TAVOLA ROTONDA

Enciclopedia Italiana (1937)

TAVOLA ROTONDA

Salvatore Battaglia

. Nel mondo fantastico della poesia cavalleresca medievale, e più precisamente francese, con Tavola rotonda (Table roonde) si designò un'ideale istituzione eroica sorta nella meravigliosa corte di Artù (Arturo), il leggendario re dei Bretoni: re e corte che furono assunti dalla letteratura europea, per tramite francese, a modello di perfetta e inimitabile cavalleria. La "Tavola rotonda", intorno a cui si disponevano i cavalieri arturiani, quando il re li radunava a corte, era il simbolo per chi ne faceva parte dell'assoluta eguaglianza e rappresentava per ciascuno l'impegno indefettibile di eccellere in ogni impresa d'arme.

L'espressione ci risulta per la prima volta dal Brut (o, con titolo più complessivo, Geste de Bretons), del "chierico" Wace (v.), che in questo vasto poema traduceva in facili ottonarî francesi, intorno al 1155, la leggendaria Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (v.). Il poema di Wace è la prima vasta compilazione francese, attraverso cui si divulga il gusto per le leggende bretoni, connesse tutte intorno alla corte del re Artù, che nella tradizione bretone rappresenta l'eroe indigeno, nobile e infelice difensore della libertà nazionale contro gli Anglosassoni, i barbari invasori d'oltremare (secondo la realtà storica si dovrebbe risalire agli anni 450-510 d. C.), ma che nella nuova e più squisita anima francese si tramuta nel mitico depositario d'ogni "cavalleria". Wace ha ampliato e arricchito le narrazioni che traduceva, forse ricorrendo ad altri testi e puranche tesoreggiando tradizioni orali; cosicché gli è accaduto d'inserire, per primo anche rispetto a Goffredo di Monmouth (1135), un'esplicita allusione alla Table roonde e ai cavalieri di cui conosceva le mirabili e innumerevoli gesta:

Por les nobles barons qu'il ot...

Fist Artus la roonde table,

Don Breton dieut mainte fable:

Iloc seeient li vassal

Tuit chevalment et tuit igual

(v. 9994 segg.).

Nel moltiplicarsi delle "avventure", attraverso alla lussureggiante produzione letteraria francese e successivamente europea, dapprima in forma episodica, con poemi che celebravano la vita eroica di questo o quel cavaliere arturiano, poi in organismi complessivi e ciclici, la materia della Tavola rotonda non soltanto assunse vaste proporzioni e si diramò per numerose vie ad alimentare la fantasia romanzesca e sentimentale dell'Europa cavalleresca, ma si rivestì anche nel corso della sua diffusione di nuovi significati umani e lirici e seppe evolversi perfino verso valori più complessi, di natura religiosa, mistica, simbolica.

Il problema genetico di questa "materia" leggendaria è tra i più importanti per rintracciare la formazione della cultura poetica medievale e romanza; indubbiamente le sue origini, almeno negli schemi più generali e rispetto agli eroi principalì e anche ai motivi fondamentali, risalgono alla cultura bretone, sia quella della Gran Bretagna, e precisamente del Galles e della Cornovaglia, sia quella dell'Armorica o della Bretagna francese - i paesi cioè nei quali persiste la vita celtica (e da Gildas, a Nennio, a Goffredo di Monmouth, fino alla più tarda raccolta di Mabinogion, sono molteplici le testimonianze di una vivace tradizione folcloristica); ma è anche certo che la rielaborazione per vie e forme più estetiche e più evolute è dovuta alla cultura francese, in seguito alla stretta e operosa collaborazione iniziatasi con l'occupazione normanna (secolo XI) e intensificatasi durante il regno di Enrico II (sec. XII, il più decisivo per la vita intellettuale della Francia). Ed è naturale che nella prima fase i contatti siano maggiori e i riferimenti a cose, fatti, paesi, nomi bretoni risultino più frequenti e autentici; poi, col volger degli anni e coll'evolversi del "genere" poetico, il colore bretone si ridusse via via a un puro mezzo decorativo e sopravvisse solamente come civetteria letteraria: la terra dei Bretoni significò la patria della favola, dell'esistenza meravigliosa, delle avventure più fantastiche, venne a simboleggiare il fascino dell'esotico, dell'oltremare, dell'ignoto.

Per Maria di Francia (v.), che per i suoi Lais (1160-1170 circa) e per la sua stessa educazione poetica si rifà alla cultura franco-inglese, la corte di re Artù non è che un elemento tra i molteplici motivi ch'essa pare derivare dalle tradizioni celtiche; fra i suoi dieci Lais che narrano amori e avventure in terra francese e bretone, soltanto uno, quello delizioso di Lanval, si riconnette all'ambiente arturiano; anche la leggenda di Tristano e Isotta (v.), pur'essa di origine bretone, si sviluppa per vie autonome e solo in un secondo tempo è ricollegata alla Tavola rotonda. È soltanto con Chrétien de Troyes (v.; 1170-1180 circa) che i cavalieri e le avventure della Tavola rotonda sono seguiti e svolti organicamente e soprattutto con la coscienza di costruire un mondo cavalleresco e umano segnato da una particolare psicologia e sorretto da una consapevole etica. Chrétien de Troyes è l'artista di questo mondo leggendario; egli ha dato vita con pochi materiali bretoni e con la sua educazione letteraria di tipo ovidiano e trovatorico a una serie di esistenze eroiche e sentimentali, ansiose d'avventura e di gloria, pensose della dedizione amorosa e della perfetta vita cortese: Érec et Énide, Cligès, Lancelot, Ivain rappresentano l'affinamento sempre più rigoroso della morale cavalleresca, fino all'idealizzamento misticheggiante di Perceval (o Le roman du Graal), che orienta questa cultura psicologica e aristocratica verso aspirazioni religiose. Ma mentre per Chrétien il Gral (v.) non è che un espediente per suscitare nuove avventure e avvilupparle in un'atmosfera di più prestigioso mistero, nei continuatori si riveste di sottile e complicato simbolismo, inteso a giustificare e trasfigurare le idealità cortesi e cavalleresche in una ortodossia morale e religiosa: in definitiva, il Gral diventa la significazione della più pura esperienza cristiana.

Il Perceval di Chrétien rimaneva interrotto, ma numerosi ne furono i continuatori: dalla continuazione di un anonimo francese (che seguiva le fila dell'esistenza di Gauvain) al celebre Parzival di Wolfram d'Eschenbach, mentre la vera e propria avventura del Gral era ripresa da un certo Gaucher de Denain (o de Dourdan) e in seguito, intorno al 1220, da Ménessier, fino alla lunga compilazione di Gerbert de Montreuil (l'autore del delizioso Roman de la Violette) pervenutaci in un testo alquanto adulterato (ediz. 1922-23, nei Classiques franç.). Tuttavia, contemporaneamente, Robert de Boron, alla fine del sec. XII o ai primi del successivo, rielaborava la materia in una specie di trilogia: Joseph d'Arimathie, Merlin e Perceval. Leggende e motivi dapprima indipendenti e aberranti si vennero così a sistemare in una grande storia, conchiusa in cinque vasti cicli: l'Estoire del Saint Graal, Merlin, Lancelot, La Queste del Saint Graal, La Mort Artu, cioè la più completa enciclopedia della fascinosa Tavola rotonda, per la quale il tradizionale distico ottonario parve insufficiente e fu necessario ricorrere alla struttura più dispiegata e più duttile della prosa (quella prosa francese a cui Dante concedeva il primato fra tutte le lingue romanze, specie per le "Arturi regis ambages pulcerrimae", De vulg. Eloquentia, I, 10): il corpus dell'epopea arturiana veniva a risultare secondo un ordine cronologico, che ha inizio dal momento in cui Giuseppe di Arimatea, il depositario della reliquia del Gral, emigra nella Gran Bretagna, fino alla morte di Artù, con cui termina la "santa" cavalleria.

L'intero Duecento francese è pervaso da questo gusto letterario, attraverso il quale si celebravano le spirituali ambizioni d'una classe privilegiata e si esaltava il senso della vita avventurosa, misteriosa, magica, l'eroismo che non conosce limiti, il sacrificio per una causa giusta, per il trionfo della verità, per la santità di una idea, di una passione, di una fede; si moltiplicarono, durante il secolo, i romanzi biografici, nei quali era tracciata la vita prodigiosa dei singoli cavalieri (e qualche volta un solo episodio), tra cui fu celebre Galvano (Gauvain et le vert Chevalier; L'atre perilleux; Gauvain et l'échiquier; La vengeance Raguidel; La mule sans frein, ecc.), senza dire dei minori (Fergus; Ider; Mériadeuc; Durmart; Guinglain, ch'era figlio di Galvano; Méraugis de Portlesguez, di Raoul de Houdenc; Torec; Beaudous, di Robert de Blois, ecc.); e questo complesso di poemi e di leggende, di avventure e di cavalieri, di spiriti e forme, si comunicò alle letterature europee, dapprima nei territorî fiamminghi e tedeschi (Hartmann von Aue, che rifece Erec e Iwein dai modelli di Chrétien; il celebre Wolfram von Eschenbach con il suo Parzival; Ulrico di Zatzikhoven, autore della compilazione Lanzelet, ecc.), poi in Italia (dove la materia di Bretagna fu rielaborata da Rusticiano da Pisa, verso il 1270, in un poema Meliadus, dettato in francese; dai romanzi di Tristano, di Lancillotto e di Meliaduse derivano le compilazioni italiane: il Tristano Riccardiano, il Tristano Veneto, la Tavola Ritonda), nella Provenza (un bel romanzo arturiano: Jaufre), in Spagna e nel Portogallo (diversi testi della Mesa Redonda e della Demanda del San Grial), in Inghilterra (si pensi al Malory): tanto che, in pieno Rinascimento, la tecnica del romanzo bretone arturiano risultava ancora vitale e variamente produttiva, fino al Boiardo, all'Ariosto, al Cervantes.

Bibl.: Si veda sotto i varî autori; si cfr. soprattutto le voci gral; tristano. Si citano qui i lavori fondamentali: E. Faral, La légende arthurienne, Parigi 1929, voll. 3 (nella Bibl. de l'École des Hautes Études); importante, anche se rimasto incompleto, l'articolo-recensione di P. Rajna, Per le origini e la storia primitiva del ciclo brettone, in Studi medievali, III (1930), pp. 201-265; J. D. Bruce, The evolution of Arthurian Romance from the beginning to the year 1300, Baltimora 1923, voll. 2 (nuova ediz. a cura di A. Hilka, 1928); id., Medioeval Studies, Parigi 1927; J. J. Parry, Arthurian Bibliography, I (1922-1929), New York 1931; Ch. B. Lewis, Classical Mythology and Arthurian Romances, Oxford 1932 (tesi errata); G. Cohen, Chrétien de Troyes, Parigi 1931; A. Schreiben, Kyot und Crestien, in Zeit. f. rom. Philologie, XLVIII (1928), pp. 1-52; G. Bertoni, Materiali per la storia della leggenda del San Gral in Francia, Roma 1930 (Testi romanzi, n. s., I); W. A. Nitze, The date of the Perlesvaus, in Modern Philology, XVII (1919), pp. 151 segg., 605 segg.; id., On the Chronology of the Grail Romances, Chicago 1923; id., Roman de l'Estoire dou Gral, Parigi 1927; A. Pauphilet, Études sur la Queste del Saint Graal, ivi 1921; id., La Queste del Saint Graal (ediz. nei Classiques franç. du moyen âge), ivi 1923; E. Gilson, Le mystique de la grâce dans la Queste del Saint Graal, in Romania, LI (1925), pp. 321-347; M. Lot-Borodine, Autour du Saint Graal, in Romania, LI (1925), pp. 321-347; M. Lot-Borodine, Autour du Saint Graal, ibid., LVI (1930), pp. 526-557; M. Wilmotte, L'état actuel des études sur la légende du Gral, in Bulletin de l'Ac. Royale de Belgique, s. 5a, XV (1929), pp. 100-122; XVI (1930), pp. 40-64, 97-119, 378-393; id., Le poème du Gral et ses auteurs, Parigi 1930; id., Le roman du Gral (traduz. e adattamento), ivi 1930. Inoltre: F. Lot, Études sur le Lancelot en prose, ivi 1918; O. Sommer, The vulgate version of the Arthurian prose romances, Washington 1909-13, voll. 7; A. Hilka, Die Jugendgeschichte Percevals im Prosa-Lancelot und in Prosa-Tristan, in Zeit. f. rom. Philologie, LII (1932), pp. 513-36. Per la Germania, si veda: W. Golther, Parzival und der Gral, Stoccarda 1925; id., Parsifal in der deutschen Literatur, Berlino 1929; G. V. Amoretti, Parzival (W. von Eschenbach, K. L. Immermann, R. Wagner), Pisa 1931; M. Wilmotte, Parzival par W. d'Eschenbach (introd. e trad.), Parigi 1933.

Per la Spagna e il Portogallo: A. Bonilla y San Martín, Libro del esforçado cavallero Tristan de Leonís, Madrid 1912; P. Bohigas Balaguer, Los textos espanoles y gallego-portugueses de la Demanda del Santo Grial, ivi 1925; K. Pietsch, Spanish Grail Fragments (El libro de Josep Abarimatia; La estoria de Merlin, Lançarote), Chicago 1924; G. T. Northup, El cuento de Tristan de Leonís (dall'unico ms. Vaticano 1428), Chicago 1928. Per il romanzo arturiano della Provenza: H. Breuer, Zum altprov. Artusroman, Jaufre, in Zeit. f. rom. Philologie, 1927; K. Lewent, Zum Jaufreroman, in Zeit. f. rom. Philologie, XLVIII (1928), pp. 581-650. Per l'Italia: il Tristano Riccardiano è edito da E. G. Parodi, Bologna 1896; la Tavola Rotonda da F. Polidori, ivi 1864; un adattamento moderno è dovuto a D. Banfi Malaguzzi, Storia di Messer Tristano e dei buoni cavalieri di Brettagna, Milano 1927; cfr. G. Bertoni, Il Duecento, ivi 1930; E. G. Gardner, The Arthurian Legend in Italian Literatur, Londra 1930.

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