TATTICA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

TATTICA (XXXIII, p. 323)

Giuseppe SANTORO
Romeo BERNOTTI

L'evoluzione della tattica fra le due guerre mondiali, e particolarmente durante la seconda, è stata dominata dall'avvento di fattori tecnici che hanno modificato la fisionomia della battaglia conferendole spiccate caratteristiche di potenza e accentuando le possibilità della manovra.

La potenza, che è sintesi di fuoco, di movimento e di urto, si realizza con lo sviluppo: dell'aviazione, che partecipa direttamente all'azione delle truppe terrestri; dell'artiglieria; della meccanizzazione, che porta alla costituzione di grandi unità corazzate e all'inserimento di formazioni corazzate nelle altre grandi unità; della fanteria, che da monoarma divente pluriarma.

Le possibilità della manovra si accrescono per effetto dei progressi della motorizzazione, che consente celerità di spostamento delle unità; del perfezionamento dei mezzi di collegamento che permettono di governare, più che per il passato, la battaglia; dell'impiego di carri armati i quali, oltre che mezzi di rottura, si sono dimostrati strumenti di manovra rapida e decisiva; della mobilità delle artiglierie; dell'impiego di truppe paracadutiste o aviotrasportate che, sbarcando alle spalle dei fronti difensivi, dànno luogo a manovre di aggiramento a largo raggio.

Attraverso l'evoluzione di questi fattori tecnici, al tradizionale binomio di attacco fanteria-artiglieria si è sostituito, nella battaglia moderna, un complesso più potente impostato su fanteria-carri-artiglieria-genio-aviazione: complesso strettamente cooperante, capace di concentrare rapidamente, in un tratto prescelto, una potenza prima sconosciuta e di agire con una forza di penetrazione eccezionale. Ma se tale potenza ha conferito maggiore celerità all'esecuzione dell'attacco, maggiore metodicità è stata necessaria nella sua organizzazione poiché, prima che esso sia sferrato, è necessario sia assicurata una schiacciante superiorità di mezzi, particolarmente di fuoco, dato che la difesa, come è detto oltre, per opporsi efficacemente a un attacco potente, deve concentrarsi e scaglionarsi in profondità ricorrendo a tutti i mezzi tecnici che la scienza pone al servizio della guerra. Per questo si impone la rarefazione delle formazioni, che dà forte impulso al combattimento di pattuglie, al combattimento notturno, all'abile sfruttamento del terreno - con conseguente necessità di ampliamento dei settori di azione delle minori unità - al mascheramento e all'impiego di nebbiogeni. Più laboriosa diviene la presa di contatto.

Le fronti avversarie non sono più, come per il passato, una vicina all'altra, ma i grossi dei due schieramenti sono separati dalla "terra di nessuno" (striscia larga qualche chilometro) nella quale, specie di notte, agiscono le pattuglie: di ricognizione per riconoscere i particolari della sistemazione avversaria del terreno; di sicurezza, che garantiscono i reparti da sorprese sul fronte, sul fianco e sul tergo; di combattimento, incaricate di infliggere danni e perdite all'avversario e di contrastare o impedire il pattugliamento nemico, di creare varchi nelle zone di ostacolo, di occupare con colpi di mano posizioni utili.

Lo schieramento delle unità attaccanti avviene su una zona di schieramento che risponde ai requisiti di vicinanza ai più avanzati centri di fuoco avversarî (idealmente a distanza di sicurezza dalla propria artiglieria operante su detti centri, al massimo a 7-800 m. corrispondenti ad una buona efficacia di fuoco del fucile mitragliatore); difendibilità, per il caso che il nemico prevenga l'attacco o che questo fallisca premuto in profondità dal contrattacco avversario; sicurezza alla vista e al tiro, ricorrendo, se necessario, a movimenti di notte o col favore di nebbia artificiale.

L'attacco è preceduto dal potente martellamento del dispositivo avversario, effettuato, con azioni di interdizione svolte dall'aviazione o dai lancia-razzo, con azioni di controbatteria e di spianamento svolte dall'artiglieria contro elementi individuati e presunti dell'organizzazione nemica quali batterie, pezzi controcarri, elementi di trincea, postazioni per armi automatiche, osservatorî.

Dopo che le posizioni avversarie sono state "ammorbidite" dall'azione di fuoco lontana, si sviluppa l'azione vicina di infiltrazione, urto e conquista degli obiettivi da parte degli scaglioni di attacco carri-fanteria (se la posizione nemica è protetta da campi minati, la fanteria precede con elementi del genio incaricati di aprire i varchi per far passare carri armati e mezzi controcarri), protetti dal fuoco delle artiglierie e da opportuni annebbiamenti e dall'azione dell'aviazione. Sloggiati o distrutti, con i proprî mezzi di azione, i centri di fuoco sfuggiti all'azione massiccia del tiro, la fanteria occupa le posizioni, mentre i carri armati eliminano i nidi di resistenza sopravvissuti all'infiltrazione dei fanti. Si formano così delle piccole brecce che i successivi scaglioni tenderanno ad allargare e attraverso le quali si lanceranno i pezzi controcarri e rincalzi per il consolidamento dell'obiettivo conquistato. Consolidamento che si deve ripromettere di assicurare l'obiettivo di fronte al contrattacco, condotto specialmente da carri armati, e di formarne una pedana per l'ulteriore avanzata. A base del consolidamento sono gli stessi criterî della difensiva: sfruttamento del terreno, armonico impiego di tutte le armi, reattività della difesa, sufficiente protezione.

Attraverso una serie di conquiste e di consolidamenti di successivi obiettivi e allargando sempre più le brecce nell'organizzazione difensiva avversaria, l'attacco potrà creare il presupposto indispensabile per l'intervento delle unità destinate alla manovra sul tergo e al rapido sfruttamento del successo in profondità. Trovano in questa fase il loro naturale impiego: unità meccanizzate, rinforzate da artiglierie molto mobili e ben munizionate, che tendono ad eliminare i centri di fuoco che l'avversario lascia per agevolare lo sganciamento delle forze in ritirata; l'aviazione; le truppe aviotrasportate che tagliano le vie di ritirata e occupano strette nelle retrovie per ritardare il movimento retrogrado nemico.

La difesa, nella concezione moderna, si deve adeguare alla concentrazione della potenza offensiva: ne deriva la difesa basata su capisaldi scaglionati in profondità e su un'intensa reazione di movimento, affidata al complesso potente di fanteria-carri. È presupposta l'infiltrazione, e l'organizzazione dei fuochi è imbastita sul tiro dei pezzi controcarri in rapporto all'attacco condotto da fanteria e carri.

Elemento base è il caposaldo, da difendere a giro d'orizzonte e ad oltranza, destinato a costituire perno del contrattacco. Tutte le armi e i servizî si organizzano in caposaldo. Negli spazî interposti hanno sviluppo gli ostacoli, specie campi minati. Gl'Inglesi considerano normale il caposaldo di brigata poiché valutano che per resistere alla violenza di un attacco moderno, in terreni pianeggianti, occorra l'entità di una brigata (3 battaglioni con artiglieria, genio ed elementi dei servizî). Il caposaldo di brigata è normalmente articolato in capisaldi di battaglione: questi, a loro volta, in capisaldi di compagnia.

La distanza fra i capisaldi contigui deve consentire il reciproco appoggio e impedire all'avversario di attaccarne indisturbato uno alla volta. In terreni facili l'intervallo fra capisaldi maggiori è in funzione della gittata efficace delle armi controcarri (1000-2000 m.); fra capisaldi minori, inclusi in un caposaldo di entità superiore, la distanza deve essere tale che lo spazio interposto sia dominato dal fuoco del fucile mitragliatore.

Il caposaldo è concepibile solo protetto da un razionale occultamento, una valida difesa contraerea ed un adeguato rafforzamento (nella seconda Guerra mondiale si è diffuso al massimo, nella fortificazione campale, l'impiego del cemento e del calcestruzzo e di postazioni metalliche da trasportare al seguito delle truppe e da affondare nel terreno al momento del bisogno con procedimenti speditivi).

La condotta della difesa tende a garantire l'integrità dei capisaldi e a frazionare l'attacco incuneandolo fra gli spazî interposti dove, approfittando della sosta imposta dai campi minati e da altri ostacoli, un'efficace azione di fuoco, svolta prevalentemente dall'artiglieria, ne provocherà il progressivo logoramento. Conseguito così il frazionamento dello sforzo nemico e il logoramento di ogni singola frazione, si svilupperà - sulle più minacciose - il contrattacco, condotto da formazioni prevalentemente corazzate, che troverà la sua base di partenza, di sostegno e di alimentazione in uno o più capisaldi arretrati e sarà appoggiato dalle artiglierie (comprese quelle mobili di riserva) e dall'aviazione, per conservare la posizione difensiva e procedere all'annientamento del nemico.

Nella battaglia moderna, qualunque sia la fase del combattimento, l'aviazione ha parte di primissima importanza, riunendo in sé stessa i fattori potenza e mobilità che le dànno la possibilità di agire su tutta la profondità del campo di battaglia allungando il raggio d'azione dell'artiglieria.

Dato che, con i moderni criterî, sono da escludere operazioni senza una dettagliata conoscenza dello schieramento avversario, l'aviazione tattica sarà sempre presente nella ricerca delle notizie necessarie al comandante della grande unità terrestre per la concezione del disegno di manovra e per la condotta della battaglia. Parallelamente a questa attività spiccatamente informativa, l'aviazione interverrà con azione strettamente aderente all'azione terrestre. È l'aviazione tattica che deve conseguire la superiorità aerea nella zona di battaglia; senza di essa le vie di comunicazione sono in pericolo e attacco e difesa si vengono a trovare in gravi difficoltà. Acquistata la supremazia aerea, una limitata frazione delle forze aeree tattiche sarà sufficiente a mantenerla, mentre la rimanente parte potrà trovare impiego, attraverso un piano ben definito, nella cooperazione con le forze terrestri con: a) l'isolamento del campo di battaglia, ottenuto tagliando linee di comunicazione, distruggendo depositi e colonne di rifornimento, impedendo l'afflusso di riserve; b) la partecipazione diretta alla battaglia, mitragliando e bombardando speciali obiettivi e mantenendo sul nemico una costante pressione che assicuri libertà di azione e di movimento alle truppe terrestri amiche.

Si comprende facilmente che, per la realizzazione di tale forma di cooperazione, è necessaria, da parte di truppe terrestri e di unità di aviazione, una perfetta reciproca conoscenza dei mezzi di lotta e dei relativi procedimenti d'impiego.

Tattica aerea (XXXIII, p. 330).

Durante la seconda Guerra mondiale, in relazione all'evoluzione della tecnica, di fronte alla comparsa di nuovi mezzi offensivi e difensivi ed al perfezionamento dei mezzi preesistenti, molti precedenti dottrinarî circa l'impiego tattico dell'arma aerea non resistettero alla prova dei fatti e la tattica delle specialità, già affermatasi, dovette gradatamente modificarsi nel corso delle ostilità, mentre dovevano essere sperimentati nuovi procedimenti tattici per le specialità aeree che le necessità contingenti e il progresso delle costruzioni andavano mettendo in valore.

Il concetto della massa, posto a base di ogni attività tattica offensiva e difensiva, non perdette nulla della sua fondamentale importanza teorica di fronte alla concreta realtà della guerra moderna; ma questa dimostrò che diversa da quella astrattamente concepita ne doveva essere la pratica attuazione.

Il bombardamento in quota si pensava unisse ad una indiscussa potenza distruttiva il pregio di poter sfuggire con la quota e la velocità alle difese da terra e con la potenza del fuoco difensivo delle proprie armi - potenza ritenuta tanto maggiore quanto più forti e compatte le formazioni - al pericolo più grave della caccia avversaria. In pratica non fu così: gli effetti della potenza distruttiva risultavano piuttosto modesti contro bersagli che non fossero vasti; tanto più numerosi erano i bombardieri, tanto meno essi riuscivano a realizzare la sorpresa e ad eludere la vigilanza e la reazione; i bombardieri, anche numerosi, ma soli, riuscivano a difendersi assai malamente dalla caccia.

La scorta dei cacciatori si dimostrò perciò indispensabile; ma essa anzitutto costringeva l'attività dei bombardieri in più modesti raggi d'azione e, soprattutto, per quanto numerosa ed ampiamente scaglionata attorno alle formazioni offensive (si giunse a scorte di entità 10 volte superiore a quella dei velivoli protetti), non bastava a garantire sufficientemente la sicurezza di queste. Ne conseguì la tendenza dell'aviazione da bombardamento ad agire sempre più di notte, con velivoli isolati o con piccole formazioni susseguentisi sugli obiettivi; ed anche la tattica notturna dovette via via adeguarsi alla comparsa ed al perfezionamento del radar.

Nell'ultima fase della guerra l'aviazione alleata, fiaccata la difesa avversaria, tornò all'impiego diurno in massa dei bombardieri, scortati o no, che potevano ormai difendersi anche da soli, perché era stata notevolmente accresciuta la loro protezione ed il volume del loro fuoco che non aveva più angoli morti.

La caccia inizia sempre in formazione i combattimenti, ma questi si frantumano subito in duelli singoli, sia pure tecnicamente coordinati nell'azione complessiva della massa attaccante, specie con il perfezionarsi delle comunicazioni radiofoniche fra terra e velivoli e di questi fra loro; l'aumentata velocità dei velivoli rende la loro manovra sempre più ampia nello spazio e nel tempo e quindi è quasi sempre una sola fulminea affondata - che spesso non può nemmeno essere ripetuta - che caratterizza il combattimento; e poiché i contatti balistici sono estremamente fugaci, necessita aumentare i calibri, la velocità di tiro, il volume di fuoco delle armi. Parallelamente all'incremento dell'attività notturna dei bombardieri deve svilupparsi la caccia notturna, che anch'essa modifica gradualmente la sua tattica, inizialmente basata sulla collaborazione dei proiettori, poi sull'impiego del radar a terra ed infine su quello del radar di bordo.

Tattica navale (XXXIII, p. 326).

Durante la seconda Guerra mondiale alle azioni tattiche fra navi parteciparono generalmente forze aeree, cosicché gli scontri ebbero carattere aeronavale. Le locuzioni combattimento navale e battaglia navale hanno perciò assunto significato più ampio del senso letterale e tradizionale: oltre che nei casi in cui le navi sono fra loro direttamente contrapposte, dette espressioni sono usate anche quando le forze navali combattono per mezzo di velivoli basati sulle navi o con intervento di velivoli da basi terrestri.

Il progresso dei mezzi di esplorazione sul mare e dei mezzi di offesa ha esposto le forze navali ad essere rapidamente localizzate e improvvisamente attaccate nelle basi o in navigazione, anche in lontananza dalle basi nemiche. Le situazioni e quindi le preoccupazioni di carattere tattico sono perciò divenute continue: la frequenza delle occasioni di contrasto ha fatto estendere la denominazione di battaglia anche a lunghi periodi e a grandi spazî (battaglia dell'Atlantico), benché il nome di battaglia sia appropriato soltanto a casi determinati, quando si verifichino due condizioni: 1) che avvenga un urto tra forze rilevanti; 2) che lo scontro produca importanti effetti. Daremo qui di seguito una esposizione sui diversi tipi di azioni tattiche nel campo aeromarittimo durante la seconda Guerra mondiale.

Attacchi in porto. - La nave portaerei, il sommergibile e il mezzo speciale d'assalto consentirono le maggiori azioni di sorpresa contro le navi nei porti. Infatti la nave portaerei offrì la base mobile, rendendo possibile di trasportare forze aeree a distanza ravvicinata all'obiettivo. In quella posizione avanzata le forze aeree vennero ad acquistare maggiori facilità operative di quelle che avrebbero realizzato se contro lo stesso obiettivo avessero potuto agire da basi terrestri lontane. L'azione notturna dell'aviazione navale inglese contro la flotta italiana a Taranto, e quella diurna dell'aviazione navale giapponese contro la flotta americana a Pearl Harbor, furono sferrate nei limiti da 170 a 200 miglia; in ambo i casi i mezzi principali di attacco furono gli aerosiluranti, così da portare l'offesa contro la parte più vulnerabile delle navi, cioè nell'opera viva. I sommergibili agirono direttamente quando riuscirono a penetrare nei porti; ma essi ebbero anche una funzione essenziale, di appoggio per la riuscita degli attacchi in porto, quando trasportarono nelle immediate vicinanze della base nemica mezzi di assalto subacquei: così nei casi di forzamento dei porti di Alessandria, di Algeri, Gibilterra, ecc. Le azioni aeree contro le navi nei porti furono frequenti: anche se non inflissero danni decisivi esse ebbero tuttavia importanti effetti strategici, quando costrinsero le navi a trasferimenti indesiderati.

Azioni contro i convogli (battaglie del traffico). - Nell'attacco alle comunicazioni marittime il sommergibile ebbe parte di protagonista: non ostante le accresciute difficoltà di azione derivanti dal progresso dei mezzi di contrasto, il sommergibile, dall'inizio del conflitto, riaffermò la sua capacità tattica contro navi da guerra e mercantili, mercè il miglioramento delle sue caratteristiche, il progresso dei siluri e le nuove forme tattiche.

Con l'azione dei sommergibili manovranti in gruppi, in specie con l'appoggio dell'esplorazione aerea, la marina tedesca realizzò una gravissima minaccia contro i convogli; gli attacchi eseguiti dai sommergibili e le azioni difensive e controffensive contro di essi produssero prolungate battaglie di inseguimento, in cui i sommergibili furono attaccati da unità navali e da velivoli (v. marina: Guerra antisommergibile, in questa seconda App., I, p. 265).

Mentre nelle azioni contro i sommergibili i mezzi delle varie specie furono impiegati in modo coordinato, ai sommergibili fece difetto la cooperazione tattica di altre forze. Fra le cause della sconfitta dei sommergibili tedeschi principale fu la deficienza di cooperazione aerea.

La guerra nel Mediterraneo offrì alle forze dell'Asse occasioni in cui fu constatata l'importanza dei risultati conseguibili armonizzando l'azione delle forze di varia specie operanti sul mare: infatti i maggiori risultati contro grossi convogli inglesi con forte scorta furono realizzati nel breve tempo in cui fu attuata una certa coordinazione nell'impiego di forze aeree, di gruppi di sommergibili e di gruppi navali di superficie. L'azione inglese contro i convogli fra l'Italia e la Libia fu realizzata con l'impiego coordinato delle varie specie di mezzi. I vantaggi che la flotta britannica possedeva mediante l'uso del radar le consentirono di attaccare i convogli con veloci gruppi di unità navali di superficie realizzando fulminee azioni di sorpresa notturna.

Battaglie tra forze navali di superficie. - I principali scontri diurni tra le forze navali delle potenze dell'Asse e quelle britanniche furono caratterizzate dal fatto che soltanto queste disponevano di navi portaerei; specialmente sotto questo aspetto si devono dunque considerare le conseguenze sulle forme tattiche. Quando non esistevano navi portaerei, la flotta superiore in velocità, se aveva forze inferiori a quelle dell'avversario, godeva di una relativa sicurezza di poter evitare la battaglia giudicata svantaggiosa. Ma contro una forza navale accompagnata da navi portaerei è divenuto molto aleatorio l'affidamento sul vantaggio di velocità, perché un riuscito attacco di velivoli siluranti, anche se non produce l'affondamento di unità navali, può determinare per qualche nave una grave diminuzione di efficienza, riducendone la velocità. In tal caso si presenta il dilemma: abbandonare la nave danneggiata o accettare la battaglia imposta dal nemico. La cooperazione aeronavale può quindi trasformare la situazione tattica. Sotto tale aspetto le navi portaerei inglesi ebbero nel Mediterraneo e nell'Atlantico funzione ausiliaria rispetto alle corazzate: il criterio tattico era quello di agganciare le forze navali dell'Asse, costringendole a battaglia risolutiva dopo averle danneggiate con gli aerosiluranti. Questo criterio tattico, che rispondeva a una logica evidente, si manifestò dalle prime battaglie nel Mediterraneo (battaglie di Punta Stilo e Capo Teulada), ma senza effetti, perché le navi italiane riuscirono ad evitare i siluri con la manovra ad alta velocità. I britannici raggiunsero però lo scopo il 28 marzo 1941 (battaglia del capo Matapan). Due mesi dopo, la battaglia navale combattuta nell'Atlantico (dal 23 al 27 maggio 1941), che si concluse con l'affondamento della corazzata Bismarck, fu un pieno successo delle navi portaerei e dell'impiego coordinato delle varie specie di mezzi aerei e navali.

Nel Pacifico, oltre alle battaglie tra navi portaerei, ebbero saliente importanza le azioni notturne fra navi, che furono di diversa specie: 1) azioni fra incrociatori; 2) azioni di incrociatori e cacciatorpediniere contro corazzate; 3) azioni fra corazzate; 4) attacchi di cacciatorpediniere contro incrociatori. Le azioni notturne fra grandi navi furono combattute a distanza ravvicinata (intorno a 10.000 m.); da ciò emerge come la capacità offensiva e difensiva delle corazzate fosse valorizzata anche nell'azione notturna; che per effetto del radar non era più giudicata, come al tempo della prima Guerra mondiale, un eccessivo azzardo.

Azioni di sommergibili contro navi da guerra. - Sono degne di particolare rilievo le cifre relative alle perdite di navi da guerra subìte dalla marina britannica e da quella giapponese nelle principali categorie di navi per l'azione dei sommergibili.

Le perdite inflitte dai sommergibili alle navi da guerra furono dunque rilevanti, benché tale forma d'azione fosse considerata secondaria rispetto a quella contro il traffico.

Azioni aeree contro navi al largo. - L'importanza del siluro per l'azione contro le navi si andò sempre più affermando nel corso del conflitto, avendo la silurante aerea grande vantaggio di velocità rispetto alle navi e potendo quindi portare l'attacco a distanza ravvicinata anche nelle ore diurne. L'attacco aerosilurante raggiunse alta probabilità di successo quando fu realizzata la tempestività di un'azione coordinata di velivoli bombardieri e velivoli siluranti, eseguendo l'attacco con un forte numero di aerei. In tali eventi le artiglierie contraerei e la manovra si manifestarono talvolta insufficienti a contrastare con efficacia l'azione dei velivoli. Oltre la scorta navale si impose la necessità di proteggere le navi con velivoli da caccia. Da ciò l'importanza delle navi portaerei con funzione ausiliaria rispetto alle navi da battaglia per il compito protettivo; la più chiara conferma dei pericoli derivanti dalla mancanza della scorta aerea si ebbe il 10 dicembre 1941 con l'affondamento delle corazzate inglesi Prince of Wales e Repulse.

Battaglie tra navi portaerei. - Quando furono contrapposte forze navali che disponevano di gruppi di navi portaerei la capacità offensiva dell'aviazione navale assunse carattere preminente rispetto a quella delle artiglierie delle navi di linea, a differenza di quanto si verificava allorché le navi portaerei avevano funzione tattica ausiliaria rispetto alle navi maggiori. La condotta della battaglia fu quindi dominata dal criterio di colpire fortemente e per prime le navi portaerei nemiche. Per le gravi perdite subìte nelle navi portaerei, la flotta giapponese fu costretta a ritirarsi non ostante la sua prevalenza di corazzate. Nella battaglia fra navi portaerei il limite di distanza a cui possono essere impiegati gli aerei da offesa deve evidentemente essere tale da consentire a questi il ritorno sulle navi in ore diurne, con un largo margine di autonomia per il combattimento e per circostanze impreviste (per gli sviluppi tattici nelle battaglie fra porta-aerei, v. filippine; leyte, in questa App.).

Azioni navali contro le coste. - La flotta avente il predominio aeromarittimo può eseguire azioni costiere anche in acque fortemente insidiate. Nonostante lo sviluppo delle forze aeree, le navi armate di grossi cannoni hanno svolto azioni molto redditizie contro le coste, per appoggiare le operazioni anfibie (v. sbarco, in questa App.): a Gela, a Salerno, in Normandia e nelle isole del Pacifico i bombardamenti navali ebbero effetti decisivi, nei casi in cui forze terrestri si trovavano in situazioni assai critiche (v. artiglieria, in questa seconda App., I, p. 271).

Considerando le azioni navali da un punto di vista generale, si deve constatare come sia emerso il vantaggio di una condotta tattica ispirata a criterî di coordinazione, di elasticità e di scioltezza di manovra. Nel rapporto dell'amm. King è messo in rilievo che nella marina americana l'organizzazione del tempo di pace, in cui i raggruppamenti navali erano stabiliti col criterio dell'omogeneità fu modificata all'atto della guerra formando i complessi secondo le necessità operative (Task Forces). Una forza d'azione si suddivide in gruppi, che costituiscono applicazioni del principio dell'impiego coordinato delle varie specie di mezzi. Le navi portaerei sono mezzi di azione potenti, ma facilmente vulnerabili: è quindi necessario costituire gruppi formati da unità di varia specie, che con le loro caratteristiche possano prestarsi mutuo appoggio. Per fissare le idee riportiamo quella che era, all'epoca della battaglia di Leyte, la suddivisione in gruppi della Task Force 38 (che era comandata dall'amm. Mitscher e faceva parte della III flotta comandata dall'amm. Halsey): 1° gruppo: 5 navi portaerei, due delle quali di tipo leggero; 4 incrociatori pesanti, due leggeri, due antiaerei e 14 cacciatorpediniere; 2° gruppo: 3 navi portaerei, due delle quali di tipo leggero; 2 corazzate; 3 incrociatori leggeri e 16 cacciatorpediniere; 3° gruppo: 4 navi portaerei, due delle quali di tipo leggero; 2 corazzate; 4 incrociatori leggeri e 13 cacciatorpediniere; 4° gruppo: 4 navi portaerei, due delle quali di tipo leggero; 2 corazzate, e 2 incrociatori pesanti e 15 cacciatorpediniere.

Dalla rassegna dei caratteri tattici della seconda Guerra mondiale risulta che le navi portaerei sono divenute i più essenziali fattori della potenza delle flotte; ma è pur vero che le navi di superficie tradizionali e i sommergibili hanno avuto una parte tutt'altro che trascurabile. Più in generale la molteplicità degli aspetti assunti dal contrasto aeromarittimo ha dimostrato l'importanza di tutte le varie categorie di unità navali; è quindi confermata la concezione anglosassone della flotta bilanciata (well balanced fleet), cioè armonicamente sviluppata in tutti i suoi elementi.

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