FIESCHI, Tedisio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)

FIESCHI, Tedisio

Giovanni Nuti

Nacque alla fine del sec. XII da Ugo dei conti di Lavagna e da una figlia di Amico Grillo, influente uomo d'affari genovese.

Ugo, il primo ad essere citato nei documenti col soprannome "Fliscus" o "de Flisco" (fantasiose sono le congetture avanzate dagli storici e dai genealogisti per spiegare l'origine di tale appellativo), fece parte del frazionatissimo consortile dei conti di Lavagna, che controllava una vasta area, fondamentale per le vie di comunicazione, posta a cavaliere tra il versante ligure orientale e quello padano dell'Appennino, ed estesa sino al mare. Tuttavia, quando Ugo iniziò la sua attività, da tempo il consortile era limitato nella sua espansione dalla presenza di grandi famiglie feudali e minacciato dalla vitalità degli organismi comunali. Alcuni rami dei comites Lavaniae, come quelli dei Penello, degli Scorza e dei Bianchi, entrati nell'orbita di Genova da vinti, almeno a partire dalla prima metà del sec. XII, furono costretti a giurare l'abitacolo nel gennaio del 1139; tuttavia, solo il 23 nov. 1166 si piegarono a promettere fedeltà al Comune, in cambio di concessioni politiche e fiscali. A tale convenzione, che, in effetti, regolò anche nei secoli successivi i rapporti tra il Comune genovese ed i Fieschi e che venne poi giurata anche da altri membri del consortile, partecipò pure un Ruffino, che in alcuni documenti consultati dall'erudito secentesco F. Federici ma ora non più rintracciabili è citato come padre di Ugo. Ruffino, insieme con altri membri del consortile, ottenne nel 1161 da Federico I l'investitura dei territori su cui da tempo si esercitava il dominio dei comites de Lavania e fu legato da rapporti feudali alle grandi famiglie attive in quella zona nevralgica dell'Appennino ligure-emiliano, quali appunto i Malaspina, i Cavalcabò, i Pelavicini.

Gli interessi della famiglia Fieschi sembravano tuttavia orientati soprattutto verso l'area padana dell'Appennino, dato che un figlio di Ruffino, Obizzo, fu vescovo di Parma tra il 1194 ed il 1224 ed un altro, Alberto, fu arcidiacono della stessa città. Ugo, cui il padre, secondo il Federici, avrebbe lasciato in eredità nel 1177 due castelli in Liguria, nel 1195 risulta presente a Piacenza ad un privilegio concesso da Enrico IV al vescovo Obizzo; il 17 ott. 1200 assistette, nel territorio di Bobbio, alla stipula dell'alleanza tra Milano, Piacenza ed i Malaspina contro Pavia. Gravitava allora nell'orbita della potente casata del Malaspina, come risulta non solo dall'atto citato ma anche da altri documenti: il 9 maggio 1199 era stato teste al giuramento di fedeltà prestato da Alberto e da Guglielmo Malaspina al Comune genovese; il 10 sett. 1202 fu teste ad una dichiarazione rilasciata dai due marchesi; il giorno dopo assistette all'atto con cui Guglielmo Malaspina cedette il pedaggio riscosso a Verolengo. Tuttavia preferì operare a Genova o vi fu costretto dagli accordi intercorsi tra i conti di Lavagna e quel Comune; sappiamo infatti che a Genova già il 28 maggio 1155 si offrì come mallevadore di Tedisio di Lavagna e di Rubaldo "cardinalis" e che qui probabilmente possedeva una domus nella "Ripa", il quartiere del porto.

I documenti però non fanno cenno ad un suo coinvolgimento nella vita commerciale e in quella finanziaria della città. È possibile, invece, che egli abbia cercato di affermare la presenza del suo ramo familiare nel territorio di Lavagna, dato che a lui è attribuito (ma mancano documenti coevi al riguardo) un vasto programma di opere di pubblica utilità nella zona, iniziative che verranno poi proseguite dai suoi successori per controbilanciare l'attrazione esercitata sul comitato dal Comune genovese. Il Federici vuole Ugo signore di Borgo Val di Taro, Calestano e Vigolone nel Parmense, ma anche queste affermazioni non sono documentate; pure non documentata è la notizia, sempre fornita dal Federici, secondo cui avrebbe sposato una figlia di Amico Grillo. Ugo risulta morto prima dell'agosto del 1211. Ebbe sei figli maschi: Alberto (morto prima del 1226), Opizzo, il F., Rubaldo, Sinibaldo, poi papa col nome di Innocenzo IV, e Ruffino; a questi si deve forse aggiungere Ambrogio, ricordato senza ulteriori precisazioni dopo Ugo Fieschi, Opizzo ed il F. come beneficiario di un feudum in denaro concesso alla famiglia dal Comune genovese. Ebbe inoltre tre figlie: Maddalena, che poi sposò Bernardo Rossi, Margherita, unitasi in matrimonio a Guarino Sanvitale, signore di Carpi, e Verde, in seguito moglie di Guido da Fogliano.

Il F. appare citato per la prima volta in un atto posteriore al 1209, come beneficiario di un feudum concessogli dal Comune genovese; tuttavia, i documenti tacciono su di lui sino al 18 nov. 1222, quando come teste assistette ad una locazione di terre da parte del capitolo di S. Lorenzo. Al suo fianco, in quella occasione, appare Simone Camilla, potente banchiere ed uomo d'affari genovese.

Secondo il Federici, che però offre il dato in forma dubitativa, il F. era genero di Ottobono Camilla, signore di Capocorso e figlio di Simone, come risulta da altri documenti. Da ciò deriverebbe che Simona, la moglie del F. (ancora in vita nel 1262), sarebbe stata una Camilla. Del resto anche negli anni successivi i Camilla appaiono legati ai Fieschi da stretti rapporti, non solo economici. È possibile che il F. e suo fratello Opizzo, che doveva essere più anziano di lui, siano stati spinti ad entrare più attivamente nell'ambiente genovese sia dalla fortunata carriera ecclesiastica del fratello Sinibaldo, divenuto cardinale nel 1227, sia dai loro rapporti coi Camilla. Quanto a Simone Camilla, che appare spesso accanto al F. e risulta morto, prima del 1237, sembra essere stato piuttosto lui il suocero del F., il quale doveva fra l'altro essere coetaneo di Ottobono; si tratta, tuttavia, di una ipotesi.

Fino al 1230 l'attività del F., stando ai documenti genovesi, appare marginale se non sostanzialmente estranea alla vita economica cittadina e ancora legata agli interessi feudali e, quindi, terrieri della famiglia. Nel 1225 egli potrebbe aver partecipato alla spedizione genovese in aiuto di Asti e nel 1227 a quella contro Albenga e Savona, insieme con altri comites Lavaniae. Il 18 luglio 1226 acquistò tutte le terre, con diritto, di decime, che Alberto Penello, altro conte di Lavagna, possedeva nelle diocesi di Genova, Piacenza e Bobbio. Il 16 novembre dello stesso anno col fratello Opizzo chiese a Lanfranco Rosso di indurre la sorella Contessa a restituire gli atti notarili che a lei erano rimasti dopo la morte del marito Alberto Fieschi, loro fratello. Il 1º luglio 1230 intervenne all'atto con cui suo figlio Ugo cedette gli introiti provenienti dalle sue terre nella pieve di Lavagna. A partire da quegli anni, parallelamente alla ascesa del fratello Sinibaldo, più intenso si fece il coinvolgimento del F. nella vita publica genovese. Nel settembre del 1231 fu tra i rappresentanti che quel Comune fu costretto ad inviare a Ravenna, dove Federico II aveva convocato la Curia generale. Nel 1234 fu tra i comandanti delle milizie genovesi inviate a soffocare la rivolta dei "villici" nelle valli di Arroscia e di Oneglia.

Sempre in quegli anni dovette crescere anche la partecipazione del F. alla vita economica cittadina. Egli volse i suoi interessi, così come fecero altri membri della sua famiglia, quasi esclusivamente alla grande finanza ed al traffico di capitali, dando inizio ad un'intensa politica di investimenti immobiliari: il quartiere di S. Donato e l'area posta intorno alla cattedrale di S. Lorenzo furono la zona della città in cui si insediarono i Fieschi, pur non rinunciando ai loro stretti rapporti con la terra d'origine. Nel 1237 Pietro Doria saldò un debito nei confronti del F., cedendogli la sua quota sulla maona di Ceuta. Alle dipendenze del F. lavorò il notaio Pietro "Vegius", incaricato di amministrare l'enorme patrimonio edilizio accumulato in città. Tuttavia, quando i Fieschi divennero i protagonisti della lotta del Comune genovese contro Federico II, egli preferì recitare un ruolo secondario, lasciando all'altro fratello Opizzo e ai suoi due figli Alberto e Niccolò il compito di gestire le iniziative politiche della famiglia.

Il F. morì prima del 19 febbr. 1248, data di un documento in cui sua moglie Simona appare già vedova.

Nel giugno di quello stesso anno, su consiglio di alcuni membri delle famiglie Fieschi e Camilla, Simona procedette a dare esecuzione al testamento del marito. Avendo il F. legato una forte somma alla figlia Caracosa come dote per il suo matrimonio con Bonifacio di Niccolò Grimaldi, per far fronte a tale impegno, Ottobono Camilla, il 18 giugno, per 500 lire di genovini cedette a Simona una casa posta nella contrada "Camillorum", casa che il 23 giugno venne rivenduta a Giacomo ed Ugo Fieschi per 700 libre. L'ubicazione dell'edificio e la partecipazione del Camilla confermano la tesi che appunto a questa famiglia appartenesse Simona, la quale inoltre dopo la morte del F. fu accolta nella casa di Enrico, altro figlio di Simone Camilla. Simona risulta ancora vivente nel 1262.

Il F. ebbe numerosi figli: almeno sette maschi - Ugo, morto ancora giovane; Ottobono, che abbracciò la vita ecclesiastica e divenne papa col nome di Adriano V; Alberto, Niccolò, Federico, Percivalle, Vernazio (o Venanzio) - e almeno tre femmine - Beatrice, che sposò Tommaso II di Savoia; Agnese che, andata prima in moglie a Ottone III Del Carretto, entrò poi in convento; Caracosa, maritata in prime nozze con Bonifacio Grimaldi e in seconde con Bonifacio Del Carretto. Ad essi sono forse da aggiungere Opizzo, patriarca latino di Antiochia, e un Pagano, attivi nella seconda metà del sec. XIII e indicati dalle fonti come figli di un Tedisio.

Non si tratta, ad ogni modo, di un'attribuzione indiscutibile: nel caso specifico, infatti, la quasi contemporaneità ed il patronimico non costituiscono un valido elemento di identificazione, dato che coevi o di poco posteriori al F. furono numerosi i membri della famiglia Fieschi che portarono il nome di Tedisio.

Di poco posteriore al F. fu, ad esempio, un Tedisio, ricordato dalle fonti tra il 1248 ed il 1288. Ignoriamo la sua paternità; il papa Innocenzo IV lo definisce costantemente suo "nepos" in alcune lettere e soprattutto nella bolla del 24 apr. 1252, con cui concesse ai componenti laici della sua famiglia lo "ius patronatus" sulla chiesa gentilizia di S. Salvatore in Cogorno. Egli viene indicato come nipote di Opizzo, fratello del F., in un diploma dell'imperatore eletto Guglielmo d'Olanda del 4 sett. 1249 ed è elencato sempre posposto - cosa che sarebbe difforme rispetto alle consuetudini, se egli fosse stato il loro padre - ad Opizzo di Ugo Fieschi e a Niccolò figlio del F. nei documenti relativi alla "societas" costituita da Fieschi dopo il 1250.

Il F. e questo Tedisio sono stati spesso confusi dalla letteratura storica in un unico personaggio, cui sono state attribuite le vicende e le opere dell'uno e dell'altro. Tale errore poté essere favorito anche dal fatto che pure questo secondo personaggio sposò una donna di nome Simona. Questa, però, era figlia di Raimondo Della Volta che, ghibellino e ribelle al Comune di Genova, aveva visto le sue terre devastate per ordine del podestà nel 1239 e che era morto prima del 27 giugno 1250, quando Rosso Della Volta consegnò a Simona, in quanto erede del padre, i diritti su una torre sita "in curia feni".

Attivissimo uomo d'affari, Tedisio fu nel 1249 chiamato a far parte degli Otto nobili, la magistratura che affiancava nella attività di governo il podestà forestiero. Il 4 settembre dello stesso anno, insieme con altri membri della famiglia, ottenne dall'imperatore eletto Guglielmo d'Olanda il titolo di conte palatino. Tuttavia egli, pur non rinunziando alle prerogative feudali, preferì - come del resto fece la nuova generazione del Fieschi - accentuare il suo ruolo pubblico in Genova sia incrementando il suo patrimonio immobiliare, sia partecipando più direttamente alla vita economica e politica della città. Il 26 ag. 1251 comperò da alcuni membri della famiglia Calvo un palazzo "cum iure emboli" nella "Ripa": sei anni più tardi, l'11 ott. 1257, il suo gastaldo provvide ad affittare un "banco" posto negli "emboli" davanti all'edificio, sulla riva del mare. Il 21 ag. 1252 comperò da Guglielmo Mallono una torre in piazza Lunga. Il 5 marzo 1253 concesse un mutuo alla vedova di Pietro di Castello e vendette terre, non sappiamo in quale località. In quegli anni creò pure una importante "societas" con lo zio Opizzo e con il cugino Niccolò Fieschi. "Consiliator" del Comune, assistette alla firma della pace tra Genova e Savona, il 19 febbr. 1251, ed alla nomina di Enrico del Bisagno ad ambasciatore presso il Comune di Firenze, avvenuta il 15 luglio 1254. Nel 1257 si adoperò per la liberazione di Tommaso II di Savoia, signore del Piemonte, che aveva sposato in seconde nozze una figlia del F., Beatrice: il 24 novembre, infatti, fu ad Asti, dove assistette all'accordo stipulato tra quel Comune, nelle cui mani era caduto il dinasta sabaudo, e Giacomo Del Carretto, procuratore del principe. Nel 1262 fece parte dell'ambasceria inviata a Carlo d'Angiò per un accordo territoriale e politico; quattro anni dopo, nell'aprile, si recò a Roma per un incontro con quel sovrano. Fu, questo, a quanto ne sappiamo, l'ultimo incarico ufficiale da lui ricoperto. Continuò tuttavia ad agire attivamente nella vita economica genovese, come dimostra il fatto che il 15 dic. 1266 diede in fitto un mulino, di cui era proprietario, e che nel 1268 poté dare alla figlia Clarisia, che andava sposa a Manuele Zaccaria, il fratello dell'ammiraglio Benedetto, la dote di 550 lire di genovini. Il 5 marzo 1277 finanziò un mercante diretto in Sicilia.

Morì prima del 1288, quando Simona Della Volta viene ricordata per la prima volta dalle fonti come sua vedova.

Ebbe forse un figlio maschio, Rolando, che però alcuni genealogisti attribuiscono ad uno dei suoi omonimi contemporanei. È certo, invece, che ebbe tre figlie: Clarisia, già ricordata; Vittoria, andata sposa ad Ottobono Del Carretto; ed un'ultima, di cui ignoriamo il nome, la quale fu moglie di Simone di Carmadino.

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