De historia plantarum come risalente all'anno precedente. Il lavoro di traduzione dovette durare due anni: da una lettera di Poggio Bracciolini a Guarino da Verona (Guarino Guarini), infatti, risalente all'autunno del 1454, si apprende che già due anni prima il pontefice Niccolò V aveva promesso allo stesso Guarino di inviargli i Problemata non appena il G., che era giunto già ad uno stato avanzato dei lavori, avesse terminato di tradurli. Nella dedica dei Problemata il G. si schierava per una traduzione dal più deciso e forte impianto oratorio. La polemica era ovviamente rivolta contro Giorgio Trapezunzio che aveva già tradotto i Problemata proprio nel 1452, poco prima di trasfersi a Napoli a seguito dei fortissimi contrasti con l'ambiente romano. Del resto il figlio di Giorgio, Andrea Trapezunzio, in una lettera del 1° nov. 1454 diretta al G., lo rimproverava apertamente per aver tradotto i Problemata quando già esisteva la traduzione del padre. Lo stesso Giorgio Trapezunzio a metà del 1456 avrebbe scritto la Protectio Aristotelis Problematum adversus Theodorum Gazam; inoltre nella postfazione dei Problemata, non a caso dedicati a un vir clarus, non altrimenti noto, amico comune del Trapezunzio e del G., il Trapezunzio avrebbe accennato ai "delyramenta Theodori" (Collectanea Trapezuntiana, p. 133), pur essendo disposto in anni successivi a riconoscere la competenza del G. nel settore teologico. La traduzione vincente sarebbe stata però quella del G.: i Problemata furono infatti stampati a Mantova nel 1473 (IGI, 846), quando era ancora vivo il G., probabilmente senza il suo consenso, mentre nel 1475 a Roma (IGI, 847) venivano stampati a cura di Niccolò Gupalatino, il quale nella dedica a Sisto IV si dichiarava testimone di un ultimo processo di revisione cui lo stesso G. aveva sottoposto la sua traduzione. Nella revisione, nonostante le affermazioni in contrario, il G. tenne presenti le critiche del Trapezunzio. Ancora su ordine di Niccolò V il G. traduceva nel 1453 i Problemata di Alessandro d'Afrodisia, utilizzando probabilmente un codice greco appartenuto alla biblioteca di Niccolò V. Il codice di dedica della traduzione è il Vat. lat. 2111 che tramanda nell'ordine la traduzione dei Problemata di Aristotele e quella dei Problemata di Alessandro d'Afrodisia; altro codice contenente quest'ultima traduzione del G. è il Vat. lat. 2990, di mano di Aurelio Questenberg. La traduzione più impegnativa fu però quella del De historia animalium, del De partibus animalium e del De generatione animalium di Aristotele, testi che già il Trapezunzio aveva tradotto per Niccolò V tra il 1449 e il 1450. Con molta probabilità per questa traduzione, che doveva essere terminata nel 1454, il G. utilizzò due manoscritti [Bibl. apost. Vaticana, Vat. gr. 262; Venezia, Bibl. nazionale Marciana, Marc. gr. 308 (= 636)]. Anche su questa traduzione il G. ritornò a lavorare in un secondo momento, durante il pontificato di Sisto IV: di questa ripresa sono testimoni il manoscritto Vat. lat. 2094 - nel quale il G. con orgoglio ribadiva di essere stato il primo ad aver tradotto un testo così difficile - e il codice 649 della Biblioteca della Badia di Montecassino che contiene annotazioni del G. al De animalibus con una dedica al Bussi. Nel 1476 a Venezia il De animalibus nella versione del G. sarebbe stato pubblicato dal futuro medico di Innocenzo VIII, Luigi Podocataro, il quale nel colophon dichiarava di aver utilizzato un codice che proveniva direttamente dal traduttore (IGI, 803).

Al tempo di Niccolò V deve anche essere collocata la traduzione in greco del De senectute di Cicerone, sulla quale il G. ritornò successivamente; essa fu annotata dal Decembrio (Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Conv. soppr. 164) e da Michele Marullo (Monaco, Bayerische Staatsbibl., Graec. 289). Per altre traduzioni dal latino in greco, spesso attribuite al G., non si hanno elementi precisi a favore: la traduzione in greco del Somnium Scipionis va ad esempio assegnata a Massimo Planude.

In qualità di traduttore il G. fu inoltre coinvolto in progetti di politica ecclesiale: nell'ottobre 1451 tradusse la lettera di Niccolò V indirizzata all'imperatore Costantino XI Paleologo, nella quale il pontefice chiedeva che fosse proclamato il decreto di unione, nonché che fosse richiamato al suo posto il patriarca Gregorio (Patr. Gr., CLX, coll. 1201-1212).

Gli anni romani segnano l'intensificarsi di amicizie: il Filelfo nel 1454 gli chiedeva un codice dei Laconica di Plutarco, mentre più tardi, nel 1460, gli avrebbe chiesto in prestito la traduzione dei Problemata aristotelici per trarne una copia. Leon Battista Alberti traduceva in latino i suoi Elementi di pittura su istanza del G., al quale dedicava la traduzione in segno di amicizia.

Dopo la morte di Niccolò V (24 marzo 1455) il G. si trasferì a Napoli, con i buoni auspici del Panormita (Antonio Beccadelli) e probabilmente dello stesso Bessarione, giungendo nella corte di Alfonso I d'Aragona dove da Roma in precedenza si erano rifugiati il Trapenzunzio e Giannozzo Manetti. A Napoli il G. venne accolto con grandi onori: il Filelfo, in una lettera del 24 sett. 1456 ad Alfonso, si congratulava per l'arrivo del G., e il sovrano, con un decreto del 23 sett. 1457, gli concesse una pensione annua di 500 ducati. Ancora il Filelfo, in una lettera del 12 febbr. 1456, ringraziava il G. per l'interessamento dimostrato nei confronti del Bussi con il suo intervento a proposito dell'annosa questione dell'abbazia di S. Giustina di Sezzadio. A Napoli il G. strinse legami con il Pontano, il quale gli dedicò un carme del Parthenopeus e una elegia negli Amorum libri.

Il G. continuò la sua attività di traduttore anche a Napoli; il primo testo tradotto, in linea con gli interessi del sovrano, fu il De instruendis aciebus di Eliano. Nella dedica al Panormita (edita in De Marinis, pp. 3-5), il G. precisava che per i versi omerici presenti all'interno dell'opera di Eliano era stata utilizzata la traduzione di Francesco Griffolini. L'editio princeps della traduzione fu stampata a Roma da E. Silber nel 1487 senza la dedica (GW, 310). Seguì la traduzione delle Omelie di Crisostomo, con dedica al sovrano, all'interno della quale veniva affrontato il delicato tema dei rapporti tra potere pontificio e potere regio. Infine il G. dedicava a un certo "Gaspar" (da identificarsi con Gaspar Peyro, custode della biblioteca aragonese) la traduzione delle Epistolae dello pseudo Bruto. Al G., in qualità di abile traduttore, si rivolgeva Bartolomeo Facio per la sua traduzione del De rebus Alexandri Magni di Arriano (Cranz, 1976, p. 7).

Anche a Napoli non cessò la polemica del G. con il Trapezunzio: in collegamento con il Bessarione è infatti un opuscolo del G. andato perduto, da collocarsi entro il 1458, la cui esistenza si ricava dal De natura et arte scritto dal Bessarione contro il Trapezunzio. L'argomento di questo opuscolo del G. doveva essere assai vicino al Quod natura consulto agat, un libello del Bessarione che nella tradizione manoscritta risulta attribuito allo stesso G. (Mohler, 1942, p. 88).

Nonostante la lontananza da Roma e dal Bessarione, il G. partecipò al dibattito sul platonismo sorto a Roma dopo la diffusione nel 1458 della Comparatio Aristoteliset Platonis del Trapezunzio. La controversia Platone-Aristotele era sorta dalla discussione del pensiero di Giorgio Gemisto Pletone: proprio contro Pletone, a pochi anni dalla morte di quest'ultimo (1452), il G. scrisse numerosi opuscoli filosofici, dei quali non è facile stabilire l'esatta successione. Su richiesta del monaco Esaia il G. compose l'Adversus Plethonem pro Aristotele de substantia, nel quale sosteneva la superiorità dell'individuo sull'universale. In stretta relazione con la diffusione della Comparatio trapezunziana, il G. inviava nel 1459 una lunga lettera al Bessarione (edita parzialmente in Labowsky, 1968, conservata nel Marc. gr. IV.52 [= 1366] della Bibl. Marciana di Venezia) nella quale spiegava come si sarebbero potuti confutare gli argomenti dello stesso Trapezunzio; tra l'altro aggiungeva che quest'ultimo aveva cercato di persuadere Ferdinando d'Aragona a inviarlo da Maometto II. Per influenza del Bessarione il G. scrisse intorno al 1460 il De fato, ovvero il De voluntario et involuntario, nel quale confutava il rigido determinismo di Pletone. La posizione polemica del G. contro il Pletone fu rapidamente avvertita, tanto che nel 1462 Michele Apostoli scrisse l'Ad Theodori Gazae pro Aristotele de substantia adversus Plethonem obiectiones (Mohler, 1942, p. 159); in difesa del G. rapidamente risposero sia Andronico Callisto, cugino dello stesso G., con la Defensio Theodori Gazae adversus Michaelem Apostolium (ibid., p. 170), scritta su invito del Bessarione, sia Demetrio Calcondila con un opuscolo andato perduto.

Dopo la morte di Alfonso I d'Aragona (1458) il G. si ritirò nella diocesi di Policastro; non si conosce però la data esatta dello spostamento. Una breve missiva di Pier Candido Decembrio al G. datata Napoli 5 ott. 1459 (Genova, Bibl. univ., C.VII.46, c. 41r) sarebbe da considerare come un veloce scambio all'interno delle mura partenopee; si potrebbe comunque ipotizzare che il G. si sia allontanato da Napoli alla fine del 1459. Secondo il Sabbadini il G. sarebbe rimasto a Napoli fino al 1463 (rec. ad A. Ferriguto in Giorn. stor. della letter. ital., LXXXII [1923], p. 186), dove avrebbe potuto ascoltarlo il giovane Ermolao Barbaro. In Calabria dovette rimanere fino al 1467: infatti in una lettera al G. del 22 sett. 1467 Filelfo dichiarava di aver appreso dal Bussi che il G., su intervento di Bessarione e di Paolo II, era tornato a Roma, "domicilium doctrinae et sapientiae". Del periodo trascorso in Calabria restano pochi documenti. Per qualche tempo il G. visse a Gerace, in compagnia del vescovo Atanasio Calceopulo, come si deduce dalla lettera di Costantino Lascaris assegnata al 1462 (Chalceopulos, p. 199). Con molta probabilità, durante il pontificato di Pio II il G. fece un viaggio a Roma, come si ricava da una lettera al Panormita datata Roma 13 giugno e assegnabile al 1463. Nel novembre 1463 il G. fissò la sua dimora nel monastero di San Giovanni a Piro (badia di S. Giovanni Battista), in quanto il Bessarione, che ne era commendatario dal 1462, lo aveva nominato suo procuratore. Così come Niccolò Perotti, che era procuratore per la commenda del Bessarione a Grottaferrata, anche il G. si impegnò a riordinare il monastero basiliano, completandone gli statuti in data 7 ott. 1466. Forse il G. effettuò anche qualche viaggio a Napoli, come si deduce da un'altra lettera spedita da Policastro al Panormita il 22 novembre probabilmente del 1463.

Nel 1462 iniziava la corrispondenza con un giovane di lingua greca e residente a Taranto, quell'Alessio Celadeni che negli anni successivi sarebbe entrato a far parte del gruppo bessarioneo. Il G. continuò anche a corrispondere con il Filelfo e il Panormita: il Filelfo però si lamentava dei "silenzi pitagorici" del G. e soprattutto commentava in modo negativo la lontananza del G. da Roma. A interrompere la solitudine della "vita rustica", come si esprimeva lo stesso G. nella citata lettera al Panormita, soccorrevano i libri che il Panormita continuava a spedirgli. Come emerge dalle considerazioni espresse nella stessa lettera, il G. rifletteva soprattutto sul rapporto filosofo-principe prendendo come esempi di vita di corte Francesco Griffolini, traduttore delle Lettere di Diogene e di Falaride, e lo stesso Filelfo. Ma questi anni a Policastro, una volta abbandonata l'attività versoria che sembrava aver predominato durante gli anni al servizio di Niccolò V e poi di Alfonso I d'Aragona, sono dedicati alla composizione di opere più strettamente filosofiche, anche se tutte composte su richiesta o per interventi polemici.

Man mano che il Bessarione procedeva nell'ampliamento della sua Defensio Platonis, il G. collaborava da vicino: il Bessarione infatti aveva inviato una lettera al G. (se ne conserva l'autografo nel ms. Z.III.1 della Real Biblioteca di El Escorial), assegnata al 1464-65, nella quale chiedeva consigli per rispondere al Trapezunzio su due problemi, cioè sulla questione "se la natura delibera" e sulla tesi dell'immortalità dell'anima esposta nel Fedro platonico. A essa il G. rispondeva con una serie di Problemata, anch'essi conservati autografi nel citato codice dell'Escorial (editi in Monfasani, 1992, pp. 244-250). Questi Problemata del G. furono effettivamente spediti al Bessarione: ciò lascerebbe presupporre che il G. e quest'ultimo non si trovassero nella stessa città, mentre è noto che a partire dai primi anni del pontificato di Paolo II il G., come scrive anche Paolo Cortesi nel De cardinalatu, viveva in casa del cardinale.

Al 1465 risale la testimonianza di Giorgio Trapezunzio, il quale nella lettera ad Alfonso di Palencia del 21 genn. 1465 affermava che il G. aveva composto una "oratio adversus Moysi libros" e per tal motivo lo accusava di empietà (Monfasani, 1987, p. 209). Un riavvicinamento, comunque, dovette in parte essere tentato dal Trapezunzio il quale avrebbe mandato i suoi saluti al G. attraverso Andronico Callisto, come si apprende da una lettera dello stesso G. al cardinale Marco Barbo (Epistolae, p. 62), lettera non datata, ma circoscrivibile tra il 18 sett. 1467 e il 18 marzo 1471.

Il ritorno del G. a Roma si deve collocare non prima del 28 luglio 1465, con tutta probabilità nel 1467, in base alla già citata lettera al G. del 22 sett. 1467, nella quale il Filelfo raccontava di aver saputo dal Bussi che il G. era tornato a Roma, sicuramente per intervento del Bessarione e di Paolo II, e dalla quale si deve dedurre che questo trasferimento doveva essere avvenuto di recente. Con una lettera, inoltre, del 15 ott. 1467 il Filelfo esortava Leonardo Grifo a frequentare il G., che già aveva acquisito grande fama. La residenza del G. a Roma era presso il palazzo dei Ss. Apostoli dove abitava il Bessarione, e come il Bessarione anche il G. si recava spesso a Viterbo, da dove scriveva all'amico Alessio Celadeni, raccomandandolo al Pontano e ad Antonello Petrucci. Ben presto il G. acquistò un ruolo di primo piano all'interno della cerchia del cardinale: nell'elenco dei membri dell'accademia bessarionea N. Perotti lo poneva al primo posto (Mercati, 1925); Andrea Contrario lo definiva "Bessarionis academiae facile princeps", mentre nel De hominibus doctis Paolo Cortesi lo indicava come "totius Italiae princeps"; anche il Platina, intorno al 1470, collocava il G. subito dopo il Perotti all'interno del suo PanegyricusBessarionis; qualche anno dopo, lo stesso Platina lo avrebbe inserito come interlocutore nel dialogo De falso ac vero bono nella redazione dedicata a Sisto IV (Medioli Masotti). Nel 1473 Giovanni Aurelio Augurelli era presente a Roma a una disputa sul fato presieduta dal G.; questi, tra l'altro, nel 1472 aveva invitato a Roma Demetrio Calcondila per un insegnamento privato, mentre si interessava ad Aurelio Carafa, desideroso di apprendere il greco. A questo periodo, nel quale il G. organizzava e presiedeva dispute, va assegnata probabilmente la composizione delle Solutiones, un'opera articolata in problemi e relative soluzioni.

Facendo parte del gruppo bessarioneo il G. continuava a partecipare alle dispute relative al platonismo: il Filelfo con una lettera del 21 genn. 1469 gli chiedeva la trascrizione di un brano del primo libro del De placitis philosophorum di Plutarco dove era esposta la definizione di "idea". Una volta iniziata la circolazione dell'In calumniatorem Platonis del Bessarione il G. rispondeva al Panormita confidandogli non solo le sue precarie condizioni finanziarie, ma anche come fosse coinvolto nelle dispute sul platonismo. Proprio sulla questione delle "idee" il G. scendeva in campo a fianco del Bessarione scrivendo l'Antirrhetoricon diretto contro Giovanni Argiropulo che - sia durante le lezioni, sia in un trattato andato perduto - aveva criticato la teoria delle idee esposta dal Bessarione il quale aveva spedito il trattatello del G. all'Argiropulo con una lettera di accompagnamento.

A Roma il G. partecipò attivamente all'allestimento di non poche edizioni a stampa, occupandosi soprattutto di questioni filologiche: in primo luogo emerge la stretta collaborazione con il Bussi il quale nella prefazione dell'Apuleio (stampato da C. Sweynheym e A. Pannartz il 28 febbr. 1469; IGI, 769) annunciava che il G. stava collaborando per l'edizione della Naturalis historia di Plinio. Lo stesso Bussi, nella prefazione alle Noctes Acticae di Gellio (stampate il 2 apr. 1469; IGI, 4186), dichiarava che si era servito della erudizione e della benevolenza del G., del quale lodava le capacità versorie dimostrate a proposito della traduzione dei Problemata pseudoaristotelici e del De animalibus. Ancora per l'edizione della Geographia di Strabone (stampata da Sweynheym e Pannartz nel 1469 c.; IGI, 9170) il Bussi dichiarava di essersi servito della collaborazione del G. nonché di Andronico Callisto e di Lampugnino Birago, il primo cugino del G. e il secondo suo intimo amico. Gli elogi del Bussi al G. erano ripresi anche nella prefazione della seconda edizione delle Epistolae di s. Girolamo stampate nel 1470 (IGI, 4736). Inoltre quando il Bussi collazionò l'attuale ms. 1097 della Biblioteca Angelica di Roma, contenente l'Historia naturalis di Plinio, per fornire nell'edizione a stampa un testo il più filologicamente corretto, dichiarò nel colophon di aver eseguito l'operazione con l'aiuto del G.; di tale aiuto il Bussi faceva menzione nella dedica dell'edizione a stampa che va collocata prima del 30 ag. 1470 (IGI, 7879). Che il G. fosse esperto di Plinio è confermato non solo dall'ampia utilizzazione della terminologia pliniana all'interno delle traduzioni aristoteliche sugli animali, ma anche dalla traduzione in greco di un brano dell'Historia naturalis (II, 4, 12-13), conservata nel manoscritto Vat. gr. 2185. Legata a interessi pliniani, nonché plutarchiani, è la Laudatio canis (Patr. Gr., CLXI, coll. 985-998), breve opuscolo erudito che raccoglie tra l'altro esempi di cani famosi dell'antichità. L'edizione pliniana del Bussi fu oggetto di severe critiche, in particolare da parte del Perotti, che in una lettera a Francesco Guarnieri rimproverava il Bussi di non aver seguito i suggerimenti del G., e di Giorgio Merula nella redazione manoscritta delle Emendationes in Plinium. Dopo l'edizione pliniana non sono testimoniate altre imprese editoriali insieme con il Bussi: forse il G., in seguito alle polemiche, non voleva esporsi in modo diretto. I rapporti con il Bussi però continuarono: questi è il destinatario non solo della revisione e degli appunti traditi nel già citato ms. 649 di Montecassino, ma anche del breve opuscolo di Plutarco che il G. tradusse tra l'agosto del 1471 e l'agosto 1472, cioè nel primo anno di pontificato di Sisto IV, dal titolo Maxime cum principibus philosopho esse disserendum e che dedicò al Bussi con il probabile intento di essere raccomandato al nuovo papa (Bevegni, 1993).

La collaborazione con il mondo tipografico però non venne meno: nel 1473, dedicando al cardinale Oliviero Carafa l'edizione delle Vitae et sententiae philophorum di Diogene Laerzio (IGI, 3458), Francesco Elio Marchese esaltava la competenza del G. e la sua disponibilità verso tutti gli studiosi, nonostante l'età ormai avanzata. Il G. compose inoltre un'epistola prefatoria alla traduzione dell'Iliade compiuta da Niccolò Della Valle e stampata postuma a Roma da G.F. De Lignamine il 1° febbr. 1474 (IGI, 4802).

Con la consacrazione di Francesco Della Rovere, papa con il nome di Sisto IV (25 ag. 1471), il G. nutrì grandi speranze di una più degna e autonoma sistemazione in Curia: l'allestimento del sontuoso e già citato Vat. lat. 2094 rientrava in questo disegno generale. Ma già nel 1472 egli esprimeva la sua delusione in una lettera al cugino Andronico Callisto che si trovava a Firenze; l'Argiropulo, in una lettera del 28 maggio 1472 diretta a Giovanni Lorenzi, accennava alle misere condizioni economiche in cui il G. si trovava a Roma, nonostante le promesse del papa e il sostegno finanziario del Bessarione (Cammelli, 1954, p. 48). Lo scarso interesse dimostratogli dal pontefice andava di pari passo con l'allontanamento dalla Curia del Bessarione che nel 1472 era stato inviato in una difficile missione in Francia: proprio al periodo del viaggio in Francia risalgono tre lettere del G. al Bessarione nelle quali emerge sia il ruolo di informatore delle vicende che si svolgevano a Roma, sia la preoccupazione e il grande affetto che lo legavano al cardinale. Con la morte del Bessarione (1472) la situazione del G. dovette divenire ancora più precaria: invano l'antico allievo ferrarese Ludovico Carbone nel dialogo indirizzato a Sisto IV dal titolo De creandis quibusdam cardinalibus tesseva le lodi del G. avanzando la proposta di conferirgli il cappello cardinalizio (Vat. lat. 5423, c. 15v).

Sotto il pontificato di Sisto IV il G. rivolse particolare attenzione alla revisione delle proprie traduzioni (l'Historia plantarum di Teofrasto, l'Historia animalium, i Problemata pseudoaristotelici). A questi anni risale la composizione del già citato De mensibus Atticis, come pure la traduzione degli Aphorismata di Ippocrate, stampati a Venezia nel 1495 (Hain, 8674). Il G. intervenne nella revisione delle Antiquitates di Dionigi d'Alicarnasso che Lampugnino Birago riproponeva a Sisto IV; chiese nel 1473 a Demetrio Sguropulo la trascrizione di Pausania; elargì consigli al matematico e umanista Regiomontano (Johann Müller), il quale nel suo programma (steso nel 1474 dopo il viaggio in Italia del 1472) dichiarava di aver consultato il G. per la sua edizione della Geographia di Tolomeo; esortò Cristoforo Persona a tradurre Origene con una lettera databile al 1472-74 ed edita sotto il nome di Theodorus Gazinus Constantinopolitanus in testa alla stampa romana del 1481 (IGI, 7032) del Contra Celsum di Origene nella versione dello stesso Persona: in tale lettera il G. ricordava come Origene fosse uno dei Padri della Chiesa apprezzati da Niccolò V e come quest'ultimo, su consiglio dello stesso G., ne avesse fatto acquistare un codice a Costantinopoli, che va identificato con l'attuale Vat. gr. 387. Il G., inoltre, insieme con Pietro Balbi, esortò il Filelfo a tradurre un estratto dalla Suida che fu dedicato al cardinale Oliviero Carafa. Proprio su istanza del Filelfo il G. compose una lunga lettera-trattato sul De origine Turcarum, che va con tutta probabilità collocata al 1474, agli anni cioè in cui lo stesso Filelfo affrontava il problema dell'origine dei Teucri/Turci; il Filelfo, inoltre, con una lettera al G. del 15 luglio 1474, discuteva, a proposito di un brano del De officiis di Cicerone (I, 8), sulla corrispondenza tra il latino rectum officium e il greco katórthoma.

Il 21 dic. 1473 il G. ricevette in commenda il monastero di S. Giovanni di Abatemarco che però, per un errore della Cancelleria apostolica, fu anche assegnato a G. Toscano, provocando notevoli inconvenienti. Con l'aggravarsi della situazione economica maturò nel G., intorno al 1474, la decisione di tornare a San Giovanni a Piro. Degli ultimi anni trascorsi nella diocesi di Policastro non si hanno notizie. Incerta è anche la data di morte del Gaza. Rimane comunque un documento (edito in Dorez) stilato a Policastro il 26 giugno 1477 dai notai "Cubellus de Assaldo" di Policastro e "Thomasius de Thomasiis" di Maratea riguardante l'attuazione delle volontà testamentarie del Gaza. Con esso l'abate di San Giovanni a Piro, Francesco "de Nigro", esecutore testamentario, consegnava a Russo "de Russis", sostituto di Agostino Biliotti, a sua volta procuratore di Demetrio Calcondila, tutti i libri del G. secondo un inventario (perduto) che era stato redatto dal notaio "Cubellus de Assaldo": l'intera biblioteca era stata destinata al Calcondila, con l'eccezione della Geographia di Strabone lasciata ad Andronico Callisto. Lo stesso atto fa a sua volta riferimento ad altri due precedenti documenti, uno del 24 maggio 1477 nel quale il Calcondila dava la procura ad Agostino Biliotti e l'altro del 21 giugno 1477 nel quale Russo "de Russis" veniva nominato sostituto del Biliotti. Tenendo conto di queste date, e pur volendo considerare tempi particolarmente lunghi, è però probabile che il G. sia morto nel 1476, come ricorda tra l'altro Mattia Palmieri, curiale di antica data, che nel suo Opus de temporibus suis segnala tra gli avvenimenti del 1476 la morte del G. avvenuta in Calabria.

La data di morte comunemente accettata è invece quella del 1475, sulla base di un epigramma greco in morte del G. scritto dal Poliziano "21 aetatis anno"; forse il Poliziano non ricordava con precisione il momento della sua composizione oppure, secondo un chiaro influsso volgare, intendeva a 21 anni compiuti. Oltre al Poliziano, che dedicò al G. altri due epigrammi greci e quattro elegie latine, e all'epitaffio di Michele Marullo, altri contemporanei scrissero in morte del G., come testimonia tra l'altro il ms. Magl. VII.1195 della Biblioteca nazionale di Firenze, dove Alessio Lappacini trascrisse i componimenti del Poliziano, di Manilio Rallo e di Bernardo Michelozzi.

Nota è la scrittura del G.: ai codici già citati va aggiunto il ms. Auct. T.a.16 della Bodleian Library di Oxford (Labowsky, 1968, p. 174), contenente Basilio Magno, nonché il ms. 258 della Biblioteca arcivescovile di Udine. Della biblioteca del G. sono rimaste poche tracce: a lui, ad esempio, appartennero: il Vindobonensisphil. Gr. 64 della Österr. Nationalbibliothek di Vienna - probabilmente già del Bessarione - e i manoscritti della Laurenziana di Firenze 5.12, 55.14 e S. Marco 314, contenente la Sintassi di Michele Sincello e altri trattati grammaticali bizantini, con nota di possesso del G. (codice che il Poliziano prese in prestito dal convento di S. Marco).

Opere: Diverse opere del G. sono state pubblicate in L. Mohler, Kardinal Bessarion als Theologe, Humanist und Staatsmann, III, Aus Bessarions Gelehrtenkreis, Paderborn 1942: Adversus Pletonem de substantia (pp. 151-158); Antirrhetoricon (pp. 204-235); De fato (pp. 236-246); Solutiones (pp. 247-250); le Orationes recitate presso l'Università di Ferrara (pp. 253-268), la traduzione delle Omelie di Crisostomo (pp. 270-273). Il De fato è stato anche pubblicato da J.W. Taylor (Toronto 1925). Per le lettere, alcune delle quali pubblicate in Mohler (cit., pp. 572-592), si vedano le due edizioni moderne: Lettere, a cura di E. Pinto, Napoli 1975; Epistolae, a cura di P.L.M. Leone, Napoli 1990. Per la traduzione in greco di Cicerone: T. Gaza, M. Tullii Ciceronis liber de senectute in grecum translatum, a cura di G. Salanitro, Leipzig 1987.

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