TAXILA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

Vedi TAXILA dell'anno: 1966 - 1973

TAXILA

M. Taddei

Città del Pangiab occidentale (Pakistan), ben nota nell'antichità sia per la grande prosperità commerciale che per la sua posizione di preminenza come centro di cultura. Essa era posta alla confluenza di tre strade di grande comunicazione: una che conduceva da Pataliputra (oggi Patna, nel Bihar) alle province nord-occidentali dell'impero Maurya; una seconda che congiungeva i centri dell'Asia occidentale a T. attraverso Balkh (Bactra), Begram (Kapishi), Charsada (Pushkalavati) e Hund (Udabhandapura); una terza che dal Kashmir conduceva in Asia Centrale.

T. è la trascrizione greca del nome sanscrito Takṣaśilà (pāli Takhaśilā), riportato già dal Rāmāyana e dal Mahābhārata. Il sito è stato da tempo identificato in un gruppo di monticoli disseminati su vasta area nei pressi di Hasan Abdal, lungo la strada che da Lahore conduce a Peshawar, a circa 20 miglia da Rawalpindi, verso Attok. Comprende i tre centri urbani del Bhir Mound, di Sirkap e di Sirsukh e numerosi complessi religiosi.

Sebbene la zona fosse da tempo sfruttata da dilettanti e da clandestini, gli scavi regolari furono iniziati da Sir John Marshall solo nel 1913. Essi ci permettono di seguire con sufficiente chiarezza le vicende della città, dal VI sec. a. C. fino alla conquista di Mahmud di Ghazni (nel 1013). Le ricerche condotte dal Marshall a T. fino al 1934 hanno avuto alcune integrazioni grazie agli scavi del 1944-45. Di questi, il Ghosh ha pubblicato soltanto i saggi condotti a Sirkap; lo scavo del Bhir Mound è rimasto inedito. Un nuovo programma di scavi è allo studio del Dipartimento di Archeologia del Pakistan.

1. Storia. - Ricordata più volte nella letteratura epica ed in quella buddista, in ispecie nelle raccolte di jātaka, assai spesso insieme con Pushkalavati (in cui gli scavi recenti di Sir Mortimer Wheeler hanno effettivamente rivelato un notevole parallelismo con lo sviluppo di T.), T. ci appare essere stata un centro di prim'ordine ed aver goduto d'una fama di grande antichità.

La ricerca archeologica ha permesso di risalire solo fino al VI sec. a. C., quando la regione fu assorbita dall'impero persiano ad opera di Ciro o di Dario. Più che nel campo della produzione artistica, la dominazione achemènide lasciò le sue tracce nella struttura economica e politica della regione: sistema satrapale, uso ufficiale dell'aramaico da cui nacque l'alfabeto kharoṣṭhī; impiego di basi ponderali achemènidi nella monetazione. Infatti, gli splendidi esemplari di oreficeria e di glittica achemènidi rinvenuti negli scavi del Bhir Mound furono importati a T. solo al momento della conquista di Alessandro o poco dopo, forse come bottino di guerra, e restano per ora un fenomeno isolato.

La conquista di Alessandro trovò la regione libera dal dominio achemènide e frantumata in numerosi stati indipendenti. Il tentativo di restaurazione d'un dominio imperiale persiano compiuto dal Macedone durò assai poco: Chandragupta, il fondatore dell'impero Maurya, impadronitosi di T., costrinse Seleuco Nicatore a cedere i suoi diritti di diadoco sul Pangiab, il Gandhāra e parte dell'Arachosia e della Gedrosia. T. divenne capitale ausiliaria sede di viceré. L'organizzazione efficiente anche se non troppo scrupolosa dell'amministrazione Maurya (di cui abbiamo notizie dal greco Megastene che fu ambasciatore di Seleuco verso il 300 a. C.) si modificò probabilmente con la conversione di Ashoka al buddismo (262 a. C.). Non è facile giudicare quanto rivoluzionaria sia stata nella realtà la crisi spirituale del sovrano; sembra comunque certo che la mania edilizia di Ashoka (il quale era stato viceré di T. durante il regno di suo padre Bindusara) abbia lasciato buone tracce nella metropoli del Pangiab: è esemplare il grande Dharmarājika Stūpa. Dal III sec. a. C. in poi il buddismo affonda le sue radici profondamente, sì che- quantunque esso non sia mai stato l'unico credo religioso seguito a T. - la città assunse un carattere, che conservano tuttora le sue rovine, schiettamente buddista. Intollerante del dominio Maurya già al tempo di Bindusara e poi di Ashoka, come ci informa l'Aśokāvadāna, T. si liberò da ogni dipendenza nei confronti del Magadha approfittando della grave crisi dell'impero seguita alla morte di Ashoka (232 a. C.).

Nel breve periodo d'indipendenza s'inserisce la spedizione (narrata da Polibio) di Antioco III il Grande che ricevette la sottomissione del regnante di T. Saubhagasena, forse di stirpe Maurya. Si trattò più che altro d'una ricognizione: per T. fu l'inizio d'una serie ininterrotta di conquiste da parte dei regoli indo-greci (II sec. a. C.), prima l'eutidemide Demetrio (ma contra Narain), quindi Eucratide, la cui marcia fu arrestata nel Pangiab dal celebre Menandro, che una pia leggenda riportata dal Milindapañha ci dice essersi convertito al buddhismo. Gli Indo-Greci (v.) non apportarono gran mutamento al sistema amministrativo, che doveva essere sostanzialmente ancora quello achemènide. È invece lecito supporre che un forte influsso abbiano essi esercitato nelle arti e nelle tecniche artigianali. Quantunque, però, sia spesso avvenuto di spiegare con il precedente indo-greco fatti artistici più tardi, in particolare l'arte del Gandhara (v.), l'unica documentazione artistica di questo periodo era finora rappresentata dalle monete di tipo ellenistico; ma ora gli scavi francesi di Ai Khanum (Bull. Corr. Hell., 1965, p. 590 ss.) hanno individuato una città ellenistica. Agli Indo-Greci si deve la fondazione della seconda T. (Sirkap), costruita, a differenza del caotico Bhir Mound (la T. achemènide e greca), secondo uno schema ortogonale.

L'impronta caratteristica a Sirkap fu però data dai successivi conquistatori, gli Shaka (Sciti) ed i Parthi. Giunto dall'Asia interiore sotto la guida di un capo di nome Maues o Mauakes (in grafia kharoṣṭhī Moa o Moga), un gruppo di Sciti pose fine alla dominazione greca a T. (circa 70 a. C.). Tutt'altro che restii ad assimilare la cultura dei loro predecessori, i nuovi sovrani Shaka non apportarono grandi cambiamenti alla struttura organizzativa della città: Azes I, Azilises, Azes II (che secondo alcuni sono da considerarsi già Parthi) permisero a Sirkap di svilupparsi secondo l'indirizzo impressole dagli Indo-Greci. Con Azes II i rapporti commerciali con l'India, già fiorenti, si stringono vieppiù: T., che era stata tagliata fuori dall'India con il declino dell'impero Maurya, stabilisce ora contatti con la prima grande cultura schiettamente indiana, quella Āndhra. Abituati a giudicare una cultura dalla cosiddetta "grande" arte, gli studiosi occidentali hanno ingiustamente sottovalutato l'apporto degli Shaka. La gioielleria di Sirkap, come ben vide il Rostovtzeff, presenta chiari elementi scitici che si mescolano, con risultati spesso ottimi, ad elementi ellenici ed indiani.

Gli Shaka furono soppiantati (circa 20 d. C.) dal partho Gondophares, il cui nome ci è familiare grazie alla leggenda di San Tomaso narrataci dagli Atti apocrifi degli Apostoli e alla biografia del filosofo pitagorico cappadoce Apollonio di Tiana, scritta da Filostrato durante il regno di Settimio Severo. Anche a T. i Parthi mostrarono uno spiccato filellenismo, forse qui in funzione anti-indiana come in funzione anti-romana era il filellenismo da loro professato in Occidente.

Ma la dominazione parthica, turbata da contrasti interni, fu presto spazzata via dai nuovi invasori Kuṣāna che, sospinti nella valle del Kābul, nel Gandhāra, nel Pangiab e nel Sind a causa di complessi fenomeni migratori iniziatisi nel II sec. a. C., fecero di T. uno dei maggiori centri del loro impero (poco dopo il 6o d. C.). Il primo dei dinasti Kuṣāna, Kujula Kadphises, sembra che abbia spartito il suo potere nella valle del Kābul con l'ultimo degli Indo-Greci Hermaios; ma è forse più probabile che Hermaios fosse già stato abbattuto dai Parthi e che il suo nome, che accompagna quello di Kujula nelle prime monete di questi, fosse nulla più che un richiamo legittimistico. T., con il Gandhāra, fu comunque aggiunta ai dominî Kuṣāna non prima di Vima Kadphises, figlio di Kujula. Il nome della dinastia è strettamente legato alla cosiddetta arte del Gandhāra, che a T. assume però sostanzialmente l'aspetto d'un fenomeno d'importazione, almeno nella fase più antica. Il classicismo gandharico trova anche riscontro nell'atteggiamento politico dei Kuṣāna che, se pur non giunsero mai ad un esplicito accordo militare con Roma, pure contribuirono al tentativo di isolamento degli Arsacidi, con l'adozione della base monetale aurea di Roma. Gli scambî commerciali con l'impero romano si intensificarono durante il regno del più grande dei Kuṣāna, Kaniṣhka (data probabile di assunzione al trono: 144 d. C.), con il quale la storia di T. viene a coincidere con quella di gran parte dell'India. Sirsukh, la T. kuṣāna, non è stata scavata che in minima parte: per questo periodo la miglior documentazione archeologica ci viene dai centri religiosi, il che rischia di darci un immagine distorta della terza Tascila.

Se, come è stato di recente proposto (J. Pirenne), la data del Periplo del Mare Eritreo va abbassata di parecchio, è probabile che esso rispecchi una situazione commerciale quale si manifestò durante il regno di Kanishka: periodo in cui sembra cadere uno dei momenti di maggior produzione dell'arte del Gandhāra (v. Romana arte, Esportazione, XI B).

Caduto sotto l'urto dei Sassanidi l'ultimo grande Kuṣāna Vasudeva poco dopo il 230 d. C., non per questo viene a mancare del tutto il prestigio della dinastia, come documentano le numerose monete battute a imitazione dei conî di Vasudeva che si son ritrovate a Taxila. Assai più grave di conseguenze fu la seconda ondata sassanide, sotto Shāpūr II (poco dopo il 350 d. C.): la monetazione del Pangiab appare essere caduta in seguito a tali eventi sotto il controllo persiano.

2. Bhir Mound. - I saggi eseguiti nella collinetta nota come Bhir Mound hanno chiarito una successione stratigrafica (quattro strati, di cui il primo, assai poco significativo, è in parte contemporaneo alla prima fase di Sirkap) che va dal V al II sec. a. C. E la più antica T., di cui lo scavo ha posto in luce uno dei quartieri più ricchi. Ciò nonostante l'aspetto dell'abitato è assai misero: case costruite con calcare e kañjūr senza eccessiva accuratezza, in ispecie nello strato più antico, e rivestite d'uno spesso intonaco di fango impastato con paglia. Le case, per il solito a due o più piani, consistevano di una corte interna con stanze che si aprivano sui lati; la loro costruzione avveniva senza alcun piano, si che la pianta del Bhir Mound appare delle più caotiche. Era però in funzione un sistema abbastanza efficiente di drenaggio e di scarico per i rifiuti in forma di pozzi di assorbimento. Meno sviluppato era, a quel che pare, il sistema di rifornimento idrico, affidato alla corrente della Tamra Nala e, forse, a pozzi fuori della città.

In uno scavo del 1944 fu anche posta in luce una struttura absidale, forse un edificio religioso.

Fra la ceramica, per lo più assai semplice e di carattere utilitario, compare la Northern Black Polished Ware, ma sembra essere assente la rozza ceramica grigia che a questa è solitamente associata. Tipiche del Bhir Mound sono le monete note come punch-marked coins (monete punzonate la cui emissione cessò nel N-O con la fine dell'impero Maurya, ma che erano ancora in uso nel I sec. d. C.), ma il reperto più interessante è il gruppo di oreficerie e di intagli per i quali si è supposta l'esistenza di artefici greci operanti a Taxila.

3. Sirkap. - La seconda T. giace a N-E del Bhir Mound, al di là della Tamra Nala, compresa tra le pendici della catena collinosa di Hathial a S ed il minore rilievo noto come Kachcha Kot a N e N-O, dal quale dista poco più di 400 m. Gli scavi del Marshall hanno posto parzialmente in luce un complesso urbano dal perimetro irregolare, difeso da mura di pietrame con bastioni disposti a intervalli non costanti. Il Marshall riconobbe sei successivi periodi di occupazione, di cui i due inferiori vennero assegnati ad età indo-greca (II sec. a. C.); la terza e la quarta città a contare dall'alto apparterrebbero al periodo Shaka (a partire da Azes I), la seconda al periodo parthico, la prima, infine, all'inizio dell'età Kuṣāna, quando T. fu nuovamente trasferita verso N-E. Secondo il Marshall, il perimetro N della Sirkap indo-greca avrebbe seguito il Kachcha Kot: la Sirkap shakaparthica sarebbe dunque una riduzione rispetto alla precedente.

Le indagini del Ghosh hanno permesso di modificare in parte questa visione: confermata l'esistenza d'una linea di fortificazioni lungo il Kachcha Kot, forse in mattoni, anziché in fango come riteneva il Marshall, è risultato in modo abbastanza sicuro (ma successive indagini potranno ancora modificare le nostre idee su questo punto controverso) che la città si spostò verso S- e non ridusse, anzi forse accrebbe la propria estensione- in seguito alla conquista shaka. La novità sostanziale apportata dagli Shaka fu quindi l'inclusione nella cinta urbana di parte dei colli di Hathial, la cui funzione strategica dovette apparire essenziale per la sicurezza della città.

La struttura ortogonale del tessuto viario deve essere considerata ellenistica piuttosto che indiana ed è certo dovuta all'elemento classico nella cultura shaka-parthica, quantunque l'India abbia prodotto un simile piano urbano circa due millenni avanti, a Mohenjo-daro.

Per quanto riguarda la stratigrafia, le correzioni apportate da Ghosh e Wheeler fanno spostare la fase più recente della città al II sec. d. C., cioè almeno all'età di Huvishka, successore di Kaniṣhka. Resta invece confermato che la maggior parte delle rovine conservate sono di età parthica.

Fra gli edifici religiosi di Sirkap merita particolare menzione il Sacello dell'Aquila bicipite, che contiene uno stūpa e si apre sulla strada principale, al pari di altri consimili edifici a Sirkap. L'interesse eccezionale di questo è dovuto al basamento dello stupa, scompartito da lesene corinzie, in cui si aprono nicchie a mo' di portale classico con timpano, di portale ad arco carenato con volute all'imposta dell'arco sui dritti, infine di toraṇa indiano. Dei volatili, forse delle aquile- una delle quali sembra essere bicipite- sono appollaiati sul culmine delle nicchie ad arco carenato e a torana. Tutti questi motivi cosi diversi per origine sono evidentemente di enorme importanza e quasi riassumono il carattere composito della cultura di T. in età shaka-parthica.

Più che per le caratteristiche architettoniche che suggeriscono un adattamento locale di uno schema assai diffuso in India (un confronto assai interessante può farsi con il vihāra di Gumbat, nello Swat), il grande Tempio Absidato (circa inizio dell'èra nostra), che dà anch'esso sulla strada principale (circa 44 m sulla fronte, 73 m in profondità), è importante per la messe di sculture di stucco, da considerarsi come una delle più antiche manifestazioni di arte del Gandhāra.

Nella parte alta (meridionale) di Sirkap, sono uno stūpa ed un monastero, che, secondo la tradizione riportata da Hsiuan-chang, furono eretti in memoria di Kunala, il figlio di Ashoka che fu privato della vista per gli intrighi della matrigna. Nel loro aspetto attuale, sia lo stūpa che il sañghārāma risalgono al III-IV sec., ad un periodo, cioè, in cui l'abitato si era già trasferito a Sirsukh, ma all'interno della muratura dello stūpa è stato rinvenuto uno stūpa più piccolo, anteriore all'abbandono di Sirkap.

Fra i reperti sono di grande interesse i piattelli figurati di pietra (i cosiddetti toilet-trays) che in parte forse precedono la produzione gandharica, ma in parte l'accompagnano; essi provengono in prevalenza dagli strati "parthici" di Sirkap.

4. Sirsukh. - Gli scavi limitatissimi condotti nella terza T., situata a N-N-E di Sirkap, oltre la Lundi Nala, hanno posto in luce una parte minima d'una città dal perimetro approssimativamente rettangolare, la cui fondazione risale all'età del Kuṣāna Vima Kadphises secondo il Marshall, ipotesi che è forse da correggersi in seguito agli scavi del Ghosh a Sirkap.

Le mura di Sirsukh presentano, rispetto a quelle di Sirkap, delle differenze fondamentali: la tessitura muraria molto più accurata ed i bastioni che sono a pianta semicircolare anziché rettangolare ed hanno il piano inferiore praticabile. All'esterno, le mura di Sirsukh presentano un elemento caratteristico: un rinforzo murario bombato, inteso sia a rinforzarne la struttura, sia a proteggerle da opere poliorcetiche di scavo.

5. Jandial. - Il più singolare fra i monumenti religiosi di T. sorge su di un monticolo artificiale a circa 6oo m a N delle mura di Sirkap, tra la Tamra Nala e la Lundi Nala, dove probabilmente passava l'antica strada per l'Indo ed il Gandhāra.

Esso presenta notevoli affinità con il tempio greco, come indicano in modo evidente anche le due colonne ioniche rinvenute. E del tipo doppio in antis ed è periptero, ma gli pterà sono rappresentati, anziché da un peristilio, da una cortina muraria e l'opisthòdomos è costituito da una massa muraria compatta in cui è praticata una scala: su di esso sembra che si elevasse una torre, un supposto pirèo.

Esso è forse da identificarsi con il tempio descritto da Filostrato nella sua Vita di Apollonio di Tiana (II, 20) ed è quindi assegnabile ad età shaka-parthica (ad età greca, secondo il Marshall). Assai più incerta è l'identificazione del culto che vi si praticava; che si tratti d'un tempio zoroastriano è ipotesi generalmente accettata più per via di esclusione che per alcun dato preciso e determinante. In particolare, se accettiamo di vedere nel tempio di Jandial quello descritto da Filostrato, resta assai difficile spiegare la presenza, in un tempio zoroastriano, di rilievi narranti le vicende di Alessandro e Poro, come osserva il Monneret de Villard; d'altra parte, alla identificazione del tempio con quello visto da Apollonio si oppongono alcuni elementi non trascurabili, fra cui il termine περικίων, equivalente a περίστυλος, che non corrisponde alla realtà.

6. Gli stūpa ed i monasteri. - Dei santuarî di T., comprendenti stūpa e sañghārāma, ricordiamo i più significativi, oltre quello già citato di Kunala: Dharmarājika, Kālawān, Giri, Mohra Morādu, Pippala, Jauliān e Bhamala. Da essi proviene la gran messe di sculture del Gandhāra, in pietra e in stucco, che fanno del museo di T. uno dei più importanti per lo studio di quest'arte. Anziché descrivere dettagliatamente i diversi siti, limitiamoci a seguire l'evoluzione dello stūpa e del sanghārāma a T., seguendo le linee generali di sviluppo poste in evidenza dal Marshall.

Il Dharmarājika (o Chir Tope) è un adattamento del tipo più antico di stūpa, a pianta circolare, quale, nelle regioni di N-O, ci è documentato dallo stūpa di Chakpat (valle dello Swat; Stato del Dir), ora in pessime condizioni ma noto nella sua forma originaria grazie alle fotografie del Caddy pubblicate dal Foucher (L'art gréco-bouddhique du Gandhâra, i, Parigi 1905, p. 67 ss., figg. 10-12). Analogo a quello del Dharmarājika è lo schema dello stūpa di Manikyala (presso Rawalpindi) e quello di Jamalgarhi, nonché quello, di recente posto in luce, di Butkara I (Swat). Più tardi, l'influenza ellenistica, che impronta di sé tutta la produzione artistica del Gandhāra, si fa sentire sia nella sostituzione d'un plinto quadrato a quello rotondo, sia nell'aggiunta di elementi architettonici classici alla struttura dello stūpa: pilastrini pseudo-corinzî, cornici a foglie d'acanto, mensole. Quindi si assiste ad un'altra profonda trasformazione: il plinto- anche nei casi in cui abbia conservato l'antica forma rotonda- viene scompartito da modanature e, per così dire, si raddoppia; la tendenza al verticalismo si accentua con l'innalzarsi degli ombrelli che assumono un predominio sempre maggiore in rapporto con gli altri elementi dello stūpa. Al tempo stesso le pareti s'infittiscono di immagini, per lo più entro nicchie, che tendono a coprire ogni spazio disponibile, come- meglio che altrove- può vedersi a Jaulian.

Per il sañghārāma (abitazione della comunità monastica) T. - ad eccezione forse del Dharmarājika- non ci fornisce alcun esempio del primitivo vihāra privo di difese e soltanto protetto alla buona dagli sguardi indiscreti. I monasteri di T. seguono lo schema più tardo tipico del Gandhāra con le celle che si aprono su una corte interna protetta da alte mura. Questo tipo, che sembra essere apparso nel N-O nel I sec. d. C., ha la sua giustificazione sovrattutto nel pericolo di invasione sempre incombente in quel territorio: vere e proprie fortificazioni, forse appositamente costruite per la difesa dei monaci, proteggono i monasteri di Giri.

7. Monetazione. - Le più antiche monete rinvenute a T. (Bhir Mound) appartengono probabilmente al IV sec. a. C., ma nulla ci dice che esse (che sono d'argento, a forma di sbarretta allungata con un simbolo a mo' di ruota) fossero coniate nella stessa Taxila. Di coniazione locale si può forse parlare a partire dall'età Maurya, quando compaiono delle monete punzonate che recano un simbolo, a quanto pare, riferibile alla zecca di Taxila.

Nel periodo dell'autonomia di T., secondo J. Allan, ma già a partire dal III sec. a. C., durante il dominio Maurya, come propone il Marshall, fanno la loro comparsa le serie monetali di rame con i tipici simboli di T.: svastica, croce, chaitya e mezzaluna, loto, leone, elefante e- da ultimo, sotto l'influsso greco- cavallo. A quanto pare, queste monete restarono in corso anche durante il dominio Kuṣāna.

I primi Indo-Greci che in modo stabile imposero il loro dominio sulla città sono probabilmente Agatocle e Pantaleone, le cui monete, modellate su quelle di T. autonoma, furono trovate in associazione con queste ultime dal Cunningham.

Le monete indo-greche rinvenute a T. rappresentano, come rileva J. Allan, un'ottima esemplificazione della monetazione di quel periodo e- in linea di massima- si può stabilire che i pezzi d'argento erano coniati e circolavano a O di T., mentre le coniazioni locali erano prevalentemente in rame. L'esame dei tipi- particolarmente significativi quelli con l'elefante- permette di ritenere che la zecca di T. fu usata da Apollodoto, Menandro, Eliocle, Licia e Antialcida (v. indo-greci).

Le più antiche monete di Maues recano come emblemi il cavallo e l'arco nel turcasso, di origine parthica; successivamente egli si indirizzò invece verso tipi indo-greci, come la testa di elefante con il caduceo, che è il più comune. La monetazione shaka- che già all'epoca di Maues aveva una delle sue zecche a T. - è caratterizzata da una gran quantità di tipi; il più comune a T. è, con Azes I, il re seduto ed Hermes, mentre Azes II preferisce il tipo con il re a cavallo e Zeus Nikephòros, peraltro abbastanza frequente già con Azes I. Delle monete di Azilises possono essere attribuite alla zecca di T. quelle con il re a cavallo e Zeus stante con lo scettro, fra le emissioni in argento, e quelle con l'elefante ed il toro, fra le emissioni in rame. Nel periodo di Azes II, che vede un impoverimento del metallo (probabilmente dovuto ai sempre più frequenti contatti con l'impero Āndhra) si fanno più comuni le imitazioni di conî di Hermaios: alcune di queste possono attribursi- come s'è visto- ad età kuṣāna

La monetazione indo-parthica, a T., non è che la continuazione di quella shaka, né si può stabilire alcun punto di cesura, giacché Aspavarma, satrapo di T. sotto Azes II, conservò la sua carica sotto il partho Gondophares.

Un quadro assai meno rispondente alla realtà è quello che si può tracciare per le monete Kuṣāna a T., data la scarsa estensione dello scavo nell'abitato di Sirsukh. Limitiamoci ad osservare che il gruppo più cospicuo rinvenuto a Sirkap è quello di monete del tipo di Hermaios con il nome di Kujula Kadphises provenienti dagli strati III e II. Le monete posteriori, tardo-Kuṣāna, kidarite, sassanidi, eftalite, kashmire e degli Shahi di Hund, provengono in gran maggioranza dai centri religiosi.

Bibl.: Per le fonti antiche, v.: Fa Hien, A Record of Buddhist Kingdoms, being an account of his travels in India and Ceylon (A. D. 399-414), (trad. e note di J. Legge), Oxford 1886; Hiuen Thsang, Si-yu-ki, Buddhist Records of the Western World (trad. s. Beal), 2 voll., Londra 1884; Jātaka or Stories of the Buddha's Former Births (trad. E. B. Cowell), 7 voll., Cambridge 1895-1907; J. W. McCrindle, Ancient India as described by Megasthenes and Arrian, Calcutta-Bombay-Londra 1877; id., The Invasion of India by Alexander the Great as described by Arrian, Q. Curtius, Diodorus, Plutarch and Justin, Westminster 1896; id., Ancient India as described in classical literature, being a collection of Greek and Latin texts relating to India extracted from Herodotus, Strabo, Diodorus Siculus, Pliny, Aelian, Philostratus, etc., Westminster 1901; Philostratus, The Life of Apollonius of Tyana (con trad. di F. C. Conybeare), 2 voll., New York 1912 (rist. Londra-Cambridge Mass. 1960); Th. Watters, On Yuan Chwang's Travels in India, 2 voll., Londra 1904-5. - Per la via di comunicazione che legava T. alla Battriana e per la storia della regione, v. A. Foucher, La vieille route de l'Inde de Bactres à Taxila (Mém. Délégation Arch. Franç. en Afghanistan), 2 voll., Parigi 1942-47. In generale, per il commercio con l'Occidente: M. Wheeler, Rome beyond the Imperial Frontiers, Londra 1954. - Gli scavi del Marshall dal 1913 al 1934 sono pubblicati in un'opera che è alla base d'ogni studio su T.: J. Marshall, Taxila, 3 voll., Cambridge 1951. I lavori precedenti, comprese le relazioni di scavo pubblicate negli Annual Reports Arch. Survey of India, sono elencati in H. Deydier, Contribution à l'étude de l'art du Gandhāra, Parigi 1950. DI essi ricordiamo: G. M. Young, A New Hoard from Taxila (Bhir Mound), in Ancient India, I, 1946, e soprattutto A. Ghosh, Taxila (Sirkap), 1944-5, ibid., IV, 1947-48. Maggior conto delle voci dalla sua discordanti è tenuto dal Marshall in A Guide to Taxila, IV ed., Cambridge 1960. Su Jauliān è ancora utile J. Marshall, Excavations at Taxila. The Stupas and Monasteries at Jauliān (Arch. Survey of India, Memoir no. 7), Calcutta 1921. Un breve sommario degli scavi è in Y. D. Sharma, Exploration of Historical Sites, in Ancient India, IX, 1953, p. 131 ss. - Su Jandial si veda: B. Rowland, Notes on the Ionic Architecture in the East, in Am. Journ. of Arch., XXXIX, 1935; U. Monneret de Villard, The Iranian Temple of Taxila, in Survey of Persian Art, I, New York 1938; H. Schaefer, The Gandhāra Temples and their Near-Eastern Sources, in Journ. Am. Oriental Society, LXII, 1942; R. Ghirshman, La tour de Nourabad: étude sur les temples iraniens anciens, in Syria, XXIV, 1944-45; G. Gullini, Architettura iranica, Torino 1964, p. 336 ss. - Sull'evoluzione dello stūpa con particolare riguardo a T., da ultimo, si veda: H. G. Franz, Ein unbekannter Stūpa der Sammlung Gai und die Entwicklung des Stūpa im Gebiet des alten Gandhāra, in Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft, CIX, 1959; M. Bénisti, Étude sur le stūpa dans l'Inde ancienne, in Bulletin de l'École Française d'Extrême-Orient, L, 1960. - Per lo studio del materiale artistico di T., che è raccolto nel museo archeologico locale e- in piccola parte- nel Museo Nazionale del Pakistan a Karachi (vedi il notiziario che si pubblica in Museum Journal of Pakistan e Gandhara Sculpture in the National Museum of Pakistan, Karachi 1956), sono essenziali: H. Buchthal, The Western Aspects of Gandhara Sculpture, in Proceedings of the British Academy, XXXI, 1945; J. E. Van Lohuizen de Leeuw, The "Scythian" Period, Leida 1949; M. Bussagli, Osservazioni sulla persistenza delle forme ellenistiche nell'arte del Gandhāra, in Rivista dell'Istituto di Archeologia e Storia dell'Arte, V-VI, 1956-57; H. Ingholt, Gandhāran Art in Pakistan, New York 1957; J. Marshall, The Buddhist Art of Gandhāra (Memoirs of the Department of Archaeology in Pakistan, I), Cambridge 1960; nonché il catalogo delle sculture in Marshall, Taxila, cit., II, redatto da H. Hargreaves. Sulla questione dell'origine dello schisto e delle località di produzione delle sculture di T.: L. Courtois, in Arts Asiatiques, IX, 1962-63, 1-2. - Sui monili di T., oltre alle relazioni di scavo, si vedano: J. H. Marshall, Buddhist Gold Jewellery, in Annual Reports Arch. Survey of India, 1902-03; M. Rostovtzeff, Dura-Europos and its Art, Oxford 1938; id., The Social and Economic History of the Hellenistic World, Oxford 1941 (fondamentale anche per i rapporti di T. con il mondo ellenistico); H. C. Beck, The Beads from Taxila (Archaeological Survey of India, Memoir no. 65), Delhi 1941; W. E. Ward, Gold Pendant from Sirkap, in Bulletin of the Cleveland Museum, XLI, 1954. - Per le monete si dovrà ricorrere ai cataloghi: P. Gardner, The Coins og Greek and Scythic Kings of Bactria and India in the British Museum, Londra 1886; V. A. Smith, Catalogue of the Coins in the Indian Museum, Calcutta 1906; R. B. Whitehead, Catalogue of the Coins in the Punjab Museum, Lahore, Oxford 1914. Per le monete e per la storia della regione, sono essenziali: W. W. Tarn, The Greeks in Bactria and in India, Cambridge 1951; M. Th. Allouche-Le Page, L'art monétaire des royaumes bactriens, Parigi 1956; A. K. Narain, The Indo-Greeks, Oxford 1957. Ad essi si aggiungeranno, oltre ai contributi di E. H. C. Walsh, R. B. Whithead e J. Allan in Marshall, Taxila, cit., II, alcuni studî recenti sulla monetazione indo-greca, shaka, parthica e Kuṣāna: A. M. Simonetta, An Essay on the so called Indo-Greek Coinage, in East and West, VIII, 1957; A. S. Altekar, A Knotty Problem Connected with the Coinage of Azes, in American Numismatic Society Centennial Publication, New York 1958; A. M. Simonetta, A New Essay on the Indo-Greeks. The Sakas and the Pahlavas, in East and West, IX, 1958 (con ulteriore bibliografia); F. R. Allchin, Archaeology and the Date of Kanishka: The Taxila Evidence, in Conference on the Date of Kanishka, Londra 1960. Si veda anche, per altra bibliografia: R. Göbl, Bericht über die numismatischen Forschungen auf dem Gebiet der Sasaniden, Kuèān, Hephthaliten und Kidariten, in Congresso Internazionale di Numismatica, Roma 11-16 settembre 1961, I, Roma 1961, v. anche indo-greci.