Tecnologie stereoscopiche

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008)

tecnologie stereoscopiche

Andrea Granelli

Tecnologie basate sulla creazione di immagini bidimensionali composite a partire da due raffigurazioni di uno stesso oggetto preso da punti di vista differenti, in maniera tale da simulare la diversità di posizione tra l’occhio umano destro e quello sinistro, ingannando la percezione e creando l’illusione della profondità. Inventata nel 1838 da sir Charles Wheatstone, già teorizzata da Euclide, la rappresentazione stereoscopica diviene popolare all’inizio del Novecento grazie alla riproduzione di doppi dagherrotipi, e più tardi fotografie, da fruire all’interno di particolari visori detti stereoscopi. Negli anni Cinquanta il cinema riscopre questa tecnica, d’effetto e relativamente economica. Bwana Devil, del 1952, primo lungometraggio a colori del genere, riscuote un discreto successo di pubblico, dando inizio alla sua età dell’oro, terminata solo negli anni Ottanta. La produzione di immagini (e video) stereoscopiche avviene attraverso macchine fotografiche (e videocamere) accoppiate e distanziate in modo tale da creare una doppia raffigurazione, discrepante nel punto di vista ma sincronizzata temporalmente. Se in origine le pellicole venivano alterate, sottraendo colori diversi dello spettro visivo a ciascuna, e composte manualmente, al giorno d’oggi esistono software in grado di creare immagini e video stereoscopici a partire dai dati di macchine stereofotografiche digitali. A occhio nudo il risultato è una raffigurazione doppia e sfasata: a seconda del colore sottratto a ciascuna immagine, le zone non sovrapposte appariranno come ombre colorate, mentre quelle sovrapposte assomiglieranno all’oggetto originale. La fruizione di tali immagini avviene attraverso diversi tipi di occhiali, i più economici fatti di cartone con lenti di plastica colorata, i più sofisticati dotati di lenti in grado di chiudersi alternativamente. I più moderni schermi autostereoscopici sfruttano i principi della stereoscopia e liberano l’utente finale dal peso di occhiali e simili, sovrapponendo alla superficie emittente lenti lenticolari o barriere di parallasse. Le tecniche di realtà virtuale emerse negli anni Novanta basano la percezione della terza dimensione sulla stereoscopia: all’interno di un visore, due schermi proiettano immagini lievemente differenti direttamente sugli occhi. La ­spazializzazione del suono completa l’illusione.

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