Tappeto

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Arte e tecnica

Porzione di tessuto di lana, o anche di seta, cotone e altre fibre vegetali e artificiali, prodotto in varie grandezze e in vari colori e disegni e generalmente collocato sul pavimento a scopo ornamentale. I t. possono essere realizzati a mano, legando i fili di ordito del tessuto con nodi, successivamente tagliati, o a macchina, inserendo particolari tipi di peli nel tessuto di fondo. I più pregiati sono quelli orientali, che possono presentarsi sotto forma di un vello artificiale, ottenuto grazie alla tecnica dell’annodatura oppure come un semplice tessuto di tipo piano (kilim e sumak).

Tecnica e materiali

fig.

T. annodati

Sono realizzati su telaio orizzontale (di dimensioni ridotte, smontabile, tipico delle popolazioni nomadi), oppure su quello verticale (anche di grandi dimensioni, fisso, tipico dei popoli sedentari), mediante la tecnica dell’annodatura, eseguendo una fila di nodi, intrecciati su due catene dell’ordito, alternata a una o due corsie di trama. Dopo ogni nodo il filo viene tagliato: i due capi liberi, uniti a quelli di tanti altri nodi, formano il vello. Il nodo, cambiando colore, costruisce il disegno del t.: più l’annodatura è fitta, più raffinato è il disegno e più pregio acquista il tappeto. Da sempre nei t. orientali si impiegano il nodo simmetrico o ghiordes o turco, perché usato soprattutto in Turchia, e il nodo asimmetrico, o senneh o persiano, perché praticato prevalentemente in Persia (v. fig.). Il primo si avvolge attorno a entrambe le catene dell’ordito, facendo uscire in mezzo a loro i due capi liberi del filo; nel secondo invece il filo si avvolge attorno a una sola catena dell’ordito, perciò due capi liberi risultano separati dall’altra catena. Il nodo simmetrico, più grande, è più adatto ai disegni geometrici, mentre il nodo asimmetrico è più consono ai motivi curvilinei. In Occidente nel Medioevo si impiegava il nodo su ordito singolo, o nodo spagnolo, sconosciuto in Oriente, che prevede l’annodarsi del filo su una sola catena dell’ordito, con i due capi liberi del nodo lasciati ai lati della catena stessa.

Le materie prime del t. sono il cotone o lana per l’armatura (ordito e trama) e lana (di pecora, di capra o di cammello), cotone e seta per il vello, più fili d’argento e d’oro per i preziosi t. di corte. I colori impiegati per le fibre sono stati d’origine naturale fino al 1860-70, quando vennero introdotti prima i colori all’anilina e in seguito al cromo.

Kilim e sumak

I due termini indicano sia due tecniche di lavorazione, sia i t. così lavorati. Da sempre in Oriente, specie presso le popolazioni nomadi, si sono tessuti anche t. piani, in cui la trama svolge un ruolo sia strutturale sia decorativo, come negli arazzi occidentali. I kilim presentano la tecnica a fessure, in cui la trama, invece di scorrere per tutta la larghezza del t., scorre solo per zone di colore, formando, tra una zona colorata e l’altra, caratteristiche fessure verticali di 2-5 cm, che non vengono ricucite. I sumak si distinguono per la tecnica delle trame avvolte, in cui la trama passa sopra 3 o 4 catene dell’ordito e poi torna indietro sotto una o 2 di esso, per poi ricominciare; in questo modo si forma come un punto obliquo che può svolgersi sempre per lo stesso verso o nei due versi opposti, creando una lavorazione a spina di pesce. Entrambe le tecniche sono impiegate anche per gualdrappe, sacche, coperte, cuscini ecc. Kilim e sumak non sono caratterizzati da tipologie decorative particolari: presentano forme geometriche astratte oppure soggetti naturalistici molto stilizzati, tipici del gusto nomade.

T. fabbricati meccanicamente

Possono essere prodotti su telaio meccanico opportunamente modificato, su macchina tufting, su feltratrice ad aghi. I t. prodotti su telaio meccanico sono comunemente chiamati t. a ferri e possono essere a pelo riccio o a pelo tagliato; il telaio provvede alla formazione del tessuto di fondo e all’inserimento del pelo, mentre il riccio (pelo ad anelli) o lo stelo (pelo tagliato) si ottengono con il passaggio degli orditi sopra inserzioni metalliche denominate ferri; con tale passaggio il filo di effetto forma un’ansa sul diritto del tessuto, che resta tale se il ferro è un semplice tondino mentre viene tagliata se il ferro termina con una lama. L’inserimento e l’estrazione dei ferri vengono eseguiti a telaio marciante, quindi senza intervento manuale, grazie a un apparato di lancio, posto lateralmente al telaio.

Nella tecnica di formazione dei t. tufted, un canovaccio o supporto di base formato da un tessuto poco fitto (di iuta, cotone, fibre sintetiche), con la tecnica dell’imboccolatura ad aghi viene ancorato il filo di pelo (di lana o di fibre sintetiche). I t. feltrati ad ago possono considerarsi essenzialmente come un non tessuto che, su un fondo di iuta o altra materia, porta un vello di fibre formato da più veli di corda e legato al primo a mezzo di feltratura ad aghi. Tali t. sono adatti per pavimenti, come il t.-moquette, perché richiedono poca manutenzione e hanno buona resistenza meccanica.

Origini e sviluppo

Le origini del t. annodato sono antichissime, ma incerte. Una teoria pone alla loro base un’istanza pratica: in epoca remota le popolazioni nomadi avrebbero creato sui loro telai orizzontali, facilmente smontabili e trasportabili, queste pelli artificiali per proteggersi dal freddo del terreno senza sacrificare i loro animali; in seguito, col progredire della civiltà, la tecnica dell’annodatura sarebbe stata praticata anche da genti sedentarie, su telai verticali, cioè fissi e di dimensioni maggiori. Una seconda teoria, più accreditata, colloca all’origine del t. annodato un’istanza estetica: esso sarebbe nato sempre in età primitiva, ma presso popolazioni stabili, desiderose di abbellire le loro abitazioni con un nuovo tipo di tessuto decorativo; in seguito le genti nomadi si sarebbero appropriate del prodotto adattandolo al loro gusto e alle loro necessità. Che si tratti senz’altro di origini molto remote è dimostrato dal t. annodato più antico che si conosca, databile al 5° sec. a.C., il cosiddetto t. di Pazyryk (San Pietroburgo, Ermitage) dal nome della valle sui Monti Altai dove è stato ritrovato nel 1947 all’interno della tomba di un capo scita. Realizzato con il nodo simmetrico, misura 189 × 200 cm e presenta due elaborate cornici decorate l’una con una teoria di alci e l’altra con un corteo di cavalieri e cavalli. L’Asia centrale e più precisamente il Turkestan (dove sono stati ritrovati i frammenti più antichi dopo Pazyryk, risalenti al 2° o 3° sec. d.C.), è stata con molta probabilità la zona di nascita del t.; da qui la tecnica dell’annodatura si sarebbe diffusa in Persia, Caucaso, Anatolia, Cina e più tardi in India, facendo del t. annodato un classico prodotto orientale, legato alla vita quotidiana, alla religione (t. da preghiera) e alla cultura islamica. Il t. infatti ha interpretato in modo stringente gli ideali estetici islamici di ripetizione di forme geometriche astratte e di stilizzazione di elementi naturalistici, attraverso una sensibilità particolare per il colore e l’ornamentazione, divenendo tipico oggetto del quotidiano e insieme importante espressione artistica.

Prodotti su dimensioni ridotte da popolazioni nomadi in base a disegni elementari tramandati a memoria, oppure nei piccoli laboratori dei villaggi e delle città con decorazioni più complesse, nel 15° sec. i t. annodati cominciarono a essere realizzati anche nelle grandi manifatture di corte, seguendo elaborati disegni sviluppati su grandi dimensioni, ideati da famosi artisti e impiegando, oltre alla lana, anche la seta e fili d’oro e d’argento. A questa categoria appartenevano i capolavori del 16° e 17° sec. destinati ad abbellire i palazzi reali o a diventare preziosi regali di rappresentanza, eseguiti sotto la dinastia dei Safavidi in Persia (a Herāt, Tabrīz e Kāshān), dei Mamelucchi in Egitto (al Cairo), degli Ottomani in Anatolia (a Uşak) e dei Moghūl in India. In tutta l’area orientale si seguirono gli antichi sistemi di produzione fino al 1860-70, quando ai colori naturali cominciarono a essere sostituiti quelli artificiali, introdotti dall’Europa; contemporaneamente i motivi decorativi tradizionali propri delle diverse zone iniziarono a modificarsi, influenzati dalle nuove esigenze commerciali con l’Occidente. Dagli anni 1920-1930 la produzione moderna, a eccezione di quella nomade, si è completamente adeguata alle richieste del mercato, molto spesso imitando, con ottimi risultati, produzioni antiche, lontane ed estranee alle proprie tradizioni.

Stili e zone di produzione

Raggruppabili in base al disegno, in t. in stile curvilineo o floreale e in t. in stile geometrico, e distinguibili, secondo gli ambiti di esecuzione in tribali, di villaggio, di città e di corte, gli esemplari orientali si dividono in base alle zone di produzione. I t. persiani sono lavorati in genere con nodi di tipo asimmetrico e presentano per lo più un elaborato disegno curvilineo a motivi floreali o figurativi (Kāshān, Kirmān, Nain, Qum, Tabrīz, Veramin ecc.); la produzione nomade presenta invece disegni tipicamente geometrici o stilizzati (Afshār, Bakhtiāyrī, Belucistan, Shīrāz ecc.). I t. turchi, o più propriamente anatolici, si distinguono per l’annodatura di tipo simmetrico, e per la decorazione geometrica, accompagnata da colori molto vivaci (Konia, Melas, Ladik ecc.); famosi tra i t. anatolici antichi i t. da preghiera e gli Uşak a medaglioni. I t. caucasici presentano colori molto contrastanti e disegni geometrici stilizzati, o astratti a grandi poligoni (Baku, Kasak, Shirwān, Seikur ecc.). I t. del Turkestan occidentale, di produzione nomade, sono caratterizzati da tipici medaglioncini esagonali, come nei famosi Buchara, e da colori molto scuri (Salòr, Tekkè ecc.). I t. del Turkestan orientale, chiamati anche Samarcanda, si distinguono per il disegno elementare, basato su tre medaglioni o su un tipico motivo a melograni (Khotan, Yarkant). I t. indiani si caratterizzano per i colori brillanti, specie il rosso, e per il disegno naturalistico (Agra, Kashmīr ecc.); famosi i t. antichi mille fleurs, fittamente decorati con piccoli fiori variopinti.

I t. cinesi, che presentano un’annodatura più grossa e quindi meno fitta, si distinguono per la scarsità dei colori impiegati e per i motivi decorativi a fiori, a draghi o a motivi simbolici (Gansu, Tientsin); tipici i t. moderni dal vello trattato a rilievo e con il disegno del festone floreale ripreso dall’arte francese del Settecento.

Il t. orientale e l’Occidente

In Europa il t. annodato fu conosciuto e apprezzato soprattutto dall’epoca delle Crociate ma, come è testimoniato dalle raffigurazioni pittoriche del 14° e 15° sec., non era considerato un oggetto d’uso, bensì di pregio, capace di simboleggiare l’autorità e quindi di apparire nelle scene religiose ai piedi del trono della Madonna e degli altari, o su davanzali e transenne. Nelle scene profane e nei ritratti del 16° sec. appare impiegato come copertura di tavoli e di cassapanche, perché ancora considerato un manufatto di valore, non da calpestare. Fino al 18° sec. i t. che giungevano in Europa erano anatolici o fabbricati nell’Impero Ottomano. Lo testimoniano raffigurazioni pittoriche di artisti del 15° e 16° sec., il cui nome è passato a indicare le tipologie ritratte, come, per es., il t. tipo Lotto (da Lorenzo Lotto), o Uşak ad arabeschi; il t. tipo Holbein (da Hans Holbein il Giovane) a grande o a piccolo disegno; il t. da preghiera tipo Bellini (dai fratelli Giovanni e Gentile); il t. tipo Tintoretto, o Uşak a doppia nicchia.

Il t. occidentale

Anche se in Europa la tecnica dell’annodatura fu introdotta dall’Oriente, i più antichi t. europei furono realizzati con il sistema a ordito singolo, come mostrano, per es., i frammenti di un t. figurato (740 × 590 cm) eseguito tra 1186 e 1203, conservato nel monastero di Quedlinburg (Germania). La produzione di t. annodati fu significativa in Spagna già dal Medioevo a causa della dominazione araba (t. a decorazione geometrica di tipo anatolico, associata a stemmi e imprese di famiglie nobili locali), e dal 17° sec. in Francia grazie alle manifatture parigine della Grande Galerie del Louvre, della Savonnerie e di Aubusson (che però produceva t. ad arazzo, cioè senza vello): abbandonata l’ispirazione ai motivi orientali, ci si adeguò all’arte decorativa e all’arredamento del tempo (t. su disegno di J. Berain ecc.), trattando con gusto realistico motivi architettonici inframezzati da trofei, medaglioni ed elementi floreali. Nel 18° sec. prevalse l’uso di accordare i t. alla decorazione dei soffitti neoclassici. Verso la metà del 18° sec. in Inghilterra nacquero a Exeter e Fulham le prime manifatture di t. annodati ispirati ai Savonnerie; dalla metà del 18° sec. ebbero successo i t. prodotti ad Axminster secondo gli stili più diversi. Per la manifattura di Moorfield fornì i suoi disegni anche l’architetto R. Adam.

Il t. da preghiera

Nel culto islamico, t. usato dai fedeli per la preghiera individuale. Rettangolare, è di dimensioni sufficienti ad accogliere una persona inginocchiata. È caratterizzato da una tipica decorazione a nicchia che rappresenta il mihrāb presente in ogni moschea, spesso sorretto da due colonnine, e ornato all’interno con l’albero della vita o con gli acquamanili e la lampada sacra. Il fedele s’inginocchia sul t. con lo sguardo rivolto verso l’arco della nicchia che viene a sua volta orientata verso la Mecca. La tipologia nacque nel 15° sec. in Anatolia e di questa zona è rimasta caratteristica, nonostante la sua rapida diffusione in tutto l’Islam.

Biologia

In istologia si dà il nome di t. (per lo più nella forma latina, tapetum) ad alcuni strati continui di cellule, di solito pigmentate. Il t. nero (tapetum nigrum) è l’epitelio pigmentato della retina dell’occhio dei Vertebrati. Il t. lucido (tapetum lucidum) è una membrana che si sviluppa sul lato interno della membrana corioidea dell’occhio, che riflette i raggi luminosi verso l’esterno e perciò fa apparire fosforescente l’interno dell’occhio. Può essere formato da uno o più strati di cellule che contengono cristalli riflettenti, e allora si chiama t. cellulare (tapetum cellulosum dei pesci e dei Mammiferi Carnivori), oppure di fibre sottili, nel qual caso si chiama t. fibroso (tapetum fibrosum degli Ungulati e dei Cetacei).

Botanica

Strato di cellule che, negli sporoteci delle Pteridofite e delle Fanerogame, attornia il tessuto sporifero, esercitando funzione trofica rispetto a questo e più tardi rispetto alle spore in corso di maturazione. Spesso per t. s’intende quello della parete dei sacchi pollinici a cellule ricche di plasma e sovente plurinucleate. Quando si va costituendo la spessa membrana delle microspore, l’ulteriore comportamento del t. è assai diverso nelle diverse piante; si possono distinguere infatti un t. di secrezione e un t. ameboide; il primo si ha quando le sue cellule si mantengono sostanzialmente inalterate e conservano la posizione primitiva fino alla maturità delle spore; il t. ameboide si ha invece quando le pareti delle cellule, almeno in parte, si perdono e i loro protoplasmi penetrano fra le spore immature, formando una specie di sincizio. Un caso particolare di t. ameboide si ha quando il sincizio funziona fino alla maturazione del polline (periplasmodio).

Trasporti

Nella tecnica dei trasporti, t. mobile o scorrevole, mezzo di trasporto di persone e cose, detto anche tapis roulant, simile alla scala mobile, ma con piano di calpestio continuo ad andamento orizzontale o con piccola inclinazione (≤15°); la velocità è di 2-3 km/ora (comunemente 0,75 m/s), la portata è di 5000-10.000 passeggeri/ora a seconda della larghezza; sono sistemati generalmente in cunicoli e servono per collegare vari punti della città con stazioni delle linee metropolitane, o punti interni di aerostazioni o stazioni ferroviarie. ■TAV.

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