MERTEL, Teodolfo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MERTEL, Teodolfo.

Carlo Fantappiè

– Nacque da Isidoro e da Maria Francesca Lunadei nella località di Allumiere, allora parte della Comunità di Tolfa, presso Civitavecchia, il 9 febbr. 1806.

Il padre, nato nella diocesi di Augusta, in Baviera, «umile panettiere bavarese capitato nelle campagne laziali in cerca di lavoro», era passato alle dipendenze della Reverenda Camera apostolica, che lo nominò dispensiere capo (Klitsche de la Grange Annesi, p. 266); la madre proveniva – come attesta lo stesso M. in alcuni appunti autografi – «da una delle antiche e rispettabili famiglie del paese […] composta di piccoli possidenti ed industrianti» (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Spogli di cardinali, Mertel, b. 54, f. 5).

Dopo aver frequentato la scuola parrocchiale, nel 1817 il M. fu inviato dalla famiglia a studiare nel seminario vescovile di Montefiascone e Corneto, dove si distinse nelle discipline di diritto civile e di filosofia. Di qui, nell’anno scolastico 1824-25, si trasferì a Roma per iscriversi ai corsi in utroque iure dell’Università «La Sapienza», dove si laureò il 16 luglio 1828 con la qualifica ad honorem.

Iscritto nell’albo degli avvocati della Curia romana il 17 giugno del 1831, compì i suoi primi passi nel campo legale presso lo studio di mons. R. Manari, referendario di Segnatura e luogotenente dell’Alto Consiglio. Il 1° marzo 1833 fu chiamato a esercitare la funzione di giudice supplente presso il tribunale dell’uditore della Camera (ibid., 1833, Rubr. 83, n. 33548). Esercitò anche il gratuito patrocinio nelle cause di poveri presso la Congregazione di S. Ivo. Dopo la morte di mons. Manari, il M. fu scelto come aiutante di studio da mons. Angelo Quaglia, nel frattempo divenuto uditore di Rota. Questi gli propose di entrare in prelatura e l’8 ag. 1843 il M. ricevette la prima tonsura come condizione per accedere all’ufficio. Il giorno 21 fu nominato prelato votante nel tribunale della Segnatura di giustizia. Il coronamento della sua carriera legale avvenne il 3 ott. 1847, allorché Pio IX lo nominò uditore di Rota pro provincia Romandiola al posto rimasto vacante per l’elevazione al cardinalato di G. Bofondi (Moroni, LVI, p. 238).

Le speranze suscitate dai primi atti di PioIX avevano convogliato su Roma l’attenzione dell’intera penisola italiana e di buona parte dell’Europa. Nel tumultuoso triennio 1848-50 il M. fu chiamato a fornire il suo parere su delicati problemi giuridici e a ricoprire importanti cariche dello Stato pontificio.

I grandi e repentini mutamenti degli assetti politici contribuirono a trasformare la sua mentalità e ad allargare i suoi interessi verso la sfera della cosa pubblica. Nel suo archivio si trovano appunti tratti dai volumi di Fr. Guizot sulla democrazia in Francia, di Alfred Sudre e di Arthur Grüf sulla confutazione del socialismo e del comunismo.

Dal 1844 al 1847 fu luogotenente e vicepresidente della congregazione civile dell’Alto Consiglio o Camera alta. Tra il febbraio e il marzo del 1848 venne chiamato a far parte della commissione incaricata di preparare lo Statuto fondamentale del governo temporale degli Stati di S. Chiesa.

Le tesi degli storici divergono circa l’apporto dato dal M. a questa carta costituzionale (A. Ara, C. Lodolini Tupputi, C. Ghisalberti, G. Martina, L. Pásztor; da ultimo F. Jankowiak, La Curie romaine…, p. 115 n. 134). Sulla scorta di appunti autobiografici è stato anche sostenuto che, per incarico del cardinale segretario di Stato G. Antonelli, «in una sola notte riuscì a mettere insieme l’elaborato documento» di 69 articoli, firmato da Pio IX senza alcuna modifica (Klitsche de la Grange Annesi, p. 268). L’ipotesi più probabile è che, quale segretario della commissione, il suo compito sia consistito nel raccogliere, sintetizzare, ordinare e uniformare le proposte emerse nei lavori della commissione.

Sempre stando ad alcuni ricordi autobiografici, il M. collaborò con Pellegrino Rossi al progetto di «un leale concorso del Governo Pontificio all’opera del Risorgimento italiano», ma tale proposito fallì con l’assassinio di quest’ultimo il 15 novembre (ibid., p. 270).

Dopo la fuga di Pio IX (24 nov. 1848), il M. fu uno degli inviati a Gaeta per pregare il papa di ritornare a Roma affinché mantenesse le franchigie costituzionali. Ma la missione fallì prima ancora di varcare il confine napoletano, perché il cardinale Antonelli comunicò che il papa non avrebbe ricevuto la delegazione, avendo già chiarito le ragioni che lo avevano indotto ad allontanarsi temporaneamente da Roma nel motu proprio del 27 novembre.

Dopo che i deputati avevano giudicato privo di valore il motu proprio papale, con lettera all’Antonelli del 10 dicembre il M. rinunciò all’incarico del governo democratico.

Secondo il M. il fatto che il papa avesse lasciato Roma non poteva costituire una vera vacanza del trono pontificio. Non dava luogo alla reggenza, perché «lo Statuto non ha alcuna disposizione che vieti al governo di uscire dallo Stato». Né le speciali prerogative di cui godeva obbligavano il papa, in caso di assenza da Roma, a rendere conto del suo operato ai Consigli e al ministero. Tanto meno quindi questa decisione papale poteva aprire la strada a una Assemblea costituente. In via di principio, infine, «lo Statuto toglie ai Consigli la facoltà di deliberare sulla alterazione o modifica dello stesso Statuto» (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Spogli di cardinali, Mertel, b. 42).

Nel frattempo, il 7 nov. 1848 Pio IX gli aveva conferito l’incarico di membro della provvisoria Commissione di Stato, composta dal cardinale C. Castracane, da mons. R. Roberti e dal luogotenente generale C. Zucchi. Anche se questa commissione non svolse alcuna attività, il 17 genn. 1849 il M. si dimise formalmente da essa (Pásztor, p. 445 n. 20).

Chiusa la breve parentesi della Repubblica Romana dall’intervento delle truppe francesi, Pio IX affidò nel luglio 1849 il compito di normalizzare la vita cittadina all’attività legislativa e amministrativa della Commissione governativa di Stato. Il M. era uno dei quattro prelati «consiglieri e coadiutori» che, insieme con un certo numero di ministri, dovevano coadiuvare i cardinali L. Altieri, L. Vannicelli Casoni e G. della Genga Sermattei (nomina del 2 ag. 1849). Dopo il ritorno del papa a Roma nell’aprile del 1850, il M. venne cooptato in diverse cariche nel quadro della riorganizzazione centrale dello Stato pontificio in senso conservatore. Il 27 giugno 1850 fu nominato ministro senza portafoglio; il 10 marzo 1853 gli fu affidato il ministero dell’Interno, cui erano legati i ministeri di Giustizia e Grazia, carica nella quale restò fino al 1858.

La fedeltà e i servizi resi al Papato indussero Pio IX a elevare il M. alla dignità cardinalizia nel concistoro del 15 marzo 1858. Fu creato prima cardinale suddiacono e il 16 maggio cardinale diacono di S. Eustachio.

Nella storia della Chiesa il M. fu l’ultimo cardinale a essere privo dell’ordinazione sacerdotale. Continuò a far parte del Consiglio dei ministri fino al 1871. Dal 26 sett. 1860 ricoprì anche la carica di prefetto dell’economia della congregazione di Propaganda Fide, nonché quella di presidente della Camera degli spogli. Il 29 ag. 1863 fu nominato presidente del Consiglio di Stato fino al 1871.

Nel frattempo il M. mise in mostra le notevoli qualità di giurista in diversi incarichi di tecnica legislativa. Nel 1858 propose al papa la riforma del Regolamento legislativo e giudiziario di Gregorio XVI risalente al 1834 (cfr. Relazione sull’udienza di s. santità…, s.d. [ma luglio 1858], e quella del 6 dic. 1859, in Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Spogli di cardinali, Mertel, b. 44C, f. 5). Il 18 ag. 1859 affrontò il tema della codificazione civile, evidenziando da un lato le difficoltà teoriche cui sarebbe andato incontro il progetto codicistico a motivo della fusione del potere temporale e del potere spirituale nella persona del papa, dall’altro la sua inopportunità pratica, dovuta al fatto che lo Stato pontificio disponeva di una legislazione uniforme apprezzata da tutte le nazioni civili, la quale poteva risolvere i problemi di adattamento legislativo con il ricorso alla costante interpretazione giudiziale e alle dichiarazioni autentiche o, se necessario, all’emanazione di leggi suppletorie e correttorie. Dietro suggerimento del M., Pio IX creò una congregazione speciale di cardinali che doveva riesaminare una parte delle disposizioni legislative del progetto di codice civile compilato per ordine di Pio VII (il materiale di studio del M., ibid., bb. 44C, 44D, 45C). I lavori di questa Commissione proseguirono regolarmente fino al 22 nov. 1859, furono ripresi dopo gli sconvolgimenti politici dello Stato pontificio del 1859-60 e cessarono nell’autunno del 1863.

Accanto all’attività svolta nei diversi settori del governo temporale dello Stato pontificio, il M. prese parte attiva anche ai lavori di molte congregazioni della Curia romana. Fu membro delle congregazioni dei Vescovi e regolari, del Concilio, del Censo e della Fabbrica di S. Pietro (18 marzo 1858), della Propaganda Fide (26 sett. 1860), della Visita apostolica (14 apr. 1861), della Propaganda Fide per gli affari di rito orientale (21 maggio 1870), della Disciplina regolare (1872), dell’Inquisizione (28 febbr. 1874), degli Affari ecclesiastici straordinari (10 nov. 1877), del Cerimoniale (7 marzo 1881).

Particolare interesse suscitano le posizioni espresse dal M. nel concilio Vaticano I non solo sul terreno dogmatico circa la «inopportunità della definizione» di infallibilità del papa, secondo quanto riferisce da altra fonte mons. V. Tizzani (cfr. Il concilio Vaticano I. Diario…, II, p. 513), ma anche sul terreno della normativa e delle fonti del diritto canonico. Fu tra i pochi cardinali a intervenire nella discussione degli schemi conciliari con cinque memoriali od osservazioni scritte che mostrano la sua attenzione ai problemi dell’adeguamento della disciplina del clero. In particolare egli appuntò le sue critiche alla riproposizione dello schema relativo al divieto del clero di prendere parte agli affari finanziari secondo le vecchie formule risalenti a Clemente XIII e a Benedetto XIV. Queste ultime, infatti, oltre a rivelarsi contraddittorie e perfino dannose agli attuali interessi della Chiesa, non tenevano conto delle trasformazioni intervenute in campo finanziario (per esempio con la creazione delle società anonime per azioni di carattere pubblico). Se, dunque, da un lato era inutile e praticamente impossibile rinviare ai testi canonistici del passato, anche perché essi erano difficilmente reperibili e talora contraddittori, dall’altro occorreva procedere a una riformulazione della norma in modo ordinato, chiaro e stringato. Per risolvere il problema della sistemazione delle fonti canoniche, il M. riteneva necessario predisporre particolari collezioni giuridiche che proseguissero e aggiornassero il Corpus iuris canonici, come il Liber septimus e una raccolta di decreti di concili successivi a quelli di Vienne. Al tempo stesso criticava come del tutto inusitata per la Chiesa la soluzione di neocanonisti che sognavano una codificazione del diritto canonico sul modello degli Stati. Se rifiutava l’idea di un adeguamento del diritto della Chiesa al metodo codificatorio, il M. lamentava nondimeno la necessità che i suoi contenuti venissero adeguati alla realtà storica. Considerava infatti anacronistici i divieti per il clero di ricoprire incarichi pubblici nei Municipi o in Parlamento e la proibizione di partecipare alla redazione, edizione e divulgazione dei giornali (parere del M., ed. in Pásztor, pp. 458-466).

Dopo il 1870 il M. fu chiamato a nuovi e rilevanti uffici: prefetto del tribunale della Segnatura di giustizia (2 giugno 1877), segretario dei Memoriali (15 luglio 1878) e dei Brevi (29 giugno 1879), infine vicecancelliere di Santa Romana Chiesa (24 marzo 1884).

Tra il 1877 e il 1880 ebbe come segretario personale e cappellano privato il giovane sacerdote Pietro Gasparri che maturò a suo contatto una sensibilità verso i problemi della riforma del diritto canonico e della ricerca di un modus vivendi tra la S. Sede e lo Stato italiano (cfr. Fantappiè, I, pp. 366-374).

In questa nuova fase del Papato e della Chiesa il M. mise a profitto la notevole esperienza politica per vincere le chiusure e le resistenze della Curia romana al nuovo stato di cose, per abbandonare le posizioni immobilistiche e del tutto improduttive di una parte del Collegio cardinalizio e per favorire un atteggiamento prudenzialmente reattivo della S. Sede e della Chiesa rispetto ai conflitti politico-giurisdizionali che si erano aperti con la formazione del Regno d’Italia e la soppressione dello Stato pontificio. Consapevole delle trasformazioni in corso, egli agì con l’intento di superare l’opposizione tra cattolici intransigenti e transigenti, preparando così la strada alle posizioni di Leone XIII. Anche i giudizi sul Collegio cardinalizio, espressi in diverse occasioni da diplomatici nelle relazioni alle Cancellerie europee, confermano il suo orientamento in favore di una conciliazione con il governo italiano, sulla base del principio che la perdita del potere temporale aveva reso il Papato più indipendente e la Chiesa più prospera (Weber, II, pp. 536, 733).

I più importanti pareri del M. si misurarono sulle due grandi questioni del momento. La prima riguardava i mezzi per arginare, per quanto possibile, o se non altro per ridurre gli effetti della legislazione italiana di tipo giurisdizionalistico. Egli scrisse la bozza della protesta di PioIX all’episcopato cattolico dopo la breccia di porta Pia. Nella Memoria sul problema della provvista papale delle diversi sedi vescovili in Italia (26 dic. 1871) propose, sull’esempio della Chiesa antica in rapporto alle leggi romane, di «studiare le leggi stesse dello Stato, siano pure le stesse leggi persecutrici, e prevalersi di quanto può esservi di giovevole» (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Spogli di cardinali, Mertel, b. 45, f. 5). Legate a questa problematica sono le Osservazioni intorno al modo onde la Chiesa ed enti morali possono acquistare e possedere i beni di fronte alla legge italiana, il Promemoria sul regio exequatur dei vescovi italiani (ibid., b. 42, f. 2), nonché un Parere sul matrimonio civile per formare la traccia a due atti pontificii (ibid., b. 43, f. 2).

La seconda questione ebbe a oggetto i rapporti tra il papa, la S. Sede e il movimento politico dei cattolici in Italia. Nel concistoro tenutosi dopo la morte di Pio IX, di cui fu esecutore testamentario, il M. votò per tenere il conclave a Roma invece che, in segno di protesta, fuori d’Italia. In due periodi diversi (tra l’aprile e il novembre 1876 e tra il maggio e il luglio 1879) furono richiesti da parte di LeoneXIII, a lui e agli altri membri del S. Uffizio e della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, vari pareri sulla partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche italiane (e anche alle elezioni amministrative di Roma del 1877). Il M. si espresse sempre per una linea pragmatica secondo cui era superfluo disquisire sulla liceità della partecipazione, anche se restava da valutarne l’opportunità, a motivo della impreparazione del movimento cattolico. Nel marzo 1881, di fronte all’eventualità che un partito cattolico conservatore si schierasse a favore di un governo della Destra storica capeggiato da Q. Sella, paventò «per la Chiesa una vera oppressione prussiana» (Arch. segr. Vaticano, Affari ecclesiastici straordinari, Stati ecclesiastici, a. 1881, n. 1030, f. 329). Tra il luglio 1881 e il gennaio 1882 si schierò ripetutamente contro le tesi dei cardinali favorevoli all’allontanamento del papa dall’Urbe, non solo per prevenire danni maggiori ma anche perché era convinto che sarebbe stata una «grande illusione» sperare che Roma potesse essere restituita al papa con la forza materiale di qualche potenza straniera.

Come vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, il M. visse a Roma nel palazzo della Cancelleria gli ultimi anni della sua vita.

Durante l’estate e parte dell’autunno era solito ritornare nella natia Allumiere, dove morì l’11 luglio 1899.

Pochi sono gli scritti editi del M., tra i quali si ricordano: Oratio in solemni aperitione…, in Giornale del Foro…, compilato da B. Belli, Roma 1850, pp. 320-327; Cenni istorici sulle miniere delle Allumiere, Civitavecchia 1853 (anonima); Decisiones Sacrae Rotae Romanae coram r.p.d. Theodulfo Mertel…, Romae 1853; Si et comment l’Église peut acquérir et conserver les propriétés temporelles dans les conditions actuelles de la législation des États, in Journal de droit et de la jurisprudence canonique, V (1885), pp. 302-307, 343-348, 395-399; VI (1886), pp. 20-23, 66-71 (sotto le iniziali T.C.M.). Tra gli inediti si segnalano: Discorso per l’Accademia di religione cattolica sulle relazioni tra Chiesa e Stato del 2 maggio 1867 e una raccolta di Memorie storiche sulla Tuscia Romana.

Fonti e Bibl.: Le carte Mertel, conservate presso l’Archivio segreto Vaticano, formano 55 buste e raccolgono le «ponenze» della congregazione del Concilio, di Propaganda Fide, dei Vescovi e regolari; le pratiche di competenza del ministero dell’Interno e del Consiglio dei ministri; le cause della Rota e della Segnatura; questioni di diritto amministrativo, progetti legislativi, studi di diritto canonico, corrispondenza. Manca una biografia del Mertel. Necr., in La Civiltà cattolica, s. 18, XLVIIII (1899), vol. 7, p. 361. Tra le opere su di lui si segnalano: E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, I, Milano 1932, ad ind.; D. Klitsche de la Grange Annesi, Il cardinal M., in Roma. Riv. di studi e di vita romana, XIX (1941), pp. 265-275; L. Pásztor, Il card. M. e il concilio Vaticano I, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXIII (1969), pp. 441-466; C. Weber, Quellen und Studien zur Kurie und zur vatikanischen Politik unter Leo XIII. mit Berücksichtigung der Beziehungen des Hl. Stuhles zu den Dreibundmächten, Tübingen 1973, ad ind.; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, ad ind.; C. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates, I-II, Stuttgart 1978, ad ind.; M. Mombelli Castracane, La codificazione civile nello Stato pontificio, II, Dal progetto del 1846 ai lavori del 1859-63, Napoli 1988, pp. LXVII s. (alle pp. 231-239 è pubblicata la Relazione del M. al papa sul tema della codificazione civile datata 18 ag. 1859); G. Martina, Pio IX (1867-1878), Roma 1990, ad ind.; Il concilio Vaticano I, Diario di Vincenzo Tizzani (1869-1870), a cura di L. Pásztor, Stuttgart 1992, II, p. 513; P. Stassen, Quatre lettres inédites de Gasparri 1884-1892, in Revue de l’Institut catholique de Paris, 1995, n. 54, pp. 163-172 (carteggio Gasparri - M.); C.M. Fiorentino, La questione romana intorno al 1870. Studi e documenti, Roma 1997, ad ind.; M. Valente, Pio IX, il Sacro Collegio e il corpo diplomatico di fronte alla questione della partenza da Roma, dopo la caduta del potere temporale, in Il Diritto ecclesiastico, CX (1999), pp. 784-833; A. Ciampani, Cattolici e liberali durante la trasformazione dei partiti. La «questione di Roma» tra politica nazionale e progetti vaticani (1876-1883), Roma 2000, pp. 157 s., 209; J.M. Ticchi, Ubi Roma, ibi papa: les projets de fuite du pape hors de Rome sous Léon XIII (1878-1895), in Rass. storica del Risorgimento, LXXXVIII (2001), pp. 355-400; F. Menestrina, Il processo civile nello Stato pontificio, in Regolamento giudiziario per gli affari civili di Gregorio papa XVI, 1834, Milano 2004, pp. 93 s.; A. Ciampani, Da Pio IX a Leone XIII: il dibattito nella Curia romana dopo l’Unità d’Italia, in La moralità dello storico. Indagine storica e libertà di ricerca. Saggi in onore di Fausto Fonzi, a cura di A. Ciampani - C.M. Fiorentino - V.G. Pacifici, Soveria Mannelli 2004, pp. 67-81; Fr. Jankowiak, La Curie romaine de Pie IX à Pie X. Le gouvernement central de l’Église et la fin des États pontificaux (1846-1914), Rome 2007, ad ind.; C. Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica, I-II, Milano 2008, ad ind.; Enc. cattolica, VIII, coll. 748 s.; Hierarchia catholica, VIII, p. 15.

C. Fantappiè

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