TELL el- 'AMARNA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

TELL el ‘AMĀRNA (v. vol. VII, p. 682)

M. C. Betrò

E il nome moderno della località del Medio Egitto prescelta dal faraone Akhenaton (Ekhnaton, Amenophis IV) quale sede della nuova capitale, intorno all'anno 405 del suo regno (c.a 1360 a.C.).

La fondazione di Akhetaton, «l'Orizzonte di Aton», costituisce il momento centrale dell'ambizioso programma di rinnovamento religioso, culturale e politico avviato da Akhenaton.

Costruita su suolo vergine, come lo stesso faraone proclama nelle stele di confine poste al limitare del suo territorio (dato confermato dalle indagini archeologiche), la nuova fondazione segna in maniera volutamente netta il taglio con il passato, divenendo metafora pietrificata dell'ideologia amarniana - incentrata sul culto incorporeo e assolutistico dell'Aton, il disco solare - e per noi occasione unica in Egitto di studiare l'anatomia di una città congelata dagli eventi storici, che ne causarono l'abbandono pressoché totale poco dopo la sfortunata conclusione della nuova esperienza politico-religiosa.

A partire dal 1977, la ripresa dell'indagine archeologica sul sito a opera della Egypt Exploration Society (che già, a più riprese, vi aveva lavorato nel 1901-1907 e nel 1921- 1936) ha contribuito enormemente al chiarimento dell'assetto urbanistico della città, oltre a fornire un'imponente massa di nuovi dati e ritrovamenti. La fisionomia della città, che da queste ricerche emerge con sempre maggiore nitidezza, lungi dal rivelarsi rigidamente imbrigliata nelle maglie di una rigorosa pianificazione, mostra il paesaggio discontinuo ed eterogeneo che fu tipico delle grandi città dell'antico Egitto: non un tessuto urbano unico, ma piuttosto un agglomerato di «villaggi», o meglio di unità pressoché autonome, separate le une dalle altre da ampî spazî lungo l'asse portante N-S della città. Partendo da N, i dati emersi dagli scavi, unitamente a quelli desumibili dai testi antichi, permettono di rilevare le seguenti unità, qui indicate con i nomi convenzionali loro assegnati dagli archeologi: 1) la «Città Nord», interamente staccata dal corpo della città vera e propria e apparentemente costituita da quartieri amministrativi, magazzini e grandi case, racchiusi all'interno di una cerchia di mura con torri quadrate a intervalli; 2) il «Palazzo Nord», residenza appartenuta a un membro della famiglia reale, originariamente forse Nefertiti, ma presto convertita in palazzo per la figlia del faraone, Meritaton: da qui provengono molti dei più famosi frammenti di pitture murali rinvenuti nel corso degli scavi, con splendide scene naturalistiche di vita nelle paludi; 3) il «Suburbio Nord», area abitativa, sviluppatasi ai margini della città centrale in una fase successiva e parzialmente ancora in costruzione quando la città fu abbandonata; 4) la «Città Centrale», cuore della vita pubblica della città e sola parte rigidamente conforme a una pianta precostituita a griglia. In questo nucleo erano ospitati il Grande Tempio di Aton, altri edifici religiosi minori, il «Palazzo del Re» - un palazzo di proporzioni minori - e il «Grande Palazzo», costruito parte in pietra parte in mattoni e con i pavimenti dipinti, collegato alla «Residenza Reale», dall'altra parte della «Strada Regia», per mezzo di un ponte. Infine, quest'area della città ospitava vaste cucine, panetterie, officine, ecc.; l'Archivio Reale, dove furono rinvenute le famose lettere; la «Casa della Vita» (istituzione scolastica) e, naturalmente, numerosissimi, i tipici santuarî solari amarniani all'aperto, di ispirazione eliopolitana. A S della zona centrale sono stati identificati altri nuclei, tra cui il «Suburbio Sud». Altri siti sono stati riconosciuti nel deserto, collegati tra loro e alla città da una fitta rete di antiche piste tuttora visibili; di questi il più interessante è senza dubbio il villaggio degli operai della necropoli, il cui scavo, iniziato nel 1979, è stato completato nel 1986: di impianto quadrato e fortificato, il villaggio era costituito da piccole case allineate, di cui alcune provviste di una seconda stanza sopraelevata sull'asse centrale della casa e di un forno sul tetto. Sul retro del villaggio sono state portate alla luce molte cappelle di culto.

Per quanto riguarda l'architettura privata della capitale, attestata principalmente nei due complessi abitativi a Ν e a S della «Città Centrale» (a eccezione delle grandi dimore patrizie, per lo più appartenenti a personaggi della cerchia reale o comunque ad alti funzionari) il quadro che se ne ricava è piuttosto quello di una sorprendente uniformità di concezione, in cui le diverse condizioni sociali sono evidenziate solo da modesti incrementi nella superficie abitativa. Per il resto, la stratificazione sociale non sembra tagliare trasversalmente i suburbi: persone di ceti sociali differenti coesistono le une accanto alle altre, in una situazione che, come B. J. Kemp ha osservato incisivamente, ricorda molto la claustrofilia e la facies stessa tipica delle cittadine medievali europee o arabe: fitta rete di stradine tortuose, giustapposizione di case appartenenti a tutti gli strati sociali, tendenza all'espansione verticale piuttosto che orizzontale, con improvvisi spazî aperti, soprattutto intorno ai pozzi, presumibilmente destinati anche ad area di mercato.

Per quanto riguarda l'arte amarniana, molto poco si può aggiungere a quanto già detto su questo argomento (cfr. vol. VII, pp. 682-684). La ricerca dell'ultimo ventennio si è fondamentalmente mossa lungo due linee di tendenza: da una parte, ferma restando la profonda originalità dell'arte amarniana, tentare di precisare l'eventuale continuità con l'arte del periodo precedente, in particolar modo quella di Amenophis III, evidenziando gli elementi che potrebbero far presagire i futuri rivoluzionari sviluppi; dall'altra, approfondire la conoscenza dell'arte amarniana per così dire «provinciale», ossia attestata al di fuori della capitale. A quest'ultimo filone un contributo di importanza fondamentale è stato dato - e sarà dato, giacché i lavori sono ben lungi dall'essere terminati - dalla scoperta, nel corso dei lavori di smontaggio del IX pilone a Karnak a opera del Centre Franco-Egyptien, di c.a 15.000 blocchi decorati - le c.d. thalathāt - reimpiegati nella costruzione del pilone e provenienti da un edificio religioso di Akhenaton a Karnak. Oltre all'importanza di questa scoperta per la conoscenza dell'opera edilizia del «faraone eretico» sul sito della precedente e prestigiosa capitale, lo studio di questi blocchi e la loro ricostruzione, una volta terminati, offriranno dati essenziali per lo studio della storia e dell'arte amarniane.

Bibl.: Una bibliografia archeologica esauriente è nella voce Tell el-Amarna, curata da B. J. Kemp, in LA, mentre l'arte amarniana, nella stessa opera, è stata trattata da S. Wenig, sotto la voce Amarna-Kunst. I rapporti di scavo della Egypt Exploration Society sono stati pubblicati da B. J. Kemp in JEA, LXVI, 1980, pp. 5-16; LXVII, 1981, pp. 5-20; LXIX, 1983, pp. 5-24. A partire dal 1984 sono raccolti in pubblicazioni monografiche sotto il titolo di Amarna Reports, nella serie delle Society's Occasional Publications. Finora ne sono stati pubblicati quattro volumi, nel 1984, 1985, 1986 e 1987 cui si è aggiunto B. J. Kemp, S. Garfì, A Survey of the Ancient City of El-'Amarna, Londra 1993. Si vedano inoltre dello stesso Kemp l'interessante studio sull'urbanistica amarniana in P. J. Ucko, R. Tringhani, G. W. Dimbleby, Man, Settlement and Urbanism, Londra 1972, pp. 657-680 e la retrospettiva sugli scavi del villaggio degli operai di Amarna in JEA, LXXIII, 1987, pp. 21-50. Per le thalathät del IX pilone a Karnak, si vedano i rapporti annuali del Centre Franco-Egyptien nella rivista Kamak, dal vol. VI, 1979, in poi; cfr. anche J.-C. Golvin, S. Abd'ul Hamid, J.-C. Goyon, Le IXpylône de Kamak, in L'Egyptologie en 1979, II, Parigi 1982, pp. 255-257. Tra gli studi generali di storia dell'arte egiziana va segnalata la traduzione inglese dell'öpera di H. Schäfer, Principles of Egyptian Art, Oxford 1974, fondamentale per lo studio dell'arte amarniana, e l'edizione rivista e integrata da W. K. Simpson del lavoro di W. Stevenson Smith, The Art and Architecture of Ancient Egypt, Harmondsworth 1981, che dedica due capitoli all'arte amarniana. Un insieme di contributi di varî studiosi sull'esperienza amarniana è stato pubblicato in L'Egyptologie en 1979, II, Parigi 1982, pp. 183-323. Infine, va segnalata la riedizione recente di alcune finissime analisi sull'arte e la filosofia dell'arte amarniana di S. Donadoni nel volume Cultura dell'antico Egitto. Scritti di Sergio F. Donadoni, Roma 1986.