Televisione

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

televisione

Nicola Nosengo

Il più potente dei mezzi di comunicazione

Inventata nella prima metà del 20° secolo come evoluzione della radio, la televisione è il mezzo di comunicazione che ha avuto l’impatto più forte e rapido sulla vita quotidiana e sull’economia. È diventata la forma di intrattenimento a cui le famiglie dedicano più tempo. Il mercato pubblicitario sviluppatosi attorno alla televisione è oggi molto più ricco di quello della carta stampata. Nata grazie al lavoro di molti inventori, la televisione è stata prima un dispositivo elettromeccanico e poi elettronico. Oggi si sta ancora trasformando, grazie soprattutto ai satelliti per le telecomunicazioni e alla trasmissione digitale

Un’invenzione collettiva

Forse nessun’altra invenzione del 20° secolo ha letteralmente trasformato la vita quotidiana di milioni di persone nel volgere di così pochi anni come è accaduto per la televisione. Questo mezzo di comunicazione di massa è diventato molto rapidamente la più diffusa fonte di intrattenimento e di informazione, e si può dire che, nei paesi occidentali, una parte consistente della vita pubblica si svolge davanti a una telecamera. Dal punto di vista tecnico, la televisione è un’evoluzione della radio, in quanto utilizza le onde elettromagnetiche per far viaggiare su grandi distanze, oltre ai suoni, anche le immagini. Si tratta di un’invenzione dai molti padri: ciascuno di essi ha contribuito a sviluppare diversi elementi della sua tecnica.

La prima forma di televisione – molto diversa dall’attuale – era elettromeccanica. Venne brevettata nel 1885 da uno studente tedesco, Paul Gottlieb Nipkow, che inventò il principio alla base della televisione odierna. Si tratta della scansione, ossia della suddivisione dell’immagine in unità più piccole che possono essere trattate e trasmesse separatamente. Il sistema di Nipkow utilizzava un disco su cui erano ricavati fori disposti lungo una linea a spirale. Durante la rotazione, la luce che attraversava i fori del disco raggiungeva in modo intermittente una fotocellula in selenio posta dall’altra parte del meccanismo. La capacità del selenio di condurre corrente elettrica (elettricità) varia in base alla luce che colpisce questo materiale. Quindi, la rotazione del disco suddivideva la scena in tanti piccoli riquadri, corrispondenti ai fori, e produceva variazioni di corrente elettrica per ognuno di questi riquadri. La stessa corrente elettrica, all’altro capo del meccanismo di trasmissione, serviva a modulare in modo inverso una sorgente di luce per ottenere un’immagine fissa da proiettare su uno schermo.

La televisione elettromeccanica

La parola televisione fu introdotta nel 1900 da Constantin Persky, in una conferenza tenutasi al Congresso internazionale di elettricità durante l’esposizione internazionale di Parigi. Persky fece un elenco degli esperimenti, in corso nel mondo, per trasmettere a distanza immagini, a cominciare proprio da quello di Nipkow.

La prima vera e propria televisione in grado di trasmettere immagini in movimento si deve però all’ingegnere scozzese John Logie Baird, che la chiamò radiovision. Le sperimentazioni di Baird iniziarono nel 1923 e condussero sostanzialmente a un’evoluzione del meccanismo inventato da Nipkow. Nel 1925 lo scozzese fondò la prima società televisiva del mondo. Con le apparecchiature create da Baird nel 1927 la BBC (British broadcasting corporation «Ente radiotelevisivo britannico») diede vita alla prima stazione televisiva.

L’anno successivo ebbe inizio anche il primo servizio televisivo regolare negli Stati Uniti con le trasmissioni della stazione sperimentale W3XK nei sobborghi di Washington. In seguito anche la General Electric e la CBS (Columbia broadcasting system, «Rete radiotelevisiva di Colombia») iniziarono a trasmettere – sempre negli Stati Uniti – segnali televisivi con le proprie stazioni, usando diverse varianti del sistema elettromeccanico. Tuttavia la Federal communications commission (FCC «Commissione federale per le comunicazioni»), l’ente statunitense che regola il mercato delle telecomunicazioni, concesse a queste stazioni solo l’autorizzazione a trasmissioni sperimentali e non vere e proprie licenze commerciali, constatando che ognuna di esse si serviva di un sistema tecnico diverso. Così, senza possibilità di un vero sviluppo commerciale, nel 1935 la televisione elettromeccanica negli Stati Uniti era già al capolinea.

Il tubo a raggi catodici

Un passo decisivo verso la televisione moderna, elettronica, fu l’invenzione del tubo a raggi catodici, sviluppato e perfezionato nel corso di diversi anni dal russo Vladimir Zworykin, all’inizio in collaborazione con Boris Rosing, suo docente all’Istituto di tecnologia di San Pietroburgo. I due costruirono un apparecchio dotato di un obiettivo analogo a quello delle macchine fotografiche e in grado di mettere a fuoco un’immagine su una superficie fotosensibile. Colpita dalla luce, questa superficie emetteva elettroni che, una volta raccolti, formavano un segnale elettrico proporzionale alla luce ricevuta.

Zworykin chiamò iconoscopio il suo apparecchio, brevettato nel 1932, e in un certo senso si trattava della prima telecamera. Zworykin realizzò anche l’altra componente del sistema, il cinescopio, per ritrasformare gli impulsi elettrici in immagini. Gli elettroni in arrivo colpivano una serie di elementi elettrosensibili che si illuminavano per un periodo di tempo sufficiente affinché l’occhio umano percepisse un’inquadratura completa. Il tubo a raggi catodici è oggi alla base del funzionamento non solo dei televisori, ma anche dei monitor per computer, almeno fino all’introduzione di quelli moderni a cristalli liquidi.

In Europa, le prime trasmissioni elettroniche iniziarono in Germania nel 1935, e le Olimpiadi di Berlino dell’agosto del 1936 furono trasmessi per televisione: gli spettatori di Berlino e Amburgo potevano assistervi in 28 postazioni televisive pubbliche.

Nell’Unione Sovietica le prime trasmissioni televisive sperimentali iniziarono a Mosca nel 1937, mentre un regolare servizio prese avvio il 31 dicembre dell’anno 1938.

Nel giugno del 1936 iniziarono le prove tecniche di televisione elettronica negli Stati Uniti, e nel 1941, grazie all’adozione di uno standard comune, la FCC decise di concedere le prime licenze commerciali.

A colori e in bianco e nero

All’inizio le trasmissioni televisive furono solo in bianco e nero, ma già nel 1953 negli Stati Uniti arrivò la televisione a colori. In Europa, a causa della competizione tra diversi standard di produzione delle immagini, l’introduzione della televisione a colori fu ritardata, e solo nel 1967 la BBC iniziò in Gran Bretagna trasmissioni regolari. In Italia si dovette attendere sino al 1977.

L’odierna televisione a colori si fonda sul principio della tricromia, ossia della ricostruzione di un’immagine composta da molti colori a partire da tre componenti fondamentali: rosso, verde e blu. Lo schermo del ricevitore televisivo è composto da tre gruppi diversi di fosfori, sostanze che, opportunamente colpite dagli elettroni, riproducono uno dei tre colori primari. I fosfori sono raggruppati in punti di dimensioni molto piccole e il tubo televisivo comprende quindi tre cannoni elettronici, uno per ogni colore, che lanciano ciascuno il proprio fascio di elettroni su un punto dello schermo sollecitando, a seconda dei casi, luce verde, rossa o blu.

Negli ultimi anni, agli schermi a tubo catodico si sono affiancati – e sempre più si stanno diffondendo – i LCD (Liquid crystal display «Schermo a Cristalli liquidi»), che funzionano con lo stesso principio dei display delle calcolatrici o degli orologi digitali. Sono costituiti da due superfici, tra le quali, all’interno di celle, è intrappolato un liquido. Ogni cella è dotata di contatti elettrici: quando viene applicata corrente, la polarizzazione delle molecole di liquido cambia, e con essa la loro capacità di riflettere la luce o di lasciar passare quella proveniente da una sorgente collocata dietro lo schermo. In questo modo si possono realizzare schermi molto più sottili rispetto a quelli a tubi catodici.

Come è fatta l’immagine televisiva

Nella moderna trasmissione televisiva, l’immagine da inviare a distanza viene scandita (per mezzo della telecamera) in righe. In pratica, l’immagine viene esplorata punto per punto da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso, come una sequenza di linee sovrapposte.

L’immagine televisiva sfrutta, come quella cinematografica (cinema), il fenomeno della persistenza delle immagini sulla retina: il nostro cervello percepisce come movimento continuo ciò che è in realtà una rapida successione di immagini fisse. Per evitare che questo produca uno sgradevole sfarfallio sono necessarie almeno 50 immagini al secondo, dette quadri. In realtà, poiché la banda di trasmissione utilizzata dal segnale televisivo non consentirebbe di trasmettere 50 quadri completi ogni secondo, si procede a una suddivisione in semiquadri: prima vengono scandite le righe dispari, poi quelle pari. Il numero di righe da cui è composta l’immagine cambia da paese a paese: in America e Giappone le righe sono 525 (sistema NTSC), in Italia, Spagna, Germania e Inghilterra sono 625 (sistema PAL).

Il segnale televisivo così ottenuto viene trasmesso nella forma di onde elettromagneti-che modulate, simili a quelle radiofoniche ma su una banda di frequenza più elevata: la televisione via etere, quella che usiamo in Italia, impiega le bande VHF (Very high frequencies «altissima frequenza), da 30 a 300 Mhz (1 Mhz corrisponde a 1 milione di hertz), e UHF (Ultra high frequencies «frequenza ultraelevata»), da 300 Mhz a 3,0 Ghz (1 Ghz corrisponde a 1 miliardo di hertz). Il suono sincronizzato all’immagine è trasmesso su una banda di frequenza separata, più bassa, e riprodotto in modo simile a quanto avviene in un ricevitore radio.

La prime trasmissioni in Italia

Nel nostro paese le trasmissioni televisive iniziarono ufficialmente la sera del 3 gennaio 1954. All’epoca esisteva un solo canale televisivo, le trasmissioni erano limitate a poche ore della giornata e raggiungevano solo alcune regioni d’Italia. Bisognerà aspettare fino al 1961 perché il segnale televisivo copra l’intero territorio nazionale.

Come già accadeva in altri paesi, la televisione italiana venne per molti anni gestita dallo Stato in regime di monopolio: erano autorizzati a trasmettere solo i canali di una azienda pubblica, la RAI (Radio audizioni Italia), che d’altronde si occupava già del servizio radiofonico. La televisione non veniva concepita in questi anni tanto come uno strumento di intrattenimento, quanto di informazione ed educazione. Doveva diffondere la cultura anche verso chi non aveva né l’abitudine di leggere né l’opportunità di andare a teatro. E infatti le prime trasmissioni furono soprattutto servizi di informazione e spettacoli teatrali mandati in onda in prima serata, cioè verso le 9 di sera.

Nel 1961 il servizio RAI si espanse con la nascita del secondo canale. Negli anni Sessanta la RAI iniziò anche a produrre sceneggiati tratti dai grandi classici della letteratura (come I promessi sposi di Alessandro Manzoni o La cittadella di Archibald Joseph Cronin), spesso curati da importanti registi. Prese piede anche il gioco a quiz, genere in cui divenne celebre Mike Bongiorno: gli spettatori si appassionarono alle vicende dei concorrenti di Lascia o raddoppia? e Rischiatutto, tanto che in alcuni cinema furono installati schermi televisivi per evitare la diserzione degli spettatori durante la trasmissione dei quiz.

Si afferma spesso che la televisione ha fatto la vera unità d’Italia, un secolo dopo l’unità politica. Ci si riferisce con questo all’unità linguistica, e in effetti è vero che molti settori della popolazione, nei ceti sociali più bassi o nelle zone rurali più isolate, iniziarono a parlare l’italiano anziché i dialetti regionali grazie più alla televisione che alla scuola.

Emittenza locale e privata

Una sentenza della Corte costituzionale, nel 1976, stabilì che le emittenti minori avevano il diritto di trasmettere in Italia in quanto, operando solo a livello locale, non violavano il monopolio della RAI. A metà degli anni Settanta il mercato televisivo iniziò così a popolarsi di emittenti locali; nel 1979 nacque il terzo canale della RAI, a cui fu data sin dall’inizio una forte connotazione regionale.

Durante gli anni Ottanta l’emittenza televisiva privata lanciò la sua sfida al monopolio della RAI. Le emittenti locali iniziarono a riunirsi in reti, dette network, che trasmettevano su più porzioni di territorio gli stessi programmi, comportandosi di fatto come reti nazionali. Nella prima metà degli anni Ottanta si delineò inoltre quello che diventerà il più grande gruppo televisivo privato italiano, Mediaset (nome assunto dal 1986 dalle attività televisive del Gruppo Fininvest), a cui fanno capo le reti Canale 5, Rete 4 e Italia 1, riunite progressivamente sotto la proprietà dell’imprenditore Silvio Berlusconi. Tuttavia, poiché la legislazione proibiva di ritrasmettere effettivamente lo stesso segnale in contemporanea su tutto il territorio nazionale – privilegio riservato alla RAI – questi canali non potevano effettuare trasmissioni in diretta e dovevano utilizzare molte copie su cassetta degli stessi programmi preregistrati, trasmettendoli con leggere sfasature di tempo tra una zona e l’altra.

Nell’ottobre del 1984 i pretori di alcune città italiane oscurarono le reti Fininvest accusandole di violare il monopolio RAI, comportandosi di fatto come reti nazionali. L’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi varò un decreto legge per consentire a queste reti di trasmettere fino a che non fosse stata approvata una nuova legge sull’emittenza televisiva. Era finito, di fatto, il monopolio della RAI: l’etere si apriva ufficialmente anche ai privati.

Come si finanzia una rete televisiva

La RAI è un’azienda di proprietà pubblica che gestisce il servizio radiotelevisivo su concessione dello Stato: è sottoposta a norme e vincoli e al controllo di una apposita commissione parlamentare, la Commissione di vigilanza sulla RAI. Per molta parte della sua storia è stata finanziata esclusivamente attraverso il canone radiotelevisivo, una tassa imposta a ogni cittadino che possieda un apparecchio radiotelevisivo. Da tempo però anche i canali RAI trasmettono pubblicità commerciale durante le pause dei programmi, proprio come le emittenti private, e quindi hanno una doppia fonte di finanziamento.

Al contrario, le reti private sono finanziate solo dalla pubblicità, ed è vitale per loro poter quantificare il numero di spettatori che assistono a un determinato programma. Per questo è nato l’Auditel, un sistema di rilevazione degli spettatori televisivi, gestito da una società posseduta in parti uguali dalla RAI, da Mediaset, dalle aziende inserzioniste e dalle concessionarie di pubblicità (le società che vendono spazi pubblicitari alle aziende per conto di giornali e televisioni), con una presenza simbolica della federazione degli editori di giornali. Il sistema Auditel si basa su un campione di circa 5.000 famiglie, scelte in base a precisi criteri statistici (sondaggio) in modo da rappresentare la popolazione generale, nelle cui case viene installato un apparecchio, chiamato meter, che rileva in ogni momento della giornata il canale su cui viene sintonizzato l’apparecchio e trasmette il dato alla centrale di elaborazione. Così vengono calcolati i dati di ascolto che si sentono sempre citare per dimostrare il successo o meno – il cosiddetto flop – di un programma: lo share, cioè la percentuale di spettatori che hanno visto quel programma rispetto al totale, e il dato assoluto in milioni di spettatori, sono in realtà calcolati in base soltanto agli ascolti di quelle 5.000 famiglie.

Altre forme di trasmissione: via cavo e via satellite

Negli Stati Uniti la principale forma di trasmissione del segnale televisivo non è più quella via etere (che utilizza cioè lo spazio libero e antenne per distribuire il segnale), come avviene ancora in Italia, ma la televisione via cavo. Il segnale televisivo arriva fino all’apparecchio per mezzo di linee fisse di cavi, simili a quelli telefonici. Rispetto alla trasmissione via etere, questo sistema permette anche alle televisioni private di far pagare un abbonamento ai propri utenti, e in cambio ridurre molto (oppure di eliminare del tutto) le interruzioni pubblicitarie.

Un’altra forma di trasmissione televisiva che negli ultimi anni ha contribuito a cambiare le regole del mercato è la televisione via satellite.

Inizialmente i satelliti per telecomunicazioni sono stati usati solo come ripetitori, per portare il segnale di una rete televisiva oltre i confini nazionali: in questo modo, per esempio, il segnale della RAI raggiungeva gli Stati Uniti e qui, attraverso la normale trasmissione via etere o via cavo, poteva essere visto anche dalle comunità italiane di quel paese.

A partire dagli anni Novanta, tuttavia, furono lanciati i primi satelliti DBS (Direct broadcasting system «Sistema di trasmissione diretta») in grado di emettere un segnale abbastanza forte per essere captato anche da antenne di dimensioni contenute, le parabole. In questo modo ognuno può ricevere segnali provenienti dalle televisioni di tutto il mondo, oppure sottoscrivere un abbonamento a canali tematici che trasmettono un segnale criptato, e vederli per mezzo di un apposito decodificatore. Il segnale satellitare può essere trasmesso in formato digitale, il che consente di offrire una più ampia gamma di servizi e maggiore possibilità di scelta all’utente, che può persino comprare singoli programmi dall’emittente, come avviene per le partite di calcio.

In Italia e in altri paesi è stato introdotto recentemente anche il sistema digitale terrestre, in cui le trasmissioni sono inviate in formato digitale, ma sulla stessa gamma di frequenze impiegata dalla televisione tradizionale. Possono quindi essere ricevute dalle normali antenne purché l’apparecchio televisivo sia dotato di un decodificatore. Rispetto alla trasmissione televisiva tradizionale, il digitale terrestre ha il vantaggio di consentire l’aumento del numero dei canali a disposizione e di aggiungere servizi interattivi ai programmi.

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